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Full text of "Atti della Accademia pontificia de' nuovi Lincei"

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LSoc2542.a 




fAff 



ATTI 

DELL'ACCADEMIA PONTIFICIA 

DE' NUOVI LINCEI 



DELI' ICODEHIt PONTIFICII 
DE' mi LINCEI 

PUBBLICATI 

CONFORME ALLA DEaSIONE ACCADEMICA 
del 22 dicembre 1850 

COMPILATI DAL SEGRETARIO 



TOMO XXXI. -ANNO XXXI. 

. (1877-1878) 



ROMA 

TIPOGRAFIA DELLE SCIENZE UATEHATICHE B FISICHE 
Via Lata N.° 3. 



LSoc2542.8 



HARVARD COLLEGE LIBRARY 
INGRAHAM FUND 



ATTI 

DELL'ACCADEMIA PONTIFICIA 

DE'NUOVI LINCEI 



SESSIONE I* DEL 46 DEGEMBRE 1877 

PRESIDENZA DEL PROF. MATTIA AZZARELLI 



MEMORIE E NOTE 

DEI SOCI ORDINARI E DEI CORRISPÓNDENTI 



SULLA NECESSITA' DI STABILIRE I CONFINI 
CHE SEPARANO LA CHIMICA DALLE SCIENZE AFFINI 

NOTA 

DEL DOTT. DOMENICO COLAPIETRO 



u 



na interpretazione poco esatta dei moderni progressi della Chimica ne rende 
talvolta i cultori sospetti di materialismo. A dissipare un equivoco così spia- 
cevole spero che giovino le riflessioni seguenti. Guidata fino alla prima meta 
di questo secolo dal Principio generale del Dualismo e colla scorta de' Pesi 
proporzionali od equivalenti aveva dovuto la Chimica elevare una carriera 
insormontabile fra lo studio di quei corpi, che si ritraggono dal regno mine- 
rale, e quelli che provengono dai regni organici. E la ragione ne h evidente. 
Come si possono assoggettare alla legge dualistica gF innumerevoli composti 
derivati dai corpi organizzati, quando questi non ci presentano pressoché 
mai raggruppamento binario de' loro elementi ? Come si può determinare l'equi- 
valente dei numerosi composti polimeri? E innegabile però che questa barriera, 
quantunque giustificata e resa nfscessaria dai Principj dominanti nella scienza, 
era di grande nocumento allo svolgeyrsi e progredire della medesima. Sostituito 
al dualistico il Principio unitario, ed alla dottrina degli equivalenti quella delle 

1 



Molecole ed Atomi e dei loro pesi relativi -, tosto si vide la generalità di sif- 
fatti princip) ; e come questi egualmente bene abbracciassero i fatti , che ci 
presentano tanto i corpi minerali quanto quelli che provengono dai regni orga- 
nici. La divisione fra la Chimica inorganica e la Chimica organica scientifica- 
mente era cessata, quantunque nelle scuole possa tuttora sussistere prattica-* 
mente per comodità di chi insegna o meglio di chi apprende. La scomparsa 
di questa divisione ha dato luogo a molti equivoci, che sono causa di spe- 
ranze presuntuose in alcunii di diffidenza in altri per le nuove dottrine chi- 
miche. Infatti fino a poco tempo lontano dal presente, lo studio della chi- 
mica organica si versava sopra corpi organizzati e troviamo tutte le opere 
di chimica organica occuparsi del sangue^ della bik', del latte, delle ossa ecc* 
Quindi il concetto giustissimo, che questi <:orpi non obbediscono esatta- 
mente alle sole leggi chimiche, che non si possono riprodurre nel la- 
boratorio del chimico, ma sono invece il solo prodotto della natura organica 
sia vegetale, sia animale. Tolta la divisione della chimica in minerale ed 
organica, è facile di cadere neirequivoco , di credere cioè che quei corpi, 
che prima si distinguevano dai minerali per la loro natura organizzata e 
per la origine ed impossibile riproduzione artificiale, potessero rientrare nell'as- 
soluto dominio della chimica, ed essere a piacimento riprodotti nel labo- 
ratorio. Questa idea, che poteva forse allettare le folli speranze del ma- 
terialista, pose in giusta diffidenza chiunque abborrisca tale errore : quindi 
l'opposizione alle nuove dottrine chimiche, che si ritenevano come causa di 
questa confusione o tali da condurre a conseguenze del tutto contrarie alla 
verità. A dissipare siffatti dubbi, a chiarire un equivoco cosi funesto , io 
credo che nulla valga di meglio quanto il definire con esattezza i confini 
della Chimica; ed il chiarire precisamente il limite che separa la diimica dalle 
scienze affini. 

Com? scienza naturale la Chimica trovasi collocata presso le varie scienze, 
che formano nel loro complesso la storia naturale e quel che più monta per 
il mio assunto a lato della Fisiolog^i. Per potere ben distinguere la Chiihica 
da tutte queste scienze, che Tattomiano non solo, ma le forniscono eziandio 
i materiali per il suo studio, fa di mestieri innanzi tutto precisare con esat- 
tezza il concetto di questa scienza ed accuratamente stabilirne lo scopo. La 
chimica parte dalla Filosofia naturale ha per oggetto lo studio della interna 
natura dei corpi naturali, cui, senza punto occuparsi della loro provenienza, 
risolve nei più semplici principj de* quali risultano, ne indaga la costitu- 
zione molecolare, ne ricerca le reciproche azioni, in quanto che queste 



valgono ad alterarne la natura ^ stadia le loro proprietà , e determina le 
leggi che governano non solo le azioni, ma puranche la costituzione dei corpi* 
La determinazione di queste leggi ha limitato il campo della chimica osser- 
vazione; e tutti quei fatti che a tali leggi non obbediscono, escono fuori 
del campo della chimica per entrare m quello di altre scienze. Ciò 
premesso * agevol cosa è il distiaguere la Chimica dalle scienze componenti 
la storia naturale. Imperocché tanto la Mineralogia e la Geologia, quanto 
la Botanica e la Zoologia si occupano principalmente dello studio storico 
degli esseri oggetti rispettivi del loro studio senza che vadano a ricercare 
r intiera costituzione di que* corpi : che anzi occorrendo queste cognizioni 
si volgono alla Chimica per averle, e questa d'altra parte senza investigarne 
la provenienza compie su que* medesimi corpi i suoi studj^ ne determina la 
costituzione e le singole proprietà. Quanto alla fisica, quantunque i contatti 
di questa colla Chimica siano cosi intimi, che fino ad un certo periodo di 
tempo non esisteva alcuna differenza fra queste due scienze, pure sono oggi 
così bene distinte da non potere arrecare alcuna difficoltà a limitarne il 
campo relativo de' loro studj. Ed invero tutto lo studio della Fisica si ag- 
gira sopi^ i fenomeni presentati dai corpi, fenomeni peraltro che non alte- 
rano punto la loro natura , mentre che la Chimica studia i fenomeni che 
cambiano la natura de* corpi medesimi. La distinzione che presenta qualche 
difficoltà e che più monta di bene stabilire è fra la Chimica e la Fisiologia. 
Parrebbe strano a prima vista ; ma invece h una conseguenza de* fatti an- 
nunciati fin da principio. La confusione fra la chimica ed alcuni studj fi- 
siologici deriva dall'avere fatto oggetto di studio per la Chimica organica 
una quantità di corpi che sono sotto il solo domino d^a Fisiologia: intendo 
dire dei veri composti organici, che meglio si dovrebbero chiamare organiz- 
zati. Ad evitare siffatta confusione e delineare con precisione il limite di 
queste due scienze io penso che sia necessario di bene stabilire la differenza 
che passa fra composto chimico e composto organico propriamente detto. Il 
composto chimico h il risultato della unione di due o più corpi semplici in- 
sieme congiunti in forza di chimica attrazione, in conformità di leggi chi- 
miche generali bene stabilite ed in rapporto della valenza dei vari principj 
costituenti il composto. Inoltre il composto chimico ha una esistenza su- 
bordinata alle sole leggi fisico-chimiche, modificandosi e distruggendosi pu- 
ranche sotto r influenza di queste ; quindi h che la più parte di questi com- 
posti può cambiare stato senza subire alterazione di sorta e se solidi pos- 
sono prendere una forma" cristallina ben determinata. E mentre tutti questi 



composti possono dal chimico essere separati mediante 1 analisi ne^ loro ele^ 
menti, la più parte di essi può con gli elementi essere dal chimico rico- 
stituita, e in ispecie quelli che provengono dal regno minerale. 

Il meno complicato fra i composti organizzati e la cellula o come riten- 
gono i più recenti, fra i quali il Beaunis, il corpuscolo. Or bene questa cel- 
lula o corpuscolo risulta formato da numerose sostanze, le quali sono fra 
loro congiunte non per la forza fisico-chimica, ma sotto 1* influenza di una 
forza che, quantunque ignota nella sua essenza, pure chiaramente si rivela 
esistere nel regno organico sia vegetale sia animale; forza le «cui leggi sono 
a noi del tutto ignote. Che la formazione dei nominati corpuscoli non si 
effettui per forza fisico-chimica ce lo dimostra il fatto, che le sostanze co- 
stituenti il nominato corpuscolo non sono congiunte a seconda delle leggi 
universali e ben determinate delle chimiche combinazioni, quali la legge delle 
proporzioni determinate e quella delle proporzioni multiple } di più niun 
rapporto si ha in queste unioni colla chimica valenza. Si aggiunga che il 
corpuscolo cosi foimato non h capace mai di subire quelle metamorfosi chi- 
miche, che in tutti i chimici composti si osservano, come il cambiamento di 
stato, e le sostituzioni di elementi equivalenti senza alterazione delle mole- 
cole in cui avvengano, né fa d'uopo il dire che i corpuscoli non possono 
mai assumere la forma cristallina. E quel che più importa questi corpuscoli 
originati in seno alla organazione vegetante o vivente, non appena vengano 
sottratti alla vegetazione o alla vita, perdono la loro esistenza : ed i princip) 
de' quali erano costituiti rientrano sotto il dominio delle comuni leggi fisico- 
chimiche alle quali erano in certo modo sottratte, allorché facevano parte 
dei corpuscoli stessi, Questi cprpuscoli, i quali variamente modificati, e con- 
giunti fra loro formano le varie strutture degli esseri organati, costituiscono 
a mio credere il vero limite fra la chimica e la fisiologia. Fino al corpu- 
scolo si può estendere il campo della chimica osservazione; oltre a quello 
entra il dominio della fisiologica. Può bensì il Clùmico distruggere i nominati 
corpuscoli e prendere ad esame i principj che li costituivano: ma ciò non vuol 
dire che appartenga al chimico lo studio dei corpuscoli organizzati; e molto 
meno può dirsi che siffatti corpuscoli siano composti chimici soggetti alle com- 
muni leggio che governano la ccxnposizione dei corpi. Spero di meglio spie- 
gare questo concetto con una considerazione desunta dalla Geologia. Questa 
scienza si occupa dello studio della formazione della terra e delle parti che 
la costituiscono. Per raggiungere questo scopo il geologo si rivolge al chi- 
mico per conoscere la costituzione di una roccia per modo di esempio. U 



chimico analizza una porzione di questa roccia ; e riconosce quali ne siano i 
principj costituenti ed anche in quale proporzione si trovino. 

Può dirsi che il chimico abbia invaso il campo della Geologia analizzando 
parte di questa roccia ? No certamente : poiché lo studio della roccia rela- 
tivo alla più o meno probabile sua formazione, alla configurazione ai rap- 
porti ecc. di questa roccia con altra h stata fatta dal Geologo. Il Chimico 
non ha fatto altro che distruggerne una parte, per vedere quali ne fossero i 
principj costitutivi; e la distruzione del Chimico h stata completa ed irri- 
mediabile, perchè quantunque possa ricostituire con gli elementi i composti 
che facevano parte della roccia, non potrà certamente ricostruire nella sua 
integrità la roccia stessa. E questo perchè non è in mano del chimico ne il 
tempo ne quella intensità di forza^ in virtù della quale si sono formate le 
roccie. Lo stesso e con maggior ragione deve ripetersi per rapporto ai corpi 
organizzati. Il chimico può studiare questi corpi unicamente distiniggendoli 
per ricercarne i principj costitutivi : distrutti che li abbia, non può più spe- 
rare di ricostruirli, perchè manca a lui la forza, in virtù della quale essi si 
sono formati. 

Quando venga il campo della Chimica circoscritto in questi giusti suoi 
limiti, non veggo con quale sostegno e per quali ragioni possa tutto giorno 
strombazzarsi, che la chimica moderna apra la via al materialismo, e che i 
grandi progressi di questa scienza vadano direttamente a svelare quei mi- 
steri, che sono e saranno sempre inaccessibili alla mente dell'uomo. 



ESERCIZIO GEOMETRICO 



DEL PROF. HATTIA AZZÀRELLI 



i^ IT ROBLEMA. — Assegnare le forinole generali per le quali si abbiano 
quelle curve, la reltìficazione delle quali dipenda dall'arco di una linea data. 

Sia ds l'elemento di un arco di data curva, e perciò determinata funzione 
di una variabile : si domanda quella curva Mo M N.... la rettificazione della 
quale sia ridotta a dipendere dall'arco dato ds, cosi che se quest'arco fosse 
Telemento di un arco circolare od ellittico, si domanderebbero quelle curve 
la rettificazione delle quali dipenderebbe da quella della circonferenza, e 
dell'arco ellittico. 

Ciò posto si dicano x, y le coordinate del punto M principio dell'arco 
ds : la inclinazione di quest' arco elementare nel punto M rispetto l'asse 
delle ascisse deve essere eguale a quella che in questo punto ha la tan- 
gente alla curva dìmaudata , che rappresentata per f , avremo dal trian- 
golo diflferenziale Mmr : 

dx « ds cos f , dy « ds sen f (i) 

e quindi 



» j ds cos 9 + e ; y « i ds sen y + e' 



(«) 



ove e, e' sono costanti arbitrarie. 

Qui è necessario notare, che ds è una funzione determinata di una certa 
variabile; ma della f si sa soltanto che deve essere espressa in funzione 
della stessa variabile, affinchè possa darsi luogo alla integrazione. Però que- 
sta dipendenza è arbitraria, e cosi quante saranno queste leggi di dipen- 
denza che possono immaginarsi tante saranno le differenti linee che adem- 
piranno alla condizione voluta nel problema. Espresse dunque tanto ds 
quanto f in funzione di una medesima variabile^ avrà luogo la integrazione 
a partire dalla condizione che le coordinate abbiano un determinato valore, 
che potrà essere anche nullo quando la variabile principale abbia un valore 



determinato. E quindi se tra le (2) verrà eliminata la variabile comune f 
si avrà l'equazione della curva tra le coordinate x, y. 

Se qui porremo che ds sia stata ridotta a dipendere da una sola va- 
riabile angolare 6 in modo che abbiasi 

9 = n fl 
avremo le seguenti formole 



» I ds cos n 4- e , y » 1 ds sen n d 4- e' 



(3) 



Ponendo poi 

tang f s f (9) 
ne dedurremo 

_i , f(e) 

cos 9 o , , sen 9 « = 

che sostituite nelle (3) avremo : 

X » f ■ > -♦• e , y «* / ■■ ■ ■■ ■>■ ■■ -^ e' (4) 

le quali saranno anche più generali delle antecedenti. 

2^ PROBLEMA. — Assegnare l'equazione di quelle curve la rettificazione 
delle quali sia ridotta a dipendere dall'arco 

dZ y 

ds « — ^z*-a*. 
z 

Sostituendo nelle formose generali (1) avremo 

, dz cos 9 i , > , dz sen 9 , ^ ,. 
dx« 1 v^z' - a' dy« ^ytF^. (&) 

z 9 z 

Per rendere razionali i}ueste due formole osserveremo che dovendo essere 
z>a, potremo porre : 

a 
z ■■ 

cos 9 

della quale presi i logaritmi neperiani e fatta quindi la differenziazione 
si avra : 

— *d0lang9 



w. 8 — 
onde le (s) si muteranno in 



ed ancora 



ad sen^ 6 cos <p ad 6 sen* sen 9 



, ad cos , ^ , ad sen 9 . ^ 

dx « r--^ - ad cos 9 ; dy « = — - - ad sen 9 (e) 

cos' ^ "^ cos T w 



le quali non possono integrarsi se non quando venga posta una relazione 
tra i due angoli f, 0; supponiamo pertanto 

9 = n 
ed allora le (6) si muteranno in 

j ad cos n . ^ ^ , ad sen n 

dx «=> 5-7 ad cos n ; dy « =- ad sen n (7) 

cos •' cos 

Qui avvertiremo una volta per sempre che n^ sono due indeterminate, la 
prima ci dà il genere della linea, perchè varia da linea a linea mutando 
con essa la legge di sua generazione, e la seconda muta da punto a punto 
restando in una medesima linea. Per integrare i primi termini delle (7) basta 
ricordare essere 

n (n— 1) , , n (n— 1) (n-2) (n-3) , , 
cos n 0=cos° — ^^ ' cos°-* sen* +— 5i '-^ ^-i ^ cos"-^ sen* - 



1.2 1.2.3.4 



n (q— 1) (n-2) , a 

sen n = cos"~' sen ^^ cos°""^ sen^ 

1.2.3 

. n (n-.) (n-8) (n-3) (n-4) ^^„_, ^^^, ^ _ ^ 

i . 2 . 3 . 4 . 5 

Considerando la prima delle equazioni da integrarsi avremo 

cos n « n (n-i) . 

— - = cos"-* i cos"-* sen ^ 

cos 1.2 

n (n-i) (n-'2) (n-3) « . 
+ .-] L2 Li icos"-^ sen* - 

i . 2 . 3 . 4 

dalla quale riconosciamo facilmente che dovremo integrare termini della 
forma seguente 

B |d0cos""*'0sen^<'^-'^0 



J 



( 



i . 









— 9 — 

di cui come è noto dai prìncipii del calcolo integrale può sempre asse- 
gnarsi la espressione finita. Alla medesima conclusione si giunge per l'al- 
tra quantità : 

sen n 
cos^ B 

La integrazione di queste funzioni può eseguirsi con maggiore eleganza 
e semplicità quando si ponga : 

. sen (n-i) Q 

A « — 

cos d 

la quale differenziata ci dk 

d A = — r— I n cos e cos (n-i) 6 - cos n 6 | . 
cos' Q\ ' ) 



Per la formoia 



cos a cos b => 3 I cos (a ■♦• b) + cos (a - b) ì 



ponendo 

a = (n-l) , b = e 

si ha 

a-fb-nd , a-b = (n-i) S 

e quindi 



cos e cos (n-i) e « 5 I cos n e + cos (n-2) 6 J 



che sostituito da 

de 



d A = 3- 1 (n-2) cos n e + n cos (n-2) 6 1 

2 cos e L ^ J 



e da questa integrando 

1-2) e 



fd cos n 9 2 . n Ai 9 cos (n- 
J cos* e n-2 n-2j cos* fl 



ovvero 

M fl cos (n-2) e 



fd cos n d 2 sen (n-i) 6 n A 
J cos* 5 n-2 cos fl n-2 j 



cos' e 



— iO — 

che per noi è una forinola di riduzione per mezzo della quale la quan- 
tità costituente il primo membro è ridotta a dipendere da un altra parìforme 
dove la n è diminuita di due unita : con analogo ragionamento questa si 
ridurrebbe a dipendere da un'altra pariforme nella quale n sarebbe dimi- 
nuita di quattro unita e così di seguito : onde lorchè n h pari » l'ultimo 
integrale sarà 



f de 

Jcos* 6 



fcos e 
e quando n h dispari avremo in fine 



3- = tang e 



J^r *^g- '^"g (r 7) • 



Per integrare il primo termine del valore della j porremo: 

^ cos (n-i) e 
cos 

pel quale, dopo avere operato come nel caso antecedente, troveremo 

rd e sen nd 2 cos (n-i)9 n fd dseu (n-2) 9 

J cos* e n-2 cose n-aj cos* e 

Sostituiti questi valori nelle (7) sottoposte alla integrazione ne risultano le 
coordinate 



2 a sen (n-i) fl a ^ a n fd d cos (n-2) 

X = -r- sen n e I ^ — + e 

n-2 cos n n-2 . 1 cos' 6 



2 a cos (n- 
7-- 



n-i) da ^ a n fd e cos (n-2) , ' 

/ -h - cos n fl I l_-Z- + c 

)s fl n n-2 J cos 9 



n-2 cos 

Dalla semplice forma che hanno i valori di queste coordinate risulta che 
desse sono infinite per n = 2 onde per trattare questo caso h d'uopo ritor- 
nare alle (7), le quali si mutano nelle seguenti 

, ad e cos 2 e 

"^ * i-:: ad e cos 2 & 

cos 9 

, ad 9 sen 2 0, 

dy « 5-- ad 6 sen 2 & 

^ cos fl 



— 11 

che poano mettersi sotto la forma 



dxe2ad IT- ad dcos2d 

cos 9 

, 2 ad esene . 

dy =* ' ad esen 2 6 , 

•^ cose 



ed integrando h 



X := 2 a e - a tang — sen 2 e + e 



y e - 2 a log. cos e + - cos 2 e + e' 



Siccome la eliminazione di Q conduce necessariamente ad una equazione ti'a- 
scendente, cosi se ne conclude che per la relazione 

9 « 2 e 

non vi h curva algebrica la cui rettificazione possa dipendere dall'arco dato 
Per n «=» i le (s) diventano 



de 

X = - a sen e + a I + e 

cos e 



ì. 



2 a ^ fd e sen , 

y =» -4- a cos e -a 1 — + c 

■^ cos e J cos* e 

ed eseguita la integrazione si ha 



+ e 



X «= - a sen e + a log. tang ( — + — ) 

2a a , 

y « -f a cos e + e 

■^ cos e cos e 

Quando si vogliano i valori delle costanti coir ammettere che a e » o deb- 
bano corrispondere x « o , y «= o troveremo 



c«o, c' = -2a 



e perciò la linea è data in questa ipotesi dalla coesistenza delle due 



X « a log. tang (""+"")- ^ sen 6 



y«a 



. 42 — 

(i--cosB)' 
coso 



Io oneste carré, qualunque sia n, merita di essere avvertita la semplicità 
delia fonna sotto la quale si presenta il raggio di loro curratura. 
La formola generale per questo caso è 






(di* -H dy') 
^ " dx d»y-dy à\ 

onde riprese le formole geoerali (7) messe prima sotto la forma seguente 

dx B ad tang' cos n 9 ; dy » ad d tang* sen n 
di^erenziando oe deduciamo 

- • / cos n \ 

d* X «=ad0^ taDg0l 2 — — n sen n tang I 

it 1 m.a ^/ 8enn0 ^ \ 

d'yaadd0 tang 01 2 — 5— -«-ncosn tang 1 

e quindi 

j ja 2 m ^* x^i senn0cosn0 ^ ^ ^\ 

dx d y » a d 0^ tang^ 12 5— + n cos* n tang I 

j ja • j *^ ^ ^ / ^^ n0cosn0 ^ ^ \ 

dy d X = a* d 0^ tang^ 1 2 j-- n sen* n Uog 6 I 

y cos / 

onde 

dx d* y - dy d* X « n a* d O' tang* . 

Essendo poi 

dx^^-dy'-a^dO'tang^O 
otterremo sostituendo 



p«^tang*0 (9) 



Dalla quale risalta che tutte le linee di cui è questione sono assintotiche 
perchè per » — si ha p» « , onde i loro rami tendono ad essere rettilinei. 



— 13 — 

3.° Pboblcjia. Si domandano quelle curve la rettificazione delle quali di- 
pende dall'arco 



ds « 'y= V a + z • 
Va 



Avremo immediatamente 



dz 



dx =77=^ ^a + z cos q) , dy = "7==- vk+z sen 9 

ove posto 

Zea tang^ 9 



se ne deduce 



. 8 ad sen cos 9 , s ad sen sen n 
dx= — 1 , dy- 



cos* 9 cos* 

e fatto 

(p = n 6 



risulta 



2 ad d sen cos n . 2 ad sen sen n 

dx« r-- , dy« r-- (io) 

COS* "^ cos* ^ ' 



Ora essendo 

sen b cos a a I (sen (a -h b) - sen (a-b)) 

sen b sen a «=> | (cos (a - b)-cos(a + b)) 
fatto 

b « ^ a a n 

se ne ricava 

sen cos n » I (sen (n 4- 1) - sen (n -- i) 0) 
sen sen n B I (cos (n - i) - cos (n + i) 0) 

e cosi le (10) diverranno 



che danno 



1 1 ^ /sen (n -»• 1) - sen (n - i) 0\ , . 

^ \ cos* e / 

- fd sen (a -fi) fd sea(n-i) . , 

»-C + a I V- — • a I \ ' (12) 

J cos*0 J cos»0 * 



— u — 

^, Cd 9 cos (n--i) fd 6 cos (n + i) 6 

Per effettuare V integrazione Tediamo di assegnare le respettive formule di 
riduzione, al quale fine porremo 



. cos (n-2) 6 

A = r— — 

cos'è 



che differenziato ci da 



d A = — rrl ■" ^^"^^ ^^^ ^ ^^^ ^°~*) e + 3 sen e cos (n-2) ì 
la quale può mettersi sotto la seguente forma 

d A « — 7-- I - (n + 1) cos fi sen (n-2) e + 3 sen (n-i) \ 
cos* e \ / 

avvertendo essere 

n-2«n+i-3 
E perchè 

cos 6 sen (n-2) 6-5 (sen (n-i) -h sen (n-3) 0) 

cosi avremo ancora 

^^^-^{- (t) ^° ^"-*) ' - (cir) ^° <"■') 

ed integrando h 

/n-5\ rd sen (n-i) /n + !\ Td 6 sen (n-3) 
V~j J cos* e \~^) J cos* e 



da cui 

\l0sen(n-i)fl 2 A n + i pddsen(n-3)0 

cos* e 



rd0sen(n-i)e 2 A n + i A 
J cos* n-5n-5j 



Si ponga quindi 

sen (n-2) 

B = 5-7 — 

cos^ 

che differenziata e ridotta come Tantecedente ci da 

d B « — j- ( I J cos 9 cos (n-?) 9-3 cos(n-i) 9 \ 



e per essere 



cos 9 cos (n-2) S = 5 I cos (n-i) 9 + cos (n-3) 9 \ 



(13) 



— 15 
avremo 



e quindi integrando si ricava 

Cd e cos (n-i) e d B n + i • Td 9 cos (a-3) 
J cos^e "n-5 n-5 J cos* e ^ 

Se nelle (i2), (m) si muta la n in n+2 e le A, B in A, , B^ avremo 

Jd9sen(n + i)0 2 A, n + 3 rdesen(u~i)0 . 

cos* e "" n--3 n-3 J cos* 

Al e cos (n + i) e ^ 2 B, n 4. 3 Cd 6 cos (n-i) 6 . 

J cos* e n-3 n-3 J cos* 6 ^ 

le quali sostituite nelle (12) ci danno le coordinate di qualunque punto della 
linea dimandata in funzione della indeterminata n onde è indefinito il nu- 
mero delle linee piane la rettificazione delle quali dipende dalla funzione 
data per l'arco. 

É da notarsi che dalle espressioni (13), (14) risulta potersi sempre com- 
piere la integrazione perchè per n pari si otterrà in fine 

Jaesene r de 
*Tos*e J ' cos^e ' 

la prima delle quali da 



Jd d sen d 1 i 

cos* 6 3 cos^ 



e 

e la seconda si riduce a dipendere da 



J^='°«'*^''s(r7)' 



per n dispari poi si ottengono le due espressioni 

de 



Cd e sen' e C 

J cos* e ' J 



^ cos* e 

che si sanno integrare. 

Il raggiò di curvatura può dedursi con molta facilitk perchè dalle (10) 
differenziando risulta 



— i6 

8 ad 6^ 



d' z «» — z — I (i -^ 3 sen^ 6) cos nd - n sen 9 cos0 sen n 1 
cos^ e V ' J 

d^ y ts s-r I (t -«- 3 sen^ 0) sen n -*- n sen cos cos a 6 1 



e quindi 



Essendo poi 



ne risulta 



1 ,« , ^. 8 a nd 0^ sen 

dx d y - dy d* X = »— 

•^ -^ cos* 



.1 a , a^ 8 a^ n d0^ sen'0 

dx" + dyV- i-7 

•^ cos 



a sen , , 



n cos* 
ed anche qneste curve, come le precedenti , sono assintotiche perchè per 

« -3 bauno p = « 

4/ Problema. — Assegnare quelle linee la cui rettificazione dipende da quella 
della cicloide ordinaria. 

Rappresentato per r il raggio del circolo generatore abhiamo 

- da a 

ds c= 4 r — sen — 

2 2 

ove a è Tangolo che il raggio diretto al punto generatore forma con una 
perpendicolare alla base della cicloide. Abbiamo come sopra 

j j da a 

dx = ds cos 9 « 4 r . — sen — cos 9 

^ 22^ 

dy « ds sen 9 = 4 r . — sen — sen <f (le) 

Si ponga per comodo — » 0, e secondo il solito f » n 0, avremo 

dx «» 4 r d sen cos n ; dy » 4 r d sen sen n (17) 
e per le note formole trigonometriche è 

dx » 2 r d I sen (n 4- 1) - sen (n-i) j 



dy » 2 r d 1 cos (n-i) - cos (n+i) J 



— 17 
dalle quali integrando 

X = 2 r I ^ '— I + e 



(cos (n-i)O cos (n + i)^ \ 
n-i n + 1 / 

(sen (n-i) sen (n + i) 6\ , 
n-i n ■♦• 1 / 



ys=.2r 

Se qui poniamo che a 6 « o, corrisponda y = o, x » o troveremo 

4 r 



e =3 5 , c' = O 

n - 1 



onde 



/cos (n-i) e cos (n + i) 9 2 \ 

x = 2rl i 5 1 

\ n-i n -^ 1 n - 1/ 

(sen (n-i) 6 sen (n + i) 0\ 
n-i n + i J 

le quali ponno mettersi ancora sotto le forme seguenti 

4r / \ 

X « -a — ( n sen 9 sen n fl + cos 6 cos n 9 - 1 1 

n -iV / 

y C3 1 cos e sen n 6 ►- n sen cos n d j ; (is) 

e per le note relazioni trigonometriche facilmente avremo 

X = -5 — I (n + cos (n-i) fl - (n-i) cos (n + i) 6 - t j 

J^-i, — I (n + i) sen (n-i) 6- (n - t) sen (n •*• i) e j 
e se pongasi 



2r 



X « X ■♦•-5 

n -1 
sarà pure 

2 r I" T 

X =-^ — I (n •♦- i) cos (n-1) e - (n-i) cos (n + i) 5 1 

y «— 5 — I (n + i) sen (n-i) 6 - (n-i) sen (n + i) fl 1 

non tenendo conto dell'accento nell'ascissa. 

Queste equazioni rappresentano tante epicicloidi, ed ipocicloidi. 



3 



• • 



— 18 — 

Se da queste equazioni, per ogni valore di n, venissero eliminate le fun- 
zioni circolari otterremo tutte quelle curve tanto algebriche , quanto tra- 
scendenti la rettificazione delle quali dipende da arcbi cicloidali. Se nelle 
(17) poniamo n = i esse si presentano sotto forme indeterminate, ma per noti 
principii si trova, 

X = « r sen* , y « 2 r (0 - sen cos 6) 
e perche 

2 sen* e = 1 - cos 2 
così abbiamo finalmente 

X = r (i ~ cos a) j y = r (a - sen ex) 

cbe rappresenta una cicloide il cui circolo generatore e uguale a quello 
della proposta, e dove le coordinate sono permutate , notando di avere 
fatto 2 6 ^ <r. 

Il raggio di curvatura si ottiene diflferenziando prima le (17) le quali danno 

d* X » 4 r d ^* (cos 6 cos n fl ~ n sen sen n 9) 
d* y -e 4 r d 0* (cos 6 sen n 9 -i- n sen cos n d) 
e formando quindi la difi'erenza 

dx d*y - dy d'x = 2* r"* d 6^ n sen^ 



(dx* f dy")« = 2« r' d 6^ sen' 6 
si ottiene 

r r ex 

p — sen^« — sen — : 
n n 2 

onde il raggio di curvatura di tali curve è un multiplo summultiplo di 
quello della cicloide data secondo cbe n è fratto od intiero. 

Quando si voglia conoscere la quadratura degli spazi limitati da queste 
linee prenderemo 

d A « y dx 

nella quale sostituiti i respettivi valori per le y, dx, otterremo in funzione 
della sola variabile & le seguenti espressioni 

d A « 4 r* d e I —5 sen n + i) 9 sen (n-i) 9 5 — I 



ma 



dunque 



19 



sen (n -*- i) scn (a-i) 5 = | (cos 2 9 -« cos 2 d 0) 



d A = 4 r^j -^ (d fl cos 2 9 - d e C0S2 a e) 

d e sen' (n -m) d sen' (n-t) 



n^M^ J 



n + i 
ed integrando in modo cbe a « o corrisponda A » o otteniamo 



A «4r 



^ r n /sen 2 sen 2 n 0\ 
Ln*-i\ 2 2n / 

1 / cos (n + i) sen (n + i) (n -♦• t) 0\ 
n-f-i\ .nf2 n + 2/ 

i / cos (n-i) sen (n-i) n-i\~| 
n-i\ n ''^ / J 

la quale prende differenti valori insieme con la n. 

5.^ Problema. Assegnare l'equazione generale di tutte quelle linee la rettifi- 
cazione delle quali si riduce a dipendere da una funzione cbe rappresenti 
l'ordinata di una iperbole conica. 

Rappresentati per a, b i semi-assi della iperbole, detta l'ampiezza, IV- 
dinata è data da 

b tang 
e perciò avremo 

d0 



ds»b 



cos' 



onde le formole generali seguenti 



e quindi 



dx B b . — ;— cos (P ; dy = b . — —t sen 9 

cos' T ^ 7 ^Qga Q T 



j t 1 /. cos n , sen n . 

dx = b d . -— ; dy = b d . — - («) 

cos' ^ cos' ^ ' 



Integrando avremo per le formole di riduzione stabilite al § (2) 

CA e cos (n-2) 



XaC + 



cos''0 



20 



, s b C08 (n-i) b n rd sen (n-f) 9 . , 



che per n»i diTenUno 



J cose ^ ^ \2 4/ 

. 2 b , r d scn e , b 
*^ CO8 J co 



COS0 



Supposto che a « o corrispondano x « o, y = o avremo e «= o, e' = — b , e 
perciò Tequazìoni della linea corrispondenti ad n » i sono 

VI * /* ^\ b(i-cosO) 

x-blog.tang^^.-j,y«-^^^^ 

Se poniamo n « 2 le (io) non essendo compiata la integrazione si presentano 
sotto forma impossibile, e perciò riprese le (is) avremo 

, bd0cos20 , bd0 sen 2 

dx =» — — : dy « 

cos* "^ cos* 

le quali diventano 

2 b d sen 



dx-bdo(2 ^—\ } dy 

\ cos* / -^ 



cos 
che integrate così che a « o corrispondano x « o, y = o si ha 

x«b(20-.tang0) , y^^^^S'-^^^ • 
Per eliminare 0, dalla seconda sì ha 

b 

cos* « e 



e quindi 



onde 



da cui 



sen* « i - e 



b - i 
tang* «a e 



e Are. tang 



(V.t.) 



^ 21 — 

che sostituito nel secondo membro dell*ascissa sì ha 

X - b [» are tang (= ^ {-_ ^ - yj^i_ J . 

Pel raggio di curvatura, facendo uso delia solita formola, considereremo le 

quantità 

b d V \ ' 

d* X = — 3 — I 2 sen 6 cos n 6 - n sen n cos 9 | 
cos^ \ J 

bde*/ \ 

d* y « 5 — I 2 sen 6 sen n + n cos n d sen 6 \ 

^ cos^ e \ / 

j ja j j:, 2nb*d0^ 

dxdy-dyd*x« -, 

^ ^ cos^ 



e quindi 



^dx^ + ày^\ 



"^ COS^0 



b i 

2 n COS* 



TT 



che per e =» — diventa infinito. 
^ 2 

6.^ Problema. — Assegnare quelle curve la rettificazione delle quali di- 
pende dall'ordinata di una ellisse. 

Chiamando l'ampiezza corrispondente ad un punto qualunque della 
ellisse, la sua ordinata è 

b COS0 

onde per la dimandata curva dovrà essere 

ds « - b d0 sen 
e quindi 

dx =» - b d sen 0co3(p ; dy^-bdO sen sen f 

ed ancora in una sola variabile 

dx a - b d sen cos n ; dy « - b d sen sen n 
e per le solite formole di trasformazione sarà 

dx a— I d sen (n - i) - d sen (n -f- i) } 



22 



X 



dy = — I d e cos (n -f. i) - d fi cos (n - i) 6 j 

le quali integrate danno 

b /cos (n •♦■ i) cos (a - i) 9 v 

x=c+— I- I 

, b /sen (a + i) fi cos (n - i) fl\ 

y e c^ _l — I 

•^ 2\ n+ i n- i / 

e per avere i valori delle costanti si supponga che a fi » o corrispondano 
X = 0, y = o, COSI avremo 

b b /cos (n + i) cos (n - i) fl\ 
n*-l 2\ n-fi n-i/ 

b /sen (n + i) fi sen (n ■*• i) 0\ , , 

y = ^( — i '- ^ ^1 (20) 

•^ 2\n + i n-i/ ^ ' 

Per dedurre da queste espressioni qualche caso particolare poniamo la 
prima di queste equazioni sotto la forma seguente 

b rcos (n H- i) e / (n •*■ i) cos (n -i ) fi - 2 \^ 
^ "^ 2 L n+ 1 \ n* - 1 / J ' 

Si faccia n « t, avremo 

b /cos 2 fi o\ b sen 2 fi o 

X= — I 1 , y = — . 

2\2 0/ '' % 2 O 

alle quali applicate le solite regole troviamo 



(i-cos2fij 9 y« |2fi-sen2fij 



che rappresentano una cicloide ordinaria generata da una circonferenza di 

. b 
raggio - 

4 

Le formole generali (20)9 come abbiamo notato altrove, appartengcmo ad 
epicicloidi ed ipocicloidi. 

Problema. Si domandano quelle curve la cui rettificazione dipende da 
una funzione che rappresenti l'ordinata di una parabola. 
Se poniamo Tequazione 

u** => az"* 



~ 23 
avremo evideotemente 



m i. """" 

ds«— a" 2 " dz 



n 
e COSI le due 



1 Q— n .-^ 1 m— n 

dz =— a z dz cos 9 , dy «— a z dz sen o 



e ponendo qui 



= ^ m =^ , d^ 

z = tang e > sarà — z dz 



n cos* B 

onde 

j ^ d 6 cos n 6 ^ d e sen n © 

dx o a ' 5"-— 9 dy a a =— - 

cos e ^ cos* & 



la integrazione delle quali dipende dalle formole di riduzione stabilite al 
§ (2) e differiscono da quelle trovate pel caso della iperbole soltanto pel 
parametro. 

7.^ Problema. — Si domandano quelle curve la rettificazione delle quali 
dipende da archi di lemniscata, o da integrali ellittici di prima specie. 
Essendo 

r* = a' cos 2 e 

l'equazione della curva abbiamo per l'elemento dell'arco qualunque 

ds - \/dr^T?dT* 

e quindi 

ad 9 
ds 



^cos 2 B 
In questa ipotesi Tequazioni generali diverranno 

, ad 6 cos 9 . ad 6 sen 9 
dx «-y==J , dy - , 1 

V cos 2 9 V cos 2 e 

nelle quali per comodo porremo 



26«or , d0» |d 



or 



onde 



. a d 0- cos 9 - a d 0- sen 9 
dx«=---«==i , dy=— y=s=^=^ 

* V cos 0- * V cos 0- 



ed afiinchè sia possibile la integrazione si faccia fanor e così sarà 



l 



— 24 — 

, a d 0- cos no- . ade sen n o' 
clxr=— . f dy« . (2i\ 

2 V coso- 2 VCOSd ^ ' 

Per integrare queste funzioni porremo, secondo il solito 

A = sen (n - i) 0- . y cos o- 
dalla quale diflferenziando abbiamo 

d A = ■ I (2 n - 2) cos (n - i) 0- cos o- - sen e sen n <t I 

2v cos 0- L J 

e per le solite formole di funzioni avremo ancora 

d A « — . 1 ( 1 cos (n - 2) (j + I I cos n or I 

2\/cÓs^L\ 2 / ' ' \ 2 J J 

ed integrando sarà 

d 0- cos (n — 2)0" 2n — i/^do- cos n o- 



A 



2n-3rdo'cos(n-2)o' in-ì P 

* J V^ cos or 4 J \ 



/cos 0- 

dalla quale 

Jd or cos n 0- 4 A 2 n - 3 Td o- cos (n - 2) o* 
V^cosd 2 n - 1 2 n - I J y^cos a- 

Si ponga ora 

B « cos (n - 1) 0- . V^cos <r , 

differenziando e riducendo per mezzo delle formole di trasformazione si ottiene 
(j B « j (2 n - i) sen n o* + (2 n - 3) sen (n - 2) o- j 

4 /cos 0" L J 

che integrata ci da 

Cd <r sen n o* 4B 2 n - 3 fd o* sen (n - 2Ì o- 

J / cos (7 2 n - 1 2 n - i J / cos (7 

Fatte le opportune sostituzioni nelle (21) otteniamo 



X «e + 



a/4A 2n-3rd(j sen (n - 2) <r\ 
T \2n-i"'2n-iJ / cos d / 



, a/ 4B 2n-^3 Tddsen (n-2) (xX 

y « e' - - 1 + I , I (22) 

2\2n-i2n-.iJ /cos (7 / 
Qui noteremo che la indeterminata n va sempre diminuendo di due unità. 



— 25 — 

dunque quand'essa h data da un numero intero pari dovremmo integrare 
soltanto 



/ 



/ 



cos 0- 



perchè l'ultimo termine della jr h allora nullo; e se è dispari avremo da 
integrare in fine le due espressioni 

/. « rà a sen-n o* 

d 0" V cos cr 9 I — y = 

J VCOS (7 

Riguardo alla funzione che si ottiene nella prima ipotesi si ponga 

d(7 



J V^cosa Jl 



ove posto 



ne dedurremo 



2 sen — " sen' o) 
2 



d u cos ct) 
d 0) s= 



V^ l - ^ sen* 



6) 



• ^ 



e perciò 



jycosa Jvi-j sen* u 



che è un integrale ellittico di prima specie. 
Per l'altra funzione 



jd(7^cos(T= I d <T V^4-2 sen" f 

e fatto il medesimo cangiamento *di variabile avremo 

J. r db) cos* « r d 0) r d w sen* &> 

ycosd J ^jj^iggj^a^ J ^ I _ 1 sen* w J V^ i - ^ sen* w 

il cui ultimo termine si può mettere sotto la seguente forma 

Jd w sen* (ù r à(ù C . -- 

/ , 3 ^^ I / , « ^^ Ida) Vi-{sen'a) 
Vi-{sen*a) Jvi-Jsen*a> J 



— 26 
e sostituendo 



Jdffvcosff = -a I — „ ,, — . j. 1 Ideo V 1 — f sea' 



6) 



che dipende da dae integrali ellittici Tuno di prima e l'altro di seconda 
specie. 

Per la terza funzione si ha immediatamente 



/ 



d 0- sen 0- 



V 



-2vcosa 



cos 0- 



Da quanto abbiamo esposto risulta che generalmente le coordinate x, j sono 
funzioni trascendenti, per altro vi possono essere dei particolari valori per 
la indeterminata n pei quali risultino relazioni algebriche. 

Riprese le (22) da esse apprendiamo che una prima relazione algebrica 
l'abbiamo quando sia 



2n-3«o , edn«= — 

2 



perchè in tale caso 



x = c + Aa«c-i-asen — /coTo- 

y « c' - B a = c' - a cos - /cos7 (23) 

e posto che ad a « o corrisponda x = 0, y « ~ a, troveremo e « 0, e' = o, 
e cosi 



X « a sen •- y/^cos or ; y = - a cos -• i/cos tx 
2 2 ^ 



le quali quadrate e sommate danno 

X* -♦- y' « a* cos (x 

dalla quale 



Ora dalle (23) abbiamo 



a X» 



tanfi* — — 



— 27 
dunque si trova 

+ O 



^x% y»)- a* (35? - x'^ 



che è la stessa lemniscata di B^raooUif ma le sue coordinate sono permu- 
tate, e la inclinazione del suo raggio vettore rispetto Tasse delle ascisse è 
data dalla relazione. 

9 « 3 0. 

Per determinare in queste curve il raggio di curvatura si prendano le 

, a d cr cos uc . a d o- sen n o- 
dx« } dy = 

2 Vcos <T 2 ^cos <T 

e si deducano 

,, adcr' / \ 

a X « , I - 2 n cos a sen n o* + sen o* cos n o* I 

4 cos (7 V cos (7 \ " / 

,a adcr^ / \ 

d y « ■» .. ^ f 2 n cos ^ cos n «• + sen ^ sen n a I 

4 cos 0" V cos 0- \ ' ^ / 

e quindi 

n a' d a* 



dx d* y - dy d* X =fc 



Dì più abbiamo 



4 cos 9 



da^ 



(d,%a,-)i -f 



COS" 0" 



• \ 



e perciò 



a 



2n ^, 



cos 0" 



TT 



che per (j»— diventa infinito» onde i corrispondenti rami della curva ten- 
dono ad essere rettilinei. 

8.^ Problema. Assegnare quelle curve la cui rettificazione dipende da 
archi ellittici, o da integrali ellittici di seconda specie* 

Siano, a^ b i semi-assi della ellisse, rappresentata per 6 l'ampiezza, le 
coordinate di qualunque punto sono 

a sen ; b cos 6 
e perciò^ 

ds = d e /a' cos^ 6 9 + b' sen=* 9 



i 



— 28 — 
Le forinole generali diverranno in questo caso 

di a do C06 f ^a* cos* tf + b* sen* 



ày « do sen <f ^a* cos* 6 + b* scn* 
Per rendere razionali queste funzioni porremo 

a cos deb sen 6 tang <ù 

e cosi avremo 

, b d 0COS cp sen , b d sen sen 9 
dx i , dy =» 

cos a> '' cos 0) 

e se qui poniamo, per eliminare &>, la relazione 

9 - n6 + o 
avremo 

dx B b d d sen 6 (cos n 6 - sen n tang o) 

dy « b d G sen (sen u -h cos n 6 tang u) 

Sostituito in queste il valore di tang a> ne risultano 

dx = b d G sen 6 cos n 9 - ad cos sen n fi 
dy B b d 6 sen 6 sen n -h ad cos cos n 

e per le note relazioni trigonometriche troveremo ancora 



(u) 



dx = — d I sen (n+i) - sen (n-i) j d | sen (n+i) + sen (n-t) j 

dy » - d 1 cos (n-i) - cos (n+i) Oj + — d0[cos (n-i) + cos (n+i) 1 



ovvero 



a " b a "t* b 

dx = d sen (n+i) d sen (n-i) 

2 ^ ' 2 

1 a -♦■ Jb , , a — b - 

dy « d cos (n-«) 4- d cos (n+t) 

2 '2 ^ ' 

le quali integrate cosi che a = corrispondano x » o, y « o, otteniamo 

a + b / , \ a-b / \ 

X « ; 1 1 - COS (n-i) I - 1 1 - cos (n+i) 1 

Mn-i)\ / (2n+i) V / 



— 29 — 

a+b • ^ a-b 

y =» —f ^x sen (n-i) 6 + • sen (n+i) B 

2{n-i) ^ ' 2(n+i) ^ ' 

che rappresentano tutte le ipocicloidi ed epicicloidi 
Se qui poniamo n = l avremo 



a-^b/o\ a-b/ ^\ 

= 1 — I 1 i -C0S2 d I 



a+b/o\ a-b 



(^)^"-^ 



y « 1 — ) + — : — sen 20 



e quindi pei noti principii 

a-b/ \ 

X I i - COS 2 d 1 

a -f- b a — b 

y«= 2 9 + sen 2O . 

4 4 

Si riprèndano le formole (24) e si di flferenzino, avremo 

d* X = d e ' j (b-an) cos 6 cos n 6 - (a-bn) sen 9 sen n 9\ 

d"* y = d 5M (b-an) cos 9 sen n 9 - (a-bn) sen 9 cos n ^ j 
e formando ora il composto dx d*y - dy d' x, risulterà dopo facili riduzioni 

dx d' y - dy d* X « d e^( (n a* cos* 9 + b* sen* 0) - ab j . 
Con maggiore facilita troveremo 

^dx^ + ày^y = d ^ /^a* cos*9 + b* sen'A^ 
e quindi pel raggio di curvatura sarà 



P 



( a' cos* fi + b* sen* By 



n I a* cos * (9 + b* sen* fi 1 - ab 
che per fi «= o diventa 



a^ 



na- b 



30 



e per fi = — si ha 



• ab - a 



Conservando la indeterminazione della n possiamo assegnare Tarea limitata 
da tali curve che nel voluto modo derivano dall* elKsse. 
Essendo generalmente 

d A •= y dx 
sarà in particolare 

d A « - l-Vi— r 2 sen (n-i) B sen (n + i) e + —^ — ^sen* (n-i) Q 
L 4 (n -i) ^ 4 (n-i) ^ ' 

f , ' sen* (n + i) fl I d e 
4 (n •«- I) ^ J 

ma 

2 sen (n-i) 6 sen (n -f i) 6 » cos 2 6 - cos 2 n 

dunque 

d A = -■ 7. . (d cos 2 fi - d cos 2 n e) - \ ■ { d sen' (n-i) 
4(nM) ^ ' 4(tt-0 

-.J ^dfisenMn + Oe 

4 (n + i) ^ 

la quale integrata cosi che a 6 » o, corrisponda A « o, troviamo 

, a'-y /sen2ue \ (a + b)"/ ^ ^^ / v. / .A 

A « 3 — - f sen2 e I + — r ( sen (n-t) Ocos (n-i) 6- (n-i)fl 1 

8 (n'-l) \ n ; 8 (n-i) \ ' ' \ / v / ^ 

(a-b)> 

che si tradurra ai differenti casi coll'attribuire particolari valori alla inde- 
terminata n. 

Prob. Assegnare l'equazione di quelle linee la rettificazione delle quali 
dipende da archi iporbdic]. 

Si dica B l'ampiezza corrispondente ad un punto qualunque della iperbole 
di semi-assi a, b: per l'elemento del suo arco avremo 

ds = — — - V^b* + a=* sen' B 
cos'9 



- — ^(sen(n4-4)dcos (u + l)0-(n + i)^j 



— 31 — 
e quindi per k coordinate della curva dimandata sarà 

d 6 cos o / , do sen 9 , 

dx = ^I^ Vb' + a' sen' 5 » dy = --— 5-i v/b' + a» sen* e 
COS 9 cos c^ 

Per trasformare queste funzioni in altre che sìeno razionali impiegheremo 
il medesimo artificio usato in un problema antecedente, così porremo 

a sen » b tang &> 

per la quale sostituzione le due formole sì mutano in 

b d 9 cos 9 , b d e sen 9 

d^t = r7 > ^y "• — — 5^ • 

cos cù cos^ 6 '^ cos 6) cos 9 

In queste si contiene Tarco indeterminato 9, e di questo ne disporremo in 
guisa che possa facilmente eliminarsi Farco o). A questo fine porremo 

f a n6 + u 

e COSI i differenziali delle coordinate si riducono alle forme seguenti 

b d cos n 6 ad 6 sen 6 sen n 6 



Ax 



cos* 6 cos* 6 



e perchè 



sarà 



. b d sen n 9 ad 9 sen 9 cos n 
^ * c«s*9 cos* 9 

sen 9 sen n 9 » 5 (cos (n-i) 9 - cos (n 4- i) $) 
sen 9 cos n 9 Si» 3 (sen (n «f i) 9 ^«en (a-i) 9) 

j , d 9 cos n 9 a d 9 cos (n-l) 9 a d 9 cos (n -»- 1) 9 
dx B D. 5 + 

cos 9 2 cos* 9 2 COS* 9 

. . d sen n 9 a d 9 sen la-h 1) 9 a d 9 sen (n-i) ^ 
dyab. 5 -H i 5 

■^ cos 9 2 cos 9 2 cos 9 

I 

Essendo però 

Jd 9 cos n 9 2 sen (n-l) 9 n fd 9 cos (n-2) 9 
cos* 9 n-2 cos* 9 QHlJ cos* 9 

Jd9senn^ 2 cos(n-i)9 q rd98en(n-2)^ 
cos* 9 n-2 cos 9 u-2 j cos*^ 

se in queste si pone n + i, n - 1 in luogo di n avremo le formole di ridu- 
zione per la integrazione di tutti tre i termini che compongono le espres- 
sioni delle coordinate* 



QO 

Per un caso particolare si ponga n^o, ed allora riprendendo le espres- 
sioni generali sarà 

. b d , ad ^ sen 9 

dx a r— 3 dy =» 

cos* 9 '' cos ^ 

« 

le quali integrate cosi che a 9 a o corrispondano x «=> o , 7 =* a» troviamo 

. seno a 
x=b- , y« 

cos 9 '' cos 9 

dalle quali 

\ ab • ax 

cos 0=3-=— , sen o = r— 
by by 

e quindi 

che è una iperbole coniugata alla proposta. 

9." Problema. ■ — Assegnare quelle curve la cui rettificazione dipende da 
quella di una parabola conica. 

Per la parabola di second'ordine è 

ds-dyy/iH.^ 

l'elemento dell'arco, e quando si ponga 

- pde 
y = ptang* , edy=.^^^ 

si ottiene 

COS^ 9 

onde per la curva dimandata avremo 

^^^pd^cosy pd.seny 

COS^ 9 '' ^ COS* 9 

e quindi posto tp «s n si hanno 

, pdOcosnO _ pdo sèn n9 ^ ^ 

dx = ^ T , dy = ^ ; (26) 

cos^ 9 ' ^ cos^ 9 ^ ' 

Per la integrazione di queste porremo 

sen (n-i)o cos (n-i) 9 

cos cos 9 



— 33 — 
dalla prima differeoziaDdo e riducendo abbiamo 

A k (** + ^ ^ c^ ^ cos (n - i) fi - a d e cos n e 
d A • • _ 

cos*e 

ma essendo 

cos fi cos (n - 1) e « 5 (cos (n - s) fi -f cos n 6) 
ne deduciamo 

,. n-Hi d9cos(n-2)9 n-3 dficosnO 

dA » X 3, ' X X rr- 

8 cos"* e 2 cos^ 6 

e quindi integrando risulta 

'd 6 cos (n - 2) 9 



Jd cos ufi 2A n + iA 
cos* 9 n-3 n-aj 



cos* fi 
Dalla seconda operando egualmente si trae 

*d fi sen (n-2) fi 



fd fi sen n fi 2 B n + i A 
J cos'è n-3 n-3 J 



cos^ e 
Dopo ciò le (26) ci danno 



X «e + 



y = c' 



( 2 A n-»*! rdfi cos(n-2)fi\ 

n-3 n-3j cos^fi / 

/ 2B n- i Cd 6 sen (n - 2) \ 

*^\n-3 n-3j cos^ fi / 



Se qui la n è pari lultimo integrale per Tordinata è nullo e per Tascissa 
sarà 

dfi 



J. 



cos^fi 

ciie si sa determinare : se n è dispari gli ultimi termini diventano ordina- 
tamente. 



Jd fi sen fi r dfl 

cos* fi * J^os^ 



9 



elle sono imibediati. 

Si ponga il caso particolare di n -f 1 « o, ovvero n » - 1, allora avremo 



Ap , Bp 

2 2 



ma 



A « - 2 tang 6 } B = i - tang* 9 



— 34 — 

dunque 

e per determinare le costanti supponiamo che a 6 « o corrisponda x « o^ 
y sa ^ 9 ed allora sarà e = o. e » o, onde 

^ 2 



dalle quali 



ed in fine 



ptangd ; y - "f ( * - tang^ ^) 



x'-p*-2py 



la quale rappresenta un* altra parabola che è simmetrica intorno Tasse delle 
ordinate, mentre la. proposta è simmetrica intorno Tasse delle ascisse. 

Per naS le formole che danno le coordinate si presentano sotto forma 
d^infinitOy perchè in esse non è determinata la costante della integrazione, 
e COSI per questa ipotesi ritorneremo alle equazioni differenziali che diventano 

pd9cos36 , pd0 sen 3 ^ 

àx^- 5 , dy«^^ V-- — 

cos^ B •' cos 8 

ma 

eos 3 9 B 4 cos' - a cos 9 ; sen 3^ « 3 sen 9-4 sen* 6 

dunque 

, , d 9 d 9 sen 9 d 9 sen^ d 

dx«pd9-3 p — j— 1 dy « 3 p 5 4 p 5 — 

^ ^ cos ^ ^ ^ cos^ B ^ cos^ B 

ed integrando 

3p i . _ r^ ^ ^^^^ ^ 



• , ^ I 3p i fdesei 

X«C.p9-3ptangir; y «e ^--il^;^- 4 p J-^ 



Integrando per parti l'ultimo termine avremo 

M ^ sen « 



e quindi 



J, 8en*0 fc 
dfisendcos^^^sen*^» =-- I- 
2C08*fl J 

/d fl sen^ 9 sen* 9 _ 
5-r- "■ r* ■»• log cos 9 
cos^ 9 2 cor 9 '^ 



— 35 — 
e COSI l'equazioni alla curva sono 

, 3 p 2 p sen* 9 - 
y«c + — =— — ^— TT — logcos.e 



2COS0 cos^6 



3p 



e posto che a 6 » o debba corrispondere x - o, ed y » — troveremo e » o» e' » o, 

onde 

X « p e - 3 p tang 

3p , , 

y « -^ 2 p tane' - log cos fi 

■^ cose *^ ^ ^ I 

10.^ Problema. Si domandano ora quelle .curve la rettiBcazione delle 
quali dipende da funzioni di coordinate pariformi a quelle cbe danno i raggi 
di curvatura di una ellisse. 

Per un punto qualunque della ellisse si dica 9 Tampiezza, che per 
comodo supporremo parta dal semi-asse maggiore, ed a, b i semi-assi, pel 

raggio di curvatura avremo 

i 

(a* sen"* + b» cos* 6)* 

P S 

» 

la quale diflferenziata ci dk 

3 



d p « — =- /a' sen* e + b* cos* 6) * X 2 (a^-^ ) dO sen 9 cos 
^ 2ab^ ' ^ ' 



e fatto 



3 e 



i 

a^-b'-e" 

a 



•> aa j I » ■ ■ i« ■ 1 ■ I II 

d p « — p + d fi sen fi cos fi y a sen' fi 4. b* cos* 9. 
a b 



e quindi 



3e* 



dx «= — r- X d fi sen 9 COS fi cos f ^a* sen* fi -h b* cos* fi 



3 e' , 

dy = — r- X d fi sen fi cos fi sen y y a* sen' fi + b' cos* fi 



ab 

ab 

Per rendere razionali queste funzioni porremo 

b cos e a sen 9 tang » 



36 



^ 



e COSI avremo 



3 e' do sen' 6 cos 6 cos <p , 3 e^ dO sen'P cos 9 sen m 
dx«-T- X ^ • ^y^^TT ^ ^ 

b C0S6> D COSO) 

ove posto 

si trova 

3 e' 
dx B V- (a dd sen' 9 cos 9 cos n9 - b d 6 cos^ B sea 9 sea n 0) 
b 

3 e' 
dy «= -r- (a d sen' 9 cos 9 sen n 9 -h b d 9 cos* 9 sen 9 cos n 9) 

Prima d'integrare queste funzioni porremo il caso particolare di n « o nel 
quale si riducono a 

3 e 3 e* 

dx «-7- X d 9 cos 9 sen* 9 ; dy « — X d 9 sen 9 cos* 9. 
b ■'a 

che sono immediatamente integrabili e ci danno 

• e* e' 

X « e + rr- sen^ 9 ; y ca e' cos' 9 : 

b "^ a 

e ponendo che a 9bo, corrisponda x-o, y« per le costanti otterremo 



c a o, c » e COSI avremo 



'* e* 



b 



sen* 9 > y « cos* 



a 



dalle quali 



ft 



e quindi 



sen9=(-3-j ,cos9 = - (^J 



(?y*(^)*- 



s 

I 



Poniamo ancora n « i, ed allora dedurremo facilmente 



3 e' 



dy « — (a-b) d 9 sen' 9 cos* 9 

3 e* 
dx « — -(a'd 9 cos'9 sen^ 9 •»- b d 9 sen 9cos ^ 9) 

ab ' 



— ar- 
ie quali integrate ci danno 

X « ^— ^ ( - sen cos^ 6 •♦• | sen fl cos fl •«• 5 9) + e 

4 a b 

se' 

y « — r- (a sen* fl - b cos* e) -h e' 
•^ 4ab ^ 

e se per determinare le costanti poniamo che ae«o debba corrispondere 

3 e* 
x«o ed y« avremo e = o, e* « o, e qaindi 

3 e* (a— b) a T T 

X « ^— 1 (- sen cosr 9 •♦• 5 sen 9 cos 9 -*• 2 fl) 

4 a b 

3 e* 
y « — r- (a sen* 9 - b cos* 9) , 
-^ 4ab^ 

e la curva è data una equazione trascendente. 

Ritorniamo al caso generale ; si riprendano le relative espressioni ponendole 
prima sotto le seguenti forme 

3 e' 
dx s — r (a d 9 sen 9 sen 2 9 cos n 9 - b d 9 cos 9 sen s 9 sen n 9) 
2ab 

3 e* 
dy « — =- (a d 9 sen 9 sen 2 9 sen n 9 -r b d 9 cos 9 sen 2 9 cos n 9) 
•^ 2ab' 

Per potere integrare queste funzioni h necessario giungere ad esprimere le 
quantità comprese entro le parentesi per monomi dipendenti da un solo 
arco, mentre attualmente contengono 9, 2 9 , n 9 ; e perciò richiamiamo pri- 
mieramente essere 

sen 2 9 sen n 9 a I (cos (n - 2) 9 - cos (n -h 2) 9} 
sen 2 9 cos n 9 a i (sen (n + 2) 9 - sen (n - 2) 9) 
per le quali le ultime equazioni si mutano nelle 

3 e' r 

dx — r d 9 j a (sen 9 sen (n + 2) 9 - sen 9 sen (n-2) 9) 



- b (cos 9 cos (n-2) 9 - cos 9 cos (n -f 2) 9) 1 






— 38 — 
3 6* r 

dy «= — |. dola (sen cos (n~2) fl - scn 5 cos (n + 2) fl 

-«- b (cos sen (n + 2) 9 - cos 9 sen (0-2) 6) | 

Per trasformare queste h ancora necessario rammentare essere 

sen 9 sen (n -f 2) 6 » I (cos (n + i) 9 - cos (n •<- 3) 9) 
sen 9 sen (n - 2) 9 « 5 (cos (n - l) 9 - cos (n - 3) 9) 

cos 9 cos (n - 2) 9 « 5 (cos (n - 3) 9 + cos (n - ì) 9) 
cos 9 cos (n + 2) 9 « 5 (cos (n + i) 9 + cos (n + 3) 9) 
sen 9 sen (n - 2) 9 = 5 (sen (n - i) 9 - sen (n - 3) 9) 
sen 9 cos (n + 2) 9 « | (sen (n + 3) 9 - sen (n + ì) 9) 
cos 9 sen (n + 2) 9 « | (sen (n -»• 3) 9 -f sen (n h- 1) 9) 
cos 9 sen (n - 2) ^ = 3 (sen (n - i) fi -1- sen (n - 3) 9) 

che sostituiti danno dopo riduzione 

3 e* r 

dx « — r-l (a + b) (d fi cos (n •«• I) fi - <1 d cos (n-l) 9) 
o a L 

- (a-b) (d 9 cos (n + 3) fi - d fi cos (n-3) 9) | 

3 e* 1" 

dy = r I (a -♦• b) (d 9 sen (n ••• i) fi - d fi sen (n-3) 9 

+ (a-b) (d B sen (n-i) 9 - d fi sen (n + 3) 9) 1 
le quali integrate ci danno 



3 e' r /sen (n + t) fi sen (n - i) B \ 

^"s abL^^^ '\ n+i "" n-i / 

, , /sen (n + 3) fi sen (n - 3) B\-i 

- (a - b ( ^ i '— ) + e 

^ \ n + 3 n-3 /J 



y 



39 
3 e* 



3 e* r , / cos (g - 3) g cos (n + 1) 9\ 
sabL. \ n-3 n+i / 

.. (a _ b) (cos(n-.3)g_cos(a-l)AT ,. 
e se le costanti si detenninano per modo che a « o corrisponda 



X -o , y« — =- 
^ sab 

abbiamo 

3 
8 



n. . b) f-! !-y (. _ b)(-! '-)] 

V '\n-3 n-1/ \n-h3 n-i/J 

e* r * /sen (n -i- i) d sen (n - ì) o\ 
abL V n+i n-i / 

, /sen(n + 3)^ sen(n-3)e\T 
""^** '\ n + 3 n-3 /J 

3 e* r , . /cos (n - 3) e cos (n + i) ^\ 
^ " 8 a b L '\ n-3 nTi J 

/cos (n + 3) ^ cos (n - ì) 0\ '\ 
"^^^" \ n + 3 n-i /J 

le quali ci danno un punto qualunque della linea dimandata. 



— 40 ~ 

MÉMOIRE 

SUR LES LOIS DE RECIPROCHE RELATIVES AUX RÉSIDUS 

DE PUISSANCES. 

PAR LE PÉRE PEPINf S. J. 



1/ \J 



laucliy a donne en 1829 dans le Bulle tin de Férassac (sciences mathé- 
matiques, t. XII) une suite de Théorèmes remarquables sur les applications 
de la tlieorìe des fonctions cìrculaires a la thédrie des nombres. Les résultats 
énonc^s dans les deux premiers paragraphes de ce mémoire se rapportent a 
la reprósentation par la forme quadra tique x'-h n/' de certaines puissances des 
nombres premiers qui, divis^s par n, donnent pour reste Tunité. Ils ont eté 
développés par Caucliy dans le tome XVII des M^moires de TAcadémie des 
sciences. Le troisième paragraplie du méme mémoire a pour objet les lois de 
reciprocità pour les residus de puissances. Les résultats y sont donnés sans 
d^monstration, et un seul point a été plus tard exposé par Caucfay, la loi de 
reciprocità dans la théorie des résìdus quadratiques (Mémoires de TAc. 
t. XVII, p. 453). 

L^ illustre geometre ajoute bien, a Tendroit cité : « On peut voir dans le 
Bulletin de Ferussac comment les mdmes principes peuvent étre appliqués 
a la théorie des résidus cubiques, biquadratiques , etc. d mais le lecteur 
serait bien trompé dans son attente s'il allait cherclier dans le mémoire de 
1829 les tbe'orèmes de Jacobi sur les résidus cubiques ou ceux de Gauss sur 
les résidus biquadratiques, il ne trouverait qu'uHe formule tellement gene- 
rale qu' il serait difficile d*en tirer la solution des questions particulières. 
Du reste le lecteur pourra juger, par lui-méme ; nous donneroUs plus loin la 
démonstration de cette formule et nous Tappliquerons aux cas les plus sim- 
ples, en suivant la méthode indiquée par Caucky. 

Il sufBt cependant de modifier un peu la marche suivie dans le Bulletin 
de Ferussac pour obtenir trbs-simplement non seulement les théorèmes de 
Gauss et de Jacobi mais encore des théorèmes analogues pour les résidus 
des puissances d'ordres supérieurs. On a ainsi l*avantage d'obtenir les lois de 
réciprocité par une methode uniforme. Mais avant d*exposer cette théorie nous 
allons démontrer quelques théorèmes dont nous aurons besoin dans nos de- 
monstrations. 



— Al — 
§. L JTiéorèmes auxiliares. 

2. Désigons par p un nombre premieri par Q une racine imaginaire de IV- 
quatioQ x^ '^ i, par p une racine quelconque de l'équation jc" = l,et par if^ 
(d , p) une fonction entière de et de p dont les coefficients soni des nom- 
bres entiers. On pourra mettre cette fonction sous la forme 

il suiGra pour cela de l'ordonner par rapport k d et de réduire les exposants 
au moyen de iVquation 0'' = i j ^o » a, , .. a^^^ seront des fonctions de p en- 
tières et a coefficients entiers. 

Supposons que cette fonction conserve la méme valeur quand on y rem- 
place la racine Q par une autre racine imaginaire quelconque 0' de la méme 
équation, en sorte que Ton ait 

(0 F(e',p)=F(e,p) 

pour toutes les valeurs enti^res de /, qui ne se réduisent pas à des multi- 
ples de p. En donnant a / deux valeurs particulibres Ig et g^ on déduit de 
Tequation (i) IVquation F (6'*, p) •= F (6* , p), d'où Ton conclut immédiatement 
que Téquation (i) subsiste lorsqu'on y remplace Q par l'une quelconque des 

racines de IVquatiòn — = o. On peut d'aiileurs re'duire au dessous de p 

les exposants de dans F (6' , p) , au moyen de l'équation o'' - i. La puis- 
sance 6'*" qui se réduit k fl*" est détermiuée par la congruence / «^ = /» 
(mod p), a^ étant corame le nombre m V un des termes de la suite i, 2» 3,... 
yo - 1.. On aura donc 

et l'on déduira de l'équation («) 

F(es p)-F(e, p).2 K-Oe"-o, 

ou encore, puisque le facteur ne s'annule pas, 

4 

Cette équation n'est que du degré ^-2 ; néanmoins elle doit étre vérifi^e 
par les p-i racines imaginaires de Téquation x^^i; elle doit donc étre 
identiquement nulle, et Fon a 



— 42 — 

D*ailleurs ea egalant successivement le nombre arbitraire / aux divers 
termes de la suite 2,3.5, ... p-ì , oa trouve successivement tous les termes 
de cette niéme suite comme racìnes de la congruence 

/ «i ^ 1 (mod^) ; 
on a donc a^ = a, , «^ « a, , ... a^_, « ^x » 

F (e, p) «= flo + «1 (6 "^ e* + ... + e''-*) = «0 - a, j 

c^est-a-dire que la fonction F (6 ^ p) se reduit a une fonction rationelle de p, 
entière et a coeficìents entiers. Donc 

Théoréhe I.'^ 

<c Si la fonction -F (6 , p) est entière par rapport à et à p j et que 
tous ses coeffcients soient des nombres entiers^ si de plus elle conserve 
méme ualeur, quelle que soit la racine imaginaire 9 de Véquation x? «» i, 
cette fonction se reduit à une fonction entière de p dont tous les coqffl- 
cients sont des nombres entiers. » 

Ce th^orème est applicable toutes le fois qu' en r^duisant les exposants 
de 6j au moyen de IVquation S'' » i, et en eflfectuant les calculs, on ramène 
la fonction F {6 ', p) a une fonction ind^pendante de ; car, comme une au- 
tre racine 9' verifiera l'équation {6^f «» i , on pourra faire les mémes rédu- 
ctions et les mémes calculs et Fon arriverà au résultat àéjk obtenu avec la 
racine 97 Ainsi la fonction F (9 , p) ayant pour coefficients des nombres en- 
tiers ne peut jamais se rdduire a une fonction entière de p, dont les coef- 
ficients ne seraient pas tous des nombres entiers. 

Nous pouvons supposer n » i, p» {, dans le théorème préc^dent , alors les 
coefiicients a^^a^j .. sont des nombres entiers et la fonction F (9 , p) se 
re'duit k un nombre entier. Donc, 

Théorébie il 

« Désignons par 9 une racine primitive de Véquation xp «= i, dont Vexpo- 
sant p est un nombre premier impair , et par F (9) une fonction en-- 
tière. Si cette fonction à une ualeur indépendante de la racine 9 , en 
sorte qu'elle ne varie pas quand on remplace 9 par une autre racine 
primitive de Véquation xp « i, cette valeur de F (0) est un nombre ra- 
tionnel et entier. i) 



- 43 — 

Au lieu de déduire ce théorème comme cas particulìer du précédente on 
peut en donner une démonstration directe, fondée sur 1* irreductibilité de Ve- 

quation = o. 

^ a: - 1 

3. Comme les lois de reciprocità qUe nous trouverons eotre deux nombres 

premiers /lo^-ietT&i^'-i exigent l'emploi dea racines imaginaires de la 

coogruence x'"^^'-ì = o (mod p)^ nous dounerons ici une tliéorie très-simple de 

cette congruence ; cette théorìe est fondée sur le tbéorème suivant : 

Théoréme III. 

Si fon désigne par n un nomhre entierj positif ou négatif^ non résidu 
quadratique du nombre premier p, la congruence 

(2) X* - ny* = 1 (mod p) 

admet p h- 1 solutions dans lesquelles x et y soni pris dans la suite 
0, 1, 2,,.p- i. 

D'abord notre congruence admet les solutions évidentes a: => 1 , ^ a o et 
ar=^ - i,^-« o. Il reste a chercher celles où jr est diSerent de zèro. Soit 
u la racine de la congruence uj^i (moàp). z le residu minimum du prò* 
duit u Xy suivant le module p. La congruence (2) mnltipliée par u^ deviendra 

(1) a* - M* s /i (mod p). 

Posons 

(a) 2-M^ = S,z-a=f (mod. p) ; 

nous avons a résoudre en nombres entiers, positifs et igfórieurs k /o la 
congruence 

(4) S^ = 71 (moà.p). 

si Ton donne a t successivement les yaleurs 1, 2, 3, ... ^ - I9 notre congruence 
determinerà successivement pour S toutes les valeurs comprises dans la méme 
suite ; le nombre des solutions de cette congruence est donc ^ - 1. Or k 
cbacune de ces valeurs les congruences (a) font correspondre un système 
nnique de valeurs de z et de u^ de plus il n*arrive jamais qye u soit nul, 
car dans cette hypothèse ou aurait (a) z =S5^(mod^), et la formule (4) 
donneraìt 

t* = n (mod p) , 

ce qui est impossìble, n étant non résidu quadratique de p. Comme le nom- 
bre u est difierent de zèro» les congruences 

(b) ujr^i,etux^z (mod. p) 



— 44 — 

déterminent une solution unique {x , jr) de la congrueoce (2) , dans la- 
quelle jr est diflfórent de zero. Reciproquement a cbaque solution {jc^ jr) 
de la congruence (1) les^ congruences (6) et (a) font correspondre une solu- 
tion unique (S^ t) de la congruence (4). Donc le nombre des solutions de la 
congruence (2), dans lesquelles j est > 0, est /) - i, comme celui des solu- 
tions de la congruence (4). * A ces ^ - 1 solutions a joutons les deux solutions 
dans lesquelles jr est nul , nous avons en tout /> + 1 solutions , aìnsi que 
nous Tavons annonce'. 

4. La démonstration que nous venons de donner indique la marche k sui- 
vre pour trouver les solutions de la congruence (2), ainsi que nous allons 
le montrer par un exemple. Proposons nous de r^soudre la congruence 

or' +7^" = 1 (mod 7). 

Nous chercherons d'abord les racines (S, t) de la congruence S 1 5 - 1 (mod 7), 
qui sont (e, 1) , (3, 2) y (2, 3) , (5, 4) , (4, 5) , (ly 6) , et auxquelles correspondent 
respectivement comme solutions (zy u) de la congruence z'- r^' 5 - 1 (mod 7), 

(0, 6) , (6, 4) , (6, 3) , (i, 4) , (i, 3) , (0, i) J 
puis , (O, 6) , (5, 2) , (2, 5) , (2, 2) , (5, 5) , (0,ì) , 

comme solutions [x , j) de la congruence proposte 

Lorsque le module est grand, au lieu de calculer toutes les solutions de 
le congruence proposte au moyen des congruences auxiliaires (4), (a) et (6), 
on peut se contenter d'en détermiuer quelques unes; les autres pourront se 
déduire de cell^-la par un procède fonde sur les tbeorèmes suivants: 

Théoréhe IV. 

5. Si ( et g désignent des nombres compris dans la suite o, i, 2, ... 
p - 1 , et formant une solution de la congruence 

(2) r - ng* = 1 (mod p) , 

oà le nombre n est non-résidu quadratique de ip ^ le nombre complexe 
T = {+ gyn est une racine de la congruence 

(5) j:''+' = i(mod^). 

Dans cet énonce' nous exprimons d'une manière abrégee que la (^ -f i)'' 

puissance de f-^g^^^ peut se mettre sous la forme i +/> (M •♦- N y/w), M et N 
désignant des nombres entiers. De plus nous adroettons que la congruence 



— 45 — 

(5) n'admet pas plus de y9 + i racines ; la demoQStration par laquelle La- 
grange a démoQtre qu'une congruence, relative a un module premier , n'ad- 
met jamais un nombre de racines superieur a son degré, s'applique aux ra- 
cines complexes comme aux racines rationnelles. Or on aura d abord par la 

if-^gy/nY^-p-^g^n^^+p (F + G V^), 

car p e'tant nn nombre premier impair tous les coefficients du deVeloppe- 
ment sont des multiples de p, k l'exception de ceux des deux termes extré- 

mes. D*ailleurs /^s/, g^'sg, tTT =- i(mod)9), en sorte que Ton a 

(f ^ g ^n) P ^f^ g yjn ^ p (?,^ Q.yfTì), 
d'oùy eu égard a la congruence (2), 

rH- « = (/ + g V^ ) H- « » 4 ^. ^ ( E^ + G3 •n ) i 

cn un mot, le nombre complexe r est racìne de la congruence (5). 
En développant directement la (/^ + 1)' puissance de r, on trouve 

y+grV/nK+'«P+QV^; 
la comparaìson de ce résultat avec le precedeut donne 

V^i^pY^, Q^pG^ì 

ce qui mentre que , si n est non résidu quadratique du nombre premier 

p^ le coefficient de yn dans le deVeloppement de la (^ 4- 1)' puissance de 

if-^g^n) est toujours divisible par p, 

6. Il résulle de ce theorème et du précédent que. la congruence 

(5) j: ''•*•' S 1 (mod p) 

admet {p + i) racines de la forme f-^g ^w, les deux racines réelles de cette 
congruence se déduisent de la méme formule en faisant g «o,/» i, ou- i. 
Nous allons voir que toutes ces racines sont congrues k {p + ì) puissances 
succesives de Tune d*entre elles. 

D'abord il est évident que si r est une racine de la copgruence (5) tou- 
tes les puissances de r ve'rifient la méme congruence ; car si r''"*"* = ì 
(mod p)f r"'^''**^ = 1 (mody^), pour toute valeur entibre et positive de Tex- 
posant m. Si m est le plus petit exposant positif qui vérifie la condition 
r'" ^ 1 (mod p)y nous dirons, comme dans le cas des racines r^elles, que la 



— 46 — 

perìode de r, c*est-a-dire 1' ensemble des termes non congrus entre eux de 
la suite indéfinie i, r^rS-.-est formée de m termes. 

On demonlre corame pour la congnience or'^* = i (raod p)^ que Texpo- 
sant m auquel appartieni une racine de la congruence x**"^^ = i (mod p) est 
toujours un diviseur de /? + !. D'abord les m puissauces de r 

(I) i,r,r%...r'»-> 

représentent m racines distinctes de la congruence (s). Si r est une racine 
de la méme congruence non congrue a quelque terme de la suite (I), les 
m produits 

(II) r\r r,rW\ ...r'r^' 

m 

seront m nouvelles racines ; si r" est une racine non equivalente a quelque 
terme de Tune des deux suites (I) ou (II), en multipliant par r'' les termes 
du tableau (I) on obtiendra m nouvelles racines ; en procédant de la sorte 
on distribuera les (p -t- 1) racines de la congruence (5) en un certain nom- 
bre de groupes de m racines, ce qui exige que m soìt diviseur de ^ + 1. 
Nous omettons de d^montrer que les différents groupes ainsi formés sont 
totalement distincts , eu sorte que deux groupes ne renferment' jamais deux 
termes équivalents ; la demonstration donnee pour les racines de la con- 
gruence x^"^ = i (raod p) subsiste dans notre cas. 

Nous appellerons racines priraitives de la congruence x^"^^ = 1 (mod p) 
celles qui appartiennent a l'exposant p -*- i } elles ont la propriété de ren- 
fermer (/? + 1) termes non congrus entre eux dans la suite de leurs puìssances, 
en sorte que toutes les racines de la congruence (5) peuvent étre considé- 
rees corame des puissances de ces racines priraitives. Pour déraontrer l'exi- 
stence des racines priraitives nous designerons par r Tunb des racines qui 
appartiennent au plus grand exposant et par u cet exposant. Si zj n est 
pas égal k p -h ìj la congruence (2) aura des racines qui ne seront pas com- 
prises dans la suite 

soit Ti Fune de ces racines, et m l'exposant auquel elle appartieni. D'abord 
l'exposant m n'est pas diviseur de n*, car alors la congruence 

af^-i^o (raod p) 
aurait un norabre de racines supérieur a son degre', a savoir les m termes 

— %^ (m-1;— 

1 jT**, r ^, ... r "* et en- outre la racine r^. De plus m, n'étant pas 



— 47 — 

diviseur de C7, doit renfermer une puissance de quelque factear premier , 
fly supérieure a celie de ce méme facteur dans le nombre u. Soit donc 
tr = a* A:, OT « a^ /, e > «, « nul ou positif ; A: et / sont des nombres entiers 

premiers avec a. Posons r^'^^r^r « r '; r' et r" seront encore deux racines 
de la coDgruence (5) et appartìendront respectìvement aux exposants k et a^ . 
Puisque ces deux exposants sont premiers entre eux, le produit r' r" ap- 
partient a un exposant a^ k egal a leur produit ; nous trouvons ainsi une 
racine r' r" de la congruence (5) dont la période renferme plus de ct termes 
non congrus entre eux, cònirairement a 1' hypotlièse. Il n'existe donc au- 
cune racine r, non congrue a quelque puissance de r- Donc 

Théoréhe V. 

Toutes les racines de la congruence xp^* 1 = {mod p) sont congrues sui- 
i^ant le module p aux dis^erses puissances óHun méme nombre complexe 

r ' f-^ g \fn. 

7. Pour résoudre la congruence x^"^^ = 1 (mod p) on cherchera d'abord« pour 
une raleur de n convenablement choisie, quelques soIutions de la congruence 
(2) x^ - njr^ £ 1 (mod p)^ par la méthode indiqu^e plus haut (4). Soit (a, 6) 

Fune de ces solutions ; a -*• € yn sera racine de la congruence x^^ s ì 
(mod p), et Ton formerà la période de ses puissances, où plutót des racines 
congrue^ a ces puissances. Si cette période ne renferme pas toutes les ra- 
cines, on determinerà une nouvelle racine r, dont on formerà la période , 
et Ton en deduira une racine r^ appartenant a un exposant premier avec 
celui auquel appartieni la racine r^ ; le produit r^r^ appartiendra a un ex- 
posant egal au produit de ces deux exposants. Si ce nouvel exposant n^est pas 
^gal a ^ + 19 on continuerà de la méme manière jusqu'a ce qu'on ait formd une 
période qui renferme les ^ + 1 racines de la congruence proposée. La marche 
a suivre est la méme que pour le calcul des racines primi ti ves du nombre 
premier p ; mais dans ce dernier cas on counait d'avance les racines dont 
on forme les pe'riodes; ce sont les nombres 1, 2, 3, ...^ - i ; tandis que , 
dans le cas actuel, les racines de la congruence proposée doivent en partie 
se calculer au moyen de la congruence auxiliaire x^ — njr^ = i (mod p)^ et en 
partie se déduire de ia formation des pe'riodes. 



— 48 — 
PrenoQS pour exemple )9 « 19, /i»*-!. Les congrueDces auxiliaires sont 

S^ = i, 2Z = S + ^, 2a = S-^, 

ux^Zj ujr^ij X* +^* 5 i (mod 19). 

La première solution t » 1^ S^ 18, donne z = 0, ce qui correspond aux racines 

^ V^-i de la congruence proposte x^^ ^ i (mod 19). La seconde solution ^ = 2, 
S «= 9, donne z «= -4, u=-6, ^^ = 7, j^ = aj ce qui correspond k la racine 

r = 7 + 3 ^-1. Sa période est composte de cinq termes, 7 + 3 v^, 2+4 y-ì, 

2-4 v^-i ,7-3 ^-1 , 1 ; la période de v-* est compose'e de quatre termes ; 
ces deux nombres, 4 et 5, étant premiers entre eux, leur produit, 20^ sera 

l'exposant auquel appartieni le produit des deux racines ^--i ,7+3 v--i> 

c'est-a-dire -3 + 7 V^-i . Ce nombre -3 + 7 ^^ est donc une racine primi- 
tive de la congruence proposte. 

Gomme second exemple nous résoudrons la congruence 

(ì) x^^ = 1 (mod 41). 

Gomme - 3^ est non-résidu quadratique de 41, nous pouvons metlre les ra- 
cines de la congruence proposte sous la forme x ^ a •{' ^ v-3 , « et |3 desi- 
gnant deux nombres entiei^s qui vérifient la congruence auxiliaire 

(2) x^ + 2jr^ =1 (mod 4). 

L'application de la méthode exposée precéderoment nous donne pour Solutions 
de la congruence S ^ ^ - 3 (mod 4i), ^ <= 1, S « - 3 et f « 2, S » 19. On en de'- 
duit pour la congruence (2) les solutions a: « - 20. / « 20, et x « - 6,^= 17, 

ce qui donne pour la congruence proposte les deux racines Ti » - 20 + 20 ^--T, 

ra«-6 + i7v-3. Les puissances successives de r, , réduites suivant le mo- 
dule 41, donnent la p<^riode 

-20 + 20 ^-3 , 20 + 20 V^-3, - 1 20-20 ^^, - 20 - 20 V^^, 1. 

Cette racine appartieni donc a l'exposant 6, et les termes de la période 
qu'elle fournit sont les résidus de septièmes puissances pour le module 41. 

Les puissances successives de la racine r = 6 + 17 ^-3 nous donnent d'a- 
bord les residus 

r = 6 + 17 v/-3 , r"" = - 11 - V^-3, r^ = - 15 + 12 V^^, 

r*=-5-i9 vZ-^j r^=-4+6V^, r^ = -2+9V^-3, 
r^ 3 - 20 + 20 v/-3 , r* = 8 - 16 ^-3 , r^ = - 7 + 5 v/-3, ^ 

r*°=-io-7 V^-3, r"sio-7v/-^, etc. 



— 49 — 

Puisque nous trouvons r^ sr^ et que r^ appartieni a Texposaat 6, nous 
sommes assurés que r appartieni a Texposant 6>C 7 «» 42 , et qu' ainsi nous 
avons une racine primitive. De plus ies résìdus des puissances comprises entre 
r" et r^^y inclusi vement^ se déduissent des prec^denls par le seni change- 
ment de signe du premier élémenl a, en supposant ces résidus mis sous la 

forme a -h |3 ^-3. A partir de r'* ^ - i, Ies résidus soni égaux et de signes 
contraires aux rt^sidus précédentSi a partir du premier. Ce n*est pas la une 
proprietà parliculière au module 41} elle subsiste, quel que soit le nombre 
premier p^ pour Ies racines de la congruence x^"^^ s i (mod p). Soit en effet 

JHhl 

r une racine primitive de celle congruence. On aura r ^ = - 1 , et par 
conséquent 

(3) r'*"*-^ = - r^ , r^ = - pf'^i-f^-f^^ (mod p). 

La première de ces deux xongruences nous montre que, a partir de la puis- 

sance r~2" qui est congrue k - i, Ies résidus se reproduisent, au signe près 
qui doit étre changé. La seconde congruence ramène le calcul des résidus 

qui correspondent aux exposanls compris entre ^ — et ^ — a celui* des 
résidus qui correspondent a des exposanls compris entre o et -^ — . En 

rr . ' • P"*"* P+* P+* 

enei si fx est compris entre - — et - — , ' /x est compns enlre o et 

^ — ; or soit r"l = a + |3 y ^ ; la racine conjuguée s'en déduit par le 

Seul changement de signe du radicai, de sorte que Ton a r'^'*"^s « - |3 yn; 
on aura dono, en verlu des formules 3, 

r^ = - a + |3 v/n . 

^4*1 

Ainsi le résidu de la puissance r** se déduit de celui de la puissance r"r""'^ 
par le seul changement de signe du premier élément a. 

Ces remarques permeltenl de simplifier la conslruction de tables d' indi- 
ces pour la congruence x^"^^ = i (modp) analogues a celles que Jacobi a pu- 
bliées pour la congruence x''^^ 5 i (mod p). Les argumenls de ces tables 
seront les indices des racines; et l'on piacerà Fune au dessous de l'autre 
les valeurs des éléments »y 6 des racines qui correspondent a ces indices. 
Kous donnons ici la table relative au module 41. 



— 50 



p^ Ai f r ^% -^ 



17 ^- 



Indìces 





1 


% 


a 


4 


5 


6 


7 


8 


9 



1 
2 

3 

4 




6 
17 


- 11 

- 1 


- 16 
+ 12 


- 5 

- 19 


; 

- 4 

6 


- 2 
9 


- 20 
20 


8 
— 15 


- 7 
5 


- 10 

- 7 


10 
- 7 


7 
6 


- 8 

- 15 


20 

20 


2 

> 9* 


4 
6 


5 
- 19 


15 
12 


\ 11 
— 1 


- e 

i7 


- 1 




- 6 

*- 17 

1 


il 
1 


15 
- 12 


5 
19 


4 

- 6 


2 
- 9 


20 
- 20 


- 8 
15 


7 
- 5 


10 

7 


- 10 

7 


- 7 

- 5 


8 
15 


- 20 

- 20 


- 2 

- 9 


- 4 

- 6 


- 5 
19 


- 15 

- 12 


- u 

1 


6 
- 17 


1 















• 



Voici encore une table semblable pour le madule 29: 



)0 « 29 , r 



-2- V^ 



Indìces 





1 


2 


3 


4 


5 


6 


7 


8 


9 




1 
2 


a 


- 2 

- 1 


7 

4 


3 
14 


10 
- 2 


- 14 

- 6 


- 12 

- 3 


4 

- li 


- 4 

- 11 


12 

- 3 


14 

- 6 


- 10 

- 2 


- 3 
14 


2 

- 1 


- 1 




2 

1 


- 7 

- 4 


- 3 

- 14 


- 10 
2 


14 

6 


12 

3 


- 4 

11 


li 


-12 

3 


- 14 

6 


Ift 
2 


3 
- 14 


7 
- 4 


- 2 

1 



La tbéorìe de la coagraeace x^^ s i (mod p) condnit a la solution de 
plusieurs questions d'analyse. Dans une note des Comptes rendus (t. 24 , 
p. 1117 , 1847). Caucby arrive a cette conclusion que le polindme x^ •*- x^ 
-hx^ -h X -^ i est ou bien modulairement irr^ductible, ou bien e'gal au pro- 
duit de deux facteurs modulaires irréductibles du second degré^ pour les 
modules premiers compris dans la formule p » 5 / - i, et que la seconde hy- 
pothèse a lieu pour le module 29. Il risulte de la tbéorìe de la congruènce 
ci-d^ssus ìndiquée que la seconde bypothèse a également lieu pour lous les 
modules premiers compris dans la formule 5/-1. De plus les facteurs mo- 
dulaires peuvent se raettre sous la forme j:' - 2 a x + i« Du reste ce n'est 
la qu' un cas particulier dNin théorème phis general : 



— 51 — 
Si p désigne un nombre premier et m un diviseur de la somme /? -«- 1, le 

polynóme — ^ ou , sui^ant que m est pair ou impair, est toujours 

X ^ 1 oc ■"* 1 

égal a un produit de facteurs modulaires irréductibles du second degró et 
ces facteurs peuvent se mettre $ous la forme x^ -^itax -^i. 

Il est facile de farmer ces facteurs modulaires quand on possedè pour 
ìt nombre p une table d* indices semblable a celles t]ue nous venoos de 
donner; ces facteurs sont ^qnìvalents , suivant le modale p^ aux facteurs 
trinomes qui corriespondent aux divers coujdes de racines irratiouBelles de 
la congrueuce x"^ s i (mod p) i or le facteur trioótse qui correspond a 1* un 

de ces gnoupes, a^^^n^ est 

et comme les nombres a, |3 v^rifient la tongruence ce* — n|3* = i (mod p)j 
le trìnóme considera est dquivalent , suivant le module p } aù trinóme x^ 
— 2aa:-t-i. Le coefficient a de ce facteur modulaire est donc l'cl^ment a 

de Tune des racities a =fe ^ \/n ; il <x>rrespond dans la table a l'un des indi- 

indices multiples de et ìnfe'rieurs k ^- . 

* m 2 

Àinsi pour le module 29 les facteurs modulaires irréductibles du poly^ 
nóme x^-hx^-^x^-^x-^i correspondent aux indices multiples de 6, les va- 
leurs de a sont - 12 et - 3, qui coirespondent respectivement aux indices 6 
et 12. On a donc 

a?* -*- o:^ + a?' + or + 1 s (x* - 5 a: -*■ i) (or* + e x + i) (mod 29) , 
ccmune on peut le d^duire de V identità 

or^ + or^ -f X* + j: + 1 = (x^ - 5 a: + i) (or* + 6 or + i) + 29 x^. 

De méme pour le module 41 les facteurs modulaires irréductibles du poly- 

x"^ — I 
nóme correspondent aux racines dont les indices sont multiples de 6; 

vC "^ \ 

on prendra donc dans la table relative au module 4i les Yaleurs de » qui 
T^pondent k ces indices, savoir -2, 7 et 15, et Von aura 

o:^ + .r^ + x^ 4- x^ + j:* 4- <ar + 1 = (x' + 4 jc -♦• i) 

(x' *- 14 x-m) (x'4- li x-^i) (mod 41), 



— 52 — 
cornine oq peut le vérifier au rooyea de l' identità 

{x^ f HX-^ì) + 41 x^ (4 or* + 15 or + 4) 

Une tiléorìe des racines complexes de la congruence x^"^ ^ sì (mod p) 
a éte donnée par Lebesgue dans ses recherclies sur les nombres, § IV n*^ I 
(Journal de M. Lìouville, t. IV, p. 9 a 16). Elle repose comme la notre sur 
le theorème lY ; mais ce dernier th^orème s'y trouve de'duit ^de formules 
compliquees, établìes prece'demment^ au lieu d'étre d^montré directement par 
une me'lhode qui apprenne a trouver les soIutions de la congruence proposee. 

8. Outre ces theorèmes^ qui appartiennent a la tfaeorie des nombres, nous 
emploìeions les theorèroes suivants, qui dépendeut en partie des proprìétés 
des poiinomes. Ces théorèmes se trouvent en substance dans divers Memoires 
de Cauchy publi^s dans les Comptes-renduSf en 1847. 

Théoréme vi. 

Soient F (x) « A X" ^ A, x"-* + ...••- A„ , <p(x) « B x" + B, x""" -^ ... -r B. deux 
poljnómes à coefficients entiers, doni le second ria pas de racine multiple. 
Si Véquation F (x) « o est uerifiee par toutes les racines de féquation (f{x) 
'^o et quon desidie par r une racine de la congruence f (x) = o {ptod p), 
dont le module p est une nombre premier relativement à B, on aura 

F (r)so (mod />). 

Démonstration. Puisque le polynóme F {x) admet toutes les racines du 
polyndme f (x)^ il est divisible par ce polynóme^ et le quotient, calcuM par la 
méthode elementaire , a pour coefficients des nombres rationnels dont les 
denominateurs sont des puissances de B. On peut donc trouver une puis- 
sance B^ de B, telle que le quotient B^ F (x): f (x) n'ait que des coefficients 
entiers. Désignant par T (x) ce quotient, 

BkF(a:)-T(a:). <f (x). 

En rempla^ant x par r dans celte identite on obtient la congruence B^ F 
(r) = (mod p) j car F (r), f (r), T (r) sont des nombres entiers, dont le se- 
cond (f (r) est, par hypoth^e, multiple de p. D'ailleurs B et p sont supposés 
premiers entre eux ; le diviseur p est donc premier avec le facteur B^ et, 
par conséquent, il divise le second facteur F (r). Quand B « i le module p 
peut étre un nombre premier ou compose' quelconque. 



— 53 — 

lìemargues. i? Lorsque le calcul qui conduit k l*equation F (or) » o suppose 
simplement que a? est une racine quelconque de Tequatioa <f (x) « o» il est 
évìdent qu'en répétaot les mémes calculs , après avoir remplacé a: par x\ 
on arriverà a un resultai dont la seule difierence avec le premier consisterà 
dans la substitution de x' k x ; on aura donc F (x) <=> o ; toutes le racines 
x^ x' ... du polynóme f (x) seront aussi des racines du polynóme F [x). 

2? Quand le polynóme f {x) est irreductible , il suffit que le polynóme 
F {a;) ait une racine commune avec 9 {x) pour qu' il soit dìvisible par lui. 
Dans ce cas notre th^orème peut sVnoncer de la manière suivante. 

Théoréhe vii. 

Soient F (x) et 9 (x) deux poljnómes à coefflcients entiers dont le se- 
condy (f (x), est en outre irreductible. Si ces deux poljrnómes ont une 
racine commune et quon désigne par r une racine de la congruence 
f (r) = (mod k), on aura F (r) = (mod k), pours^u que te coefflcient de 
la plus haute puissance de x dans f (i) soit premier as^ec le module. 
Cette condition est toujours remplie quand le premier coefflcient de 9 (x) 
est l'unite. 

9'. Nous aurons encore recours dans nos démonstrations à quelques thdo- 
rèmes démontr& par Cauchy dans les notes I et V de son Mémoire sur la 
théorie de nombres (M^m. de TAc. t. XVII). Lebesgue a exposé ces d^mons- 
trations avec beaucoup de ciarle dans le Journal de M. Liouville (I8549 p. 
289) G'est pourquoì nous nous bornerons k un simple énonce'. 

Designons par p un nombre premier fi cr 4- 1 

par 6 une racine primitive de l'e'quation or'' = 1 , 
par p une racine primitive de Fe'quation x** •= i, 
par t une racine primitive de la congruence ar''"'' = 1 (mod p) ; 

posons de plus ©a « 2 A^'** ^^'^ (' « 0, i, 2, ... ^ - 2), 

Les princjpales propridt^s de ces fonctions sont exprimées par les tbeorèmes 
suìvants : 

Théoréhe Vili. 
•Si' Vexposant h n est pas dìvisible par n, on aura 

I e* e_A - (-1)*" . p. 



— 54 ~ 
Théorème IX. 

Si aucun des trois nombres h, k, li 4. k nest dmsible par n, le quotient 
Rh > k *» ©h ©k 2 6h +k ^^^ "'^ fonction entière de p déter mirtee par la formule 

II Rh , k - S P'^"'*- (p»"-*-')-'"' ^•""'\ (s « 1, «, ... p -8), 

dans laquzlle nous exprimons par ind. x le plus petit exposant positif 
\ qui uérifle la congruence t^ = x {mod p). 

THÉOttMfi X. 

La fonction de p définie par la formule (II) sous la condition qu aucun 
des trois nombres li, k, h - k ne soit divisible par n, vérife toujours 
téquatìon 

(IH) Rh,k R-h,-k-p- 

Daus la cas particulìei* où A ^s 1 et A:»fi - 2 la formule (II) devìent 

(IV) R,. „., « S r'' <"^«» - fio + ^. p -^ ^a p' -^ .. + ^»-^ì p-' ; 

la sommatìon sVtend aux valeurs ^ « i, 2, ... p -2, en sorte que le coeffi- 
cient «I de p' est ^al au norobre des termes de la suite 

!. 2, 2. 3, 3. 4, ... 5 {5 + l), .. (^9 - 2) {p - l), 

dont les indices relalivement au module p et a la base t soni de la forme 



n X -^ i. 



10. Diverses classifications des residus d^un module premier p. 

On appelle système compiei de residus pour un module k les k restes 
0, I9 2, ... k" i que Fon obtient ea divisant les nombres entiers par ce mo- 
dule, ou encore k nombres quelconques respectivement congrus a ces restes 
suivant le méme module. Lorsque le module k est un nombre premier p^ 
au lieu des ^-i re'sidus non divisibles par p^ on peut prendre p-i puis- 
sances successives d'une racine primitive t du nombre p. Nous laisserons de 
tòte le r^sidu zéro^ auquel sont congrus tous les multiples du module^ et 
nous considérerons la suite 

(A) i,t,t^,t^, ...t^-^j 

comme formant un sjstème complet de residus pour le module p. Soit n 
un diviseur quelconque du nombre ^ - i et posons ^ « ficr + i ; on peut di- 
stribuer les residus (A) de y? en n classes renfermant cliacune u residus. 
La classification adoptée par Gauss pour le cas où n « 4, et par Jacobi pour 



— 55 — 

la valeur 3 de it, consiste a ranger dans une méme classe tontes les pnìs- 
sances de la radne primitÌTe t dont les exposants , divisés par n, donuent 
le méme reste. On peut faire ainsi autant de classifications différentes pour 
les résidus dW module premier p qn' il y a de diriseurs du nombre p - i; 
nous les distinguerons entre elles par le nombre n des classes dont elles se 
composent. Nous appellerons classificatìon du secood ordre le partage des 
résìdus de p en deux classes dont V une renferme toutes les puissances 
paires de tj les ^ésidus quadratiques, et Tautre, les puissances impaires, les 
non-^résìdiis quadratiques de p. Genéralement nous appellerons classificalion 

d*ordre n»*"** le partage des residus en n classes composées chacune de - — • 

n 

termes. La classifica tion du second ordre est la seule qui soit applicable k 

tous les nombres premìers impairs; celle du 3.°'*' ordre n'est possible qu'autant 

que le module p est de la forme 3 w + i» celle du 4."' ordre ne Test que pour 

les modules premiers Ars + i^ etc. 

Dans la classification du qnatrìème ordre Gauss attrìbue les caractères 

O9 I, 2 et 3 aux quatre classes dans lesquelles il groupe les residus d' un 

nombre premier )9 • 4 cr -1- 1 , et il nomme caractère biquadratique d'un 

nombre m non divisible par p le caractère O9 1, a ou 3 de la classe a la« 

quelle appartieat la puissance de t congnie a m suivant le module p. Dans 

cette classification est le caractère biquadratique des residus biquadratiques,. 

2 est le caractère des residus quadratiques qui ne sont pas en méme temps 

residus biquadratiques. De plus, dans son M^moire posthume sur les con* 

gruenìces à modules complexes (Werke» li» p. 367) Gauss emploie la notation 

suivante C^^ 'W'^ ^ P^^^ esprimer que le caractère biquadratique du nom- 
bre m, relatiyemeut au module premier M, est /. Nous g^néraliserons les 
notations et la terminologie de T illustre geometre. 

Dans la classification du ft^^*"* ordre nous attribuerons les caractères 0, i, 2, ... 
n — i, respectivementy aux n classes en lesquelles nous partageons les resi- 
dus d'un nombre premier p =^nu -*- ìf et nous appellerons caractère d*ordre 
n^ d'un nombre m non divisible par p le caractère de la classe à laquelle 
appartient la puissance de t congrue a m suivant le module p. Le caractère ^ 
est celui des residus de n'^««* puissances, les caractères i, 2, ... n-i, 
correspondent aux non residus de h'^"**'* puissances. La classe est indé- 
pendante de la base t; mais les autres classes se permutent entre elles, 



— 56 — 

lorsque Toa prend pour nou velie base une racioe primitive de.^ dont le 

caractère d'ordre 72'^"^ relativement a la base t est difGt^rent de 1. Nous ex- 

ììi 
primerons par Tequatioa C^ — «= i que i est le caractère d*ordre n'*"' de 

r 

m relativement au module premier p ; ainsi C4 — « o exprime que le ca- 

r 

ractère biquadratique de m relativement à p est O9 c^est-4--<lire que m est 
résidu biquadratique de p. Quand le caractère i est diBférent de o il faut 
supposer connue la base t de la classification ; autrement la connaissance 
du caractère de m apprendrait seulement que ce uombre n'est pas résidu 
de n*^"*' puissance. 

Nous poserons f^ =g (mod p ), et les n classes de /i""** ordre seront 




1 
2 



fi-i 



r— I 



*t8tg'y8*y • '8°' 

t' e*\ e''' é*** o.<6F-i)'» 



«"-S s^'-S g" «"-", ^ ^'^"S g^^-'^t^-'. 



Nous verrons que ppur^ chaque valeur de fi^ il existe une fonetica 
^ (p) qui, coDsistant en un monóme rationnel forme' des facteurs complexes 
de p définis par la formule II (9)9 donne lieu k une loi de reciprocite ana- 
logue, tant a celle que Jacobi a découverte pour les résidus cubiques^ 
qu*a celles que nous avous fait connaitre pour les classificatioos du s"** or- 
dre et du 7'^*"^. Nous distinguerons entre elles ces diverses lois de recipro- 
cità par Tordre de la classìGcation qui correspond a chacune d*elles : la loi 
de reciprocità de Jacobi sera pour nous la loi de reciprocite du troisième 
ordre; celle du ciuquième ordre sera la loi de reciprocite relative aux r^sidus 
de cinquièmes puissances, et ainsi de suite, 

§. //. Résidus quadratiques . 

il. Faisons ^«2, A=i, dans le tlieor^me Vili (9); nous aurons 



Posons pour abr^ger 0, =» A ; la valeur de A est, au signe près, y (-1) ^ p'. 



— 57 — 

soQ signe est tantót + tantót - suivant celle des racines primitives de IVqua- 
tiou a^ ^ ì que Fon designe par 9. Dans tous les cas on aura 

(1) A' = (-i)'^V- 

soit q un autre nombre premier et formons la q^ puissances de la somme 
alternee A; le resultai peut se mettre sous la forme 

(2) A^ = (d^-0^' + e9"^. . .-0^""*) + ^. F(é>), 

où F (0) designe une fonction eotière de B dont tous le coefficients sotit entiers. 
Désignons par i Tindice du nombre q relativement au module ^ et k la 
base tj en sorte qu*on ait t^ = q (mod)9); nous pouvont ferire 

or le dernier polynóme est egal a A ou a - A suivant que Tindice i est 
pair ou impair^ c'est-a-dire suivant que Ton al — l«=»ioui~i«-i; 

et l'équation (2) multipliée par A p^ut se mettre sous la forme suivante : 



(3) A'[A'--(i)] = ^.F(fi).A. 



Le produit F (B). A est une fonction entière de B dont tous les coefficients 
sont des nombres entiers; en le désignant par f (9) et en remplagant A' 
par sa valeur (i) nous donnous a IVquation (3) la forme suivante: 



w 






Cette équation donne pour / (9) une valeur rationnelle ind^pendante de la 
racine 9; du reste il est eVident que si, rempla^ant B par une autre ra- 

cine d' de Tequation ao, on rép^tait les calculs qui nous ent donne 

IVquation (4), on retrouverait cette équation, avec la seule diffi^rence que B 
serait remplacé par ^'. On a donc / {B') = f (b), et Fon d^duit du théorème 

II (2) que / (B) est un nombre entier. Le premier membre de Tequation (4) 

ci 
est donc multiple de q; comme q est premier avec le facteur (-1) ^ p^ 

il divise l'autre facteur et l'on a 

8 



car 



— 58 — 

la coDgruence p * =i — l (mod q) definii le symbole I ^ j On a donc 

Getto dernière dquation exprlme la loi de reciprocità de Legendre; on peut 
IVnoncer de la manière suivante : 

« Sì ton designo par p c^ q deux nombres premier impairs^ le noni' 

bre q est résidu quadratique ou non résidu quadratique de p , suivant 

tri 
que le produit (~i) ' p est lui-méme résidu quadratique ou non résidu 

quadratique de q. » 

Nous voyons déja ici que la re'ciprocit^ proprement dite n*a pas lieu entre 
les deux nombres premiers p et q ^ mais entre l'un des deux nombres et 
une fonction de Tautre. Cette fonction est ici très-^imple* Nous la verrons 
se compliquer de plus en plus a mesure que Tordre de la loi de recipro- 
cità deviendra plus ^leve'. 

§• ///. Résidus cubiques. 

12. CoDservant toujours les notations du n? o faisoos n^ss, h^ì. Les 
formules I et II nous donneront les equations suirantes : 

(1) e, e^ = e, e_. - p 

(2) ej-R...e,e,-/E>R,„ 

(S = 1, 2j 3, . . . ^ ^ 2). 

Si Ton désigne par a^ le nombre des termes de la suite 

I 1.2,2.3,3.4, . . . S (S + l), . . . (^ - 2) (^ - i), 

dont les indices relativement a la base t sont multiples de 3, par a,, ou 
par a^ le nombre de ceux dont les indices sont de la forme zx -f- 1 ou 3x^2^ 
on a 



— 59 — 

W Ri. 1 «V * a, p + a, p' « K - a,) + (a, - a,) p 

R,. I Ra . a = A^ « K - «a)* ^ K - «a) (^i - «a) + (^i - «a)* 
(5) Ap = (2ao - «X - «a)* + 3(^1 - «a)*- 

Soit q un nombre premier dìfferent de y? et de 3 ; désignons par i son ìn- 
dice relativement au module p et a la base tf en sorte que l' on ait £' = 
q (mod p)} et formons la puissauce y* de 0, Nous ddcomposerons le de'- 
yeloppement de cette puissance en deux parties, dont 1* une renfermera les 
puissances ^^^°>«* des termes de 6i et Tautre sera une fonction enti^re de 
B et de p dont tous les coefficients seront des nombres entiers multiples 
de ^; on aura de cette manière 

(a) e,^ = ^ + p^ e^' + p^^ e^^^ + . . . + p^''-^^^ ^«'^ -^q^i^, p). 

13. Supposons d*abord ^ = 2 et remplajons 0^ par 0^' dans le second membre 
de l'equation (6), qui deviendra 

car fl«' ^ p' ei'-^' H- p^ e^+« . . . = p--^' (p^^ ««' + p"'-^ e<'^» -«. p'<'+"> d<'+» ^) = p~*' 03 
L^equation obtenue peut aussi se mettre sous la forme suivante: 

où / (^9 p) désigne une fonction entière de et de p dont tous les coeffi- 
cients sont entiers, a savoìr le produit F (0^ p). 0, ; il sufiìt pour eflfectuer 
cette transformation de multiplier par 0, , et de remplacer 0,' , 0^ 0, par 
leurs valeurs p Ri , , et p. Gomme desìgne Tune quelconque des racines 
primitiyes de Téquation j:'' « i, il est évident qu'en répétant avec une autre 
racine primite ^ de la méme equatioti les calcuis qui ont conduit a la for- 
mule (À)^ on obtiendrait un resultat qui ne différerait de r^quation(A) que 
par la substitulion de ^k9, On a àonc f (€>\ p)^f('^i p)i et, comme les coef- 
ficients de / (^, p) sont de^nombres entiers, nous déduisons du théorème au- 
xiliaise 1 (2) que cette fonction se reduit a une fonction entière de p dont 
tous les coefilcients sont des nombres entiers, en sorte que nous pouvons poser 

(B) P [ K - «a) + (a, - a.) p - p'" ] = 2 A -f 2 B p, 

en désignant par A et B deux nombres entiers. Quel que soit T indice / de 
2j on reduira le premier membre de cette equation au premier degré par 
rapport a/?, au moyen des relations p^ «=» i, p* ea- i - p; T equation (B) sera 



— eo — 

identique pai* rapport a p, qui est raciae de Tequatioa irreductible du se- 
cond degré x^ + x + i«o, et Fon aura 

1? Si / « 3 /, flo - ^a - * s 0, a, -«a =0 (mod 2), 
2? Si / = a/ + i, /Xo~fla = <>> a, - «a "■ 4 =<> (™od 2). 
3? Si / = 3 / -h 2, «o - ^2 •*" * s <>j «i - «a -♦• 1 so (mod 2). 

«D'ailleurs on de'duit de Tequatioa ao -^ a^ -^ a^ ^ p-2 que les trois coeffi- 
cients Uqj a^j a^ sont, ou tous impairs, ou biea Tun impair et les deux 
autres pairs. La première alternative doit étre exclue, par ce qu^elle rea- 
drait impossibles les cocigruences 

^o - «a =*= i = ^» ^i - ^a ^ 1 = <> (n^d. 2), 
dont Tune, au moins, doit étre verifiee dans chaque cas. Ainsi des trois 
coefficients a^^ a^y a^ deux soat pairs et un seul est impair; 

Si Ì-2I, c*est — a-dire si 2 est résidu cubique de p, la congrueuceai 
-a^^o (modi) montre que a, et a, sont les deux coefficients pairs; Aq est 
donc le coefficient impair; 

Si / = 3 / + 1 9 la congruence a^ - a, = o (mod 2) nous apprend que a^ et 
^a sont pairs et qu'ainsi a, est le coefficient impair; 

Si i^3/-i- 2 la congruence ao-a^ =0 (mod 2)^ que l'on ddduit par sous- 
tration des deux congruences correspondantes a ce cas, montre que a^ est 
est le coefficient impair. Donc 

Théorèhe L 

«Si Fon désigne por e Vindice o, 1 ou 2 de celai des trois coefficients 
^0 9 3| » ^2 de /J|,, qui est impair j et par i Vindice du iiombre 2 par 
rapport au modale 1^ et à la base t, on aura. 

I =e (worf 3). 

Motre theorème exprime en particulier que le nombre 2 est résidu cubique 
on non résidu cubique de p suìvant que le nombre des résidus cubiques 
de p renfermés dans la suite 1, obtenue en doublaut les p-^i premiers nom- 
bres triangulaires, est impair ou pair. Nous verrons plus loin que le méme 
tbéorème donne aussi le criterium de Jacobi. 

14. Soit q un nombre premier de la forme 3 p -»- 1. On a, en désignant 
par i l'indice du nombre q relativement au module p et a la base t, 

p-/ = p , e^ = Qi' 






— 61 — 
et requation (e) devient 

(c) e,[e.V-p*']-9F(e.p)- 

D^ailieurs en elevant a la puissance p'"" les deux membres de réquatiOQ (i) 
on Irouve 

en substituant cette valeur dans l'^quatioa (e) et multiplìant par ^^i on 
obtient 

(D) P- [p^ K,'^ - P"J - y. e. F (e, p). 

Gomme dans cette equation p designe Tune quelconque des deox racines 
primitives de Tequation j:*-ì, nons pouvons y remplacer p par p% ce qui 
change O^ en Q^ et R^ , , en R^ ^ ,. On a donc aussi 

(E)p [;>^R,,f^-p']»^.e.F(^p-). 

EnGn si Ton retranclie de T equation (D) T equation (E) multipliée par p', on 
ti-ouve 

(F) ^' + *[R''.,,-p'R'',,,]-9r[e,F{9,p)-p'e, F(e,p»)]-^./(9,p). 

Dans cette equation B désigne i* une quelconque des racines primitives de 
requation x^ « l, en sorte qu*elle ne cesse pas d'étre v<^ri(iéé lorsq* on y rem- 
piace par une autre racine primitive ^. On a donc /(fi', p) "/(^9 p)> qnelles 
que soient les racines primitives de Tequation x'' « i, designées ici par 9 et 
^. D*ailleurs / (9, p) désigne une fonction entière de 6 et de p dont tous 
les coefiicients sont des nombres entiers. Les conditions du théorème auxi- 
liaire I sont donc remplies et nous en de'duisons que 

/(é>,p)«A + Bp, 

A et B designaut deux nombres entiers. Ces deUx nombres sont multiples 
de p^^ "^ S car en eifectuant les calculs ìndiquds dans le premier membre 
de r equation (F) et réduisant les puissances de p au moyen des relations 
p3 « 1 p* « - i - p, on pourra mettre cette equation sous la forme 

;>^' + '[P*Qp] = y[A + Bp), 

P et Q désignant deux nombres entiers. Cette equation nVtant que du pre- 
mier degre en p doit étre identique, en sorte que fon a 

p'f'-^'Q^q A, p^'-^"^B; 



— 62 ~ 

et comme p est premier avec q on conclut de ces formules que A et B 
sont divisibles par p'f'^^. Posant dònc 

A = pf'-^' M, B = p^'-^' N, 
on mettra iVquation (F) sous la forme 



TV' 



(7) 9(p) ^p'XpT -^(M^Np)«o 

Désignons par ^ (x) ce que devieat cette equatioa quand oa y remplace p 
par Xi ¥ {x) sera un polynóme entier a coefficients entiers. Comme Tequation 
F (x)^o est vérifiBe, eu vertu de la formule (7)^ par une racine p de 
r équation irrcductible .r' -«- ^ •«- 1 » O9 nous déduisons du théorème VII (s) 
que si Fon deslgne par r une racine de la congruence a^ -^ x -^ 1=0 (mod q)y 
on aura F (r) = (mod' q) ; douc 

(8) ^ (r) ^' - r' ff (r*) ^ S (mod y). 
D'ailieurs en appliquant le méme tWorème a T^quation 

?(p)t(p*)--/^«o 

on en de'duit la congruence f (r)f (r^) - /9= o (mod ^)| d*où Ton conclut 
qu*aucun des deux oombres f (r), n'est diyisible par q^ en sort que, dési- 
gnant par t^ la base d'un système d^'ndices pour le module q^ on pourra 
trouver un indice / tei que Ton ait 

?(^) = t/?(r')(mod^). 

Lea deux racines de la congruence x* + a: + 1 S (mod q) sont t^**^ et ^/^'; 
nous prendrons r^^,^' (mod q)y et la formule (a) divisee par f (r^) de- 
viendra 

tj'ì' « f jW' ^ o, ^/>-'>9' = 1 (mod q). 

L'exposant (j-i) q^ doit donc étre un multiple de zq\ en sorte qu'on a 

(9). y = / (mod, 3). 

On voit par cette congruence que les indices y et i sont en méme temps 
multiples de 3 ou non multiples de 3; en d'autres termcs: 

Tbéoréhe II. 

<c ÙR nombre q est résidu cubique ou non résidu cubique de p, suis>ant 

(p (ri 
que le rapport - — 5- est lui^méme résidu cubique ou non résidu cubi- 

y(r) ' 

que de ^ )>. 



— 63 ~ 
Plus géae'ralemeat 

Théoréme III. 

tf La classe da nombre q, relativement aa modale 'p et à la base t est 
la méme que celle da rapport f (r) : f (r^) relativement au modale ({ et à 
la base tj ». 

15. Ces thdorèmes d^leiminent les caractères cubiques d'uà nombre pre- 
mier 3 ^' -t- i B^, relativement aux nombres premiers ^«30^. i, au moyea 
de congruences lin^aires vérifiqes, suivant le module q , par les coefficients 
^o » ^1 9 ^3 ^^ facteurs complexes Rj/, de 'ces nombres p. Soit ^»7; 
les r^sidus cubiques du nombre 7 sont 4- t et ^ 1 ; pour que 7 soit r^sldu 
cubique d*un nombre premier p dont a^-^ a^ p-*- a-^ p^ est le facteur com- 

plexe di^signé par Ri ^ , il faut et il saffit que le rapport*-^ ?soit 

aQ^H a^"^ 2 a^ 

congru a 4- i ou a - i, suivant le module 7 > ce qui exige la ve'rification de 
Tune des deux congruences a^ = a^^ ou 2 ^o =^1 h; a^ (mod 7). Le caractère 
cubique du nombre 7 relativement a tous les nombres premiers 3 «r + 1 dont 
les facteurs complexes R, 1 1 «ao -f- ^i p *«* ^a p' verifient Tune des congruences 
a^^a^y lao^a^^a^ {mod n), est o. 

Nous nous contenterons de cet exemple, par ce qu'il est plus simple de 
d^terminer les caractères cubiques des nombres premiers relativement a un 
module premier p^zm^ i par des congruences entre le deux nombres L et M 
qui verifient iVquatìon 

hp «=L* + 27M^ 

16. Afin d*exprimer le rapport 7 (r) : f (r*) au moyen des nombres L et M» 
nous désignerons par |3 la somme 2 r •«- i s 2 ^i^' -«- 1 (mod q) 9 en sorte que 
p sera Tune des deux racines de la congruence ^' + 3c0(mod ^). On aura 

donc r « , r* = (mod q) ; en substituant ces valeurs dans le 

2 2 ^ ^ 

rapport f (r) : f (r^) , que nous désignons par K^ nous trouvons 

(2a^ + a, -a,)-|3(a, -aj ^ t 

D'un autre coté Téquation a p^ìJ^ ^%iW n^admet qu'une seule solution 
en nombres entiers et positifs, et nous avons de'montré dans une note pré- 
sentée a TÀcadémie des sciences {Comptes-rendasy t. 79^ p. 1403) que si Ton 



— 64 — 

d^signe par L celle des deux racines du carrd L^ qui, divisée par 3^ donne 
i pour reste, on a 

notrie rapport K devient donc 

, . -, L + 3 13 M . , ^ 
^''^ ^ ^ L-TTP ^-"^^ ^)- 

Le signe de la diff^rence a^ -a, depead du choix de la base t, adoptée 
pour le calcul du facteur complexe Ri 9 , de ^9 ; si fon prend pour nou- 
velle base une racine primitive de p^ dont le caractère cubique soit 2 re- 
lativement a t , les classes i et 2 s*ecliangent entre elles , ainsi que les 
deux coefBcients a^ , E , en sorte que a, -£7a et M changent de signe. Les 
deux nombres ao et e sont independants du choix de la base t. Quand la 
base t est connue j on peut determiner le signe de M au moyen de la 
congruence 

a^ + «,<«' + a, t^^ S (mod p), 

qui se déduit du th^orème développ^ par Cauchy dans la note V de son 
Mémoire sur la theorie des nombres (Mem. de l*Ac. des Sciences, t. XVIJ, 

p. 455). En combinant cette congruence avec ccUe-ci f*^ + ^'^ + 1 = Q (mod p) 
on lui donne la forme suivante : 

{2 flo - «I - «a) + (2 f®^ + ì) (a, - fio) S (™od p). 

Le signe du nombre M est donc déterminé par la congruence 

(n) L 4. {2 f*» + i) 3 M = (mod p). 

Les théorèmes du n^ u pourront donc étre remplac^s par ies suivants , 
d&s k Jacobi : 

Théorème IV. 

« Le nombre premier q sera résidu ou non résidu cubique de p, sui' 

L + 3 M 
{fant que le rapport jr-jr= sera lui-méme résidu oà non résidu cubique 

ife q ». 

Théorème' V. 

« Le nombre q appartiendra à la classe i ou 2 relativement au mo- 



— 65 — 
àule jf et à la base t , suivant que le rapport z jz^ sera lui-méme 

de la classe i ou 2 relativement au modale q et à la base t^ ». 

17. On déduit aisemeat de ces thèorèmes les critdriums donn^s par Jacob! 
pour decider k quelle classe de r^sidus appartieni uq nombre premier q 

donn^ relativement a un nombre premier p = . 

Soit donne ^ - 7. Prenant t, » 3 nous partageons les six résidus du nom- 
bre 7 en 3 groupes i^ 6 ; 3 , 4 ; 2 ^ 5» dont les caract^res cubiques sont re- 
spectivement 0, ì et 2. D'ailleurs |3=i +2. 3* = -2, 3Psi {mod 7). Le rap- 
port K est donc ^quivalent au rapport •= rr • Le nombre 7 sera r^sìdu cu- 

bique de pj si ce rapport est r^sjdu cubique de T, c*est-k-dire s' il est 
congru a 4- i ou k - 1, suiyant le module 7 ; or les congruences 

rT = + l OU =-i (mod. 70 

L - M ^ ' 

donnent respectivement M = (mod. 7)9 et L ^ (mod. 7). Donc les nombres 
premiers 3^ + 1 dont 7 est residu cubique sont tous les nombres premiers 
compris dans les deux formules quadratiqués 

X* + 27. 49 r* 49 X^ + 27 T* 

p^ ^,p^ ^; 

^ 4 '^ 4 

de méme que les nombres premiers dont 7 est résidu quadratique sont les 
nombres premiers compris dans les formes linéaires 28 or -h (i, 3, 9, 19, 25, 27). 
Les critériums qui expriment que le nombre 7 est de la classe i relative- 
ment au nombre premier s^obtiendront de méme en égalant la va- 

f mi 
leur de Texpression rj {mod. q.) a Tua des nombres 3 ou 4 dont se 

compose la classe i pour le module 7 ; on obtient ainsi les critériums 
L = 2 M et L = 4 M (mod 7). En changeant le signe de M on obtient les cri- 
tériums qui caractérisent la classe 2^ savoir L^sM, L = 3M (mod 7.) 

Ainsi le nombre 7 relativement au module premier p = appar- 
tieni k la classe 



— 66 — 

Si M ^ oa L = (mod ?) 

1 L =2 M^ 4 M, 
n \ L^sM , 3 M. 

Pour compléter les crilérìons des classes t et 2 il faat ajauter que la base t 
du système d' indices relativement au module p doit verìfier la congruence 

(li) L+(i-^a^«')3M30 (mod p). 

18. Nous ayons trouvé 6 critériums cubiques , pour le nombre 7, éga- 
lement partag^s entre les trois classes o, i et 2. Il en est de méme pour 
tout nombre premier g de la forme 3 ^' -«- i^ le nombre des critériums, cubi- 
ques est toujours ^ - 1 et ces crit^rìums sont toujours également partages 
eotre les classes o, i et 2, ^n sorte que le nombre des critériums distiucts est 

toujours " ' pour chaque classe. 

En effet, les racines de la congruence x^""' = i (mod. q) sont au nombre 
de q " i j et a deux racines differentes correspondent toujours deux 
crìtériums non équivalents. D'abord aux deux racines -«- 1 et - 1 corres- 
pondent les crìt^riums M ^ o, L s o (mod q) ; et ce sont les seules racines 
qui puissent donner ces critériums» piiisqu*»i supposant M ^ o dans le rap- 

port K = -j— — rrrr on trouve K = 1 (mod q) et en supposant L = 0, on trouve 

K 5 - I (mod q). Pour les autres racines, comme aucun des deux lìombres 
L ou M n*est multiple de q^ on pourra poser 

— S2(mod^).etKs-j^(mod q} > 

d'où (W) « 3 - P. — "Y (mod q) . 

Les seules valeurs de K qtiì détermìneot povr z une valeur infinie on une 
valeur nulle sont KeietR--!. En égalant K aux autres racines de la 
congruence x^-' » i (mod q) on obtient pour z des raleurs congrues a des 
racines de la méme congruence ; de plus les valeurs de z^ qui correpondent 
a des valeurs non congrues entre elles de K^ sont elles mémes non congrues 
entre elles, car si deux racines distinctes a et a substituées k K dans la 
formule (12) déterminaient pour z deux valeurs equivalentes suivant le mo- 
dule qy ou aurait 



67 



I + « i + o' 



r (mod q) 



1- a 1 -« 

oa 2 {a - a) S 0' (mod q); 

Les deux racines a et a' seraient donc équivalentes, conlrairemeDt k rhypo- 
pothèse. Donc les ^ -* i racines de la coogruence x^^^ s i (mod if) détermi- 
nent ^ - 1 crit^riums dislincts, doni chacun consiste en une congruence li- 

néaire de la forme ah -^b M = o (mod q)} les «-^ rósidus cubiqnes de q 

dont les indices relativement a la base t^ sont de la forme 3 .r + 1 donnent 

•^ critérìums cubiques de la classe i, el les autres, crìtérìumsde 

3 ^ 3 

la classe 2. 

Désignons par m la valeur de Texpressìou - 3 P (mod q)j et suppo- 

1 — ce 

sons que la racine a soit de la classe i relativement au nombre ^ et a la 
base tj } le critèrium h^mMj apprendra que le nombre q appartient a 

L* + 27 M* 
la classe i relativement au module premier p « et a Tune quel- 

que des racines prlmitìves t de p^ qui verifient la formule (il). 

Gomme le nombre des valeurs de m, différentes de o et de oo , est ^ - 3, 
et que toutes ces valeurs sont renfermès dans la suite. 

tous les termes de cette suite, a l'exclusion de deux, sont de£^ valeurs de m, 
et correspondent a des critérìums cubiques de q. Il est facile de determiner 
k priori quels sont les deux termes exclus : ce sont les racines de la congruence 

x^ -f- 27 = (mod q) j 
car si l'on avait simultanément 

L = m M et m* s - 27 (mod q) , 

on en conclurait 

L' = m*ftPs-27M\ L* + 27 M» «4)0=0 (mod y) 
ce qui est évidcmeni impossible. 

19. Gomme les critériums de la classe o sont indépendants du signe de M, 
dàns leur ensemble, il est necessaire qu' ìls soient dèterminés par des va- 
leurs de m Xìées entre elles deux k deux par la relation m' ^ q - ffi. Au 
contraire les criteriums des classes i et 2 passent d*une classe k Tautre par 



— 68 — 

le chaDgement du signe da M. Àinsi quand on coQDait les critériunis de la 
classe 1, on en déduit ceux de la classe 2 au moyen de la relation m! ^ q -- m. 
On démontre aisément ces proprìétés des critériums cubiques au moyen 
de la formule qui sert au calcul de m 

i 4- a 
I» S -3 ^ (mod q) . 

Si deux racìnes a el a donnent respectivement m et m' » ^ - m, on a 

ì •¥ a 1 + a' 
3^- S-3P- r» (mod q) 

1 4- a I 4- a 
3 r » a a' = i (mod flr) . 

si donc a, est de la classe z, a' est de la classe 2 / (mod 3). Le crite- 
rium L ^ m M sera de la classe / et le criterium L = m M (mod q)^ de la classe 
2 i (mod 3). Dans le cas où £ » o les deux classes i et 2 / sont identiques ; 
les deux et itériums L = mM et L=m'M appartiennent en méme temps a 
la classe o. Mais quand le nombre i est ^gal k i ou a 2, les deux critériums 
appartiennent T un a la classe i et Tautre a la classe 2. 

On peut aussi abreger le calcul des crìtérìums cubiques d'un nombre q 
en remarquant que les critériums d*une méme classe peuvent se distribuer 
deux à deux en diff<^rents groupes tels que les deux crite'rlums d^un méme 
groupe, L = m M, L = m' M (mod q)^ vérifient la congrUence 

m m' -4- 27 ^ (mod q) ; 

les valeurs m et m' , qui correspondent a chacun de ces groupes, sont dé^ 
terminées par des racines a et q - ol j lesquelles appartiennent à une méme 
classe. 

20. Soit q «= 13 et prenons f , « 2, ce qui donne ^ s i 4-2. 2* s 7, 3 /3 = - 5. 
Les valeurs de m seront determinées par la formule 

i + a a -*• i , , , 

m = 5 =8 (mod i3)- 

1 - a a- i ' 

Les re'sidus cubiques du nombre i3 sont 1, 5, 8, 12 ; aux deux racines t et t2 
correspondent les critériums M = 0» Lsù (mod 13) ; si l'on prend a « 5, la 
formule précédente donne m » 12. Les critériums cubiques de la classe 
sont donc 

0» LsO, Mso, LsM, 12 M (mod 13). 



— eg- 
li résulte de la que les nombres premiers p dont i3 est résidu cubique sont 
les nombres premiers compris dans les formules quadratiques. 

X^ -^ 27. 169 r* 169 X^ + 27 r* 

(l3X±^)'-»-27^' 

p j 

Les racines de la classe i, pour le modale i3 et la base 2, sont %, io, 3, li; 

a -t- 1 
en les substituant successivement a a dans la formule m = s (mod 13) 

a — 1 

on trouve les quatre crit^riums cubiques de la classe i, 

1 , L = 3 M, 4 M, 7M ou 11 M (mod 13) , 

et l*on en d^duit ceux de la classe 2 par le changement du signe de M, ce 
qui donne 

2 , L = 2 M^ 6 M, 9 M» 10 M (mod 13). 

21. Soient q » 19» ^, «- 2. On aura ^ = l -f 2. 2^ ^ - 4 (mod 19), 

ma 12 =7 (mod 19). 

1 - a a - 1 ^ 

Les résidus cubiques de 19 sont =fa 1, sb 7, sfe 8, auxqnels correspondent les cri- 
te'riums cubiques de la classe 0, 

Lso, M = o, L = =k3M, =fe9M (mod 19). 

Les nombres premiers p dont 19 est résidu cubique sont donc les nombres 
premiers renfermés dans les formules quadratiques 

x' -♦■ 27, (ì^y)^ (19 .r)* + 27 j* 

p^ ^ , p« - , 

(1 ^X^Zjf + 27^* (l 9 X + 9 y)' + 2 7 J^ 

p^ ^ ^p^ jj 



* • 



Les racines de la classe i, pour le module 19 et pour la base 2, sont ^ 2» 
^ 5, auxquelles correspondent les critériums de la classe 1 

5^1,2, 11, 13, 14, 15 (mod 19); 

les crit^riums de la classe 2 sont donc 

^ = 4,5,6,8,17^18 (mod 19). 



— 70 — 
22. Pouf ^ « 31, on prendra ^ « 3; d*où j3 a t -i- 2. 3'^ S 20 (mod 3i); 

m s 2 (mod 31). 

Un calcili tout semblable k celuì que nous yenons de faire dans les nu- 
m^ros préc^dents donnera, pour les troia classes de crit^rìums cubiques du 
nombre premier 31, les formules suivantes 




1 
2 



M 50, 55 0, 5, 6» 7^ ti, 20, 24, 25, 26 (mod 3l). 
5« 3j 8, 12, 14, 16, 18, 21, 12, 27,30. 
s = 28^ 23, 10, 17, I5> 13, IO, 0, 4, 1* 



Gomme les deux classes i et 2 s'échangent entre eOes, quand le nombre M 
change de signe, il faut se rappeler que le signe auquel se rapporte notre 
tableau est déterminé par la formule 

(il) L 4* (1 + 2 1^) 3 M S (mod p)j 

où t désigne la racine primitive de p cfaoisie comme base de classification. 
Quand au signe de L, nous avons yu qu'il est d^terminé indépendamment de 
t au moyen de la congreence L = 1 (mod 3). Les valeurs numériques des deux 
nombres L et M sont connues par la formule 

4;? = L* + 27M*. 

23. On peut établir pour les nombres premiers 3 ^' - i, relativement aux 
nombres premiers 3 cr -t- 1, des théorèmes analogues aux pr^cédents, en recou- 
rant aux racines complexes de la congruence x ^"^^ = i (mod 9), dont nous 
ayons donne plus haut (5 et 6) la théorìe. 

Comme -3 est non résidu quadra tiqe du nombre premier ^•3^'-l,Ies 
racines de la congruence x^"^^ 5 1 (mod q) peuvent se mettre sous la forme 
a -4- 6 V - 3 et sont déterminés par la congruence 

a*H- 3 6* s 1 (mod q). 

soit r«a + e^-.3 une racine primitiye de la congruence jcr^**" * s 1 (mod q). 
Nous la prendrons comme base d*un systìime d*indices et nous partagerons 
toutes les racines de notre cosgnience binóme en trois classes 0, 1 et 2, en 
rapportant a la classe celles dont les indices sont multiples de 3, a la 
classe 1 ou a la classile 2, celles dont les indices diyisés par 3 donnent le reste 
i ou le reste 2. 



— 71 — 
Le tbi^or^me de Jacobi, que dous allons démoatrer» est fonde sur la eoa- 

sideration du rapport a » 7=»= — • Ce rapport est racine de la con- 

L + 3 V - 3 M 

gruence afl'^^ Sì (mod q) ; si Von dcfsigne par J son indice relative- 

ment au moduie ^ et a la base r, et par i l'indice de q relativament au 

L* + 27 M* 
moduie premier />«——— et a Tune des bases t qui vérifient la formule 

(li), ces deux indices satìsfont toujours a la congruence j ^i (mod 3), en sorte 
que le nombre g est résidu cubique ou non résidu cnbique de pf suivant 
que le rapport K est lui*méme résidu cubique ou non résidu cubique de (f. 
D^abord le rapport K vérifie la congrueoce or^'^Vsi (mod q). En efifet, 

on peut mettre la puissance q^ du binói^e L 4- 3 y^-z M sous la forme. 

(L + 3 V^^M)^ = L^ ^- 3^ M^ (- 3)^ •^^ y (P + Q V^). 

Gomme - 3 est non résidu quadratique de ^^ on a (~ 3) ^ = - i (mod q)i ayant 
donc égard au tbéorème de Fermat nous déduisons de la formule précédente 

(L •». 3 /^ M)^ s L - 3 /^ M (mod q). 

De méme (L - 3 ^^^ M)^ = L -«• 3 ^^ M (mod q). 

\L - 3 V-3 M/ L4.3^--3M 



( 



L - 3 J~Zl M\*+» 



Le rapport K est donc bien racine de la congruence xf'*'^ = i (mod q)j de 
sorte qu il peut étre représenté, suivant le moduie q, par une puissance H 
de la racine primitive r. 

84. Dans la formule (g) da N^ la rempla^ons f'^, ^ par leurs valeurs p'> 
0^ oà ^' ^ ^ (mod p)i la première partie da second membre deviendra 

^^ u. p« e^+i + p4 ^i^^ + . . . - p' (p^ flt' + p*<'+«> 6<'+« -H . . .) « p' 0, , 

et nous aurons 

e,^«p*e. + 7 F (^, p), 0, ^*« - ^'p^q^, F(9, p). 

D'un autre coté la formule 0/«Rj ,,/> donne 0j^'*''«Ri,*',/>^, en sorte 
que la dernière équation devient 

(A)R./.^^'«p> + 7 0,F(^p). 
Le changement de p en ^ dans cette équation n empéche pas qu'elie soii 



— 72 — 

vétìfiée puisqtie p y désigae Tune - quelconque des raciaes cubiques imagi- 
naires de l'unita; oq obtieat par ce cbaagement 

(B) R„''.^»'-p»'/> + ^e.F(é>,p'). 

En combinant par soustration les ^quatìons (A) et (6), après avoir multiplié 
la première par pS od obtient Téquation 

(C) p"' [R,,'''. - p' R.,»'.] - 9 [e, F (fl, p») - p' e, F (», p) ] - ^ f (fl, p). 

où / (0» p) désigne une fonctioa entière de 9 et de p dont tous les coefficients 
soat entiers. De la et de ce que cette ^quation ne cesserait pas d'étre y^ 
rifiée si Ton y remplagait par tout autre racine primitive de Téquation 
x^^ìj nous d(^duisonSt en appliquant le théorème auiiliaire I, que /(9»p) 
est une fonction entière de p que nous pouvons mettre sous la forme A 4- B 
p, A et B désignant deux nombres entiers. D*ailleurs le premier membre de 
IVqaation (e) pouvant se mettre sous une forme semblable p^' (P -^ Q p)f on 
conclura de cette équation, identique alors par rapport k p, que les deux 
nombres A et B sont divisibles par p'f' ; en désignant les deux quotients par 
a et 6, nous pourrons remplacer la formule (e) par Téquation 

(13) R^,^-p'Ri/,-7(« + *P)"^- 

25. Désignons par F (x) le polynóme qu*on obtient en remplagant p par x 
dans le premier membre de la dernière ^quation. Gomme l'équation F [x) « o 
est vérifiée, en vertu de la formule (13)9 par une racine de Tequatìon irréduc- 
tibie x'4- or + 1 «0, on conclut du théorème VII (s) qu^elle se change en 
congruence qùand on y remplace x par une racine de la congruence 
x* + x 4-i =o(mod9), c'est-k-dire par r^' ou par r^\ Désignant donc Ri^i 
par f (p) on a la congruence 

? (r*^')^' = r'^' ff {v'f'f (mod q). 

D* ailleurs 9 (r'^') : 9 (r^') - (L + 3 (1 + 2 r *^') M) : (L + 3 (i + 2 r^') M); de plus 
1 + 2 r^', et 1 4- 2 r^' sont les deux racines de la congruence x' + 3 = 
(mod q)i si donc la racine primitive r a éié choisie de manière a v^rifier 
la congruence 

(«4) t •»• 2 r^' = /^ (mod ^), 
le rapport f (r^') : f (r^') est équivalent au rapport K, suivant le module q, 
et Fon a K^' 5 r'^' (mod q). En désignant par/ Tindice de K, c'est-k-dire 
Texposant entier et positif qui yérifié la congruence 



(i5) K - " ^ Zl^^ = r' (mod q), 

L + 3 V - 3M 



— 73 — 

on coDclut da resultai obteau que les deux indices y et / vériGent la con- 
gruence j q^ = i q^ (mod 3 q'), d'où Ton deduìt j = i (mod 3). Doac 

Théorème vi. 

Soit q un nombre premier 3q'-i. Le nombre prender q est résiducu- 

,. , , L* + 27M' ., L-.3V/^M ^,. 
bique du nombre premier p «» si le rapport 7= — • est lui- 

^ L + 3 V -3M 

méme résidu cuhique de q ; il est non residu cubique dans le cas contraire», 

Théorème VII. 

Le caractère cubique 0» 1 ou 2 du nombre q relatis^ement au module p et 
à fune des bases t, qui vérifient la congruence 

(il) L-4-3(i + 2fcr)MsO (mod p). 

est le méme que celui du rapport == — relatii^ment au module q 

L + 3 V -3M 

et à fune des bases r propres à vérifier la congruence. 

(14) i + 2 r^' s V^ - 3 (moàp). 

28. Soit ^ B 5. Les raciaes de la congruence x^^i (mod 5) rangées sui- 

vani lordre croissant de leurs indices, relativement k la base r « 3 (1 -t- y - 3)^ 
sont 

1, 3 (I + v/^> 2 (1 - v/^), -4,20 + v^^), 3 (ì - y/~zy, 

d*ailleurs r^' «= r* = 2 (i - ^ - 3), 1 + 2 r' 5 - 4 ^ - 3 = /-3) en sorte que, la 
base choisie r vérifiant la condition (14), le caractère cubique de 5, relative- 
ment au module p ti a la base t^ est le méme que celui du rapport K, 

relativement a 5 et k la base r •= 3 (i + ^ - 3). Les critériums propres k di- 
stinguer les nombres premiers p dont 5 est residu cubique s'obtiennent en 
egalant le rapport K aux résidus cubiques de 5, a savoir + 1 et - i. On ob- 
tient aìnsi les deux critériums de la classe o 

M=o» L = o(mod5). 

Ainsi les nombres premiers 3 n + 1 dont 5 est rcfsidu cubique sont les nombres 
premiers refermés dans les deux formulcs 

or' + 25 . 27 r* 25 X^ + 27 J* 

P ^ ^P ;; 

10 



~ 74 — 

Du reste quel qua soit le nombre ^ » 3 ^' ^ ii les deux aombres i et - 1 
appartiennent toujours a la classe o parmi les raciaes de la congnience 
x^^' = 1 (mod q) } les deux crit^riums M = o , L ^ o (mod q)j qui leur cor* 
respondent toujours, appartiennent donc aussi a la classe o. Nous avons d^jk 
trouvé ce r<^sultat pour les nombres premiers q compris dans la formule 
3 ^' -f 1. Nous pouvons donc ^noncer le tbéorème suivant : 

Un nombre premier impair quelcouque ^, autre que 3» est r^sidu cubi- 
que de tous les nombres premiers p renfermés dans les formules 

^ _ jc* + 27 q^j^ q* x^ -f viy^ 



^-*— ■— ^— i*-^^^ • 



4 4 

Pour calculer le criterium cubique qui correspond a une racine compiere 
r' = (j + t^-.3. Nous emploierons la formule 

que Ton obtient en exprimant que le rapport K est congru a r' » suivant 
le module q , ce qui donne 

L - 3 V^ M^L<j-9MT-*-^-3(3Mtf + LT) (mod q ; 

L s M s ^^ ^M (mod a) • 

On trouve une condition 3t*=-<j'+i (mod q) ^ que doivent remplir les 
deux nombres o- et t ; mais elle ne diffère pas de celle qui exprime que le 

nombre complexe ^-ht^— 3 est raciue de la congnience x^'*"*=i (mod q). 
En applìquant la formale ^le) au nombre 5 on trouve qu'aux deux racines 

de la classe i correspondent les valeurs i, 3 du rapport -jjr , et les valeurs 

4^2, aux deux autres racines. Àinsi les trois classes de critérìums cubi- 

]/ ^ 27 M* 
ques du nombre 5 relativement aux nombres premiers sont 

4 

N^Oy ouL^o {mod s) 

i L = M y ou 3 M , 

2 L ^ 4 M ou 2 M. 

27. Soit q = iì. 9' =4, r»3-^^-3. Les douze racines de la congruence 
x^^ = 1 (mod ìì)f rangces suivant Tordre croissant de leurs indices, sont 



— 75 — 

1, 3 + /^, « (i + V^), ì ^, 8 (- 1 +\/^), - 3 + ^^, 

Les résidus cubiques sont :^i, ^2V'-'3, auxquelles correspondent les cri- 
tériums 

L = 09 M^o, L^:«=4M (mod il). 

Ainsi il est r^sidu cubique de tous les aombres premiers p compris daas 
les trois formules 

X* + 27. 121^' 121 X^ + 27^^ (il X =*= 4 j)' + 27^* 
p _ ,p^ , p ^^ 

Les racines d' indices zx -^ i sont =fc (3 + v-3), * e (- i + ^-3), auxquels cor- 
respondent les critériums de la classe i , 

L s 2 M , 3 M, 5 M ou 10 M (mod il) ; 

Les autres racines donnent pour la classe 2 

L = 9 M, 8 M, 6 M ou M (mod il). 

Soit encore q = 17. En appliquant la méthode du n^ 7 a la congruence 

ar'^ = i (mod i7) nous trouvons 5^3 y- 3 comme racines primitives; nous 

prendrons pour base r"5-3^-3, afin de vériGer la condition (14) 1 + 2 

r^ = ^--3 (mod 17). Les I8 racines, rang^es suivant Tordre croissant de leurs 
indices, sont 

i, 5-3 V^, -2 + 4/^, - 8(1 + V/^), 7*/^> - 7+ V^» 8 (i - V'^), 
2 4-4 V/^ , - 5 - 3 /^ , - 1 > - (5 - 3 ^- 3) , - (- 2 4. 4 ^^) , 8 (i •»• ^^) , 

- (7 + ^-^1 etc- 

Les résidus cubiques sont =fei,^8ti:8^-2; les racines de la classe i sont 
* (5 - 3 V^) , ± (7 + ^^) , * (2 -f 4 ^^). La formule (i5) donne en consé- 
guence comme critériums cubiques du nombre i7, 

M^o,L = o,L = 3M,8M,9]V[,i4M (mod 17), 

1 L^M, 2M,4M, 6M, 7M, 12 M, 

2 L = i6M ; isM, 13M , li M , 10 M, 5M. 

La classe du nombre g déterminee par ces formules correspond a 1* une des 
bases t qui, conform^ment aux conditìons du théorème VII , vérifient la 
congruence (ii). 



— 76 — 

2S. Les exemples qui precèdeat nous donnent lieu de remarquer un fait 
semblable a celui que dous avons observ^ (i9) pour les nombres preiniers 
3 ^' + i, a savoir que les critériums de la classe o sVchangent entre eux deux k 
deux quand oa chauge le signe de M , tandis que le méme cbangement de signe 
fait passer des crit^riums de la classe i a ceux de la classe 2. De plus le 
nombre des critériums distincts est ^gal au nombre q -h i des racines de la 
coDgrueuce x^"*"' = i (mod q)^ et ces critériums sont partage's en nombre 

egal — entre les trois classes o, i> 2. On démontre aisément, au moyen 

«5 

de la formule (i6), que la méme chose a lieu quel que soit le nombre q^z q' — ì. 
D'abord chaque raciue a+r^-3 donne un critèrium diffèrent de tous 

ceux qui correspondent aux autres racines. Eu eflfet si une méme valeur de — 

correspondait a deux racines dìffcfrenteS) a + t ^—3 et a' + t' ^-3, on aurait 
en méme temps 

H n — 7 ex' -f 3 t' = i, ff * -f 3 i'* = i (mod a) . 

On déduit de Ik 

e7'-2<J+i_ 3t'_ <J* + 3t*-2e7-*-l _2(i-0') 

7^~r7n^ 17^ = 7^TT7^3777T = 2 (1 - a) ^^"^ ^^ ' 

D'ailleurs r , s - (mod a) ; 

1-0- r ^' 

a ' 

T T 

On a donc -7^ =— jtSt', a = a' (mod q) . 

Donc pour que deux racines a + r ^-3 donnent des critériums congms en- 
tre eux suivant le module, il faut qu'elles soient elles-mémes équivalentes 
entre elles suivant le méme roodule. Il resuite de Ik que les q' racines de 
la classe donneront ^'critériums cubiques distincts, et ainsi des deux 
autres classes. 

Considérons deux racines conjuguees r* = a + t v^ » ^3^^-/ ^^^^ y-^- 
Elles appartiennent a la méme classe si V indice i est multiple de 3, tandis 
qu'elles appartiennent l'nne a la classe 1 et Tautre k la classe 2 quand i 
n'est pas divisible par 3. Or, comme la formule (le) ne cesse pas d* étre 
vérifiée quand on change en méme temps les signes de M et de t, on re- 
, connait immédiatement que les deux critériums qui correspondent aux deux 



— 77 ~ 

racines considérées peuvent se d^duire V un de i'autre par le chaDgement du 
signe de M. Donc le changement du signe de M échange entre eux les crì- 
tériums de la classe o; et il fait passer des crile'riums de la classe i a ceux 
de la classe 2. 

29. Nous ajouterons encore deux exemples, ^ - 23 et ^ » 29. 

Soit d'abord ^ « 23 ; 9^' » s. Les nombres complexes 10 =fe 6 y- 3 sont des ra- 
rines prìmitives dont les puissauces s""* sont congrues a li (i^sy— 3). Afin 
de verifier la condition (i4) l + 2 r^ s ^^ (mod 23) uous prendons r « 10 - 6 
\f^ comme base de notre système d*indices. Les trois classes de racines 
sont alors 

=fcl , =fciO yf^ , db9=fc2 /-3 ; 

=fc (10 - 6 V^^) , =fc (il - il V^-3) , * (4 - 8 /^) » * (8 - 5 V^) 9 
2 I ti: (10 + 6 V^^) , =fc (11 + 11 V^) > * (4 + 8 v/-3), (±8 + 5 V^)- 

Les crit^riums cubiques pour le nombre 23, relativement aux nombres pre- 
. L* + 27 M* 



miers 



sont 



M = , L ^ , -rr 5 2 , 8 . 11 , 12 , 15 , SI (mod 23) 

M 



L^ 
M 

L^ 

M 



= 4 , 9 » 10 , 16 , 17 , 18 , 20 , 22 , 



s 1 , 3 > 5 , 6 , 7 , 13 , 14 , 19. 



Pour le nombre premier ^ « 29 , nous trouvous - 2 - «2 v-3 comme racine 
primitive, ^' -= 10 , et (2 + 12 V^^)*® s 14 - 14 V^-3 (mod 29) ; la condition 
1 + 2 r'° = V^-3 (mod 29) est donc remplie par la base r « - 2 - 12 y- 3- L^s 
trois classes de racines de la congruence x^® = 1 (mod 29) sont renfermées 
dans le tableau suivant : 



I 
2 



± 1 , db 3 =fc 6 



V^^, 



12 



17 \/-3 , 



(2+12\^-3),*(l0+5V^-3),±(4+l3 \^-3),*(l4- U V^), *{7+10 ^-3) 
(2 - 12 V^), =fc(lO - 8 ^^), ± (4 - 13 V/^), *(I4 + 14) }/^), ±(7-10 ^^). 



— 78 — 
Les critériuins cubiqnes de 20 sont donc 

L 

M = ^ L 5 , TT = 1 9 2 9 11 , i3 , 16 , i8 y S7 , 28 (mod 20} 

L 

5 4^5, 7 , 9 , i2 , 15 9 19 9 23 



2 



L 

^ 25 , 24 , 22 , 20 9 17 , i4 , 10 » 8 , 6 , 3. 



M 

11 faut se rappeler que dans ces formules le signe de L est de'termìue par 
la congruence L ^ i (mod 3)9 et celui de M, par la coogruence (11) 

L + (1 + 2 f «') 3 M s (mod /> « 3 CT + 1). 
§ If^. Résidus hiquadratìques . 

30. De méme que la loi de reciprocità relative aux résidus cubiques est 

L — 3 ^^M 
fondée sur la considération du rapport ■ ■ ■ , : — forme au moyen des 

*^^ L ^ 3 V^ M ^ 

L* + 27 M* 

facteurs complexes du nombre premier p = , celle qui concerne 

les résidus biquadratiques est basée sur le rapport — ^ — ^7= de deux facteurs 

a + 6 V - 1 

complexes du nombre premier ^9»= a' + è*. Nous trouverons relativement a ce 
dernier rapport des théoremes semblables a ceux que nous avons donnés 
pour les résidus cubiques, d'apr^s Jacobi, et nous en déduirons la démons- 
tration des diverses inductions de Gauss relatives a la théorie des résidus 
biquadratiques. Nous démontrerons qu*entre un nombre premier impair q 

et la fonction 7== du nombre premier p^a^-^b^^ il existe une réci- 

a + fe V - i 

procité telle, que le caractère biquadralique du nombre q relativement au 
module p peut se déduire de celui du rapport •j==l relativement au 

module q. Les tbéorèmes qui exprimeroot cette réciprocité ont Tavantage 
de donner une démonstration très-simple de plusieurs inductions de Gauss 
relatives au nombre et a diverses propriétés des critériums biquadratiques, 



— 79 — 

démonstration qui n' a éié obtenue jusqu'ìci par aucune autre méthode. Le- 
besgue dans ses Recherches sur les nombres , a bien donne des forroules 
d'où il déduit les critériums de la forme a == mb (mod q) qui permettent 
de décider k priori a quelle classe biquadratique appartient le nombre pre- 
mier q relativement au nombre premier p^a* -*- b^ ; mais, après avoir vé- 
riGé dans les cas particuliers dont il s'est occupé la première et la plus 
simple des inductions dont nous parlons^ celle qui concerne le nombre des 
critériums distincts, il avoue que la mélhode snivie dans son Mémoìre ne sau- 
rait en donner la démonstration ; k plus forte raison ne pourrait-elle pas 
servir k démontrer les autres inductions qui expriment des propriétés plus 
cachées de ces critériums. 

Ne pourrait-on pas déduire ces propriétés du tliéorème general de Gauss 
relatif aux résidus biquadratiques des modules complexes? Gauss espérait 
sans doute faire cette déduction ; car, dans son second mémoire sur les ré- 
sidus biquadratiques , parlant d un théorème relatif aux résidus biquadrati- 
ques des modules complexes, il dit qu' il en omet la démonstration parce 
que ce n*est qu'un cas particulier d*un théorème general qui épuise, en quel- 
que sorte, en la résumant, la tbéprie des résidus biquadratiques « summam 
theoriae residuorum biquadraticorum quasi exbaurieutis d. (Werke II» p. 
isa). Ce théorème fondameutal est énoncé plus loin (p. 138): 

Sì Ton désigne par a + bij a + 6V, deux nombres complexes premiers, princi- 
paux entre leurs associés, c'est-k-dire congrus k i suivant le module 2 + 2 / , le 
caractère biquadratique da nombre a + bi relativement au modale a + 6' i est 
identique avec celui du nombre a' -t- b'i relativement au module a -^bi , si 
r un au moins des deux nombres a -^bi , a' t b' i est congru a l'unite suivant 
le module 4 : au contraire ces deux caractères diffèrent entre eux de deux 
unités, si aucun des deux nombres a + bi^ a! -f- Vi ne remplit cette condi- 
tìon, c'est-k-dire s ils sont congrus Tun et l'autre au nombre 3 -f- 2 / suivant 
le module 4. 

La démonstration de ce théorème n'a élé publiée qu*après la mort de Gauss, 
dans le 2"^ volume de ses oeuvres complètes (p. 313 k 367). Elle est fondée 
sur la représentation géométrique des imaginaires. Gauss a-t-il déduit de son 
théorème fondamental les théorèmes énoncés dans ses deux mémoires sur les 
résidus biquadratiques ? Gomme il n'a rien laissé k cet égard on ne peut 
faire que des conjectures. Du reste il n'est pas aussi facile qu'on pourrait 
le croire d'abord de passer des théorèmes relatifs aux nombres complexes 
aux théorèmes qui concernent les normes de ces nombres; cette difficulté 



— 80 — 

pourrait bìen e tre la raison pour laquelle Gaus n'a pas justifié Tassertion 
citée plus baut, que toute la théorie des résidus hiduadratiques est reofer-» 
mìe dans ce theorème. 

31. Les formiiles qui servìroat de point de depart a nos recberches sur les 
residus biquadratiques se déduisent de celles que nous avoas doanées au 
n? 9, en y faisant n «= 4. Nous trouvons ainsi. 

(2) e,e3 = e,e^,.(-i)2zi^; 
(3) 03* = (fl - e* + e«» - e«3 + . . . )' ^p. 

(4) 0|'- R, , , ©a , 0/ = R*,,,/>= Rj,, Ri,a0j ©3 - R|, , R,,a (-l) * p. 

On d^duit de la dernière equation 



p-i 



(5) R,M=H* R.,ai 

d* ailleurs la valeur de R^ , ^ est donuée par la formule 

qu*on obtìent en faisant/t«l, A:«2, p^ «p^^ dans la formule (II) du n? 9. 
Si donc nous desìgnons par a^ le nombre des termes de la suite 

t . 2 , 2 . 3 , . . . S [S -¥ i) . . , (^-2) (p-\) 

dont les indices relativament au module^ et a la base ^ sont. de la forme 
4 X + 1\ nous aurons 

(6) Roi « R|,. {- iV-(ao - a,) H)'"^ ^ (a, - a^) (- i) "^v/"! 

R3,3 - («o - «a) (-i)"^ - (^,-^3) (-1)"^ V/~l 

(7) p « R„, R3,j « {a^-a^t + (a^ - ^3»'. 

Le theorème exprimé par cette dernière equation, eu egard a la définition 
des coefficìenis a^ , a^ , a, ,a3 ^ est dù a Eisenstein; c'est, on le voit, une 
conse'quence immediate des formules donnees ante'rieurement par Cauchy 
dans le BuUetin de FeVussac. 

Gomme le nombre premier p ne peùt se ddcomposer que d'une senle ma- 
nière en une somme de deux carrés, les deux carrés a^ , b^ qui vérifient 
r equation p = a' -V 6* sont ddterminés, ce qui fait connaitre les yaleurs nu- 



^ 81 ~ 

m^riques des deux cliS<^rences aQ-^a^^ia^-a^. De plus nous allons démoii- 
trer que la première de ces difTereaces est impaire et que la seconde est 
paire. Pour cela élevons au carré le polyadme O^ et désìgaos par 2 F (9 , p) 
la somme des doubles produits ; nous trouvons 

ef =9%p^ e" -f p*^0>'* + . . . * 2 F (e , p). 

D'ailleurs si l'on designé par i T indice du nombre 2 relativement au mo- 
dule y9 et a la base f, on aura ^ = 2(mody9), 9' a 9''. 

e, + p, 9*' 4- p^ 9"'* -^...^f^ (p'' 9«' + p'<'+^> 9*'-^' + p*^'-*-*' 9«'+' + ...)- p-'' e, 

en sorte que IVqnation précédente devient 

la comparaison de cette équalion avec Téquation (4) donne 

e;[R.,.-p-^>»F{9,p),/D[R.,.-p-»']-ae.F{9,p). 

Le produit O, F (9 , p) remplit les conditions du théorème auxiliare I, d'où 
nous concluons qu*on peut le meltre sous la forme A + B p , A et B dési- 
gnant deux nombres entiers. Ou a donc, en rempla^ant p^ par - 1, 

jr,(^t)'^[(a,-a,)*(a,-a,)v/~]-pM'-2A + 2Bv/^, 



p-i 



P (-0 * (^o " «*) -P H)' = 2 A ,)9 (-1) * (a, - a,) - 2 B. 

On conclut de la que la différence Aq - a, est impaire^ et que la différence 
a^—a^ est paire, ainsi que nous Tavons annoncé. Nous poserons 

(8) K-fla)(-l)* -a. («1-^3) H) * =6,V^-p, 
en sorte que Ton aura 

et 6' designerà le carré pair. 

32. Considérons un second nombre premier impair q dont nous jdésigne- 
rons par i l'indice relativement au module p et a la base t^ en sorte |que 
le nombre i vérifiera la congruence ^ ^ q (mod^). En désignant par q Pu- 
nite positive ou negative nous pourrons poser ^ <=> 4 ^' d: i «■ 4 ^' 4- o*. La puis- 
sance d,^ du polyndme 8, pourra se mettre sous la forme 

e,^-9^ + p*p^'+ . .. -*.^F(9,p), 

n 



— 82 — 

où F (0, p) d^signe une fonction entière de et de p dont tous les coefB- 
cieats sont des oombres entiers. Gomme 6* >» 6^', oa a 

61 + p" e»' +(>'' fl»'* + . . . - p— ' (p" fl«' + p«"+" fl<'+' + . . . ) = p"' ©.» 

e.«=p-'e. + ^F(fl,p). 

Eq comhiaaat cetté équation avec la formule @/»R'k>iP9 et posaat Bx'» 
S6ff, OQ a suocessivement 

e.^ - e.*^' s e, « r j;; ^ ^'. s e, - p— e, + ^ f (é> , p), 

H)~/;[Rf:;;>''S-p-"]-^F(9,p)e^-^/(«,p); 

/ (0 , p) est une fonction entière de 9 et de ^ dont tous les coefficients sont 

. ^=± 

des nombres entiers, et S, un nombre rationnel -f- i ou - — ^ suivant qua 

P 
a s= 1 ou - i. Les conditions du théorème auxiliaire I sont ici remplies, car on 

arriverait a la méme équation si V on remplayait par tonte autre racine 

primitive de 1' équatiop x^ « i, et comme le premier membre est ind^pen- 

dant de 0, on en déduirait /(9' , p)«/(09 p); cette fonction f{6jp) est dono 

une fonction entière de p que nons pouvons reduire au biudme A •»• B p ^ ea 

designant par A et B deux nombres entiers. On a donc 

(-0" p K P"' S - p-'] = 7 (A + B p), p - * v^~. 

Enfin multipliant toute cette équation par R,*',, remplagant le produit R^*'^ 
Rj'j par sa valeur />^' et posant RJ'^ (A -♦• Bp)«=* A, + B^ p, nous avons 

(9) (-1)" p [»::. p^' s - r" K 1 - ^ (A» - B. p). 

sa. Supposons d abord o-ai. Nous avons Sai et notre ^uation devient 

(-*) "p [Kii p'^-r »;:. ] - 7 (A. + B. p). 

• 
Si nous rempla9ons dans cette équation la racine p de l' équation irréducti- 
ble x' 4- i a par la racine ^ de la congrucnce x^ + i 5 o (mod q)^ nous la 
changeons en congiuence suivant le module q (Théoreme VII du nf a); et 
divisant la congruence par le facteur (-i)^^^qui est premier avec le mo- 
dule , nous trouvons 

'{a^b^fp « - p--* (« - * P)^' = (mod ^), 
ou encore (a-^b P)^' « P' (a - 6 ^)^' = (mod ^)> 



~ 83 — 

puisque, par la loi de reciprocité relative aux résidus qtiadratiques, 

p"^ = (-1)' = ^^ (mod q). 

Soit t^ une racìne primitive du nombre g^ prise cornine base d*un système 

d'indices; f,^' et f ,^' seront les deux racines de la congruence or* + i = o 

(raod q)i nous prendrons /3 =^,^' (mod q). Soit K la valeur de T expression 

a -^b^ .* . 

y (mod^), et / son indice relati vement k la base ^, ; K ne se réduit 

ni a zero, ni a Tinfini suivant le module q^ puisque 

(a + AP) (a-6|3) = fl«-è"/3*^a* + fc*~;i (mod q). 
On de'duira donc de notre congruence diviste par (a-b ^) ^l 

K^' = /3S ou f/>= ^^'^ (mod q), 
et| par conséquent, 

(to) 7 = 14-4 1; 

Les re'sidus des deux indices / ety^ suivant le module 4, sont donc egaux^ 
et, consequemment, le caractère biquadratique du nombre q relativement au 

module p et a^ la base t est le méme que celui du rapport =-^ relati- 

* a - 6 j3 

vement au module q et a la base f,. 

Nous remarquerons que le caractère biquadratique d* un nombre est in- 

dependaht du choix de la base quand il est pair, et que les deux caractè- 

res biquadratiques i et 3 s^echangent entre eux quand on remplace la base 

par une racine primitive de la classe 3. Faisant donc successivement i = o, 

/ = 2 (mod 4) , nous déduisons de la formule (f o) les deux tfa^orèmes 

suivants ; 

Théorème I. 

Soient p e^ q deux nombres premiers 4 CT + i,4q' + f, dont le premier 
est decompose en une somme de deux carrésy p = à* + b* ; désignons par 
j3 Vune des racines de la congruence x* + i = o (mod q); fe nombre q sera 
résidu biquadratique ou non résidu biquadratique de p, suivant que le 

rapport r-r sera lui-méme résidu biquadratique de q. 



84 



Théobème li. 



Lr nombre q sera résidu quadratique ou non résidu quadratique de 
p, suivant que le rapport r-^ sera lud-méme résidu quadratique ou 

non résidu quadratique de q. 

34. Pouf des valeurs impaires de Tindice / il faut avoir égard aux bases t 
et*,; la formule (io), lorsqu'on iatroduit la consid^ration de ces baseSj ex- 
prime un th^or^me générsH qui comprend comme cas particuliers les deux 
tlìéoremes du n.^ précédent: 

Théorèmv III. 

Le caractère biquadratìque du nombre q relativement au module p et 
à la base t qui vérife la condition 



(il) a -^b t^ =^0 (mod /? « 4 o + t), 



a 4- b 3 
est le ménte que celui du rapport K - ^rh » ^l^tiifement au module q 

et à la base t,, liée au nombre jS par la congruence t|**' = |3 {modq « 4q^ + i). 
Ce théorème est une cons<^quence immediate de la formule (io) et des 
définitìons dounées» except^ ea ce qui concerne la condition (il) dont nous 
devons rendre compte. Cette condition serait inutile si les nombres a et fr ^laient 
calcul^s au moyen des formules (s), ainsi que nous Tavons suppose précé- 
demment ; mais nous voulons rendre notre tb^orème independant du calcul 
des nombres a^ ^a^ ^ a% ^a^ , de telle sorte que le rapport K soit onnu au 
moyen de la base t et de la de'composition du nombre /? en une somme de 

deux carres. Or le nombre k ne d^pend que de la valeur du rapport ■=- ; 

sì ce rapport change de signe en conservant la méme valeur num^rique, k 

est remplacé par son inverse -ri et son indice/, par 4 q' -/; le résidu de l'indice, 

relativement au module 4, n*est pas changé, quandy est pair; mais si ce nombre 
est impair les deux residus i et 3 se substituent Tun a Tautre, quand le rapport 

-r change de signe. Ainsi le théorème III ne peut couduire a la détermi- 



— 85 ~ 
nation des caractères biquadratiques i et 3 qu'k la eoadition de prendre 

convenablement le signe du rapport -, dont la valeur numérique seule 

est connue par la décomposition du nombre p. 

Or la formule (li) détermine le signe convenable du rapport a : 6, c'est- 
k-dire le signe qu* on obtiendrait en calculant les deux nombres aetb par 
les formules (s)^ et, conséquemment le rapport a : b par la formule 

b a, -fl3 

• 

En effet, en appliquant la méthode expos^e par Cauchy, dans la Note V 
de son M<^moire sur la th^orie des nombres, pour calculer les coefficients 
de la fonction Ra,^, sans recourir aux tables d' indices, nous trouvons ({u'en 
posant 

On a entre les quatre coefHcients inconnus les quatre formules 
«o " ^a + («I - «3) t'^s o (mod p) 

\ i y (ct +i)(cj +8) . . .215 . , , 

K-«a)-(^i-«3) t^ = , ^ ^ (mod;?-4of), 

La somme des deux formules intermédiaires détermine la racine du carré 
impair au moyen de la congruence 

_ 1 (ct + X) (W •»■ 2) . . . 8 CT , 

e est le théorème da Gauss. La seconde formule nous apprend que le rap- 
port a i b aura le signe convenable pour Fapplication du théorème III, si 
les deux nombres a et b vérifient la congruence 

(il) a •«• fc t» S (mod /i = 4 cj + 1). 

35. D*après ce théorème la valeur de Texpression j- (mod q) fait connai- 

tre le caractère biquadratique d' un nombre premier ^ a 4 ^' + i relati vement 
au module premier p ^a^ ^ V tX k Tune des bases t qui vérifient la con- 



^ 86 ~ 
grueace (il) ; ce caractbre est o , t » s ou 3 suivant que la raleur de cette 

* f - P 
expression rend le rappoFt K 011 f-? ^oogru k un résidu de classe e, i» 2 

t — 7 p 

ou 3. Les caractères biquadratìques de ^ retativement aux diffe'rents nombres 
premìers p^a^ -^b* sont donc détermiB^s par des congruences de la forme 
a = , b = ma (mod q). Nous donnerons a ces congruences le nom de cri* 
tériums biquadratìques, et nous les partagerons en quatre classes, distin- 
guées entre elles par les indices , i , 2 et 3 , en attribuant a la classe 
les critérìums d' où Ton conclut que q est résidu biquadratique de p, et a 
la classe i ceux qui exprìment que / est le caract^re biquadratique de q 
relativement au module^ et k Tune des bases t qui yérifient la congruence (11). 
Le criterium b ^ (mod q) appartient toujours k la classe , c*est-k-dire 
que le nombre q est toujours résidu biquadratique des nombres premiers 
compris dans la formole /? = x^ + 447*/* j en effet on obtient ce critèrium 

en posant j-r = t (mod q) ; or Tunité positive appartient k la classe 

dans tonte classification. De méme le critèrium a = ù (mod q) appartient tou- 
jours k Tune des deux classes où a ^ k savoir k la classe si ^ » 8 / + 1 , 
et k la classe a si ^»8 /-t-s. En effet ^ ce criterium se dèduit de la con- 
gruence — rj-T = - 1 (mod ^) ; or - i appartient k la classe , si ^ » 8 / -r 1 , 

et k la classe 2, si ^ « 8 / -»- 5. On conclut de Ik qu'un nombre premier q 
compris dans la formule Aq' -^i est résidu biquadratique, ou sìmplement 
résidu quadratique sans étre résidu biquadratique, de tout nombre premier 
p^q^x^-^hj^ y suivant qu'il est lui-méme de la forme s/f-i ou de la 
forme 8 / + 5. 

Pour calculer le critèrium qui correspond k une racine a de la congruence 
afl"^ = i (mod q) en supposi^nt « différent de * i, on emploira la formule 

(12) - =/ (mod q) , 

qu*on obtient en resolvant par rapport k -^ la congruence 

a-^ bè 

et en posant /|3^i (mod q). 



87 



r- 1 



1* Soil ^ « 6. En prenant ij « 2 , on a ^ = <, * ~ 2, et /i» 3. Les quatre 
résidus 1,2,4)3 représentent respectivement les quatre classes. Les ente- 
riums des classes et 2 sont déja connus ; les deax autres se déduisent 
de la formule (2) en faisant aa2, a» 3; ce sont b^a, b^Aa (mod 5.) 
Ainsi le nombre b» relativement au module premier p^a^ -^b* et a Tune 



p-i 



des bases t qui vérifient la congruence a -*- b t ^ ^ (mod p) , appartient 
a la classe 




i 
2 

3 



Si b SO (mod s) 
b s a 



a so 
a s ia 



Théoréme IV. 



« Le nombre 5 est résidu biquadratique de tous les nombres premiers 
compris dans la formule 



\ + ioo y* , 



25 X* + 4 y* , 



// est résidu quadratique des nombres premiers 

P 
enfln il est non résidu quadratique des nombres premiers 

P = (5 x-2 y)* + 4y* ». 

2? Soit ^ 8 13 ; ^' e 3 ^ et si nous prenods J)Our base ^x » 2 , les residus 
du module 13 , rangés dans leurs classes respectives , seront 






i j 3,9 


1 


2, «, S 


2 


4 , IO , 12 


3 


il , 7^ 8. 



On a ici |3 s 2 = 8 , et /«5 , en sorte que la formule (12) devient 



b a — 1 

— = 5 (mod 13). 



a 



« + 1 



En faisant a» 3 , 9 > on obtient — S6| 8, 12 (mod 13) ; 4 , IO et 12 donnent 



88 



-- s 3» IO et a s ; enfia les résidus de la classe 3 donnent — =19 5 , 7 
a a 

(mod i3). Les critériums qui d^terminent le caractère biquadratique de 13 

relativement au module premier p^a^ -k-b^ et a Tune des bases qui v^ri- 

fient la congruence (ii)i distribués dans leurs classes respectives» sont 

fr = 09frs4a,9a (mod 13) 

i 6 = 6, a li a , is a 9 

2 a50,653a,l0a, 

3 b ^a yia ^1 a. 

Nous pouYons observer ìci uue proprietà, dont nous demontrerons la gène* 
raliU , a savoir que le changement du signe de b ne fait pas varìer la 
classe des critèriums des deux classes et 2 , et qu' il ècbange entre eui 
les critérìums de la classe 1 et ceux de la classe 3. Cette proprietà pent 
servir a simplifier le calcul des critérìums ; des qu*on aura obtenu ceux de 
la classe 1, on en dèduira ceux de la classe 3 en cbàngeant le signe de b ou 
de a. Les critériums renfermés dans le tableau pi^cèdent nous donnent ce 
the'oreme 

Théorème V. 

a Le nombre 13 est résidu biquadratique des nombres premiers com- 
pris dans les formuks 

p « x' •«• 676 y* , p « (13 X ± 6y)* + 4 y*, 

il est re'sidu quadratique et non résidu biquadratique des nombres premiers 

p - 169 X* + 4 y* , p e» (13 X =fc 8 y)* + 4 y* , 
enfin il est non résidu quadratique des nombres premiers 

p«(i3x±2y)* + 4y* , p = (i3x=fci2y)'+4y*, p = ( 13 X =fc 4 y)* + 4y* ». 

3.* Soit q «17 }q' ^A. En prenant pour base ^, «3, ona^ = -4,/«4, 
et ies resìdus du module 17 , distrìbués dans leurs classes respectives^ sont 

I 1 ^ 4 > 13 , 16 , 

1 3 , 5 , 12 , 14 , 

2 2,9, 8 , 15, 

3 6 , 7 . 10 , 11 . 



La formule (i2) devient ici 



— 89 

b ^ tf- 1 
fl "^ a + i 



(mod 17), 



et Fon en deduit, au moyea des quatre classes àe residus a , les quatre 
classes correspondantes de critérìums biquadratiques du nombre t? relative- 
ment aux divers modules p ^ a -^h^ ^ savoir 

a = o, 6 = 0, b = ^a (mod 17) 
b ^ 2 a i ea, sa, I4a, 

2 A = db5a,=fc7a 

3 b S 2 a , 9 a f iì a i i5 a. 

Des critériums des deux classes o et 2 bn déduit les théorèmes suivants : 

Théoréme vi. 

La condition nécessaire et suffsante pour qua 17 soit résidu biquadra- 
tique du nombre premier p «= a* + b* est qu il divise Vun des carrés a*, b*, 
oa la différence, a* - b* , de ces carrés. 

Théoréme VII. 

La condition nécessaire et sufflsante pour que 17 soit résidu quadratique 
du nombre premier p =» a* + b* , sans en étre résidu biquadratique , est 
qu il divise Vune des deux différences a* - 8 b* , a* - 15 b*. 

4? Soit ^r B 29 ; ^' = 7. Les résidus de 29 distribués dans leurs classes ré- 
spectives^ relativement a la base t^ « 2, sont 





1 

2 
3 



1 , 7 , 16 ^ 20 , 23 , 24 , 25 ; 

2, 3, 11 , 14, 17 , 19, 21 ; 

4 , 5 , 6 , 9 , 13 , 22 , 28 ; 

8 , 10 , i2 , 15 , 18 , 26 , 27 < 



Gomme ìci ^ = 2^ = |2 (mod 29) et / « - 12, la formule (12) devient 



- = - 12 — (mod. 29) 



a 



a + 1 



et Ton en déduit pour le nombre 29, relativement aux divers modules pre- 
miers ^ » a^ + 6' , les critériums suivants , rangés dans leurs classes res- 
pectives : 

12 





1 

2 
3 



- 90 — 

6=0, b ^ 9 a f ìì a j 14 a 9 iS a , iS a , so a (mod 29) 
fr = 7 a , 10 a , 23 a , 24 /z , 25 a , 26 a , 28 a ^ 
a = , i^ = 2HZ , sa, 13 a 9 16 a , 21 a , 27 a , 
^^a, 3a, 4a, 5a^ 6a, io a, 22 a. 



Le nombre 29 sera résidu biquadratique da nombre premier /> »• a' *f 6' , 
si les deux nombres a et b vérifient Tune des congruences o ; il en est ré- 
sidu quadratique et non résido biquadratique si a et 6 vérifient Tune des 
congruences 2. Dans le cas où les nombres a et b vérifient lune des con- 
gruences i ou 3, 29 est non residu quadratique; son caractère biquadratique 
1 ou 3 est le méme que l'indice de la classe a laquelle appartient le critèrium 
yérifi^9 et la base t satisfait a la congruence a +bt^^ o (mod /i » 4 cr + i), et 
ilendiffère de deux uni tés sì la base t vérifie la congruence a -6 ^^s o (mod p). 
36' Les nombres premiers 4. ^' - 1 donnent lieu a des théorèmes analogues 
aux précédents, pourvu que fon ait recours aux racines complexes de la 
congruence x^'^'si (mod^ « 4^' - i) , ainsi que nous ravoùd fait dan$ le 
paragraphe pr^c^dent relati vement aux r^sidus cubiques. Dans les cas oÀ g ^A 

y' - 1 nous avons vu (32) qu'il faut faire a « - i et S « , en sorte que 

r 

la formule (9) devient 

i^ir.p ft- i)^. p'^'^' . / ^ff h'' 1^^(A + Bp). 

^ i.i 3,3 J 

or p^^'"^ ^p* S (-U i)' (mod y) , k cause de la re'ciprocité demontrée (§ II) 
relativement aux, résidus quadratiques. Gomme le facteur compris dans la 
parenthèse du premier membre peut se mettre sous la ìtorme P + 2 Q, P et Q 
desìgnant des nombres tntiers» 6ti voit que A et B sont diyisibles par p; 
efTectuant la division , rempla^ant p*^'""' pat* p** + M ^, et faisant passer 
tous les multiples de q dans ìt sécond membre, on tróuve IVquation 

(13) R - p'+''^ . R - 9^ (A, 4. B, p) , 

)3 i»i 

R3 3 a — A p 
où A, et B| de'signent des noitibi-es entiers. Or le rapport :—- =» r— 

est racine de la congruence a:^"^' 5 1 (mod q). En effet 



(a - 6p)^ = fl^ - 6^ p* » p + ^ (F + G p). 



— 94 — 
D*aillcurs p* =» - i , p* « = (- 1)*^'-» « - 1, a^ =a , et M =6 (mod ^); on a donc 

(a - i p)^ S fl + 6 p (mod q) 

Soit doAC /*g V-l ■=r ime racin^ primitive de la coDgruence jc^"*"' sf 
(mod ^)^ qui vérifi^ la condition r^' = p (mod q) ; ce qui e$t toujours pos- 
sible, pu^^que parmi les racines primitives de la coDgrueace x^'^^ =: i (mod q) 

une moitid verifie la condition r^' = - p (mod q) et TautFe moitié, la con- 
dition ci-dessus énoncée. De plus prenpos pr^?^-!, et désignons par / 

l'indice dela racine y==. reiativement au module a et a la base r , en 

a -t- by-r- i 

sorte qtt*OQ ait 

(") a^b)f:r^ ^ '''' '''' ^ ^ ^"^""^ ^^ ^ 

oa déduira de la formale {is), àivìsée par R,,i et réduite en congruence 
suiyftQte le modale q , 

ce qui exige quon ait 

(15) ^ / a / -h a o -»- 4 /. 

Il faut remarquer que dans la formule (i4) , comme dans les formules du 

n.^ 34 le signe du rappoit -j- doit étre le méme que si les deux nombres 

a et è étaient calcul^s par les formules /s). L' indice / du nombre q doit 
donc étre rapporta k Tune des bases t qui vérifient la congruence 

(il) a 4- b ^ = d (mod /^ « 4 or + i). 



2 



D'ailleurs i e'taut V indice de ^ , / + 2 car est l' indice de - ^ ; car t 
= ^au ^ ^ 1 (nix)d /}), en 3orte que a a est T ii^ce de - ; la somme / + 2 cr 
est donc Tindice dix produit {- i) q» La formule (i5) exprime donc ce théo- 
reme foudai^eotal : 



92 



Théoréme Vili. 

« Soient a^ + b* = p un nonibre premier , t une racine primitive de p 
prise comme base d'un sjstème d* indices et véripant la congruence 

(it) a + b t*^ = (mod ;? = 4 cr + l) ; 

Soient q « 4 q' — i un nombre prender et r une racine primitii^e de la 
congrueuce x^"*"* = i (mod q) , qui vérifie la condition r*^' = y- * [viìoà q) ; 
la classe du nombre ~ q > relativement au module i^ et à la base t , a 

a — b ^— 1 
le ménte indice o , i , 2 oa 3 que la classe du rapport == rela- 

a ■*■ b V - * 
tivement au module q et à la base r ». 

La considération des bases f et r n^est necessaire que dans les cas où le 

caractère bìquadratique de q est impair. Lorsqu' il est pair ou peut enon- 

cer plus sìmplement le résultat exprimé par le the'orème qui precède : 

Théoréme IX. 

(^ Soient a* + b* = p ef q = 4 q' - 1 deux nombres premier s j - q e-y^ re- 
sidu biquadratique ou non résidu biquadratique de p , suivant que le 

a- b ^^ 
rapport == est résidu biquadratique de q^ ou non » . 

Théoréme X. 
Le nombre - q est résidu quadratique ou non résidu quadratique de p 

suivant que le rapport — — == est résidu quadratique ou non résidu 

a -r b V - 1 

quadratique e/e q ». 

37. On deduit de ces theorèmes des critériums qui d^terminent le cara- 
etère bicfùadratique du nombre —^ relati vement au nombre premier ^==a^ 
+ 6* et a Fune des bases t qui vdrifient la congruence (li) a-i-bt^^o 
(mod /? = 4 cr + i). Ces critériums consistente comme dans le cas pr^cédent 
où 9^ r 4 y' + 1 , en des congruences de Fune des formes a = o , b ~m a 
(mod q) ì nous les partageons en quatre classes distinguees entre elles par 



-- 93 — 

les indices o, i , 2 et :r , en attribuaat a la classe les«crìtériums d'où 
Von conclut que — q est re'sidu biquadralìque de p , et a la classe i les 
crìteriums qui expriment qiie le nombre i est le caractère bìquadratique de 
-q relativement au module a^ -*• h^ «/?. Il est facile d'obtenir ensuite le ca- 
ractère biquadratique du nombre q lui-méme^ sachant que le caractère bì- 
quadratique de - ! est ou 2, suivant que p-%1 -^ ì ou 8/+5; le cara- 
ctère de q est le méme que celui de -^ , dans le premier cas; il én dif- 
fère de 2 unit^s dans le second. Voici comment on obtient le crite'rium qui 
correspond, a Fune des racines de la congruence x^"^^ = i (mod q). Si 
a + € ylT est cette racine^ on poserà 

a-b^-i . — 

-= = « + e V - 1 (mod q) , 

a + 6 V ■" * 

et, comme (- i) est non résidu quadratique de ^ , V^^ ne peut pas étre 
congru a un nombre rationnel suivant le module q , en sorte que notre 
formule équivaut aux deux suivantes 



d*où Ton de'duit 



a = aa — 6e, -^b ^b a + a ^ , 

b _ a - i __ -^ 



ce qui exige que les deux éléments de la racine a + e ^17 ye'rifient la con- 
dition a^ + 6' ^ 1 (mod q)j condition nécessairement remplie (6) si, comme nous 

le supposons a + e y- 1 est racine de la congruence oc^"^^ = i (mod q), Les 
deux racines reelles -»- 1 et — i donnent respectivemcnt les deux critériums 
^ = 0, a^o(mod q) ; comme i est toujours de la classe or, et-i de la 
classe ou de la classe 2 suivant que ^ + i est de la forme 8/ ou 8 / + 4 , le 
crite'rium b ^o (mod q) fait toujours partie de la classe o ; le criterium a = 
(mod q) fait partie de la classe o ou de la classe 2 suivant que le nom- 
bre q est de la forme s/+7 ou de la forme 8/4.3. En reunissant ce re'- 
sultat au rdsultat analogue, obtenu au commencement du n."" 35 pour les 
nombres premiers Aq -^ ì, nous pouvons i^noncer ce théorème : 

TUÉORÉME XI. 

Soit q un nombre premier impair quelconque ; ce nombre q est résidu 
biquadratique de tous les nombres premiers compris dans la formule 



— 94 — 

p a» X* + 4 q* y'; quand aux nombres premiers p « q* x* + 4 yS q en est 
résidii bùfuadratique sHl est de tane des deuxformes 9 1 =fc 1» mais il en est 
résidx^ quadratique et non résidu biquadratique sUl est de fune des 
deux formes 8 1 ^ 3. 

38* Les critériums bìquadratiques de -«- q^ qui correspondent aux raciaes 
a^ ^V~i» où 6 est different de o, se calcuieront au moyen de la coq- 
gnience 

N-= ^(moAq) 

et Fon rapporterà a la classe o les crìte'riums qui correspondent aux ra- 
cìnes de la classe o, c*est-a-dire aux r^sidus bìquadratiques, et k la classe i 
ceux qui correspondent aux résidus de la classe i. Les exemples suivants 
feront comprendre la manière de calculer et de classer ces critériums. 

i^ Soit ^ ■« 3. Les quatre racines de la congruence x^Si (mod 3) scoi t, 
^/T*! j - i et - ^ - i. Les classes o et 2 sont représentées par i et -^ i ; 
nous devons attribuer V^<9 k la classe i, en sorte que la classe 3 est 
représenté par-/^i. ies racines let-i donneat les critériums bso, 
a^o (mod q)^ ainsì que nous veuons de le voir; la racine ^ - i donne 
b"^ -Uj et la racine - ^ - i^ b ^a. Ainsi les critenums biquadratiques 
de -6 relativement aux nombres premiers p^a-^b^^ sont 






A = (mod 3). 


i 


6 h: 2 fl, 


2 


a = 0, 


4 


b zz a. 



Il faut se rappeler, pour les classes 1 et 3, que les sig^nes de a et de b 
doivent yérifier les congruence a 4. 6 ^w = (mod p^Kts -^i). 

2? Soit ^ « 7. Les racines de la congruence x^ ^i (mod 7), rangées sui- 
vant Tordre croissant de leurs indices» sont 

i , 2( 1 + V^~i), V^~i , 2 ( - i 4. v/~i), -^ I, - 2 (t ^ \/~i), - /ITi , 2 (1 -^ •""£) 

Les residus bìquadratiques sont 1 et - i» auxquels correspondent pour -7 
les critériums de la classe o, b^o j a=.o (mod 7) • Les racines de la classe 

2 sont ^-1,-^-1; les valeurs correspondantes de a et de ^ sont « « o, 
P=»iel-!, en sorte que la formule (le) donne comrae critériums de la 



— 95 — 

I 

classe 2} pour*- 7, les deux congrueaces 6 = -a, 6 =a, (mod 7). Les racines 

de la classe i, a savoir 2 (t -h y-*) et - 2 (i + V^- i) donnent les crité- 
riums b = Aay6a (mod?), et les deux auires racines, les critériums 6=^ a, 
8 a (mod 7). Alasi le caractère biquadratique de -- 7, relativemeat au nom^ 
bre premier p ^ a^ -¥ 6*, est 






Si 


a^o, oab^ (mod 7) 


i 




2^^4a , sa , 


2 




6 — a 6 , a , 


3 




& — 2 a ^ 3 a. 



Les caraetòres biquadratiques itnpairs se r apportent k Tuae des bases t qui 
vérifient la congmence ai-bt^^o (mod />). Les autres nous donneùt le 
tbéorènne sui^ant : 

TfiÈOHÉHÈ XIL 



Le nombre — 7 e^t résida biquadratique du nombre premier p « a^ + b^ 
si tun des deux nombres di ouh est multiple de 7^ il en est résidu qua- 
dratique et non résidu biquadratique sHl dismise la diffèrence a^ - b*, en- 
fin il en est non résidu quadratique si le produit ab (a' - b') nest pas 
divisible par 7. 

i*^ Soit ^«11. Les racitieS de la congttttnòe a:*"=ì (mod li), rtingées 

dans Icurt classes respectives relativemeat k la base r t» 3 - s ^ - i, sont 

1, 5+ 3 v/*^ , 5-3 /^ 

! 3-5 sT^i , - 3 - 5 V^^, - sT^i , 

2 -1,-5 + 3 /^ , - 6 - 3 sT-^i s 

3 v^--i,3 + 5/-i, -s + sy/^-*. 

Nous avons ici r* = (3 - 5 /^l)* ^ V^^i (mod il), ce qui est la condition du 
tbeorème Vili. Le résidu biquadratique i donne 6=0 (mod u), et les deux 

autres, 5:fc3^^i, 

(te) - = — - ^«F» (mod li); 
'a ±3 

les critériums biquadràtiques de la classe sont donc pour -lt,6=o, 
5 a, 6 a (mod n). Ce resultai peut sVnonc^r de la manière suivante: 



96 



Théoréme XIII. 

Pour que - n soit résidu hiquadratique du ìnodule premier p - a* -*• 3 b*, 
il faut et il sufflt que le carré pair b*, ou la différence b* - a* soit 
divisible par 11. 

Les rósidus quadratiques -iet~5=^3^-i donnent ìts critériums a ^ o, 
&3Bb2a(mod li), et Ton conclut de la que: 

Théoréme XIV. 

La condition nécessaire et sufflsante pour que - li soit résidu qua- 
dratique et non résidu hiquadratique du nombre premier p = a* •*• 6*, est 
que le carré impair^ ou la différence 6* -4 a*, soit multiple de a. 

Les racìaes des classes i et 3 donnent de méme les critériums des clas- 
ses 1 et 3; en réuuissant ces resultats nous trouvons que, relativement au 
module premier ^«a' h- &', - ii a pour caractère biquadratique. 

, 5 a oi£ 6 a (mod 11) 
a , 3 a 9 4 a , 
o]b=2ay^ay 
7 a , 8 a , 10 a , 

4! ^ = 19, q = 5. La racine primitive r = 3 + 7 /^ vérifie la condition 
r^ = ^ - 1 (mod 19) ; en la prenant corame base d' un système d* indices, 
pour la congruence x^^ = 1 (mod 19), nous trouvons que les racines de cette 
congruence^ rapporte'es a leurs classes respectives, sont 

1 , 7 =4= 3 ^~ , 2 =fc 4 s/'^i , 
±3+7^-1, ±4 + 2^-1,^-1, 

-i,-7±3V^-l,-2=fc4V^^, 
±3-7 V^-l,±4-2\/^,- V^~l. 

Les racines 1 et — 1 donneut \es critériums b^o j a ^ o (mod 19), ainsi que 
que nous le savons, et, en représentant l'une quelconque des autres raci- 
nes par a + V - 1, on calcule le critèrium, qui correspond a cette racine, 
au moyen de la formule (le), 

b a ^ i 

Y- (mod n) 






Si 


b 


1 




b 


2 




a 


3 




b 




1 

2 
3 



a 



— 97 — 

On trouve ainsi que le caractère biquadratique de - 19 relativement au mo- 
dule premier ^ « a* + fc* , est 




i 

2 



Si 6 H , 2 a , 5 a , i4 a, 17 a (mod 19) , 
b = 2a, 7a, Ita, 13 a, 18 a, 
a^O 9 b = Àa, 9 a 9 io a, 15 a» 



3 I fr = a»6a,8a,i2a,i6a. 

Les crit^riums des classes o et 2 nous donnent les th^orèmes suivants : 

Théorème XV. 

La condition nécessaire et sufpsante pour que - 19 soit résidu hiqua- 
dratique du modale premier a* + b* est que le carré pair V , ou Vun des 
nombres b:i:2a, bs^sa, soit divisible par 19* 

Théorème XVL 

La condition nécessaire et suffisante pour que - 19 soit résidu quadra- 
tique du modale premier a* -«• b% sans en étre résidu biquadratique ^ est 
que Vun des nombres a, b:fc4a, b^9a^ soit multiple de i9. 

Les critériums i et 3 se rapportent a Tune des bases t qui v^rifient la 
congruence (ti). 

s."" Preuons comme dernier exemple q » 23. Oo aura ^' » 6 ; comme la ra- 

cine primitive -io + 4V/-i vérifie la couditioa r^s^-i (mod 23), nous la 
prenons pour base et nous trouvons que les racines de la congruence x*^ = 1 
(mod 23) , ràngées dans leurs classes respectives sont 




1 
2 
3 



1,-11-8 /^ ,11-8 ^^ , - 1 , 11 •«• 8 ^^, - 11 -»• 8 ^- 1 

-10 + 4 V/^, 4-10 V^-^, 10-4 V^^, -4 + 10 /^, -9+9 ^^, 9-9 ^^, 

-8-11 V^ ♦ ^^, -8+11 /m, - ^^, 8 + 11 V^»8 - ** ^-^ 

-T 10 - 4 V/^, 4 + 10 VTT, 10+4 \/^, - 4 - 10 /^, - 9 - 9 /^, 9 + 9 ^-1. 



En calculant au moyen de la formule (io) le critérinm biquadratique de 

- 23, qui correspond a chacune des racines « + € ^^ autres que +1 et - 1^ 
on trouve que le caractère biquadratique de -23, relativement au module 
premier ^ - a* + 6*, est 

13 





1 

2 
3 



98 



Si ò = o,a = o »fr = 7 a , iO>a , isa ,Ha(mod3a)» 
i&=2ay3a jAafii a » 15 a ^ 17 a , 
h^a, saf^a^ua^wa »22a » 
fr ^ 6 a , 8 a , 12 a , 19 a , 20 A , il a. 



Il faut se rappeler que le$ signés tes nmnbres a et b doiveot, pour les 
clas&es 1 et 3» satìsfaire k la coagrueace (li)» a + 6 (^ ^ (mod /^)t 

39. Gauss, apr^ avoir obtenu par inductioQ les caractères biquadrati- 
ques des nombres - 3 , 5 , - 7 , - il , 13 » 17 , - 19 , 23 , ajoute les remar- 
ques suivaatas (N? 28 du 2^ Memoire sur les résidus biquadratiques) ; 

ce Les critériunis qui font reconnaitre a quelle classe on doit rapporter 
le Dombre premier ^g (en prenant le sigae •<- ou le sìgne - suivant que 
q est de la forme 40:4-1 ou 40^4-3» depeudent deS formes des nombres 
a etb comparés entre eux relativement au module q. Savoir : 

I. Quand a est divisible par q^^ q appartieni a une classe déterminée 
doni le caractère est pour les valeurs ^ » 7 , 17 , 23 » et 2 pour ^jr » 3 , 5 , 
11 , 139 19 : on est conduit par induction a penser que le premier cas aur^ 
toujours lieu lorsque q sera de la forme s/^i» et la secood, lorsque q 
est de la forme 8/^3. Du reste il ne peut ótre questiou des classes 1 et 3» 
puisque la loi de reciprocità pour les résidus quadratiques nous apprend 
que ^ q est tou)ours résidu quadratique de p^a^ -¥ b^^ quaud Tun des 
deux nombres a ou 6 est divisible par q. 

IL Toutes les fois que a n*est pas divisible par ^^ le criterium dépend 

de la valeur de Teiprefision -^ (mod q). Cette expression admet, il est vrai^ 

q valeurs diverses a, 1» 2, ...^-i; mais lorsque q est de la forme 
4 fi -f- 1 9 il faut exclure les deux valeurs de 1 expression ^ - 1 (mod q\ qui 

h 

ne péavent ètra prises cornine valeur de ^ (mod q)y puisque Ton suppose 

que p ^ a^ -¥ h^ est Un nombre premier différent de q. G'est pourquoi le 

. b 
nombre des valeurs admissiUes pour Texpression — (mod q) est q -2si^ 

est de la forme An-^ì^ tandis qu*il est égal a q^ si q est de la forme 
4 n -1-3. Si Ton ajoute le criterium a = o (mod q) le nombre total des crite* 

riums sera ^ - (- 1) ' . Ces critériums se partagent également entre les 



— 99 — 

quatre classeSj dont chacune en renferme un nombre — ( 7 ~ (* ' h ^^ 

ils se réduisent a des congruences homog^nes du premier degré eatre les 
nombrès a al b^ relatirement au modula ^. » ' 

Gauss ajoute ancore d^autres propriét^s de ces critériunis. Nous le$ 
e'noncerons plus loin, ea donnaat la démonstration. OccupoQS-*nous d'abord 
des indtictions que nous venons de citer. La première a étó éévMtiXfét 
plus baut (37) et nous en avons d^duit la seconde paftie de nctre théo« 
re'me XI. Pour d^montrer la iseconde nous devons distinguer deux cas sui- 
vant que le nombre premier éf est de la forme kn-¥ i ou 4/1-4-3. 

Considérons 4*abord le cas où éj est de V une à^ deox foraves òi ^ i ^ 
8/^.3. A part le crite'rium a^o (mod-^) qui correspond a la raciwe -* i» 
les critériums qui correspondeiit aux diverses racioes a de ia congruence 
x^"^ = 1 (mod q) se d^duisent de la formule 

(i2) - - / ^^ (mod 7) , / - t,^^' = p (mod q). 

En égalaoft attccessìvetnent « aux q -* s nombres i» a, ... 47 - a on obtient 7 - < 
critériums de la foime b = ma. Or toas ces crìtérinma sont dìstwicts; car 
si les deux Qnt«$rioms qui correspondent a deux racioes a tt a étaient 
egaux «otre eux on aurait 

= -7 — (mod a) , d ou — = — 

a = a 'g (mod q) ; 

Si donc a et a sont deux nombres diff^rents de la suite i 9 a , 3 , . . . ^, 
il est impossible que les deux critdriums corre^pondants soient ^quivalents 
sui vant le module q. Il y a donc ^ - a crit^riums distincts de la forme 
b = ma (mod q)f qui correspondent a q ^2 valeurs de m prises dans la 
suite , 1, Sv p - i* Comme cette suite renferme q termes, il en reste deux 

b 

qus ne sont jamais des valeurs de rexpression - (mod q) savoir les deux 

valeurs de Texpressìon \/ ^ (mod q) ; en dfet fi désignant Tune^ de ces 
valeurs si l' on av^it — = /3 (mod ^ on en , deduirait 

b* - a* P* = a* + b^ =p = o (mod q), 
ce qui est évidemment impossible^ puisque p etq sont suppose's deux nom* 



I 



I 



— iOO — 

bres premiers diSereats. En ajoutant k ces q --% criteriums le criterium a = o 
{mod q) OD a en tout ^ -« t crit^riuips distincts ; ainsi que nous V avons 
annoQcé. 

Puisque toute les racines de la congruence afl'^^ ^ i (mod q) donnent des 

crittfriums distincts* les ^ racines de la classe o donncront ^^ cri- 

4 4 

t^riums de la classe o, et ainsi des autres classes. Les q -^ i criteriums bi- 
quadratiques sont donc également partages entre les quatre classes» et le 

nombre des critc^riums de cbaque classe est — (q - i)- 

Si q est de Fune des deux formes 8/-i, sZ-rS» les criteriums biqua- 
dratiques de - ^ seront a^o ^ b= o (mod q)^ et les diyers criteriums 
b= ma qui correspondent aux diverses valeurs de m, que Tun peut déduire 
de la formule 

(i6) m = —g-^ 




en substituant pour a et s la partie réelle et le coefQcient de y - & àes 

racines de la congruence x^"^^ = t (mod q) mises sous la forme a -«- ^ ^ - t. 
Or cette congruence a q -*- ì racines ; nous avons vu (37) qu'aux deux racines 
réelles a«i,e«; aa-i^^cso, correspondent les deux criteriums ft= a, 

a = (mod q). Il reste donc ^ - 1 racines de la forme a + g ^ - 1 , où ^ 
n'est pas nul^ et auxquelles correspondent des criteriums determin^s par la 
formule (le). Or tous ces criteriums sont distincts et correspondent a des 
valeurs de m prises dans la suite t, 2, 3 • • • 47 -i. D^abord comme la ra- 

eine « ■♦• ^ ^ - 1 doit verifier la condision a* + e* = i (mod q)y il n'est pas 
possible que a soit egal a + t sans que ^»o> donc dans les q - i racines 
imaginaires que nous avons a consideVer a est diflferent de 1; aucune des 
valeurs correspondantes de m n*est donc egale k o. De plus une méme va- 

leur de m ne peut correspondre a deux racines differentes a + € ^ - 1 , 

«' •♦• 6 V--1 > car alors on aurait les trois congruences 

t:^ = Ì^ , «» + «' = !, «"+e'» = i(mod if); 

« OU p = ^ » gj ^ 

«(*-«) « (1 - « ') , , , 



— 101 — 
D^ailleurs la première congruence peut se mettre sous la forme 

En comparant cette congruence avec la précédente on trouve e = e' (^^ 7)» 
puisy de ce resultai et de la première congruence, a = a\ Les deux raci- 
nes ne seraient donc pas distinctes, contrairement k rhypothèse. Àinsi les ^ - 1 
racìnes imaginaires de la congruence x^'^^ = i (mod q) donnent ^ - i crité- 
riums b = ma (mod q)^ où les yaleurs de m sont les ^ ^ i nombres 1,2,3,... 
^ - i ; ajoutez les deux critériums a^o ^ b= o (mod q)^ vous aurez q ^è 
critenums diflférents. Du reste ces critériums seront également partages 
entre les quatre classes, car puisque deux racines différentes ne peuyent 

pas correspondre k un méme critèrium, aux ^ racines de la classe a 
correspondront ^^ critérìums de la classe o, et ainsi des autres classes; 

le nombre des critériums de chaque classe est donc — (^ ~ (- ' )* 

L' induction de Gauss sur le nombre des critériums et sur leur distribuì 
tion en quatre classes est ainsi complètemeut demontrée. 

40. Les formules (12) et (le) donnent immédìatement la raison des quelques 
autres propriétés des critériums biquadratiques^ que Gauss a signalées a la 
fin du n*^ 2S de son second memoire. 

Si le critèrium b = m a (mod q) fait partie de Tune des deux classes 0, 2, 
le critèrium oppose b ^ {q-m) a (mod q) fait partie de la méme classe > 
si au contraire le critèrium b= m a (mod q) fait partie de l'uoe des classes 
« ou 3, le critèrium oppose fait partie de la classe 3 ou i> de telle sorte 
que les deux critériums appartiennent k deux classes différentes dont les 
indices different antre eux de 2 unités. 

Cette propriété rèsulte de ce que deux critériums opposés b ^ma^ b^ifi^m} 
a [moà q) correspondent . k deux racines rèciproques. Gonsidérons d*abord 
le cas où ^ a 4 ^'^ "H I ; alors les critériums se calculent au mojen de la 

formule (12)—=/ • Gonsidérons les deux critérinms qui correspondent 

aux deux racine rèciproques a et ol = — (mod q)i le critèrium qui correspond 



10? . 



a la seconde racinc est--^m! ^f ^ — r- = - / ^ = - m (mod a): les 



— 4.1 



deux critériums sont donC opposés, b ^ m^, 6 = (^ - m) a (mod 47). De méme 
si ^ « 4 47' - i les deux critórìums qui correspoadent a deux racines recipro- 

ques a + ^^-i,a-e^-4 sont, d'apr^s la formate (io), -= — 7*- et -ei 

a ^ a 

— -- (mod ^). IIs soht donc opposés ; si fon désigne Tun par b=ma 

(mod ^j Tautre est & h (^ - m) a ^mod ^). Ainsi dans tous les cas deux 
crilériums oppos^s correspondeni a deux racines récijiroqaes. Or si T indice 
de ]*une des deux racines est i> T indice de la ideine rédproque est 4 ^' — i; 
ces deux indices sont Vun et Tautre = (mod 4) ou ^ 2 (cnod 4) si i est 
pair; par cons^quent les detix crit^riums oppos^s qui leur correspondent sont 
tous deux de la méme classe ou 2; mais si i est impair, les deux indices 
sont l'un de la forme 4 x •«- 1, Tautre de la forme 4 or -4* 3, de sorte que 
les deux crit^riums opposés qui correspondent a ces racines appartiennent, 
r un a la classe i et l'autre a la classe 3. 

41. Si dans le icas où q^Aq* -¥ i nous considerons deux critériums 
b = ma, b = m' a (mod q) qui cok*respondent a deux racines de signes con- 

traires a et - a. la formule (la) donne m = / m! ^ f d'où mm' 

^ /* = - 1 (mod q). DaAs ce cas les indices <des dettx racines ne diffk-ent 

entre eux que par l'indice ^^ de - i; les deux critérìums sont donc de 

la méme classe si q est de la forme 8 / -^ 1 , ils appartienneni à deux dasses 
dont les indices difF^renk tntre eux de deux nuit^s, si 47 « 8 / •«- 5. 

Supposant toujours 47 » 4 ^' + 1, còtisid^rons deux critériams qui corre- 
spondent k deux racines a et — • On aura m = / m' « - / mm' 

a « •♦• I, 'a —I, 

= -/*=! (mod q)f Or ^ans ce cas, si Ton désigne par i Tindice de la 

racine a, celui de la racine — est (47 -- «) - i '^ ; la difiì^rence des deux 

a ^' a 



a ""2 



diUerei 



4 / ou 4 / -f- 2, suivaìit que les deux le nointe'as ^ > ■ ' et / sont de méme 



^ 103 — ' 

parile cu de parile differente. On conclut de la que deux criteriums b = ma, 
b = m' a (mod q] lie's entre eux par la relation mm' ^ i (mod if) appar- 
tiennent a la méiQe ^ass^ ^ì, q étapt de la forme 8 / ^ i, l'un de ces cri- 
teriums appartieni a Tune des classes o ou 2, ou encore si, q é^ant de la 
forme 8/ + 5, l'un de ces critériuiQS appartieni a ISine des classes i ou 3; 
dans les aulres cas les deux crìl^rìums appartienAent à deuj^ qlasses dif- 
féreotes doni les indic^s diffèrent entre eni^ d^ 8 uqités. 

Les critenums calculés par la formule (le), dans le cas où q^Aq^ -i^ 
offrent des propriétés analogues a celles que nous venpns de demontrer. 

Considérons deux racines a-^ev^iy-^^-^GV-l» auxquelles correspon* 
dent les daux crile'riums b = ma^ b^m^ a (mod q). On aura : 

m = — g— , m = g— mm = gj— (mod q). 

- a " ì 

D'ailleurs la congruence «* -h •* = i (mod q), donne -g^ ■ h - i (mod q); 

les deux criteriums vérifiept douq U condilion ' mm' =- i (mod q). D' un 

autre coté les indices des deux racines soni i et (^ + i) - / ■4* 2 ^ leur 

q -h i 

différence 3 ^ 2 z est donc de là forme 4 / ou 4 / -t- 2, suivant que la 

2 

diffe'rence 2 .. i est paire ou impaire. On déduit de Ik que 

Deux criteriums li^s entre eux par la relation m^' =■ < (mod q) appar- 
U^nn^nt k la memo classe spit quand le nombre q étant de la forme 
8 / -*- i, Tun des criteriums appartieni a la classe o ou 2^ soit lorsque le 
ooipbre q étant de la forme 8 / rr 3, Tua des criteriums appartieni a Fune 
des classes i ou 3; au contraire les deux critenums apparliennent dans 
les aulres cas^ a deux classes doni les indices diffèrent entre eux de deux 
unile's. 

En combinant ce tb^forèma avec célui du n? précédenti relatif au chan- 
gement du stgne de m, on obtient la relation qui existe entre les classes 
auxquelles appartienaent deux criteriums b = ma, b = m a (mod q). Desir 
gnoQs par i rindice de la classe du premier critériupi b = ma (mod q). 
Si It nombre i est pair les deux criteriums b = ma, b ^ (q --m) a (mod q)y 
soni de la méme classe / (40); connujs les deux ciitéfiunis b^m^ a^b ^ 
(q -- m) a (mod q) v^riflent la condilion du dernier tbéorème m' {fj -r m) 



— 104 — 

= 1 (mod q)f CCS denx critórìums sont de méme classe si-^ est pair, ils 

appartiennent a deux classes dont les indices dìffèreat entre eux de deux 

unités, si'2 est impair. 

Si le nombre i est impair^ la classe du critérìum b ^(q -m) a (mod q) 
a pour indice / =fc2j la classe du critèrium b = m' a {moàq) est donc « *a 

si la diflfèrence ^Jli - {i :h %) est paire , c'est-a-dire si q est de la forme 

8 / -H 3; cette classe est i lorsque ^^ est pair, c'est-k-dire lorsque q est 

de la forme 8 / - l. En rèunissant les deux résultats obtenus nous avons ce 

théorème : 

Deux critériums b^ma, b^w! a (mod q) \\és entre eux par la relation 
mm! = - 1 (mod q) appartiennent a la méme classe lorsque, le nombre q 
étant de la forme 8/-1, Tun d*eux appartient k la classe o ou a la 
classe 2, ou encore lorsque, q étant de la forme 8 / + 3, Tun d'eux est de 
l'une des classes i ou 3 : dans les autres cas, au contraire, les d*eux crité- 
rìums appartiennent à deux classes dont les indices diflftrent entre eux de 

deux unités. 

Les propriétes des crìtériums biquadratiques de'montrèes dans ce n"* et 
dans le précédent sont celles que Gauss a énoncées, avec des notations 
diflférentes, au n' 28 de son second Mémoire sur les résidus biquadratiques. 

42. Pour competer la théoriè des r&idus biquadratiques nous démontre- 
rons les théorèmes de Gauss relatife a la classification du nombre 2. Ils 
échappent a la m^thode précédente ; mais ou y parvient d' une manière 
p. 367), aux deux comme 1* a fait Dirichlet (Journal de M. Liouville 1859, 
simple en recourant, équations 

p « fl* + 6% 2;> « (a +ìt)" -H (a - b)\ 

D'abord puisque p est résidu quadratique de tous les diviseurs de a, tous 
ces diviseurs sont réciproquement résidus quadratiques de ^, et lon a 
a¥p-'^ = i (mod p). De méme 2 p est résidu quadratique de a+ft; 
le nombre premier p est donc lui-méme résidu quadratique des divi- 
seurs de {a-hb} dont 2 est résidu quadratique, c'est-a-dire des diviseurs 
premiers 8 / =fc i, et il est non résidu quadratique des diviseurs premiers 
8 / * 3 ; réciproquement les diviseurs premiers sl^iàea^b s ont ré- 



~ 105 — 

sidus quadratiques de p^ et les autres sont noa rósidas qaadratiques. Leur 
produit a -^ b sera donc rósidu quadratique ou non re'sidu quadratique 
de p saivant que le nombre des diversus premiers 8/^3 sera pair ou im- 
pair^ c'est-k-dire suivant qùe a -^b sera de 1* une des deux formes 8 / ^ i 
ou de Tuae des deux formes 8/^3. Ou a donc dans tous les cas 



(A) 



/aj^\ ^ ^^ ^^> C(a+6).-|] ^ (^ ^ ^ip^l) (mod^) 



Or (a + ò)* •■ a* + ft* + 2 afe = 2 aft (mod p), 



(a + b)V^'^ s 27<'^'> a-;</^»>fcì'/^«> (mod p). 

Supposons que, t designant toujours la base de classification, les signes 
des nombres a et 6 vérifient la formule a '^bv = o (mod p) ; si l' on pose 
^^/ (mod p) on aura b^af (mod y^) et la formule précédente, eu 
égard k la congruence ai^'^*^ = i (mod^) devient 

(B) (a + b)\^^^^ = 2? <''-'' f'^^') (mod p). 
D'ailleurs on déduìt de la congruence - i s/* (modyo). 

La comparaison des congruences (A) et (B) donnera donc 

(i) 25^^'^'^ =/i-*^^ J-**' (mod p). 
(2) ai -* 2r<'^«> = (a/) i-* = ft *'* (mod p), 

ce qui est la formule de Gauss (Werke 11^ p. 96). 

La congruence (i) donne immédiatement la règie énoncée par Gauss au 
n^ 21 du premier mémoire (ibid. p. 80). En eflfet le caractère biquadratique 
de 2 est Oj 1 , 2 ou 3 suivant que tr^^^^^ se réduit , relati vement au mo- 

ab 
dule p, k i, f«r, -i,^*», et, conséquemment, suivant que — =0, i, 2ou3, 

(mod 4). Donc 

Le caractère biquadratique de 2 est 0, i, 2 ou 3, suivant que Ton a 

afe «8/, 8/-1-2. 8/-A-4, ou 8/ + 6. 

U 



— 106 — 

Prenons le sigae de a de manière a vdrifier la congrueace a = i 
(mod 4). Pour que la congrueace (il) soit toujours vérifiée il faudra 
de'terminer le signe de b au moyen de la congruence b^a t^ (mod p). 
Gomme a - l est multiple de 4, 6 (a - i) est multiple de 8, ab^b (mod 8); 
la règie de Gauss peut donc s' éaonqer de la manière suivante : 

Les signes des deux nombres a et b étant déterminés par les deux con- 
gruences a = i (mod 4), b = at^ {modp = 4CT + i«a*4- 6'), le caractère bi- 
quadratique de 2, relativement au module petsi la base tj est 0, i, 2 ou 3, 
suivaut que § b est de la forme 4/, 4/1-1, 4/-1-2 ou 4/4-3. 

§ f^. Loi generale de re'ciprocité pour les résidus de W^ puissances^ 

43 Quel que soit le nombre premier 71,. la méthode suiyie pour les ré- 
sidus cubiques permet de former^ au moyen des facteurs complexes Rh,k 
des nombres premiers, renfermés dans la formule p ^nu -¥ i, une fonction 
^ (p) qui donne lieu a une loi de r^c iprocité d* ordre N'^*"^ analogue a 
celle du troisième ordre que nous avons exposée plus baut. Cette loi de 
reciprocità est renfermee dans les deux formules génerales suivantes : 

1^ La fonction ^ (p) ^tant formée au moyen des facteurs complexes du 
nombre premier n o -^ 1 , de la manière exposée plus loin, si 1' on con- 
sidère un second nombre premier q^nq' ^i et que l'on* distribue en n 
classes les ^ - 1 racines de la congruence x"^"^ = 1 (mod q), en attribuant 
à la classe a celles dont les ìndìces relativement à la base t^ sont multiples 
de n et a la classe / celles dont les indices sont de la forme mr 4- i; enfin, 

si Ton pose t^ * = ^ (mod q)j la valeur de Texpression ^ (^) (mod q) 
détermine la classe du nombre q relativement au module p} le nombre q est 
residu ou non résidu de puissance n^"^ pour le module p^ suivant que la va- 
leur de Texpression ^ (P) (mod q) est elle mème un r&idu ou un non re- 
sidu de puissance n*^"^ pour le module q ; de plus le caractèi*e d ordre n*^"^ du 
nombre q relativement au module p ei at la base t est le mème que celui 
de ^ ((3) relativement au module q et a la base tj. 

2° Siy conjointement avec le nombre premier p^nta-h ty on considère 
un nombre premier nq' ^ i^q et qu'on distribue en n classes les nq' ra* 
cines complexes de la congruence x^"^' = 1 (mod q)^ en attribuant a une 
méme classe i celles dont les indices relativement k la base r sont de la 
forme nx-^ii si Ton pose en outre r^'=/i (mod^), les espressions ^ (13), 



— . 107 — 

4» (P"*') se rédttiront suivaat le module q a des raciaes de la congruence 
or^"*"? = 1 (mod q)^ et la classe / de Texpression ^ (P"*') relativement au mo- 
dule 47 et k la base r a le méme indice / que celle du nombre q relati- 
vement au' module y9 et a la base t. 

44. Quand le nombre n est supérieur a 4 on peut considérer des nom- 
bres premiers n q* ^ t^nq'^ <Ty en désignant par 9 un nombre entier com- 
pris entre letTi-i; peut-on établir des lois de reciprocità d*ordre n'*"" 
entré les nombres premiers de Fune de ces formes et les nombres premiers 
^«nn + i? La reponse k cette question depend d*un problbme qui n*a 
pas encore éié r^solu, celui de trouver les facteurs ìrréductibles en lesquels 
peut se décomposer la congruence 

o:**^' = i (mod q ^nq ^<t)^ 

dans le cas ou e est > i ^ et de decider si les racines de cette con- 
gruence peuvent s*exprimer par nq' puissances consécutives de Fune d'entre 
elles. Mais, a défaut de lois de réciprocite, on peut établir pour ces nom- 
bres premiers nq^^a des thdor^mes analogues k ceux que Ton d^duit des 
lois de reciprocità pour les nombres premiers nq^^\} ces théorèmes con- 
sistent en des crit^riums propres k faire connaitre, k priori, la classe a 
laquelle ils appartiennent relativement au module )9 et k la base t. Dans 
le cas où le nombre premier q est de la forme nq^ =fe 0- comme dans celui 
où q^nq^i^ ces critériums sont formes par des congruences relati ves au 
module q^ qui doivent étre v^rifiées par les coefficients de certains facteurs 
complexes Ra,;^ de py avec cette difierence que le degré de ces congruences 
croit en méme temps que le nombre q^ taudis que les crìtériums deduits 
des lois de reciprocità pour les nombres premiers ruf ^ 1 consistent en des 
congruences dont le degré ne dépenJ que du nombre premier n. Nous 
avons vu qu' elles sont du premier tlegré pour n»3; nous trouverons 
^ qu' elles sont du second degré quand n » 5, du troisi^me quand n»?, 
du sixième degré pour n»li, etc... 

Avant d'aborder la démonstration de ces théorèmes, nous exposerons la 
tbéorìe des résidus de puissances donnée par Cauchy dans le BuUettin de 
Férussac (t. 12, 1829), afin de nous servir de son théorème general pour 
établir notre théorie. D*ailleurs il n'est pas sans intérét de développer 
d'une manière complète les demonstrations que Tauteur n'a fait qu'in- 
diquer. 



— 108 — 

45. Noas supposerons d*abord quc l*on desigae par n un nombre positif 
premier ou compose, par p une racine primitive de Téquatioo or* » i et 
par t une racine primitive de p prìse comme base d'un sjsteme d*indices 
ainsi que nous Tavons expliqntf daus les préliminaires (9). Le theorème fon- 
damenta! de Cauchy consiste en ce que: 

Si ton forme successivement les poljrnómes 

R « R|,, R|,j Rj3 . . . Rg.fc^a , S « R|,, R|,a • . • Ri, »-., 

R^ S o bo + 1^1 P •*• ^1 P* + • • • + I^B-i p"""* 
au mojrens des facteurs R,,^ déftnis par la formule 

K^ - 2 P *"'• "" ^*"^^^*"' ^'^^^ (s - 1, 2, 3, . . . p-2) 

oi!^ les indices se rapportent à la racine primitive t j si de plus on désigne 
par q un nombre premier n 5 + e dont ì soit Vindice relativement au mo- 
dale -p et à la base l } on aura Véquation 

(I) pe [bo + b, p •*. b, p« + . . . ^ b„.i p»-'] - p<«-<'>' + q f (p), 

dans laquelle f (p) désigne une fonction entière de p dont tous les coefficients 
sont des nombres entiers. 

De pluSf quand on suppose que le nombre n est premier ^ la classe da 
nombre q relatis^ment au modale "p et à la base t est déterminée par 
la congraence. 

(II) i (n-d) s m (mod n)y 

oà le nombre m est déterminé par cette condition deduite de Véquation 

(1)9 que tous les coeffcients b^ , b, , b^ ^ . . . b^.^ divisés par q donnent 

un méme reste, à Vexception du coefflcient h^ qui donne un reste differente 

Notre formule (I) ne diff ère de celle de Gaucbj qu^en ce que le symbole 

I ^ I est rem place par sa valeur p'.. 

« 

Démonstration. De la forme nl-^a du nombre q et de ce que i est son 
indice relativemant au module y9 et k la base t on conclut que 

p^ «p% ^' = 7 (mod p)y ^' - ff^y 



— 109 — 
en sorte que Tod a 

(1) e.» - 6»' + p- ««'+« + p»» e***» + . . . + ^ F («,p) -p-'e, +y f («, p). 

D'ailleurs en applìquant la formule (q^ 9) 
on obtient successivement 

®l *=" ^i.i ®a > Qi "= Ri,i 1^1,1 ©3 > • • • ®i ** R|,i Ri,» • • • Ri,a-i ©a > 
®1 ==• Ri,i "i.a • • • Ri,ii-a P' 

Nous posons avec Cauchy 

(2) R « R,., R,,j . . • R|,n-a ì S « R,,, R,,, . . . Ri,a«., , 

en sorte que nous avons 

e; = R/9 , e; - e;^ ej - r^ s. pi. e, , 

et IVquation (I) devient 

e,[>^RlS-.p-'^=^F(é^,p). 

Multìplions les deux membres de cette ^quation par 9., et posons F {6 , p) 
9_, = F, (^ , p) j nous trouYons 

,p[>^R^S-p-']«yF. (é^,p). 

• 

Gomme le produit Fj {6 , p) est une fonction entière de p et de 9 dont tous 
les coefficients soot des nombres entiers et que nous obtenons ici une va- 
leur de cette fonction indépendante de 9, toutes les conditions du premier 
théorème auxiliaire (s) sont remplies ; de sorte que nous devons en conclure 
que F, (9 » p) se réduit a une fonction entière de p dont tous les coefficients 
sont des nombres entiers. On peut aussi supposer cette fonction r^duite au 
degré fi - 1 au moyen de IVquation irr^ductible de degré pi verifiée par la 
racine p ; on peut faire la méme supposition pour le polynóme pi R^ S - p'"'''' ; 
cette doublé supposition reduit Téquation obtenue a une identità» d*où Ton 
conclut que la fonction entiere de p a laquele se réduit F, (9 > p) a tous 
ses coefficients diyisibles par p^ en sorte que nous pouyons poser 

F»(^p)-/^/(p)» 
(a)/^fRfS«p-''-y/(p), 



— no — 

en d^signant par /(p) une fonction entière de p dont tous les coefficients 
sont des nombres entiers. Qu'on effectue les calculs iudìqués dans la for- 
mule R^Sy en ayant soin de réduire les exposants de p au dessous de n^ 
au mojen de Téquatìon p" « i » on trouvera 

Rf S « fc^ + ft, p + fe, p» -».... -*. fc„_, p"-» , 

et IVquation (3) pourra se mettre sous la forme 

(4) p^[K^b, p + 6, p» + . . .+ fc_. p»-'] -=p^»-'»' *7/(p), 

^ ce qui constitue la premiare partie du théorème de Cauchy. Pour Tautre 
partie nous devons supposer que le nombre n est premier. 

Désignos par m le r^sidu minimum positif du produit (n-fj)i divise' par 
n ; ce nombre m vérifie la congruence 

(II) (n - (t) I ^ m (mod n), 

de sorte que p*"-»'* » f. Supposons d'abord m < n - i. En retrancbant du 
premier mem bre de V équation (4) Texpression nulle ^^ [1 + p + p* -*-... + p"""*] 
fcrt_, on obtient 

Supposons en outre le polynóme /(p) réduit au degró n-2^ au moyen de 
IVquation p""' -♦• p""^* + . . . + p + i « 0. L'^quation obtenue n*Aant que du 
degrè /i - 2 par rapport a p doit étre identique et Ton en conclut que les 
diflférences 

sont toutes divisibles par q , a l'exception de la difierence b^^h,,^^ , qui 
yerifie la congruence ^ 

P^ (6,n-6«-i) = 4 (mod q). 

Donc tous les coefficients 60 i ^1 » ^1 » • • • ^n-i 9 divisés par 9, donnent 
le méme reste, à Texception du coefficient b^ qui donne un reste diflfi^rent. 
La méme chose a lieu si m « n - i ; mais pour réduire l'equation (4) au 
degré /i - 2 il faut alors retrancher Texpression nulle (/?? 6„«, - 1) (1 + p -*- p* ' 
•♦•... 4. p**"*), ce qui donne 

p^ (6o.6«-,) H- 1 •*• 0? (ft, - ftn«,) + i] p -h . . , + Otif (6^., - ft„.i) + 1] p"-* ^qf (p) . 



— m — 

et l'on conclut de la que toutes les différences bo - b^^^ , ft, - 6„_, , . . . 
ò^.j-ft„_, vtófient la méme congruence 

p^ {bg - 6^.,) + 1 = (mod ^) , (e « , 1 , 2 , . . /i - 2). 

Ainsi dans ce cas cornine dans le précédente tous les coeffieients &o 9 ^i 9 
^2 9 • • • ^n-i ^ divisés par q , donnent le méme reste, a Texception du coef- 
ficìent b^ « b^^^ , qui donne un reste différent. 

La classe du nombre q est donc facile à déterminer une fois que Ton 
connait les coeffieients b^ ^b^^ . . . b^^^ ; il suffit de les diviser par q » de 
remarquer V indice m de celui de ces coeffieients qui ne donne pas le méme 
reste que les autres, puis de résoudre la congruence (II) {n-a) i=m (mod n); 
la classe i du nombre q est la racine représentée par un terme de la suite 

ly 2y«*« f»"l* 

On peut aussi donnei* le caractère d'ordre n^^"** du nombre premier q et 
demander les condìtions que doivent vérifier les coefficientes ^o 9 ^i 9 ^a 9 • • • 
pour que ce caractère conyienne au nombre q relativement au nombre pre- 
mier /E? et a la base t. Tous ces coeffieients doivent donner le méme reste^ 
quand on les divise par le nombre q , a Texception d'un seuI, qui donne un 
reste differente et dont l'indice m est déterminé.par la congruence (II). Toutes 
les différences io"* ^1» > ^i " ^m 9 ^a - ^1» > • • • ^»-i -^« soQt congrues entre 
elles relativement au module q , excepté la différence nulle b^-^b^} elles 
vérifient la congruence 

(5) p^ {b, - 6 J + 1 = (mod q), 

d'ou l'on déduit 

b^^b.^p'f-'-l, (b^^b^T ^p-^i-^^--l=p^-''^l=p^^ (modq); 

nous obtenons ainsi 1^ théor^me de Cauchy , que toutes les différences b^ 
- b^j en supposant e différent de m , sont congrues a une méme racine 
de la congruence x^ =^'^* (mod q). 

46 Remabques I. La présence du nombre p dans la formule (5) la rendrait 
impropre au but de déterminer a priori les conditions que doivent remplir 
certains facteurs complexes de p^ pour que le nombre premier q soit de la 
classe donnée i 1 relativement au module ^ et k la base t d'après laquelle 
ont été calculés les coeffieients de ces facteurs complexes. Mais on évite cette 
difficulté en rempla9ant p par sa valeur exprimée au mbyen de ces coeffi- 
eients } on sait en effet que, quel que soit le facteur complexe Ra,a ^^ P> 
si r on désigne pur ao 9 ^i > • • • ^n-i ^^^ coeffieients , on a 



— H2 — 

Quand n^z on peut remplacer la coagruence (5) par une congrueoce ho- 
mogène. Veut-on esprìmer que q est résida cubique de p^ les coadìtions aé- 
cessaires sont que la différence 61-6^50 (mod 9), et que la valeur coni' 
mune, relativement au module q^ des deus difi)^rences 2^, - &o 9 ^a "~ K vérifie 
la congrueoce (5) ; mais on peut negliger cette dernière coudition, parce qu'elle 
est une cons^quence necessaire de la premiare, Ainsi daus le cas où n » 3, 
le caractère cubique du nombre q relativement au nombre p est 0» si b^ — b^ 
est divisi bl e par q; de méme il est 1 ou s suivant que le nombre q divise 
60- b^oubo-b^. 

II. Pour former les polindmes R, S il n*est pas nécessaire de calculer au 
moyen de la formule R,,jt = 2 p'"*''"*"*'"*'*'*»* tous les facteurs R,,it qui figurent 
dans les formules (t) ; d abord on peut abréger de moitié cette partie du 
calcul au moyen de la relation 

I»i»* ■* Ri,— *— I I 
qui se de'duit comme cas particulier du théorfcme suivant de Cauchy. 
Si la somme des trois nombres h^ k^ l est divisible par n^ on a 

En effet, en changeant Tordre des facteurs du produit 9^ Oj^ 6| on trouve 

©A ®A ©1 ■» Ra,* ®a+a ©i " Ra,a P I 

©* 6/ 0* ^^kiP 9 ©A 0/ 0* •=* Ra/ P* 
De plus, en suivant une méthode indiquée ausai par Cauchy dans le me'- 
moire cité, on peut remplacer le plus grand nombre des facteurs Rj^j^ par 
les resultats qu' on obtient en substituant a p dans Rj^i les puissances p% p^, 
etc. Pour abréger nous désignerons avec Cauchy par R| le facteur com- 
plexe R|,i et par R^ ce qu*il devient quand on y remplace p par p"*; puis, 
appliquant la formule 6^ « R^ 0^, nous obtenons successivement 

ej - R, e, , e} - rj ej - rj r, 64, . . . 

et enGn 

(7) ef - Rf "' Rf "' . . . R,m.i e,« 

1^ Si n a 2'" -<- i , on déduira de la formule (7) 
0| ™ ©1 0j = R^ Rj • . • Rj"i— I p y 

en sorte que Ton a R » R^ * RJ ... R^m-i. Ainsi quand n*est un nom- 
bre premier 2"" + i, comme 3 , 5, 17 , . • • il suflSt ds calculer un seul fa- 
cteur complexe de p , R,,,. 



— 113 ~ 
2.° Si n « 2*" + 2' + 1 , on aura 

e;=ef ef e, - Rf ' Kf^\.. r^«., rj'"' r|'"" . . . r,i-. e. w e, / e, 

D^ailleurs ©jw ©,/ ©i «= R^.ji /^^^i,»»^» 011 a ^onc 

R «=» ©" " R| Rj . . • R2in-ii R^ • . • Rj/— I Ri,a •• 

Àìnsi pour les nombres premiers n » i + 2' + a^ , comme 7 , li , 13 9 19» ... 
OQ doit calculer deux factèurs complexes de p j R|,| et R^,^' * ^^ 7 aurait un 

facteur complexe de plus a calculer pour les nombres premiers j +2* + 2* + 2', etc. ; 
eu un mot sì le nombre n est ecrit dans le syst^roe de numération binaire, 
on doit, pour former le polynóme R, calculer autant de factèurs complexes 
de p que le nombre n renferme de chiffres diS'^rents de zero moins un. 

47. Pour mieux faire comprende le théorème gduéral de Gauchy nous al- 
lons Tappliquer k la théorie des re'sìdus cubiques. Dans ce cas n - 3 , 
R»Ri, S»i ou Rj suivant que cr^i ou 2. Les coefficient b^ , b^ ^ b^ 
sont détermine's par la formule 

(8) R,H— « = (ao + a, p + a, p') ?+-" - 6, + 6, p + 6, p% 

dans laquelle les coefficients a^ ^ a^ , a^ sont les mémes qu'au n? 12 , de 
sorte que si Ton continue a poser 4 ^ = L^ -(- 27 M^ et a de'signer par L 
et M celles des racines des deux carrés L' , M' , qui vérifient les congruences 

L = 1 (mod 3) , L + (2 ^«^ + i) 3 M = (mod p) , 

on a 2 «o - ^1 ""^a™!- > ^i -^2 "^^ M. 

i."" Soit ^B5 = 3^-f- or. On alai, ara2, en sorte que Ton de'duit de la 

formule (s) b^^ a^ -^ 2 a^ a^ , 6, « aj + 2 a^ a, , 6^ = ^1 ■*• 2 ^o ^a- La con- 
dition nécessaire et suffisante pour que 5 soit résidu cubique de p est ex- 
primee par la congruence 

bj-b^^ («a - «i) («a +^i -2ao) «=»3LMso (mod 5) ; 

nous trouvons ainsi , pour la classe , les deux critériums déja obtenus 

Lb 0, M so (mod 5). 

Les critériums des deux autres classes se déduiraient de méme des deux 
congruences b^ — b^ , 60^1 = (mod 5). 

2? Soit ^ a 7 ss 3. 2 -f- i. On a ici I « 2 et 0- e i. Les expressions de b^^b^^ 
b^ y en fonction des coefficients a^ ^ a^^a^^^ sont les mémes que dans le 

15 



cas précédenti e est pourquoi les eritérmms de U classe o sont les deux 

coDgruences 

L 5 , H 5 (mod 7). 

3.* Soit ^«ii=»3. 3 + sj 5=3, c« 2. Les coefficients ft© > ^i > ^a sont 
déterminés par IVquation 

RJ « [a J -•- 2 a^ a^ + («; + 2 a» «o) P + («! -*■ « ^i «o) P*]* - *o + *i P + *a p'^ 
fco '=^(al'^2a^ a^ + 2 (aj + 2 «o «a) (aj + 2 a, «o) » 

fc, « (aj + 2 «o «a)* + 2 (aj -^ 2 a, a,) (il J + 2 «o «,) » 
é, « <«J -I- 24Io a,)* + 2(aJ + a, «a) (aj - 8 «o «a>- 

Les crìtérìums de la classe o se déduisent de la coagruence 

-^2a2-*4ai aa] = d{iDodii) ; 
or ir^ - aj - 2 «o (a, - a^) « - 3 L M , 

«l - ^J * * ^a K - «x) + ^ì - «J -^ 2 fli («o - «a) 

« I [27 :M* - L*] = I (16 M* - L') (mod li). 
La conditioa nécessaire et snffisante pour que li soit résidu cnbiqae da 

J 1 • L* + 27M' ^ . . , 

module premier p « est expnmee par la congruence. 

LM(4M-^L) (4M-L)so(mod ii) , 
doù Ton déduit que les critériums cubiques de la classe a pour li sont 

Lso,M = a,Ls4M,L57M (mod ti), 

ainsi qtie noBs TaTons déja trouvé par une autre méthode. 

Jusqu' ici les calculs sont encore assez simples ; mais ils se compliquent 
de plus en plus k mesure que Tob donne a ^ des raieurs de plus en plus 
grandes. 

4& Sans qu*ìl soit besoin d^un plus grand nombre d^exemples^ on volt as- 
sez que Tapplication da tfaéorème general de Cauchy a la recfaerche de» 
diverses ordres de critériums exigerait des cakuls fort compliqvés ; de plus 
ce théoreme ne manifeste aucune reciprocità proprement dite» exoepté le cas 
ou n«-2« Or il n*est pas ^ans intere t de savoir que la loi de reciprocité 
trouvée par Jacobì pmir les résidus cubiques n'est qu'un cas paiticulier 



— 415 — 

d'une loi plus generale ; quìi existe pour un nombre premier ti quelconque 
une fonction 4^ (p) form^e par les facteurs complexes Ra,ì( du nombre pre* 
niier /i » n cr -h i , telle qu'un nombre premier nq^ ±i^q soit i*ésidu ou 
non résidu de n^^""" puissance pour le module p , suivant que le fonction ^ 
(p) est elle méme re'sidu ou non r^sidu de n'^"'' puissance pour le module q. 
C est ce que nous allons démontrer au moyen de la formule 

(3);»«R«S-p''-^/(p) 

obtenue précédemment (45). Cette formule est vraie quelle qne soit la racine 
primitive p de iVquation x" » 1 » en sorte qu^elle ne cesse pas d*étre yé- 
TÌùée quand on y remplace p par tonte autre racine primitive de la méme 
équation. Si donc nous supposons n impairi nous pouvons remplacer p par 
p' , ce qui nous donne 

R2 et S2 désignant ce que deviennent R et S quand on y remplace p par p'. 
En retrancfaant de Téquation (3) cette dernière équation multipliée par p^ 
on obtient 

pi [R«S-p"R/s,]-y(/(p) -p"f{p')l 

Comme cette équation devient identique relativement k p lorsqu'on ramane 
ses deux membres au degré n - 2 par le moyen de IVquation irréductible 
p«-« + p"""* -♦-... + 1 « , comme aussi tous les coefficients du premier mem- 
bre sont multiples de p^ après qette réduction, il faut que les coefficients 
du second membre le soìent aussi; on peut donc poser 

/'(p)-p'7(pVp«F(p), 

en designant par F (p) une fonction entibre de p du degré n -- 2 et dont 
tous les coefficients sont des nombres entiers. Par la IVquation obtenue se 
mettra ^ous la forme 

(9).R« S-p'*Ra«S, = yF(p). 

49. Jusqu* ici d désigne Tun quelconque des nombres i|2y3... n-i. 
Nous allons dès k present considerer les deux cas pour lesquels il existe une 
réciprocite' proprement dite ; ce sont les cas où a a Tune des valeurs i ou 
n - i. Le polinóme S se réduisant k i ou k R suivant que or - 1 ou n - 1 , 
si Ton pose q^nq'-htjtcn^i^ on aura daDS les deux cas 

R«'-p"R/-^F(p). 



— ii6 — 

Afin d^idviter la confusion qui pourraìt résulter de ce qué le facteùr com- 
plexe Ra^a & c'té designé pFecédemment par R^ , nous poserons R « o) (p), ea 
sorte que notre formule devieudra 

(IO) 0) (p) ^'-p''a,(py«yF(p), 
tó (p) = R = R, , R,^, R,^3 . . . R,^„__, , e = =fc 1 , ^ = n y' + e. 

Supposons d'abord e»i, q^nq -^^ \.. Nous formerons pour le module q 
une classification d'ordre n*^"''' ayant pour base une racine primitive t^ du 
nombre q et nous poserons t^^ = |3 (mod q) , en sorte que |3 sera une racine 
primitive de la congruence a:"* = i (mod q). Or si nous remplagpns p par ^ 
dans Téquation (io) , cette e'quation, en vertu du théorème auxiliaire VII » 
se changera en congruence suivant le module q , et Ton aura 

(li) tu [i^Y - P'' « (PV = (mod q). 

m 

Je remarque d'abord qu'aucun des deux Dombres u (^) , u (P*) n'est divisible 
par q ; oa a, en effet , 

« (p) = R = ^ , 

P 

quaod on remplace p par |3 cette dquation, en vertu du méme tli^orème VII, 
se cliange en congruence suivant le module q , et l'on a 

« (|3) M ((3"') 5 « (p> (p-*) =^-' (mod p) , 

d*où l'on voit qu'aucun des deux nombres u ({3) , <u (|3*) n'est multiple du 
nombre q. Si donc nous posons 

"^'^^ =K(mod7). 



K aura une valeur finie et differente de zero ; désignant donc par / sou in- 
dice relotivement an module q dt a la base t^ , nous déduisons de la for- 
mule (il) 

K^'s^^'^=l3' = ^i^'' (mod q) 
t/u-i) = i (mod q). 

L'exposant q' (/W) est donc multiple de l'exposant ^ - 1 » /i ^' , auquel ap- 
partient la racine primitive t^ ; posant donc q' (/ --i) ^nq'. h et divisant 
par q' nous trouvons la congruence 



~ H7 — 

(12) y = i (mod n) , 

qui , eu egard aux défmitions des deux indices 1 et y, exprime nolre loi 
de rtóprocite' : 

Théorème I. 

« Etanù donnés deux nombres premiers p»nfj + i,q«nq' + i, on 
pei4t former avec les facteurs complexes R|,k de p une fonction ^ (p) de- 
finie par les deux équations 



tó (p) 



(*3) * (p) = -^, 0) (p) - R,„ R,,, . . . R,,^, ; 



si Von designe par t la base du sjstème d' indices emplojé pour le cai- 
cui des facteurs R^^i , par t, la base d^un sjrstème d' indices pour le mo- 
dule q , e^ qu^on pose t J' = P {mod q) , le caractère d^ordre /i'*'"*' du nom- 
bre q relativement au module j^ et à la base t est le mime que celui 
de la fonction ^ (|3) relativement au module q et à la base t|. >> 

Nous rappellerons ici que le caractère d'ordre n**""'d'ua nombre m rela- 
tiveinent a un module premier nx + i et k une base t est le reste , i> 
2 , ... /i - 1 obtenu en divisant par n V indice du nombre m' relativement 
au module /i j: + 1 et a la base t. 

Dans le cas où le caractère d'ordre n*^°** est zèro il n'est plus necessaire 
de considerer les bases ^ et /, ; la loi de réciprocite' s^énonce alors de la 
manière suivante : 

Théorème IL 

tf Etani donnés deux nombres premiers p«ncj + l, q = nq' + l,/a fon- 
ction i^ (p) e'tant de finie par les équations (13) , et (3 designant une racine 
primitive quelconque de la congruence x° = 1 (mod q) , le nombre q est 
résidu ou non résidu de puissance n'**^ pour le module p, suivant que 
^ (/3) est résidu ou non résidu de puissance n*^*^ pour le module q. » 

50. Supposons en second lieu e» — t, q —n c( — i. D'après la tbèorie ex- 
posée au commencement de ce mèmoire (5 et e) 9 si Ton désìgne par m uà 
non résidu quadratique du nombre premier ^ 1 les ;i q^ racines de la con- 
gruence 

(A) ar^"*"* 3 i (mod q ^nq^ - 1) 

peuvent se mettre sous la forme complexe a + 6 ^m et soni congrues anx 



— US — 

puissances successives d'une méme racine primitive r ^f -k- g ^m. Nous di- 
strìbueroDS ces racines en n classes o , i , 2, . . • n - i « en attribuant a une 
méme classe i celles de ces racines dont les indices , relativement k la base r, 
soni congras a i sui vani le module n, Enfin nous appellerons caractère 
d*ordre n'^"* d'une racine de la congruence (A) le reste 0,i,2,...oun-i 
de son indice divìsa par n. Cette classification d'ordre n^^°" des racines de 
la congruence (A) permei d' établir entre deux nombres premiers /i a n cr t- 1 
et ^ a n ^' - 1 une loi de reciprocità tonte semblable è celle que nous ve- 
nons de trouver entre deux nombres premiers /i anor-f tet^an^'-Mjla fon- 
ction de p qui donne lieu k cette loi est la méme que dans ce demier cas. 
Demontrons d'abord le fondement de cette reciprocità. Il consiste en ce 
que la fonction ^ (p) déGnie par les formules (13) jouit de cette propri^te' 

que, si Ton remplace p par p « a -t- & /m, racine primitive quelconque de la 
congruence x"^ ^ì (mod q^n q^ ^i) ^ ^{f) devient racine de la congruence 
(A). En eflfet , tu (p) étant un polyndme dont tous les coefficients sont des 
nombres entiers, on a 

G> (P) a o (a -f fr ^m) a A -i- B ^/n , 

A et B désignant deux nombres entiers. On a donc 

tzL 

(ù (P)^ a A^ + B^ ^m. m * + y (M + N ^m). 

D* ailleurs, par le tfa^orème de Ferma t et par ce que m est non residn 
quadratique de ^, on a 

A^ = A , B^ = B , m * = - 1 (mod q); 
notre équation réduite en congruence pour le module q devient donc 

w (j3)^ = A - B /m (mod q)f 

G) (P)^-»-' = A* - m B' (mod q) . 

D'un autre coté ^ étant suppose racine primitive de la congruence x" 5 1 . 
(mod q) vérìfie la congruence (A), et^ par consequent, les deux nombres a 
et b vérifient la conditien a^ - m 2^* = 1 (mod q)^ en sorte que la racine in- 
verse de |3 est a -* 6 ^7n = P""*. On a donc 

6) (|3) = A + B ^ , « (p-') - A - B \/ot 
« (P) M (p-') « A* - B* »». ' . 



l 



— 119 — 

Mais si dans iVquation 

a,(p) 0, (p-)-p»-' 

nous rempla^ons la racine p de l'equation irréductible ar""' + a: **""'+.. . 
-•- 1 =» 0, par |3, racine de la congrueace x**""* + jp*"^ •♦•...+ 1 = (mod q)j 
cette ^quation, en vrrtu du th^orème aaxiliare Vili se cliaoge ea congrueace 
suivant le modale q et Ton a 

tu (P) a> (p-») = p— • (mod q). 

en sorte que la fonction u (p) vérifie la congroence 

« (p) ^+« = p»-» (mod ^), 

quelle que soit la racine de la congruence oc*"* + x^^ + ... + 1 = (mod q) 
que r on désigne par p. On peut donc remplacer /3 par P'^ et Ton a 

0) (py+* = p"'^ (mod y). 
La comparaison des deux congruences obtenues donne la proprietà annoncée 



(B) (^}y** - * ^r* = « ('°°'i ^)- 



Pour pre'ciser notre loi de reciprocità nous prendrons P = r^' (mod q)j et 
nous remarquerons qu' en vertu de la formule (B) ^ (P') est racine de la 
congruence (A) pourvu que / soit premier avec n. Remplagons p par jS*"' 
dans r équation (10)9 ce qui, d*après la tfaéorème auxiliaire VII» la changera 
en la congruence 

« (P-')^' - P' « (p-y = (mod q). 






vp (P-')^' = P' (mod y). 



D^signons par j Y indice de 4* (j^""') relativement au module ^ et a la base 

r^f-^g ^nT, de sorte qu* on aura 4» (P""') = r' (mod q), et notre dernière 
congruence deviendra 

W^' = H^' (mod q), r^'^-'^ = i (mod q). 

Coinme la racine primitive r appartient k Texposant nq\ il faut que q^ 
ij-i) soit multiple de cet exposant; c^est pourquoi les indices 1 et / doivent 
vérifier la congruence 

j = i (mod n)f 



— 120 — 
qui exprlme notre Ioide róciprocité, savoir: 

Théoréme III. 

Etant donnés deux nombres premiers impairs p«=»ncr-»-t, q=«nq'^i, 
et la fonction ^ (p) de p étant défUiie par les équations (13), si Ton de-- 
signe par t la base du sjsteme d'indices dans lequel sont calculés les 
facteur R,^^, par v la base du systéme dUndices emplojé pour la classi- 
fication des racines de la congruence x^"*"* = 1 (mod q), et quon pose 1^' = 
P (mod q)', ^ (pr^) est racine de la congruence x^"*"' = {mod q) et son ca- 
ractère d'ordre n'*"* relatii^ement au modale q et à la base r est le méme 
que celai du nombre q relatis^ement au modale 1^ et à la base t. 

Quaad le caractère commun de ^ (jS""') et de q est la coasidération 
des deux bases ^ et r devient inutile; oq ^aonce de la maniere suivante 
la loi de réciprocité relative a ce cas: 

Théoréme IV. 

Etant donnés deux nombres premiers pann-t-t, q^nq'-i, la fon- 
ction ^ (p) étant définie par les formales (13) ^t ^ désignant une racine 
primitis^e quelconque de la congruence x" = t (mod q), le nombre q est 
résidu ou non résidu de n'^"* puissance pour le modale p, suivant que 
^ ((3) est résidu ou non résidu de puissance n^^"*^ pour le module q. 

5i. Occupons-nous maintenant de simplifier autant qtie possible la fon- 
ction ^ (p). Il faut d'abord réduire au plus petit nombre possible les facteurs 
Rj,^ dont il faut calculer les coefficients. C*est ce qu*on obtiendra ea re- 

courant a ]a formule (7) du n^ 46 et en supprimant dans le rapport — %- 

a> (p ) 

les facteurs communs ainsi que les facteurs de a> (p) qui pourraient étre, 
en vertu des formules (6)t égaux a des facteurs de u (p^. Nous éclaircirons 
cela par quelques exemples: 

i"" n«5«2' + i. En désignant R,,. par R^ on a (46) 

"(p) = R = R.^Ra, + (p)= "' 



a 



R, R4 
2** nsTe-B^-t- 2 + i. Dans ce cas. 



D 3 n 
0) (p) « R/ R, . R, R,,:, , 4* (p) = j^-rj^ -^' 



4 



— 121 — 

Gomme les trois nombres I9 2» 4 forment une somme égale a 7, oq a 
d'après les formules (e) R,,a = R2,4 ; ainsi 

R 3 

*^p)="r7r, 

Z"" 71 = 11=23 -#-2^1 a)(p)«R,*R%R4. R, R,.8jR,.8=R,.2; 

R ^ R 

R^^ R4 Rg Ra,4 

4** 71 « 13 = 2^ + 2' + i. Cu (p) = R,* R3' R4. R,* R, R„4, 

'4 



*(p) 



R^^ Ri. 

Ra^ R4* Rg Ra»8 
5** 71 - 17 « 2* -^ 1 . « (p) = R,® R/ R4* Rg, 

Ri* 

Les facteurs R^^^ soni détermin^s par la formule 

(14) R.„ = S P'"" "*" *'*"' ^'"""^ (^ « 1, 2, 3, ... . />-2.) 

La base t du système d'indices employé pour le calcul des facteurs Rjyjt 
est celle a laquelle se rapporte notre loi de reciprocità entre ^ (p) et q : 
nous Tavons dnoncée précédemment (49). 

Ainsi quand n est égal a 3, 5, 7 ou 17 la fonction ^ (p) est formée des 
diverses valeurs que prend le facteur complexe R,,! quand on y remplace p 
par les termes de la progression g^ométrìque p, p^»p\ p^ . . . j quand ti «11 
ou doit calculer deux facteurs par la formule (14), le facteur R|,| et le 
facteur R,,^. De méme quand n = 13 en doit calculer deux facteurs , 
R,,, et R,,4. 

52. Proposons-nous de déterminer le caractère d'ordre n'^*"® du nombre 2 
relativement au nombre premier ^ « ti 17 + 1 . Nous avons yu^ dans le cas 
des résidus cubiques, que le caractère de 2 se d^termine par la considera- 
ration du seul coefficient impair renfermé dans Ri,,. La méme chose a lieu 
pour toute autré ordre n'^"^ de résidus, tant que n désigne un nombre 
premier impair. En effet, le théorème de Gauchy (45) subsiste quand on sup» 
pose ^b2| et conséquemment SaO,ara2, SaR^^i. Les coefficieuts b^ , 
^19 • • • ^A-.i9 auxquels se rapportent le theorème de Gauchy, ne sont autres 

16 



— 122 — 

que les coefficients a^, a, , a, , . . . a„_, du complexe R^,, , en sorte que l'é- 
quation (4) devient 

a„ + a, p + a, p* + . . . + a,_, p—' = p'"-"" + 2/ (p), 

i d^signant Tindice de 2 relativetnent au nombre premier^ et a la base t 
du système d'ìndices eomploy^ pour le calcul de Ri^- ^^ donc nous de'si- 
gnons par m le residu minimum positif du produit (/i— 2) 1 (mod a), tous les 
coefficieats a^^a^^a^^ . . . a^^^ , divisés par 2, donnent un méme reste h 
a Texception du coeffìcient a^ qui donne un reste dìfférent h 4- (-t)^; on 
a donc 

«o "*" ^i + ^2 + • • • + fl«-i Snh-^ (-1)* (mod 2). 
D' ailleurs a^ 4- «^ + a^ + . . . + a^^^ =» p-2 ; 

on a donc, puisque netp sont impairs, 

h + (-1)* s 1 (mod 2), 

ce qui exige que A <= 0. 

Àinsi tous les coefficients du facteur complexe 

sont pairs a Texception d^un seul qui est impairj si Ton désigne par m 
Tìndice du coeffìcient impair, le caractère d^ordre n'^"**, 1, du nombre 2^ 
relatiyement au module /i et a la base t du système d'ìndices employé dans 
le calcul de Ri^y ^^ dtftermind par la congruence 

{n-2) i = m (mod n). 

D'ailleurs (n-2) = l (mod n)-, multipliant donc par la congruence 

précédente, nous trouvons le caractère i du nombre 2 déterminé par la 
formule 

(15) i s m (mod ri). 

Si Ton suppose /^o, m»o; la condition nécessaire et suffisante pour 
que 2 soit résidu de puissance n^^"*^ du nombre premier p ^nu -^ iesl que 
le facteur complexe R,^| de p soit de la forme 1 + 2 (Co + e, p + c^ p* + . - . 



123 



§ VI. Loi de réciprocité du cinquième ordre. 

53. Il suiBt de supposer n ^ $ daas le paragrapbe précédent pour obtenir 
les principeux théorèmes de la róciprocilé a laquelle donnéelieu la consi- 
dératioa des rósidus de 5°**' puissances. Soient donc 

p un nomhre premier 5 ci -«- 1 , 

p une racine primitive de V équation x^ ^ i , 

t une racine primitive de la congruence x^*"* s i (mod p)y 

prenons t comme base d'un système d'indices pour le module^ et parta- 
geons en 5 classes les résidus de p^ en groupant dans une méme classe i 
tous ceux dont les indices sont de la forme 5 or -f- 1. La classe o sera re- 
pr^sentée par la suite 

oùg = ^^ (mod p)', tous les residus de cinquièmes puissances pour le mo- 
dule p sont congrus a des termes de cette suite. De méme nous représen- 
terons la classe i par la suite 

et nous attribuerons a la classe / tous les nombres congrus aux diflférents 
termes de cette suite. Posons 

RiM = ? (p) = «o + «I P + «a P* •*- «3 p' •*• «4 P*- 

li risulte de la formule 
que le coefficient a' de f (p) est égal au nombre des termes de la suite 

1.2, 2.3,3.4,..,j(j + l),... (p-i) (p^^h 

dont les indices relativement au module p et a la base t sont de la forme 
5 or 4- /. La fonction ^ (p) de p, ([ui donne lieu a la réciprocité du cinquième 
ordre, et qui est définie (5i) par la formule 

(2)^(p)= ^'->' iJpLiJp), 

Ra>2 R414 t(p'")t(p*) 



~ 124 — 

se trouve ainsi étroìtement lice eux re'sidus des uombres doubles des nom- 
bres triangnlaires. 

Si l'on coosidère un second nombre premier q^^q -^i^ et qu*oa forme 
un sy stèrne d'ìndices pour le moduie q en prenant pour base une racine 
primitive f|, on déduìt du n^ 49, en y faisant n^s , la loi suivante de ré- 
ciprocitc entre les deux nombres premier p et q: 

Théorème I. 

Etani dotinés deux nombres premiers p=5o + i,(]=5q' + i, et la 
fonction ^ ip) de ^ etani déflnie par les deux formules (i)e^(2), t^indice 
i de la classe à laquelle appartieni le nomhre q, relatwement au moduie p 
et à la base t, est le méme que celui de la classe à laquelle appartieni 
le nombre ^ (ti^') relaiivement au moduie c[ et à la base tj. 

La classe o donne lieu a un théorème indépendant des bases ^et^g: 

TliÉCaÈME li. 

Les nombres premier p et q et la fonction ^ ip) etani les mémes que 
dans le théorème précédente si Von désigne par P uue racine primiii^^e 
de la congruencè x^ = i (mod q). le nombre q est résidu ou non résidu 
de cinquième puissance pour le moduie p, suivant que ^ (P) est réridu 
ou non résidu de cinquième puissance pour le moduie q. 

54. La réciprocite entre le nombre ^ =» 5 a + t et un nombre premier 
^ B 5 ^' -. 1 exige la conside'ratioa des raciues complexes de la congruencè 
j:^+» = 1 (mod q), Soìt r une racine primitive de cette congruencè, et po- 
sons r^' ^ P (mod ^ «5 ^' - i) ; |3 sera racine primitive de la congruencè 
x^ = ì (mod q)e et ^ (P""') sera racine de la congruencè x^"*"" = i (mod q)^ 
en sorte qu*on poui:ra poser 

^{t^-')ziri (mod q). 

Le reste de la division de T ìndice j divise par 5 est ce que nous appe- 
lons le caractère du cinqnième ordre de ^ (P"') relativement au moduie q 
et a la base r^ de méme que le caractère du cinquième ordre du nombre 
premier q relativement au moduie /? et a la base i est le reste oblenu en 
divisant par 5 V indice du nombre q relativement au moduie p et a la 
base t. La loi de re'ciprocite du cinquième ordre entre les deux nombres 
premiers p ti q consiste en ce que : 



— 125 — 



Théorème III. 



Le caractère da cinquième ordre da noìnbre premier q «=» n q' - 1 , re- 
lathement au modale premier p et à la base i, est le méme qae celai de 
^ (/3""*) relatii^ement au modale q et à la base r. 

Pour le caractère la considération des bases t et r est inutile: 

Théorème IV. 

La condition nécessaire et saffisante pour qae le nombre q soit re'sidu 
de cinquième puissance relati\fement au modale p est que V expression 
complexe ^ (P) soit congrue à un re'sidu de 5**"'' puissance pour le mo- 
dale q. 

55. Les the'oremes précédents permettent d'e'lablir des critériums propres 
a d^terminer les nombres premiers p doni q est re'sidu de cinquième puis- 
sance cu résidu de classe i. Ces crite'riums sont exprimds par des con- 
gruences homogènes du second d^grrf entre les coefficients ^ó > ^i » ^a > ^3 9 ^4 
du facteur complexe R,,, de p. Le nombre de ces critériums est^-i ou 
^ -(- 1 suivant que le module q est de la forme 5 ^' + 1 ou de la foime 5 ^' - i. 
Ces critériums sont e'galement partage'es entre les cinq classes, en sorte que 

chaque classe en renferme un nombre -qi car les critériums de la 

classe I s^obtiennent en e'galant» suivant le module^, rexpressioii ^ (tj^') ou 
^ {|3""') aux q' racines de la classe / de la congruence j:^"^* = i (mod q). On 
peut aussi remplacer les congruences du second degr^ par des congruences 
lìneaires; mais alors chaque critèrium est forme' d* un plus grand nombre de 
congruences, et le nombre des critériums est multipli^ par q ^i: i. Nous bor- 
nerons a de'velopper cela pour les critériums de la classe 0. 

i.® q^^q^-hi. Si Ton pose t/^'^^ (mod ^), on obtiendra les crite'riums 
de la classe en égalant, suivant le module q , Texpression ^ (|3) aux q^ 
résidus de cinquièmes puissances du module ^. Si Ton pose ^^ = g(mod^), 
on déduira ces crite'riums de la formule 

(3) ? (|3) (p (P) = g* tp (/3») ^ «3*) mod^), 

cn faisant successi vement A « 0, 1, 2, ... 7' - i, ce qui donne ra q' critériums. 
Mais il est évident que la condition exprimée par la formule (a) sera véri- 



•— 126 — 

fiee si prenant dans la suile o^ i, 2, . . • ^ -2 deux nombres m, n qui v^- 
rifient la congruence m -^ ns6h{mod q ^ ì), on pose simultanément 

(4) (p (P) s tr ? ((3») s ^.» 9 (P^) (mod g). 

Gomme la congruence m -^ n = s h (mod 7-1) admet 5 q^ solutions pour cha- 
que valeur de hj il correspond k chacun des critériums définis par la for- 
mule (3) 5 q' crite'riums formés chacun par le système de deux arguments 
linéaires. Le nombre des critériums de la classe est donc q^ cu 5 q\ q^ , 
suivant qu'on les prend sous la forme (3) ou sous la forme (4). Pour que 
le nombre q soit résidu de cinquième puissance de p il est nécessaire et 
su(Bsant que Tun de ces critériums soit vérifié. 

Soit ^ « il. Prenant pour base tj=2, d'où résulte ^ « 4 , nous trouvons 

? (|3*) = ^o "^ 5 a, •*• 3 «a + 4 «3 - 2 «4 , 

Gomme + i et - i sont les seuls résidus de cinquìemes puissances pour le mo- 
dule 1I9 les critériums de la classe sont donnés par la formule f (/3)' = 
:fe f (j3^) f (^^). Ainsi la condition nécessaire et suffisante pour que il soit 
résidu de cinquième puissance du module premier /? « 5 o + i est que la fa- 
cteur complexe R,,, de p vérifie Fune des deux congruences 

(a^ + 4 a, + 5 «j- Sflj + 3 «4)^ = =*: («o + 6a, + 3cZa + 4a3- 2^,) 

(«o ■+- 3 aj - 2 fla + 5 £13 + 4 «4) jmod il). 

En déterminant les critériums par la formule (4) on en trouverait 20 pour 
la classe o au lieu de deux. Ce sont les systèmes suivanls de eongruences : 

a^-^ a^^^a^ et ^i-t- 3 £12 = 4^4 (mod il); 

«o + ^i S 2 «a , «a + ^4 = ^ «I - 2 «3 ; 

«3 + ^4 s 2 a^ , «I - «4 34 ^a - 4 a3 ; 

2 a^ + 4 «1 + 9 ^a = 4 «3 , £1, - 5 «4 = 2 fl, •♦• 5 «3 i^tC . . . 

Il resterait a examiner si les 20 critériums de cette forme sont tous distincts, 
ou bien si quelques uns sont une conséquence des autres, en vertu des re- 
lations qui existent entre les coefficients a^ , di 9 ^a 9 ^3 ^ ^4. On a en efiet 



— 127 — 
A, B) C designant des fonctions homogènes quadratiques des coefiicients 

<3to > ^i > «a j • • • Posons p + — ca js ; 2 sera racìne de l'e^qualioa ìrróductible 

2* + z - 1 = , 

et Fon aura ^sÀ-2C-<-Bz-4-Gz'. Ces deux équations du second degré en z 
doìveat étre équivalentes ; leurs coefficients sont donc proportionnels : 

C B A-aC-^ 

li - 1 

On a dailleurs la relation lindaire ^o + «i + «»-♦■ ^3 +^4=/^ - 2 ; il existe 
donc entre les coefficients a^ , a , . . . dcux relations independantes de p. Savoir 

B « C , A - C = «o + «1 + «a + «3 + ^4 "♦" 2. 

En combinant ces deux relations avec les deux congruences qui forment 
pour le module il un crite'rium de la classe 0, telles que a2-^a3 = 2a4, et 
a|-»-3aa5 4a4 (mod il), on aura une sèrie de valeurs de Rj,, telles que si 
le produit Ri,i R4,4 ^p est un nombre premier , it sera résidu de cinquième 
puissance pour le module p. 

s."" Si ^ « 5 ^' - i , il faut d'abord résoudre la congruence 

(A) afl-^"^ s t (mod ^ « 6 y' - i). 

Si Fon dèsigne par r une racine primitive de cette congruence prise comme 
base d*un système d' indices, la congruence 

(B) 41 (P)3r5*+' (mody) 

où P S r^' (mod q)^ exprìmera que q appartient a la classe i relativement au 
module ^ et k la base t. Comme r**"**' admet y' valeurs distinctes, qui cor- 
respondent aux q^ valeurs A = 0, 1, 2 9 . . . ^' - 1 9 on déduira de la formule 
(B) q^ critériums de classe 1. Cliacun de ces critèriums consiste en deux con- 
gruences bomogènes du second degre' entre les coeQicients de f (p) » R,,, ; 
on peut aussi remplacer ces crite'riums par des-syst^mes de trois congruences 
homogènes du premier degrè j mais alors cliaque crite'rium quadratique sera 
remplacé pas ^ -h 1 de ces critérìums, et Ton aura pour cbaque classe un 
nombre de critèriums e^al a ^ q\ q\ Nous nous contenterons d*un seul 
exeraple , ^ « 19 9 et nous bornerons nos recbes aux critériums de la classe o. 

En prenaut r « 3 + 7 ^- 1 comme. base d*un système d* indices pour les 
racines de la congruence 

(A) . jc*^ s 1 (mod 19) , 



_ 128 — 

on trouve pour résidus de ciaquièmes puissaaces y-i , - i, - y-i , i j de 

plus P = r* = 7 + 3 yj^ (mod io). On aura (j) (P) = P + Q ^^ , P et Q dési- 
gnant deux fonctions lineaires et Iiomogenes des coefficients a^ , a, , . . . 

Gomme |3^ ne dìffère de |3 que par le changement du signe de ^^ , on aura 

(p (13*) = P - Q ^ , et P* + Q» = ^ (mod 17) . 
On aura de méme 

(p r) = P.4.Q.V^ et PJ+Qfs(mod 17) 

Pi ^^ Qi designant comme P et Q des fonctions lineaires et Iiomogenes des 
coefficients a^ ^ a^ , etc. 

Les quatre critdriums de la classe pour le module 19 se déduisent des 
congruences(p(|3') 9 (P*) s =*= q (pp , ^ (|3') (p (P^) = ± v^ ? (P? (mod 19) en égalant 
se'pare'ment, suivant le module 19, les termes indépendants de ^^ et les coef- 
ficients de ^=7. Ce sont 

p» ^ Q« = pp^ 4. QQ, et 2 PQ s PQ, - QP, ; (mod 19). 

F-Q' = -(PQ,-QP,)et2PQ = PP,^QQ,i 

P' - Q' = - (PP. ^ QO,) et 2 PO s - (PQ, - QP.) 

P' - Q» s PQ, - QP, et 2 PQ = -- (PP, + QQ,). 

Le premier critenum, qui correspond k la congruence f (PJf (P^) = ? (P)' » 
est e'quivalent a 20 crit^riums formés chacuu de trois congruences lineaires 
entre les coefficients ^o , a, , . • . de f (p). En effet, / designant l'un quelcon- 
des nombres , 1 ^ 2 , . • . 19 , on vérifie évidemment la congruence f (P^) 

<f (P^) = <f (P)* , si l'on prend en méme temps <p (P') = r' 9 (P) , y (p*) = r""' 9 
(P) (mod 19). 

Soit r' «= Tw + n ^- 1 et conséquemment r"' « m - n ^^ ; on aura 

P« -*• Q, V^S(m + n vCT (P ^ Q v/^), 
P ^ Q ^17 ^(m-n V^) (P -H Q V^) (mod 19) ; 

ce système, a cause de la congruences m^ -^ ri^ = i (mod 19) , revient a celui 
des trois congruences lineaires et bomogbnes 

(e) n P = (1 + m) Q , P, s m P - » Q , Q, s m Q + 71 P , (mod 19). 

Le premier criterium du second degr^ est donc remplac^ par 20 critériums 
du premier degr^, que Ton déduit des formules (e) en egalant successive- 
ment m-^ n y^ aux vingt racines de la congruence (A). Chacun des trois 






^- J29 — 

autres crìtériums quadratìques pourrait de méme étre remplacé par so cri- 
tériums linéaircs, en sorte qu^il y a, ponr la seule classe o, so crìtérìums 
formés cliacun de trois congruences lln^aires simullanées. 

Nous n'entrerons pas dans de plus amples détails au sujet de ces crité- 
riums du cinquième ordre, parce qu* ils n^offrent qu*un intérét purement 
tb^orique. Ea comparant ces résultats a ceux que nous avoas obtenus pour 
les résidus cubìques, on aper^:oit ais^ment combien les cons^quences des lois 
de reciprocità se compliqueot de plus en plus et deviennent de raoins en 
inoins praiiques, k mesure que Tordre de la r^ciprocité devient plus ^lev^. 

56. Gomme application du théorème general de Gauchy nous chercherons 
le caractère du cinquième ordre du nombre a relativement au module ^ » 5 
C7 -H 1. Si l*on suppose 7i«5et q^z , on al^Oya^a^Sa R,,| Rj,, et la 
formule (3) du n^ 45 devient 

i désignant V indice du nombre 3 relativement au module )d et a la base t. 
D'ailleurs, k cause de la relation identique i -t- s -f 8 » S, les formules (e) du 
n" 46 donnent R,,, <= R,,, , en sorte que, si l'on pose 

^i.i - ? (p) = «o + «1 P + «a p' + «, p' + «4 P* » 
on a (5) 9 (p) ? (p*) - p" = 3 / (p) 

?(p')?(p)-p'-3/(p')- 

Or, en réduisant au moyen de Tequation p^ » i , on mettra le produit f (p) 
9 (p^) sous la forme Ao + A, p -f A^ p' -*• A3 p^ •♦• A4 p* et Ton aura 

Ao + A, p + A, p* + A3 p^ + A4 p^ - p'=» 3/(p^). 

On conclut de la, par un raisonnement tout semblable a celui par lequel nous 
avons démontr^ la seconde partie du theor^me de Gauchy (46), que les coef- 
ficients Ao > A^ , . • . A4 divisés par 3 donnent un méme reste^ k Texception 
du coefficieni A^ qui donne un reste difFérent et v^rifie la congruence A^ - A, 
-1=0 (mod 3)j / désignant Tun des indices 0,1^2,3,4, différents de /. 
Gherchons la qondition necessaire et suffisante pour que 3 soit r^sidu de 
cinquième puissance de p. On doit avoir iaO, et par cons^quent A^- A/ 
— 1 s (mod 3) 9 / d^signant Tun des nombtes 1 » 2 > 3 ou 4. Gette condition 
nécessaire est en méme temps suffisante pour que Ton ait 1 » ; car si i 
est different de on a parmi les •conditions necessaires, A^ - A^ - 1 = (mod 3) j 
comme on peut dans la formule Ao - A^ - 1 =0 (mod 3) faire coincider la valeur 



— 130 — 

de / avec celle de i dans Tautre formule , il est eVidént (|ue les deux con* 
gruences ne peuvent pas étre vérifi^es en méme temps. L*une quelconque 
des congruences Ao-A, = i, Ao-Aasi,... (mod 3) exprinie donc la con- 
ditiòn necessaire et suffisante pour que 3 soit rósidn de cinquième puis- 
sance pour le modulc p. On déduit de la ce théor^me : 

Théoreme V. 

« Le nomhre 3 est résidu de cinquième puissance relatis^ment au mo- 
àule p, si le nombre ao (ao - a^ - a4) 4- (a, - aa) (a^ - 84) •♦• a^ 84 - i est divisi- 
ble par 3 , il est non résidu de cinquième puissance dans le cas contraire. » 
57. Gn obtient des critériums plus siniples pour determiner le caractére 
du cinquième ordre du nombre 3 en combinant l'^quation (5) avec celle quon 
en déduit en remplagant p par p* on trouve ainsi 

?(p')[?(P*)-P*'?(p)]-3[/(p*)-p**/(p)J 

^[?(p*)-p"t(p)] = 3?(p)[/'(p")-p'7(p)]-3F(p). 

Cette équation devient identique par rapport a p quand on rédait les deux 
membres au troìsième degré a Taide de Tequation p^-*-p^-4-...-t-i»o; comme 
alors tous les coefficients du premier membre sont des multiples de p^ it 
faut qu* il en soit de méme pour le second membre ; en sorte que fon 
peut poser F {p) ^ p (A^ -^ Ap + A, p* •*• A, p^) =»y9 F, (p) , en designant par F, (p) 
une fonction entìère de p dont tous les coeOScients sont des nombres entiers. 
On a donc 

?(p*)-p*'?(p)-3F.(p) 
ou encore, en rempla^ant p par p^ , 

T(p)-p"?(P*)-»F.(p4)-3(è, + ^p + ^p' + fc.p*+b4p*). 

Cette ^quation peut se mettre sous la forme 

(«) 2 K-fl*«-36«)p«-0(at = 0, 1,2,3,4), 

dans laquelle 1* indice e« est determina par la congruence 

(7) 3 £ 4. 4 e^ = a , ou e^ s 3 1 + 4 ot (mod 5). 

L'équation (0) ajant une racine commune avec IVquation irreductible p^ -^ p^ 
-I- p -t- 1 -« et étant comme elle du quatrième degré ne peut en dif- 



• • • 



— 131 — 

fórer que par un facteur Constant ; tòus ses coeflScients sont donc égaux 
entre eux, et comme Tun d*eux, celui qui correspond a la valeur a = 5-1 
(mod 5)9 se réduit a - 3 &«( , a cause de Tégalit^ 6^1^ ol 9 tous les autres coeffi- 
-cients sont ^gaux a ce méme nombre^ en sorte que l'on a 

(8) a^^ s a« (mod 3) 

pour tonte valeur de a , pouiTU que Cg^ vériRe la congruence (7). 

I? Soit i « 0. La formule ^ donne 61 «= 4, 64 =» i , e^ «= 3 , e^ « 2. Dans ce 
cas les deux dlff^rences a, — ^4 , a, - a^ sont diyisibles pas 3. 

2? Soit I > 0. On trouve 64,- = 4 1 , e< =^ 2 1 , e,/ = 1 , Co = 3 « , 63/ = (mod 5) 
Les deux diflférences Oq - ^3/ ^ A/ - (J^i sont divisibles par 3. 

Nous trouvons bìen ainsi des conditions nécessaires pour que le caractère 
du cinquième ordre de 3» relativement au module ^ et k la base t, soit 
égal a ou a i ; mais il y a lieu de demander si ces condition suffisent 
pour déterminer ce caractèrej» et de quelle maniere on peut le déduire des 
restes obtenus en divisant par 3 les coefficients du facteur complexe Rj,,. 
Avant .d*aborder la solution de cette question nous devons remarquer que les 
restes des cinq coefficients de R|,x divis^s par 3 ne peuvent pas étre tous 
egaux ; car si Ton avait a« = 3 c« + r pour les valeurs 0,1,2, 3 , 4 de T in- 
dice oc, on mettrait le facteur Rj^i sous la forme 

R|,i=3(Co+C, p+ . . . +C4p^) •^r(i+p . .. +p^) = 3/(p) 

et Toh en déduirait 

ce qui est irapossible puisque p est un nombre premier et que le* produit 
/(p)/(p*) ne peut, en vertu dn tbéorème II (2), avoir une valeur rationnelle 
sans se re'duire a un nombre entier. De plus les deux coefficients a« y a^^ , 

dont les indices v^rifient la formule (7) , sont congrus entre enx suivant le 
module 3. Il risulte de la que les seules hjpoth^ses quW puisse faire sur 
les restes obtenus en divisant par 3 les coefficients de Rj^^ sont que Tun 
de cts restes soit diffe'rent des quatre autres^ ou bien que trois de ees re- 
stes soient égaux entre eux et diflférents de la valeur commune des deux autres. 
Dans le preroies cas l' indice a du coefficient dont le reste est diflfi^rent des 
quatre autres restes doit étre ^gal a 1' indice e« qui lui correspond dans la 
congruence (7), car autrement on déduirait de la formule (s) que le coeffi- 
cient a^^ donne le méme reste , contrairement a 1' hypothèse ; on a donc 



— 132 — 

a = 5 - / (mod 5) f 

ce qui delermine le caraclère cberch^ /. Dans le secoad cas, c^est-k-dìre 
quand trois coefficieats de Rj,, donnent uà méme reste et que les deux au- 
tres donnent un autre reste, il faut examiner si a^ se trouve dans le pre- 
mier groupe, c*est-a-dìre s' il donne le méme reste que deux autres coeffi- 
cìents ; dans ce cas les deux coefficients qui donnent un reste diffe'rent de 
celui de Uq auront leurs indices liés entre eux par la relation (7). Soient donc 
a et 6 ces deux indices ; comme la relation (7) est r^ciproque nous pouvons 
prendre l'un quelconque des deux indices poùr a , lautre 6 sera ègal a e« 
et Ton aura 

€ = 3 < -I- 4 a y 1 = 2 (a •«- ^) (raod 5). 

Le nombre chercké i est donc déterminé par les indices a, 6 des deux coef- 
ficients qui donnent nn reste diff^rent de celui du premier coefficient a^. 
Enfin si un seul coefficient donne le méme reste que Aq > V indice a de ce 
coefficient correspond dans la formule (7) a la yaleur e^ » , et Ton a 3 1 
= a I /= 2 « (mod 5). Ce r^sultat est compris dans le prècédent, pourvu que 
Ton désigne par a et ^ les indices des deux coefficient qui donnent un reste 
commun, différent de celui des trois autres coefficients ; car dans ce cas on 
aura 6 a 0. Le caractère du cinquième ordre de 3 , relativement au raodule 
p et a la base t , est donc determina de la maniere suivante par la consì* 
dération du facteur complexe R|,| de p : 

Théorénb VL 

« Si Vun des restes ohtenus en dmsant par 3 les coefficients de R,,, 
est différent des quatre autres^ et quon désigne par a V indice du coef^ 
ficient auquel il correspondy le nombre cherché i sera déterminé par la 
congruence 

I = 5 - a (mod 5) ; 

Si aucun des restes n* est différent des quatre autres^ trois coefficientes 
donneront un reste commun et les deux autres donneront un autre reste ; 
soient 2if^ et a^ ces deux derniers coefficients : te nombre cherché i sera 
déterminé par la congruence 

I 5 2 (a -H t) (mod 5). * 
58. Afin de donner une s^rifcation numérique de nos ibéorèmes, pre- 



— 133 — 

nons p » 3i et proposons-nous de calculer le facteur R,,t ou 

(i) ? (P) - 2 pin^s ^in<iis^V (^« i, 2, • . • ^ - 2). 

Pour cela on prendra dans le Tables de Jacobi les indices des nombres 
successifs 2» 3» • • .^-Ì9 en reduisant ces iodices a leurs re'sidus minimums 
positifs sui vani le module 5, puis l'on ajoutera cbaque terme a celui qui 
le suit en reduisant cbaque somme suivant le module 5, et Ton gardera le 
premier terme tei quìi est; oa comptera le nombre de ces derniers résul- 
tats qui se r^duisent a o; ce nombre est a^ì de méme a^ est le nombre de 
ces résultats qui son ^gaux a /. On yoit dans le tableau suivant la maniere 
dont on peut disposer les opérations : 



ind {s + i) 
ind s 
ind s{s + i) 



2,3,4,0,0;4,l,i^2,4)2,3,i,3,3;l^3,2,4,2; 
092,3,4,0;0^4,l9Ì92;4,2,3,i,3;3, 1,3,294; 



2,0,2,4,0;4,0,2,3,l;i,0,4,4,l;4,4,0,l,i; 



ind {s -h ì) 

ind s 
ind ^ (5 + 1) 



i,l,4,0,0;4,3,2,0; 
2,1,1,4,0;0,4,3,2. 



3,2, 0,4, a; 4, 2, 0,2 



Ou trouve de la sorte a^ a s , n, » 5 , a^ » 5 , aa » 2 , a4 = 8. 

(2) 9 (p) = 8 + 5 p 4- 6 p* + 2 p^ + 8p*, 

D*après le théorbme du n. 52, relatif d'ordre n'^"^ du nombre 2, T indice 
tabulaire i du nombre 2 et 1* indice graphique m du coefficìent impair a„ 
dans f (p) doivent vérifier la congruence 

I s m (mod 5); 

2 

on a dans le cas actuelle m => 1 , de sorte que Tindice i du 2 doit étre de 
la forme 5 1 -f 2 ; effectivement le table de Jacobi donne i ^ i2. 

Sdit^a4i. La Canon arithmeticus conne f, «6, |3 = ^i® sio; dono 

f(P)s8-t-5|3-f-6^^4-2l3'-t-8|3* = a265852 (mod 41) 
f (|3') «84-5 ^'-«-6^^ 4-2^4-8 |3^ =6852 8= i7 
f (^*) a 8 4. 5 ^^ -t- 6 ^* 4-2 ^^ -h 8 ^ = 5 6 2 8 85 36. 



On a donc 



ind ^j/ (|3) « 2 ind 2 - ind i7 - ind 36 « 12 + 40 - 33-2 



17. 



— 134 — 

Le caractère da cinquième ordre de 41 relativement au module 3i doil étre 
aussi ^gal a 2; e' est ce qui a lieu ea eSet| car les mémes Tables qui 
ont servi a calculer f (p) donnent 2 cornine indice de 41 pour le module 31. 
Soit q « (0. Les racines de la coDgruence x^^ = 1 (mod 19), mises sous la 
forme « + |3 v^- i et rapporte'es a la base r « 3 4- 7 ^- 1, sont determine'es par 
la table suivante, où les argumente sont les indices des racines: 



Indices 





1 


2 


3 


4 


5 


6 


7 8 


9 



1 
2 


a 

|3 


3 

7 


-2 

4 


4 
-2 


7 
3 




1 


-7 
3 


-4 
-2 


2 
4 


-3 

7 


-1 




-3 

-7 


2 
-4 


-4 
2 


-7 
-3 



-1 


7 
-3 


4 
2 


-2 
-4 


3 

-7 


1 

9 




tf 

















Les racines de la congruence x^ ^ 1 = (mod 19) correspondent aux indices 
multiples de 4 ; ce sont |3 = r* = 7 + 3 ^-1, .0' = 2 + 4 ^-1, ^^ s 2 - 4 ^- i, 

P^ S 7 - 3 V^^. 

<p(|3)=8 + 5(7 + 3 v/^) + 6(2+4 ^^i) + 2 (2 -4 y/^T) + 8 (7-3 }f^i)=i + 7 V^^; 
<p(|3*)S8 + 5 (2 + 4 v/^)+6(7-3 V^^)+2(7 4.3 y^ITì) +8(2-4 ^11^) = - 5 + 5 yZ-H"; 
(f ((3*)= 8 + 5 (7 -e V^r7) + 6(2-4 |/rT)4.2(2 + 4y'^) + 8(7 + 3 v/^)= *-7 )/^f 

On déduit de la Ji (/3) = f''*"^^"^\ 7=^, = 2 + 4 i/ri ; 

^ ^'^ (-5 + 5v^-l)(l-7v/-li) ^ 

c*est effectivement une racine de la congruence x^* s 1 (mod 19) et elle cor- 
respond a l'indice 8. L*expression conjuguée ^ (P""") = 2 - 4 ^- 1 correspoud 
a l'indice 12, de sorte qu^elle appartieni à la classe (2) pour le module 19, 
reciproquement, d'apr^s le theorème III du n^ 52, le nombre 19 doit ap- 
partenir a la classe (2) pour le module 31. Et en eSet les Tables de Jdcobi 
donnent: ind 19 (mod. 3l) » 22. 

Yérification du théoréme VI (n* 57). - Cherchons le caractère du cin- 
quì^me ordre du nombre 3 relativement au module 31 et a la base 17 ado- 
pt^e par Jacob!. Les restes des coeRicients du facteur complexe R,,, ou f (p), 
divisds par 3, sont respectivement 



2,0,2,2; 



v^ 



— 135 — 

iious sommes dans le premier cas où Tua des restes differe des quatre au- 
tres; le coefTicient qui donne ce reste est a,; le caractère clierché est donc 
déte'rmin^ par la congruence / = 5 - s = 3 (mod 5). Le nombre 3 doit donc 
appartenir k la classe (3) pour le modale 31. Eflfectivement le Canon arithme- 
ficus donne ind 3 (mod 31) » 13* 

§ VII. Loi de reciproci té du septième ordre. 

59> On sait que les nombres premiers dunt la division par 7 donne l'unite 
pour reste peuvent se décomposer en la somme d'un carré' et du septuple 
d'un autre autre carré. L'analogie de cette décomposition avec celle du 
quadruple d' un nombre premier 3 A 4- 1 en la somme d'un carré et du pro- 
duit d'un autre carré multiplié par 27 porte k se demander si les facteurs 

complexes L ^^ ^-7 M des nombres premiers 7c7-t-i ne pourraient pas servir 
de fondement a une tliéorie des résidus de septièmes puissances analogue a 
celle que Jacobi a fondée, pour les résidus cubiques, sur la considératiou des 

facteurs complexes des nombres premiers 3 A + 1. Dans cette 

dernière théorìe la valeur de l'expression -rr- (mod q)^ ou q désigne un 

L* + 27 M' 
nombre premier difFérent de «^, suffit pour déterminer le cara- 
etère cubique de q relativement au modulc p. Le rapport -rr- des deux 
nombres qui vérifìent l'équation 

^ = 7 o 4- f « L* + 7 M*, 

jouit-il d' une propriété semblable dans la théorie des résidus de septièmes 
puissances? la classe d'un nombre premier ^9 dans une classification du se- 
ptième ordre relative au modale py est-elle déterminée par la valeur de 

l'expression -^ (mod ^)? Nous verrons qu'il n*en est rien. La théorie des 

résidus de septièmes puissances est fondée, comme celle des résidus de cin- 
quièmes puissances, sur la considératiou de la fonction Rj^j de Gauchy, et 
la loi qui détermine la classe du nombre q relativement au module p met 

en évidence que cette classe est indépendante de la valeur de Texpression -^ 



— 136 — 

(rood q). Pour facìliter notre démonstration nous commencerons par montrer 
comment la représentation da nombre p par la forme L' -i- 7 M* se rattache 
au facteur complexe Rdx ; nous auroiis l'avantage d'obtenir ainsi une me- 
thode simple pour calculer les deux nombres L et M a Taide des tabies 
d*indices de Jacobì. 

Soient p uà nombre premier 7 ci 4- 1 , 

6 une racìne primitive de IVquation x^ » i , 

t une racine primitive de la congruence x^^^ s ì (mod p). 

p une racine primitive de l'^quation x^^ì. 

Les deux fonctions 6^ et K^^^ étant définies^ comme au n? 9, par les 
fojmules 

les formules fondamentales rappelees dans ce méme numero deviennent ici 

(1) QkQ^A^p, ^MfkK^kP. 

(2) Rau - 2 pkinds^(h-^k)ind U+„ ( j = 1 ^ 2 , . . . ^«2 ), 

(3) R,.5 - 2 P*"*^' ''^'' « «o + a. p -e . . . + «6 p^ 

m 

Dans la derni^re formule a^ désigne le nombre des termes de la suite 

i. 2 , 2 . 3 I 3 . 4 , . . . ^ (^ -H i) 9 . . . (/9-2) (/ti-l), 

dont les indices relativement au module p et a la base t sont de la forme 
ijo-^i* De plus le théoreme exprimé par les formules (6) du n* 46 nous 
apprend que la congrueuce A -f A: 4- / ^ (mod 7) entraine comme cons^quence 
les égalités 

On déduit de la que R,,, «R,^5^ que R,,j=» R2,4 = R,,4, D*ailleurs on d^duit 
successi vement de la formule 8^ 6;^ « R^^jt ^a^-a ^^^ équatione suivantes : 

©i* = Ri,i©a> ©a="Ra,a©4> ® 4 "^ ^4.4 ®i 

0j* Q\ 0*4 « R,,, Ra^j R4,4 0^ 0, 04 , 

R|.i Ra.a R4,4 " ®i ®a ®4 i 

0, 0, « R|,a 03 , 0| 0, 0^ « R|,a p ; 

et Ton en conclut que 

W Ri,i Ra,a R4,4 ^ P' ^i.a- 



— 137 ~ 

Il risulte de la que la fonction R,,» est sym^trìque par rapport aux trois 
racines p , p*, p* , et qu'ainsi on peut poser Ri,^ « Aq + A, (p + p' + p*) + A3 
(p' * P' - P'), 

2 R,.a = 2 Ao 4. (A, -h A3) (p + p" + . . , + p6) 4. (A, - A3) {p-^p'^p'^ p3 -p5 ^ p6). 

d*ailleurs p •<- p* 4- . . . -»- p^ « - 1 , p + p* + p^ - p* - p^ - p^ « * y/^ ; 
on a donc 

2 R„a-(2Ao-A,-A3)±V^-^(A.-A,) 

2 R,.6 - (2 A, - A. - A,) :f v^7 (A, - A,) 

4y:i-(2Ao-A,~A,)« + 7(A,-A3)\ 

Dans cette dernière équation les deux carres sont pairs, cai* antrement le 
second membre serait divisible par 8; posant donc 

(5) 2 A^ - A, - A, - 2 L , A, - A3 « 2 M , 

on a p^V -hi W. 

On sait déja par la théorie des formes quadratiques que tout nombre pre- 
mier p^i vs -^ 1 est décomposable en un carré augmenté du septuple d* un 
autre carré» et qu'il ne Test que d^une seule manière; ce que nous ob- 
tenons ìci de nouveau e* est une méthode pour calculer les racines des 
deux carrés. En effet, si nous faisons A a 2 , A: « 4 dans la formule (2) nous 
obtenons 

R..4 - R..a - S ?"-"'+"•"<'+" - A. + A, (p + p' + p*) + A, (p3 + p5 + p«). 
Pour calculer les coefficients Ao ^ A^ , A3 écrivez au dessous des nombres 

leurs indices réduits a leurs résidus minimums, suivant le module 7; ajoutez 
a l'indice de 2, le ' doublé de T indice de 2 a l'indice de 3, et ainsi de 
suite, ajoutant a l'indice réduit de chaque terme le doublé de Tindice ré- 
duit du terme qui le précède immédiatement j enBu réduisez chacune de 
ces /!> - 2 sommes a son résidu minimum positif suivant le module 7; A^ 
sera le nombre de ces sommes qui se reduisent a o. A, le nombre de celles 
qui se reduisent k i , et A3 le nombre de celles qui se reduisent a 3. Po- 
sant aloTS 2 A^ -A, -A3 «=2 L et A,-A3"2M[,LetM vérifieront l'équation 
p = L* + 7M\ 

On a aussi R,,, = L ± V^- 7, M, R_,,_a = L * ^- 7 M . 

18 



— 138 — 

60. Nous avons vu (51) que, dans le cas où u » 7 9 la fonctioa ^ (p) a la- 
quelle se rapportent les tb^oretnes geae'raux qui precèdent (49 et 50) est 
donnée par la formule 



K. 



+ (P) - n 2 R ' 

"2.2 "44 

dans laquelle R,,, » R|,5. Posant donc R|,, « f (p), on aura 

W?(p) = 2p'*"'""''"'=«o-^««P + «apV...-Ha6pS 

? (P ) ? (P ) 

1? Soit g =^1 q -^ i uri autre premier et t^ une racine primitive de ce 
nombre prise comme base d*une classifìcation du cinquibme ordre; les th^o- 
rèmes I et II du 0? 49; particularisés pour le cas où /i»?, pourront 
s*enoncer de la manière suivante : 

Théoréme I. 

La classe du septième ordre à laquelle appartient le nombre pre- 
mier q a 7 q' -h i 9 relatwement au modale premier p et à la base t, est 
de méme indice i que celle de la fonction ^ (|3) définie par les formules 
(e) et (7)y relativement au modale q et à la base t^, pour^u que V on 
prene |3 = t,^' (mod q). 

Dans le cas où £ « le tliéorème est indépendant des bases t ti t^. 

TUÉORÈNE IL 

V Si fon désigne par (3 une racine primitis^e de la congruence x^— i 
[mod q), le nombre q sera résidu ou non residu de septième puissance 
pour le module p, suivant qne ^ (|3) sera un résidu ou un non résidu 
de septième puissance pour le module q. 

2^ Soit un autre nombre premier ^ « 7 ^' - 1. Si l'on désigne par r une ra* 
cine priraitiye de la congruence a:^"^^ = i (mod q)^ prise comme base d'une clas- 
sifìcation du septième ordre, qu'on pose |3=r^' (mod q)^ l'expression compLexe ^ (^) 
est aussi racine de la méme congruence (50)9 ainsi que lexpression conjuguée 
^ ((3""'). Si donc nous appelons caractère du 7'"* ordre d'une racine de la 
congruence ar*^"*"* = 1 (mod q) le reste de son indice, relati vement k la base r, 



— 439 — 

divise par 7> et caractère du septième ordre d* un nombre réel, entier et 
QOQ divisìble par p^ relativement au module/?, le reste obtenu en divisant 
par 7 son indice relatif au module p et a la base tj la rcfciprocité du 
septième ordre entre les deux nombres premiers p et q est exprimée par 
les th^orèmes suivants (50): 

TafiORÈME HI. 

Le caractère du septième ordre du nombre q, relativement au module p 
et à la base t, est le mém^ que celui de Vexpression ^ (P""*), relatii^e^ 
ment au module q et à la base r. 

Dans le case où le caractère commun de ^ (j^'"')» et de q est le thé> 
rème est ind^pendant des bases t et r: 

Théoréme IV. 

Le nombre q est résidu ou non residu de septième puissance pour le 
module pt suivant que Vexpression ^ ((3) est elle-méme residu ou non résidu 
de septième puissance pour le module q. 

61. Les applicatioQS de ces théorèmes donaeat lieu a des remarques ana- 
logues a celles que nous avons faites préc^demment dans le cas des résidus 
de cinqnièmes puissances; nous nous bornerons a un exemple pour chacune 
des deux formes considérees du nombre q. Proposons-nous d'abord de d^ter- 
miner les nombres premiers ^ » 7 ci -*- 1 , dont 29 est résidu de septième puis- 
sance. Le nombre 29 « 4. 7 + 1, en sorte qu'ou a q^k. Prenant donc la 
racine primitive 2 comme base d'un système d'indices pour le module 29, 
nous aurons |3 = 2* = 16 (mod 29); de plus les résidus de 7°^®' puissances sont 
=fe I I ^ 12. Les nombres p dont 29 est rósidu de i^^ puissance sont donc 
ceux dont le facteur complexe R,,, = f (p) vérifie l'une des quatre con- 
gruences 

(a) 9 (16)^ = =*= T (24)* <p (25), 9 («6)^ = sfc 12 (j) (24)' (p (25) (mod 29). 

On trouverait de méme, pour chacune des aatre classes 1 , 2 1 ... 5 , qua- 
tre critériums formés chacun par une congiiience homogène du troisième 
degré entre les coefficients a^ , /Zj , . . . ^6 du facteur complexe R^i «^f (p). 
Cbacun de ces critériums du troisième degre' peut étre remplace' par d'autres 



— 140 — 

crit^riums formés chacun de deux congruences lineaires entre les mémes coef- 
ficients dTo , a, 9 . . . ^6* Posoas en eflfet: 

(b) ff (ic) = a: (j) (24) =7" 9 (25) (mod 29). 

Il est évident que la condition nécessaire et sufTisante pour que l'une des 
congruences (a) soit satisfalle cornine conséquence des deux congruences {b) 
est que les deux nombres x eijr vérifient la congruence 

(e) x^j'=t,^^ = ot (mod 29), 

dans laquelle a ou t^^^ désigne le resìdu de septième puissance auquel 
^ (i6) est égalé pour former le critèrium coasidére'. Or la congruence (e) 
admet 28 Solutions que Ton oblient en faisant successi vement x == i , 2 , z 9 
... 23, et en calculant la valeur de jr, qui correspond a cliacune de ces 

valeurs de x^ au moyen de la congruence J^ = — 5 (mod 29). Ainsi chaque 

criterium du troisième degró sera remplace' par 28 critèriums forme's chacun 
de deux congruences lineaires. chaque classe du septièmes ordre renfermera 
pour le module 29, 4 critériums du troisième degré, ou 4 X 28 critériums 
lineaires. 

En general, quel que soit le nombre premier ^ = 7 y' + 1 les critc'riums 
qui expriment que le nombre q apparlient a la classe i du septième ordre 
relativement au module /e> » f (p) f (p^) et a la base t soni repre'sente's par 
la formule 

(? (/3)^ = ^7*+' 9 (^V 9 (|3*) (mod 9), 

et leur nombre esl q' comme celui des valeurs de h qui donnent a ^,^*^ 
des valeurs non congrues suivant le module q. Chacun de ces critérìums 
peut étre représenté par un syst^me cquivalent de 9 - 1 crile'riums que l*on 
déduit, pour une méme valeur A de ^,^*^, des deux formules 

? (|3) =0:9(13*) =7 (p(/34) (mod q) 

x^ jr =k (mod q)y 

en donnant k x les valeurs 1 , 2 , . . • 9 - i, et en déduisant de la dernière 
congruence la valenr unique de^ qui correspond a chacune de ces valerne 
de X. Ainsi le i^ombrc des critérìums lineaires est 9' [q - 1) pour chacune 
des 7 classes. De plus les coefficients du facleur complexe 9 (p) doivent 



— U1 — 

verifier 4 tfqaatìons de conditio:i , Tune llnéaire a^ + a, + . . . + ae « ^ - 2, 
les trois autres quadratiques; celles-ci se déduisent de l' equation ^ (p) ^ (p^) 
-^ = 0, dont le premier membre, rais sous la forme d'une fonction enti^re 

de la somme p -^ — «z , doit étre divisible par le polynome z^ 4-2* -22-1. 

Une seule des trois equatioos de condili )n obtenues par cette di vision ren- 
ferme p, et elle le renferme au premier degré; en dliminant p au moyen 
dr la relation lincfaire )o =a, + «, + . . . •^ «g + 2 on aura trois éqnations de 
condition entre les coefficients du facteur complexe <p (p). Ces «fquations de 
condition font que nous ne pouvons pas affirmer que tous les critériums 
dont nous avons signale' l'existence soicnt difTérents les uns des autres j car au 
moyen de ces équations le méme crilèVium pourrait recevoir differentes formes. 
62. On pcut en dire aulant des criteriums que 1' on oblient pour les nom- 
bres premiers q compris dans la formule 7 ^' - i. Prenons d*abord pour 
exemple ^ « 13 = 2. 7 - 1 , ^' = 2. Les racines de la congruence x^^ = i 
(mod 13) rangees suivant Tordre croissant de leurs ìudices, pour la base 

r « 3 - 6 ^- 7 , sont 

1 , 3- 6 V/- 7, 4 + 3 V^, ~S-2 /^ , 5-2V^-7,-4+ 3 v/- 7 , - 3 -6 v/- 7, 
- 1 , - 3 + 6 V/-^ , -4-3 V^- 7, 5 + 2 V^ , -5 + 2 v/- 7, 4-3 v/- 7, 3 + 6 V^-7. 

On a (3 = r^ = 4 + 3 ^- 7 , et les re'sidus de septl^mes puissances sont + 1 
et-i. Si donc nous voulons esprimer que 13 est résidu de septième puis- 
sance pour le module premier /> == ? (p) 7 (p^)» nous devrons ^galer, suivant 

le module 13, la fonctiou ip (4 + 3 ^- 7) a V un des résidus de septième 
puissance du nombre 13, c'est-a-dire a + i oiì k l ; cu obtient ainsi lesdeux 
criteriums 

{a) (j) (4 + 3 \/^f = i ^ (6 - 2 V^-7)* <p (- 3 + 6 V^- 7) (mod 13). 

Cliacune des deux congruences renfermees dans cette formule se re'duit a 
deux congruences simultanèes P = Q , R = S (mod 13), où P , Q , R , S de'- 
signent des fonctions homog^nes et du troisième degré relativement aux 
coefBcienls a^ , a, ,.*• a^ de (p (p). On peut aussi remplacer ces criteriums par 
des congruences lindaires. Posons en eSet 

(b) 9 (4 + 3^-7) = x <p (5-2 ^- 7) =^ 9 (- 3 + 6 V^- 7) (mod 13); 

pour que ces deux congruences entrainent corame consequence la vérifìcation 
de r un des crit<^riums (a), par exemple du criterium tj/ (4 + 3 y- 7) 1 
(mod 13), il faut et iisuQlt que oret^soient des racines de la congruence 



— 142 — 

x^^ = i (mod 13) et que ces racines v^riflcnt la congraencc x^jr=i (mod i3) 
Prenons x^r\y^r^ (mod 13); la condition a^ jr ^i (mod 13) revient a la 
congruence 2 / -h m = (mod i4). On pourra donc faire successÌ7ement 
/ B , i I 2 , • . . 13» et a cbacune de ces valeurs de / od fera correspondre 
pour m la racine unique de congruence m ^ — 2 / (mod i4). Le critèrium 
4^ (4 4- 3 ^-7) E i {vcLòA 13) sera donc remplacè par 14 critèriums linéaires. Il 
en serait de méme pour l'aatre critèrium ^ (4 + 3 ^- 7) = - 1 (mod 13); aìnsi 
la classe renferme, pour le module 13» 2B ^ q (q-^ì) critèriums. 

En general, quel que soìt le nombre premier q « 7^'- i , en égalant, sul- 
vant le module q , ^ {^) aux rèsidus de septièmes puissances de q , c*est-a- 
dire aux racines de la congruence a*'^' = 1 (mod ^ « 7^' - l) dont les ìndices 
sont des multiples de 7, on obtient q' critériums formès cbacun de denx 
congruences homogènes et du troìsième degrè entre les coefficients a^ja^ v^e 
de f (p). Chacun de ces critèrinms peut étre remplacé par q + 1 crìtenums 
formès cbacun par un système de congruences linéaires que Ton dèduira de 
formules analogues aux formules (b) , savoir 

T (^) S j: ? m =jr <f (P*) et x^jr = i (mod q). 
La classe renferme ainsi q^ {q •^ i) crit<^riums ; pout que le nombre q soit 
rèsidu de 7"°* puissance relativement au module premier ^ « f (p) f (p^) j U 
faut et il suffit que l'un de ces critériums soit vérifie'. 

63. Les résultats obtenus dans les deux derniers num<fros nous permettent 
de dèmontrer tr^s-simplement ce que nous avons dit plus baut, que la classe 
d'un nombre premier q parmi les rèsidus ou les non rèsidus de septièmes 
puissances d*un nombre premier )E7 « 7 o 4- 1 ne peut pas se déduire du fa- 

cteur complexe L-4- y— 7 M de ^ , au moyen d*une congruence de la forme 
L ^ m M (mod q). En eflfet , quelle que soit la valeur de m dans cette con- 
gruence nous pouvons faire que le nombre q appartienne a une classe dé- 
signée quelconque, par exemple a la classe ; en d'autres termes, Tun des 
critèriums qui expriroent que le nombre premier q est residu de septi^me 
puissance àe p ^ par exemple le criterium <f (|3)* « <f (/3*) y (/3^) , peut étre ve- 
rifié , quelle que soit la yaleur de l'expression g (mod q). Ce critèrium sera 
vérifié si l'on a 

?((3)Sa(F(P')=*?(P*), a'fcsi(mod q). 
Or on déduit de ces congruences 

? (P) ? (P") ? (P^) = ^ ? (|3)^ = a <f (/3)3 (mod q). 



— 143 — 
D'aillenrs nous avous vu (S9) que 

R... K^ R4.4 = ? (P) ? (P*) ? (p*) - /> (L * V^=7 M). 

Si Ton remplace p per ^ cette equatioa se change en congraence suìvaat le 
modale q (s) et l*on a 

T (P) T (P') ? (P*) = A^ [L 4. / M] (modjf 
/ desìgnant Tune des deux valeurs de l'expression V^-7 (mod q). Soit donc 

(f{^f = Ap (mod ^); 
la comparaison des deux coogruences precédents donnera 

a A = L -f/M (mod q). 

Gomme a est complkement arbitraire, on peut prendre a volonte' le rapport 
L : M»m , pourvu qu'il ne se réduire pas a =fc /, c'est-a-dire pourvu que 
L' -»- 7 M' soit un nombre premier p difierent de q. Alors , en eSeti le nom- 
bre L-^/Mne sera pas divisible par q ^ en sorte que Ton pourra prof! ter 
de r indétermination du nombre a pour vérifier la congruence a A = L -f/M 
(mod q) j et , comme la yaleur de a ne sera pas divisible par q on pourra 
ve'rifier la condition a^ b = i (mod q) , en sorte que la fonction (j/ (P) étant 
congrue k 1 (mod q) le nombre q sera résidu de septi^me puissance du nom- 
bre premier ^ « 9 (p) 9 (p^) « L* + 7 M*. 

Ainsi la valeur de Texpression ^ (mod q) ne suffit pas pour d^terminer 
le caractère du septìème ordre du nombre q relativemeut au module premier 
L» + 7M'«;i. 

64. Le carattere du septi^me ordre du nombre 3 pcut s'obtenir par la 
seule considération des r^sidus des coeffìcients a^ , a, , ... ^6 de f (p) 
divisés par 7. Reprenons l'équation de Cauchy (n? 45) 

^eR?S-p--'c=^/(p), 

et supposons y « 3 , n « 7. Nous aurons | = o,a = 3, S« R,,x Ri, a > en sorte 
que nolre dquation deviendra 

R... R..a-p-"-3/{p). 

En y rempla^ant p par p' nous obtenons 

" Ra.a Ra.4-P' = !»/(?')» 

puis , par la combinaison des deux ^quations , en ayant ^gard à l'égalité 
R|,. - R..4 <5»). 



— 144 -- 

R... [R,., -P" R..0 - 3 (/(p)-p'7(p*)) '• 
P [R... -p'' Ra.J=3 R-,.-.(/(p) - p'7 (p')) = » F (P)- 

Si l'on suppose les deux membres de cette équatìon leduils au cinquième 
degrrf en p , a Taide de Tequalìon irréductible p^ + p^ + . . . + i «= o , le re- 
sultai oblenu doit étre identique par rapport a p, et , comme après cette 
re'duction Ics coefficients du premier membre sont multiples de ^ , il faut 
que ceux du second membre le soient aussi , en sorte que nous pouvons 
poser F (p) =- ^ F, (p) , 

{a) R,.,-p^' R..,«3F, (p). 
Cette equation peut aussi se mettre sous la forme suivante : 

{*) S (^« - ^* - 3 i«) p « « (« = 0, <, 2, . • . 6) , 

où r indice e est determiné au moyen de la congruence 

(e) 3l + 2e = a, e = 4a+2« (mod 7). 

Or Tun des coefficients de IVquation (b) se reduit a -s^a, c*est celui pour 
lequel on a e^ a = AÌ (mod 7). Comme cette equation (e) est de méme dc- 
gré que l'equation irréductible p^ + p^ + . . . •*• 1 = et qu'elle a une racìne 
commune avec elle, elle ne peut en difF^rer que par un coefficient Constant, 
en sorte que tous sts coefficients doivent étre dgaux au coefficient - 3 b^g* 
Ainsi la diflference a^e ~ ^^ ^^^ divisible par 3 toutes les fois que les deux 
indices a et e vérifient la congruence (e). 

1? Soit l'aO. La relation entre les deux indices a et e devient e =4 a 
(mod 7) ; aux valeurs a » 1 , 4 1 2 , correspondent respectivement e » 4 , 2 , 1 ; 
on a donc a, =aa = £14 (mod 3). De méme aux valeurs « = 3 , 5 , 6 9 corres- 
pondent respectivement e « 5 , 6 , 3 ; il en résulte que ^3 = ^5 = «e (tnod 3). 

2? Soit i > 0. Aux valeurs a z: , 2 / , 3 / la congruence (e) fait corres- 
pondre respectivement e = 2 / , zi j (mod 7) ; de méme aux valeurs 1 » 6 1 , 
5 / de a correspondent respectivement les valeurs 6 1, 5 1 9 i de e ; on a donc 

a^ = a^i = a^i , a, = a^i = a^t (mod 3). 

Dans Tun et Tautre cas six des sept coefficients de Rj,i sont partages en 
deux groupes de trois coefficients congrus entre eux suivant le module 3 ; 
le coefficint ai^i (dont V indice Ai doit étre reduit a son residu minimum 
suivant le module 7) peut cu n'étre congru a aucun des autres coefficients. 



— U5 ~ 

pour le module 3 , ou bien doiiner le méme reste que les trois coefficients de 
Tuo des deux groupes doDt nous venons de parler. Dans ce dernier cas 
quatre coefficìents de Rj^i dìvisés par 3 donneront un méme resle et les 
trois autres cocffìclents donneront un autre reste ; car ou démontre , 
corame nous 1 avons fait dans le cas ou n » 5 (57), que, si les coefficìents 
de R|,, étaient tous congrus eutre eux suivant le module 3 , le produit R,,i 
^6,6^/' serait multiple de 9, contrairement a riiypotli^se. La division par 3 
des coefticients a^ j ^i, , . . .a^j du facteur complexe R,,, presenterà donc 
Tun des deux cas suivauts : ou bicn Tuu de ces coefficients ne sera con- 
gru k aucun des six autres suivant le module 3, ou bien quatre coefficìents 
donneront un méme reste et les trois autres donneront un autre reste. 
Dans le premier cas soit e V indice du coefficient qui donne un reste dìf- 
ferent des six autres ; on aura e s a i (mod 7), et par consequent 

i = 26 (mod 7). 
Pans le second cas désignons par s la somme des indices des trois coeffi- 
cìents dont la dìvision par 3 donne un reste different de celui des quatre au- 
tres ; on aura la classe / du nombrc 3 parla congruence i^zs (mod 7}, 
car dans le cas où i est > les sommes des indices des deux groupes 
de trois cocfficients , autres que a 4, , sont -f 2 1 + 3 1 »- 5 1 , 1 + 5 / 4- 6 / = 5 1 
(mod 7); chacune de ces deux sommes vérifie la congruence j = 31 (mod 7), 
d*où Fon d^duit i = z s (mod 7) ; dans le cas où 1 » 0, les sommes des indi- 
ces des deux groupes de trois coefficients , autres que ai^i , sont 1 + 2^-4 
~o, 3-*'5 + 6=o (mod 7) ; la congruence i = z s (mod 7) don nera donc encore 
la valeur de 1. Nous pouvons r^sumer les résultats obtenus en disant : 

Théorème V. 

a Soit i la classe du nombre 3 dans une classiftcation du septième or- 
dre relativement au module premier p = 7 ci + 1 et à la base t ; cette classe 
est déterminée de fune des deux manières suivantes, selon les deux cas 
que peut offrir la division par 3 des coefficients a^ , a, , a^ , . . du facteur 
complexe R,,, de p ; il peut arriverà en effet , que Vun de ces coefficients 
soit Seul lì donne r Vun des restes o^ i ou %y ou bien que quatre coeffl^ 
ctents donnent Vun de ces restes, tandis que les trois autres coefficients 
donnent Vun des deux autres restes : 

Dans le premier casj soit a, le coefficient compris seul dans Vune des trois 
fornuiles 3I, 3I + 1, 3I-H2; la classe i du nombre 3 est déterminée par 
la congruence 

19 



— 146 — 

1 = 2 e (mod 7) ; 

Dans le second cas^ désignons par s la somme des indices des trois 
coeffcients dont la division par 3 donne un reste diffà'ent de celai des 
quatre autres^ la classe i du nombre 3 est détermine'e par la congruence 

i = 3 s (mod 7). 

65. Justifions nos tWorèmes par quelques applications numeriques. Soit 
p «= 29. Le calcul du facleur complexe R,,| « ^ (p) c= ^p'«*''<'+i) est comprìs 
dans le tableau sulvant, dont la première ligne présente les indices des 
nombres 2 , 3 , . • . f — f » réduits a Icurs résidus minimums suivant le mo- 
dule 7 , la seconde ligne oflfre Ics indices des nombres i , 2 , . . . reduits 
de méme suivant le module 7; enfin la troìsième ligne^ obtenue en faisant 
la somme des termes correspondants des deux preraières lignes, donne les 
résidus suivant le module 7 des indices du produit s {s-^ ì) pour les valeurs 
1, 2,-.. ^-2 de s : 



ind (^+i) 
ind s 



A, 6, 1, 4, 2, 6, 5^ 5, i, 2; 0^ 2, 3, 3, 2; 0, 2, 1, 5, 5; 6, 3, A, 1| 6; 4, 
0, 4, 6, i. 4; 3, 6, 5, 5, i; 2* 0, 2, 3, 3; 2, 0, t, 1, 5; 5, 6, 3, 4, IJ 6, 4 



ind S (j+j) 4, 3, 0, 5j O; 2, A, 3, 6, 3j 2, 2, 5, 6, 5; 2^ 2, 3, 6, 3; 4, 2^ 0» 5, 0; 3, 4 

Non aurions pu éviter la moitie' du calcul ; car a partir du terme mo- 
yen , qui est ici le 14*"*, les indices des produits ^ (j 4- 1) reviennent dans 
un ordre inverse, de sorte que les termes également distants des termes 
extrémes sont égaux. Les coefficients de R|^| sont a, » 4 , a, » , a, « 173 « 6» 
a4»fl5 =■ 4 , ^6"* 3. 

On a donc R,,, « <p (p) = 4 + 6 (p* + p^) + 4 (p* + p^) + 3 p^. 

L* indice e du coefficient impair est 6 ; nous concluons du théorème du 
n? 52 , (jue r indice 1 du nombre 2, relativement au module 29 et a la base 
tabulaire 17 doit vérifier la congruence 

/ = 6 := 4 (mod 7; ; 

et en efiet nous trouvons ind 2 (mod 29) = ti » 7 4- 4. 

Clierchons le caractère du 7™^ ordre du uombre 3 relativement au module 
29» par la considération du facteur complexe R^,,. Quatre coefGcients de 
ce facteur sont divisibles par 3 » tandis que les trois autres sont de la 
forme 3 / 4- i , savoir a^ , ^4 , ^75. La somme des indices de ces demiei*s 
coefficieuts se réduit a 2 suivant le module 7 ; nous concluons donc du 
théorème V (n? 64) que l'indice / du nombre 3 doit vcrifier la congruence 

1 = 3X2^6 (mod 7) ; 



— U7 — 

c^est ce qui a lleu en efiet, car le Canon arilhmeticus nous donne 

incl 3 (mod 29) = 27 - 3 X 7 •♦■ e. 
Pour verifier le théorème relalif a la solution de Téquation p ^V -^ i M*, 
il faut calculer R,,, = J) p/«rf(/+i)+a««rf * • ^'est ce qu'on fait en ajoulanl les 
termes correspondants de la seconde et de la troìsième ligne du tableau 
próce'dent relatif a R,,, , et en reduisant chaque somme à son reVidu pour 
le modnle 7 ; on trouve ainsi 

ìud(^+4)4-2Ìnd s=ky Oy 6, 6, 4; 5, 3, iy 4, 4; 4, 2, 0, 2^ ij 498,59 O9 1; 2, i,3, 2, J;2, 1. 

Le coefficient A, de R^,, est le nombre des termes de ce tableau égaux 

a « } on trouve ainsi A^ = 3 , A, = A^ « A4 = 6 , A3 => A5 = Ag = 2. 

Les valeurs de L et de M , d*apr^s la règie qu' il s*agit de vérìfier, sont 

2 2 

ce qui est exact) paisque Ton a 29 «- i^ + 7 • 2\ 

Soit ijr»43»6X7+i. La base tabulaire est f, «28 et les racines de la 
congruence o:^ - 1 = (mod 43) sont P = f J = il i /3* == 35 , /3^ ^ 4i , (3* = 21 , 
P^ = i6 , 15^ = 4. On a conséquemment 

? «3) = 4 (1 + 21 -f 16) + 6 (35 -^ 41) + 3 • 4 = 18 , (mod 43) 
9 (P*) = 4 (1 + 11 + 41) + 6 (21 + 4) + 3 . 16 = 23 , 
9 (P*) = 4 (1 + 35 + 4) -»- 6 (11 + 16) + 3. 41 = 15. 

L' indice de la fonction ^ (/3) relativement au méme module 43 se calcule 
par la formule 

ind 4* (|3) = 3 ind I8 - 2 ind 23 - ind 15 « 3 X 31 - 2 X 20 - 22, 

qui donne ind 4^ (^)» 31 «=4 X 74-3. Le nombre 43, d'après le th(^orème I (n? 60), 
doit étre de la classe (3) pour le module 29 ; effectivement les Tables de 
Jacobi donnent ind 43» indù =3. 

Pour ve'rifier le tbeorème III du méme n? 60 , prenons ^ = 41 «6X7--I. Les 
racines de la congruence x^ = 1 (mod 41) correspondent aux indices multiples de 6; 

ce sont, d'après la table donne'e plus haut, P = - 2 -f 9 y-s , |3* = 7 -f 5 y - 3 f 

P^ = 15 4- 12 y/IT , /3^ = 15 - 12 V^^ , P^ = 7- 5 ST^ , |3^ = - 2 - 9 ^~Z. 

On a donc 

9 (P) = 4 + 6 (7 H- 15) + 4 (15 4. 7) + 3 . (- 2) + V^^ [6 (5 + 12) + 4 (- 12 - 5) - 3- 9] 

= 13 + 7 ^^ (mod 41) 



— 148 ~ 

T (13') ~ - 9 - 16 ^^ , 9 (/3^) -17 + 3 V'^ ; 
9 (/3)3 = - iO + 19 V^^ , 9 (|3')* = «0 + V^ , 

, ... - 10 + 19 V'- 3 10 - 19 V^ , 

(10 + V-3) (n + 3 V-3) 3 - 6 V- 3 

On a dono ^|/ (P"') £h 20 - 20 V^- 3 (mod 4i). Or notre lable d' ìndices donne 
poLir cctte racine ind (20 - 20 V^-3) =» 28. Les valcurs de ^ ((3) , ^ (/3""') sont 
des résidus de 7"*' puissances pour le module 41 ; réciproquement le nom- 
Lre 41 doit élre residu de 7°*' puissance pour le module 29; cVst ce que 
vcrifie le Canon arithmeticus en dounant ind 41 » ind 12 (mod 29) » 11. 

66. Quoique notre sujet soit loin d'étre epuisé, nous nous arréterons ici 
dans nos recherclies sur les lois de reclprocilé. Nous avons vu que les 
theorèmes de Jacobi sur les re'sidus cubi(|ues ne sont que des cas particu- 
liers de tlie'orèmes plus gcu^raux ; que pour lout ordre n**"* de residus, pourvu 
que le nombre n soit premier, on peut former, au moyen des factenrs com- 
plexes R,,, des nombres premiers uts-^ì^ une fonction ^(p) qui jouit de propriétés 
analogues a celles que presente , pour les idsìdus cubiques^ le rapport con^ 

sìdéré par Jacobi r= — . Nous avons aussl de'moutre' les tliéorèmes 

L-3V^-3M 

énonces par Caucliy, sur le méme sujet 9 dans le Bulletin de Fdrussac et 
nous avons ìndique par quelques excmples les applications que fon en peut 
faire. Il resterait a montrer comment les résultats obtenus donnent la so- 
lution des mémes probl^mes dans le cas où n est un nombre compose'. Si 
les facteurs prcmiers de n sont indgaux il sufllt de combiner entre eux 
les résultats obtenus pour ces facteurs ; ainsi , pour ne douner qu*un exem- 
ple, on exprimera qu'un nombre premier 6 ^'=^ 1 est residu de sixième puis- 
sance d*un module premier ^ = 6 a 4- 1 , en combinant les critérlums qui ex- 
priment que q est residu quadrntique de p avec ccux qui expriment qu'il 
est reVidu cubiquc. Si le nombre n renfermc une puissance d\in nombre 
premier impair, on doit établir pour cette puissance des thc'orèmes sem- 
blables a ceux que nous avons donnés pour les nombres premiers; on y 
parviendra en suivant la roéthode cmployée pour ces nombres. Quant aux 
puissances de 2 , nous avons déja rèsolu le problcme pour n = 4 ; en sui- 
vant la mémc marche on le résoudrait pour u » 8; et ainsi de suite. Mais, 
quel que soit Tordre n des résidus cousidérés , nous ne faisons intervenir 
que des nombres complcxes dont Tcxistence et la formation se voient clairement. 



149 — 



COMUNICAZIONI 



Arsielliinj prof. Tito. — // Telefono. Il prof. T. Armellini presentò al- 
l'Accadeinia il telefono teste costruito in Roma dai sig. Harrassowitz e Schulz ; 
ne diede la descrizione, mostrandone il principio di sua azione, la sua mi- 
rabile semplicità di costruzione ; per la quale ì suoni della parola sono tra- 
dotti a grandi distanze col ministero della elettricità. Disse infatti Tistru- 
mento presentarsi a foggia di stettoscopio^ ed aver Tapparenza di un ma- 
nubrio di legno bianco terminato da uno svasamento a campana. Nel mez- 
zo della campana è un foro, cui risponde una sottil lamina di ferro ^ che 
entra in vibrazione pel suono che si produce, dirigendolo su d'essa a poca 
distanza. Un cilindro di acciajo calamitato ed armato con un rocchetto di 
filo di rame isolato, che traversa il manubrio di legno, genera delle correnti 
d' induzione, più o meno forti a seconda dell' intensità e dell'ampiezza della 
vibrazione delia lamina metallica. La corrente elettrica generata da quelle 
vibrazioni^ anch'essa si riduce ad una serie di onde o pulsazioni elettriche , 
che si trasmettono lungo i due fili che congiungono l'organo parlante y o 
suonante con quello ricevente, che è posto all'altra stazione, il quale è ap- 
plicato all'orecchio. 

La serie delle correnti trasmesse modifica a sua volta il magnete^ che è 
cagione perche la rispettiva lamina metallica si ponga anch'essa in vibra- 
zione, e riproduca fedelmente quelle dell' istrumento mittente : onde il suono 
torna a generarsi a distanza, e la parola e il suono si forma presso l'orecchio 
dell'ascoltante. È singolare la fedeltà con la quale i suoni sono riprodotti ; e, 
ciò che ^ più singolare, si è la fedeltà con cui i suoni mantengono quello 
che in acustica si dice metallo (timbro) della voce: per cui si riconosce la 
persona parlante, o l'istrumento suonante; benché questo sembra ridotto ed 
attaccato in quella guisa che una lente a menisco divergente impiccolisce 
l'oggetto o la persona che con quella si guarda. 

Mentre facciamo i nostri rallegramenti con i signori costruttori di questo 
ingegnosissimo apparecchio , ci auguriamo che esso in breve venga general- 
mente adottato , offrendo una utilità grandissima per le comunicazioni interne 
dei diversi stabilimenti, quali per esempio, i seminari , i collegi!, le case re- 
ligiose; arroge che l'acquisto dell* istrumento h di limitatissima spesa di pò* 
che lire, per una sol volta ; senza bisogno d'ulterior dispendio, per gli al- 
tri accessori, quali si richieggono negli ordinarii telegrafi , pel consumo e 



_ Ì50 ~ 

mantenimento deirapparecchio elettromotore , da cui il Telefono prescinde 
affatto ; essendo in esso una perenne e gratuita sorgente d'elettrico, quella 
cioè d*una calamita permanente. 

CiALDi COMM. Alessandro. — Presentazione di tre lavori. Il Comm. A. 
Gialdi offri in dono all'accademia tre sue memorie y la prima intitolata : 
(c Dei movimenti del mare sotto l'aspetto idraulico nei porti e nelle rive » : 
Taltra: re Porto di genova ecc. Appendice IH agli studii sui movimenti del 
mare sotto IVspetto idraulico nei porti e nelle rive )» : la terza : cr sulP il- 
luminazione e segnalamento dei littorali e dei porti. 

CiALDi comi. Alessandro. — Presentazione di tre memorie dei socio car^ 
rispondente sig. Comm, Bertin. 11 Comm. A. Cialdi presentò all'accademia con 
parole di elogio le seguenti pubblicazioni del socio corrispondente sig. Comm. 
£. Bertin, ingegnere delle costruzioni navali, dottore in diritto, segretario della 
società di scienze naturali e membro della società accademica di Cherbourg : 
1. <c Observations de vagues et de roulis, faites avec Toscillographe doublé 
K a bord de la canonière le Crocodile. » — 3. « Prìucipes du voi des oiseaux. » 
ff 3. Sur l'eifet comparatif des jets d'air comprime et des jets de vapeur d'eau 
(c lanc^s dans la chemin^e pour le tirage forcd cles cbaudières. » 

BoNCOMPAGNi Principe D. Baldassare. — Presentò a nome del eh. P. Pépin 
una memoria di matematica intitolata « Memoire sur les lois de réciprocité 
relati ves aux residus de puissances », che viene pubblicata qui sopra fra 
le memorie. 

COMUNICAZIONI DEL SEGRETARIO 

* 

i. Coiìiunicazione all'Accademia della dolorosa perdita da essa fatta nel 
suo protettore, TEmo Card. Filippo de Angelis, Arcivescovo di Fermo. 

2. Communicazione di una lettera delPEmo Caitl. Pecci, Camerlengo di 
S. R. C, colla quale l'È. S. si scusa di non poter presiedere la nostra 
prima adunanza ; e dice sperare di poter intervenire in altra adunanza. 

3. Relazione dell'Udienza accordata agli Accademici dalla Santità di N. S. 
Papa Pio IX, il giorno i9 Giugno J877, per la presentazione di un volume 
straordinario compilato in omaggio al s. Padre in occasione del Suo episco* 
pale giubileo, col titolo : « Trìplice omaggio presentato alla Santità di N. S. 
Papa Pio IX nel Suo giubileo episcopale dalle tre romane accademie ponti- 
ficie di Ardieologia , insigne di belle arti denominata di s« Luca , e dei 
Nuovi Lincei. » 



— 151 — 

4. Richiesta del sig. Prìncipe 0. B. Boiicompagnl di una sene degli Atti 
Accademici, voi. XXIV — XXIX per il Sig. Prof. Jacobi, che viene approvata. 

5. Lettere del eh. sig. Cav. Cornelio De Simoni in ringraziamento del 
volume straordinarìo sopra accennato a lui spedito. 

6 Ricevuta della spedizione degli Atti , mandala dalT I. Accademia delle 
scienze di Vienna. 

7. Lettera del eh. sig. Direttore dell'Osservatorio di Leiden , accompag^nante 
un catalogo bibliografico. 

8. Lettera di ricevuta dei nostri Atti, e di accompagno di alcune memo- 
rie spedite dal bibliotecario dell'Accademia delle scienze naturali di Stuttgart. 

SOCI PRESErVTI A QUESTA SESSIONE 

Prof. M- Azzarelli - Mons« F. Regnani - Dott. D. Golapietro - Prof. T. 
Armellini - Comm. A. Cialdi - Conte A. F. Castracane - Comm. C. De- 
scemet - Prof. G. Tancioni - P. F. Provenzali - P. G. Foglini - Prof. V. 
De Rossi Re - P. G. Lais - P. S. Ferrari - P. D. Chelini - Cav. G. Olivieri - 
D. B. Boncompagni - Pr<of. M. S. de Rossi, segretario. 



La sessione aperta legalmente alle ore a pom. fu chiusa alle 5. 



OPERE VENUTE IN DONO 

J. Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti dal novembre iSie alVoUobre 1877 

— Turno Terzo, Serie Quinta, Dispense 2*— IO* , — Tomo Quarto , serie Quinta , Dispense 
1"— 3" — Venezia ecc. 1877—78. In 8! 

2. Alti della H. Accademia delle Scienze di Torino puhlicati dagli Accademici Segretari delle 
due Classi, — Voi. XII, Disp. 5* (Maggio-Giugno 1877;, — Torino ecc. In 8.* 

3. BAKHUYZEN (H.G. v. d. Sande). — Catalogus van de Boeken op 1 januari 1877 Aanwezig 
in de Bibliotheck der Sterrenwacht te Leiden uitgegeven door H. G.v. d. Sande Bakhuyzen, ecc. 

— 's Gravenhage ecc. 1877. In 8? 

4. BELLAVITIS (prof. G.) Reale Accademia dei Lincei, — Sulla risoluzione delle congruenze 
numeriche, e sulle tavole che danno i logaritmi (indici) degli interi rispetto ai vari moduli. 
Memoria del Socio corrisp, prof. G, Bellavitis letta nella seduta del 3 giugno 1877. In 4.^ 

5. — Quattordicesima Rivista di Giornali presentata al R. Istituto veneto di scienze, lettere ed 
arti nel giugno 1877 dal Prof. Giusto Bellavitis ecc. In 8.<> 

6. B£RTIN (M". L.-E.) -< Sur Veffet comparatif des Jets d'air comprime et des Jets de vapeur 
d*eau lancés dans la cheminéepour le tirage force des ehaudiéres, par Mr. L,-E, Berlin, ^ In 8? 

7. — Principes du voi des oiseaux ; Par M, E. Berlin, In 4? 

8. — Observations de vagues et de roulis faites avec PosciUographe doublé , à bord de la ca- 
nonière le Crocodile, par JV . E, Berlin. In 4? 

9. — Les Vagues et le Roulis, — In 8.* 



— 152 — 

IO. BIANCONI (Gian. Giuseppe). — Considf razioni intorno ùlla formazione Miocenica del- 

rApennino. Memoria del Prof. Gian. Giuseppe Bianconi. — Bologna ecc. 1877. In 4.^ 
I i . BOETTCHEB (Arthur). — Mtmoires de l Àcadémie imperiale dei icieneei de St, - Peter sbourg, 

VW Sène. Tome XXII, A^ Il . — Neue Untersuchungen iiber die Rothen Blutkórperchen. 

Von Arthur Boeilcher. ecc. '— S(.-Pelersbourg, 1876. In A* 
12 BOLDU' (DoU. Roberto). -^ Ragione e Fede nel Moto sociale. — Studi del DoU. Roberto 

Poldù. — Finnzc ecc. 1878. in 8.«» 
13. — Della Libertà ed tguaglianza dei Culti. — Inttrprdazione giuridica del dottor Robevto 

Boldù. — Firenze, 1877. In 8." 
M. BOUTLEROW (M. A.) — Mèmoires de VAcadimie Imperiale dee Sciences de St.-P(tersbourg, 

VII*' Sèrie. Tome XXIII, A'** 4. — Condensation des Hydrocarbures de la Sèrie éthylénique. 

2, Sur V Isodibutylène, Vune des varictès isomèrigues de Voctylène, ParM.A, Boutleroutyccc. 

— St.-Pétersbourg, 1876. In 4.» 

Io. BREITHOF (N.) — Cours de Geometrie descriptive par N. Breithofecc. —Première Partic 

— Mctodes de prujections — l**" volume — Point — Lignc droite — Pian ecc. — Métbo- 
dcs de Projections I Projcclions Axonométriqnes ecc. — Louvain ecc. 1876—1877. In 4* 

16. — Cours de Geometrie descrittive par N, Brtithof ecc. — Surfaces Courbcs — Livre pre- 
mier, deuxicme. Iroisième ecc. — Louvain ecc. 1875, 1877. in 4* 

17. Bollettino dell' Osservatorio della Regia Università di Torino. ^ Anno XI (1876). —1877. in i* 

18. Bulletin de la Sociètè Imperiale des NaturaUstes de Moscou, — Publié sons laRédactioii 
du Docteur Renard. — Année 1877. -^ N« 1. — Moscou ecc., 1877 in 8T 

19. Bullettino Meteorologico delV Osservatorio del R. Collegio Carlo Alberto in Moncalieri ecc. 

— Voi. X, Num. 8—9, Agosto— Settembre 1875. — Voi. XI, Num. 8, Agosto 1876, Num. 9, 
Settembre 1876, Num. 11, Novembre 187r, la 4.o 

20. Bulletin de VAcadèmie Imperiale des seiences de St.-Pétersbourg. — Tome XXIII. Numeri 
3, 4 et dernier. — Tome XXIV. Numeri 1—3. In 4.' 

21. Cenni sul Lavoro della carta Geologica. — Estratto dal Volume 86 degli Annali del Mi- 
nistero d'Agricoltura, Industria e Commercio. — 1876. — In 8* 

22. CIALDI (AKssandro). — Illuminazione e Segnalamento dei Liltorali e dei Porti. Memoria 
di Alessandro Cialdi. — Roma ecc. 1877. In 8.* 

23. — Porto di Genova — Stato delf Idraulica marittima in Italia secondo deliberazione a 
maggioranza del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. — Roma ecc. 1877. In 8.* 

24. — Dei movimenti del Mare sotto V aspetto idraulico nei Porti e nelle Rive— Studiidi Ales- 
sandro Cialdi capitano di vascello , con tavole. — Milano ecc. 1876. In 4.*» 

25. D'ANDREA (Marchese) Alla Eccellenza Rma di Monsignore Salzano, Arcivescovo di Edessa, 
dell'Ordine de* Predicatori, Il Marchese d'Andrea. In 8? 

26. — Alla Eccellenza Rma di Monsignore Luigi Moreno^ ornato delle supretne divise dell'Or- 
dine de* santi Maurizio e Lazzaro, Vescovo d'Ivrea, patria dt Pietro d'Andrea, Conte di 
Iroia ; il Marchese d'Andrea, già Consultore di Stato, e poscia Consigliere di Stato. In 8.<* 

27. DE ROSSI — (Michele Stefano). Appendice ArchiUttonica e Fisica al tomo terzo della 
Roma Sotterranea. — Due memorie del cav. Michele Stefano De Rossi ecc. — Roma ecc. 
1S77. In 4.« 

28. DORNA (Alessandro). — Effemridi del Sol, della Luna e dei principali pianeti calcolate 
pir Torino in tempo medio civile di Roma pir l'anno 1878 dt Alessandro Doma. — To- 
rfno ecc. 1877. In 3.' 

29. ERRERÀ (Alberto). — Stona deW Economia Politica nei secoli XVII e XVIII negli stati della 
Repubblica Veneta, corredata da documenti inediti del professore Alberto Errerà, ecc. — Ve- 
nezia, ecc. 1877. In 8.* 

30. FRAAS (Dr. Oscar). — Festschrift zur Feier des vierhundertjàhrig(n Jubilàums d:r Ebe- 
rhard'Karls'Universitàt zu TUbingen am 9. August 1877, ecc. — Aètosaurus ferratus Fr. 
Die gepanzerte Vogel-Echse aus dem Stubensandstein bei Stuttgart b.sehriebenvon Dr. Oscar 
Fraas — Stuttgart, ecc. 1877. In 4? 



~ 153 — 

31. GILBERT (Ph.) — Sur certaine$ eonséquenees de la Formule èlectrodynamiùue d'Ampère, ecc. 
Par Ph. Gilbert. — In 8.* 

32. GRABLOVITZ (Giulio). ^ DeW aUraxùme Luni-Solare in relazione eoi fenomeni Mareo- 
Sismici. — Studi dimostrativi di Giulio Grahlovitz, — Milano ecc. 1877. In 8/ 

33. GRANATA GRILLO (Giuseppe). — Deteription de quelques eepices nouvelles ou peu connues 
par Joseph Granata Grillo. — Naples ecc. 1877. In 8.* 

34. — Conehiohgia vivente marina della Sicilia e delle Isole che la circondano ; opera del 
Prof Cav, Andrea Aradas e del Cav. Luigi Benoit. — (Eetratta dagli Atti dell* Accademia di 
Scienze Naturali, Serie IH, voi. VI.) — Catania, Stabilimento Tipografico di C Calatola, 
1870 1876. Nota per Giuseppe Granata Grillo. In 4.' 

35. GRUBER (Dr. Wenxel). — Mémoires de VAcadémie Imperiale des sdences de St.-Pétersbourg, 
VIP Sirie. Tome XXIII, N* 2. — Monographie Ober das Corpusculum Triticeum und ueber 
die Accidentelle Musculatur der Ligamenta Hyo-Thyreoidea Lateralia. ecc. Von Dr. Wenzel 
Gruber, ecc. — St.-Pétersbourg, 1876. In 4.o 

36. — Mémoires de VAcadémie Imperiale des Sciences de St.-Pétersbourg, VIP Sèrie, Tome XXIV, 
iV^ 3. <— Uber den Infraorbitalrand bei Ausschliessung des Maxillare superius von seiner 
Bildung beim Menschen. Mit vergleichend anatomischen Bemerhungen. Von Dr. JVenzel Gru- 
ber, ecc. — St -Pétersbourg, 1877. In 4.® 

37. HARRAVY (Albert). — Mémoires de VAcadémie Imperiale des Sciences de St.-Pétersbourg , 
\IP Sèrie. Tome XXIV, iVM. — Altjudische Denkmàler aus der Krim , mitgetheilt von 
Abraham Firkowitsch (1839— 1872( und gebrilft von Albert Harkavy, ecc. — St.-Pétersbourg» 
1876. In 4? 

38. HEER (Prof. Dr. Osiwald). — Mémoires de VAcadémie Imperiale des sciences de St.-Pé- 
tersbourg, VIP Sèrie. Tome XXII, N^ 12 et dernier. — Beitràge zur Jura-Flora Ostsibiriens 
und des Amurlandes. Von Prof, Dr, Oswald Heer, ecc. — St.-Pétersbourg, 1876. In 4? 

39. HOEPLI (Ulrich). — Cdtalogue Mensuel de la Libraire Franfaise de Ulrich Hoepli. — 
2« Année. Juin— Septemhre 1877. In 8.<> 

40. — Bullettino Mensile delle più recenti ed importanti pubblicazioni che vengono in luce in 
Germania, Francia, Inghilterra, America, Italia, Russia, Spagna^ ecc. — N? 6—9. Giugno — 
Settembre 1877. In 8.* 

41. Jahrbuch der kaiserlich hòniglichen Geologischen Reiehsanstalt. — Jahrgang 1876- XXVI. 
Band. N. 4. October, November, December. — Jabrgang 1877. XXYII. Band. N. 1. Janner, 

• Februar, Marz, — N. 2. Aprii, Mai, Juni. ecc. — Wien ecc. 1877. In 8.® 

42. L* Elettricista. — Rivista di scienze fisiche e loro applicazioni dedicata particolarmente al- 
Velettriciià, ecc. — Voi. II. — Num. 2. — Febraro 1878. — Firenze ecc. 1878. In 8.° 

43. --- L'Elettricista — Rivista Mensuale diretta da Lamberto Cappanera. Anno I. — Numeri 
6 — 10, 12. — Firenze ecc. 1877. In 4.' 

44. LINGENTHAL (E. Zacharià von), — Mémoires de VAcadémie Imperiale des Sciences de 
St.-Pétersbourg, VIP Sèrie. Tome XXIII, JV^ 6. — Beitràge zur Kritih und Restitution der 
Basiliten. Von E. Zacharià von LingenthaL ecc. — St.-Pétersbourg, 1887. In 4.* 

45. — Mémoires de VAcadémie Imperiale des Sciences de St.-Pétersbourg , VIP Sèrie. Tome 
XXIII, N<^ 7. — Die Griechischen Nomokanones. Von E. Zacharià von LingenthaL ecc. 
— St.-Pétersbourg, 1877. In 4." 

46. MASING (Leonbard). — IfmotVef de VAcadémie Imperiale des St.-Pétersbourg, VIP Sèrie, 
Tome XXIII, N"* 5. — Die hauptformen des Serbisch-Chorwatìschen Accents. nebst Éinleiten- 
den bemerhungen zur accentlehre insbesondere des Griechischen und des sanskrit. ecc. — Von 
Leonhard Masing ecc. — St. Pétersbourg, 1876. In 4? 

47. Monatsbericht der kòniglich preussischen Àkademie der Wissenschaften xu Berlin. — De- 
cember 1876. — Januar— October 1877. Berlin 1877 ecc. In 8.* 

48. NYRÈN (Magnits). — Mémoires de VAcadémie Imperiale des Sciences de St.-Pétersbourg, VIP 
Sèrie. Tome XXIII, iV* 3. — Das Aequinoctium fiir 1865,0 , ecc. von Magnus Nyrèn. — 
St.-Pétcrsbourg, 1876. In 4? 



— 154 — 

49. OETTINGEN (von Prof. Arthur) e WEIHRAUCH (Prof. Karl) — Meteùrologische Beo- 
bachiungen angestelU in Dorbat im Jahre 1875. redirgirt und btarbeitet van Prof. Arthur 
von OeUingtn und Prof, Karl Weihranch. — Zehnter Jafargang. •* II. Band. — > Heft 5. 
(Schlass.) In 8*. 

50. Otservatorio di Monealieri. -» Osservazioni Msteorologiche ecc. — Sede centrale ^ Torino 

— Anno VI. — Numeri VI, VII, Vili, X, XII. — Anno VII. — Num. II. 1878. In 8.o 

51. PALIARD. •— Le Raphael d^un Million. Par M. le Cùmandani Paliard, — Paris ecc. 
1877. In 8.0 

52. PRESSEL (Friedrich). — Ulm und spin MUnster, Festsehrifl |i»r Erinnerung an den 30. 
Juni 1877 von Friedrich PresseL — Ulm, 1877. In 8.' 

53. Polybiblion, *— Revue bibliographiqueuniversellepariieieenique'^Beuxihme sèrie. — Tome 
troisième. — XXI« de la collectìon — Première livraison. ^ Janvier — Troisième livraison. 

— Mars. — Partie littéraire — Deuxième sèrie. — Tome cinquième. — XIX« de la colle- 
ctìon » Première livraison. — Janvier — Troisième livraison. -^ Mars. ~ Paris ecc. 1877. In 8? 

54. Rassegna medico Statistica della città di Genova. — Anno 1877. Mesi di Marzo , Luglio , 
Agosto, Settembre e ottobre. In 4.» 

55. Rendiconto della R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche, — Anno XVI. — Fa- 
scicoli 5, 10, 11, 12. — Maggio, Ottobre, Novembre e Decembre 1877. ^ Anno XVIL — 
Fascicoli 1—2. — Gennaio — Febbraio 1878. In 4.* 

56. R. Comitato Geologico d'Italia. — Bollettino N' 1—10. — Roma ecc. 1877. In 8." 

57. SGHMALHAUSEN. (Johannes). — Mémoires de VAcadémie Imperiale des Sciences de St.- 
Pétersbourg, flP Serie. Tome JXIV, iV* 2. — Beitràge sur Kenntniss der Milchsaftbehàlter 
der Pelanxen. von Johannes Sehmalhausen, ecc. -7 St.-Pétersbourg, 1877. In 4? 

58. SIGFRID ULRICH (Axel). — XX. JahresBericht des Sehwedischen Heilgymnastischen In- 
stitutes in Bremen. Von Prof. Dr. Axel Sigfrid Ulrich ecc. — Bremen ecc. 1877. In 8.* 

59. Yerhandlungen der kaiserlich'honiglischen Geologischen Reichsanstalt. — Jahrgang 1876, — 
Wien ecc. 1885. In 8? 

60. STOPPANI (Antonio). — L'Unità dello Scibile. Discorso per la inaugurazione degli Studi 
del R. Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento in Firenze Letto il 17 novem- 
bre 1877 dal Professore Antonio Stoppani: — Firenze ecc. 1877. In 8? 

61. TUR AZZA (D.) — Commemorazione del professore Giovanni Santini Letta dal Prof. Do- 
menico Turazza. In 8.*" 

62. Ulm Oberschwaben Korrespondenzblatt des Vereins fur kunst und Alterthum in Ulm und 
Oberschwaben. — Zweiter Jarhang. Nr. 3 — G. 1877. In 4.* 

63. Yerhandlungen und Mittheilungen des siebeabUrgischen vereins fiir Naturwissenschaften 
in Hermannstadt. — XXVII. Jahrgang. In 8.0 

64. VIMERCATI (Prof. Ing. Guido) — Sul Cronotachigrafo Ferrerò, Relazione presentata al 
collegio degli Architetti ed Ingegneri di Firenze dal Prof Ing. Guido Vimercati. — Fi. 
renze ecc. 1877. In 8.» 

65. — Rivista Scientifico-industriale compilata da Guido Vimercati. In S»^ 

C6. WEIHRAUCH (Dr. Karl). — Zehnjàhrige Mittelwerthe (1866 bis 1875) nebst neunjàhri' 
gen StundenmiUeln (1867 (m 1875) fiir Dorpat (Br. 58° 22^ 47 1^^ L. 24» 23' 14'' » ì^ 2V 
33'^ ostlich von Paris) redigirt und bearbeitet von Ds. Kart Weihrauch, Professor der phy- 
sikalisehen Geographie und Meteorologie. — Mit 2 lilbographirten Tafeln. — Ergànzungsheft 
zum zweiten Bande der Dorpater meteorologischen Beobacblungen. In 8? 

67. WILD (H.) — Mémoires de VAcadémie Imperiale des Sciences de St-Pétersbourg, VIP Sèrie, 
Tome XXllI, N" S et dernier. — Mctiorologùche Studien. Von H. Wild, ecc. — St Péters- 
bourg, 1877. In 4.* 

67. WUrttembergische naturwissensschaftliche Jahreshefte. Herausgegeben von Prof. Dr. H. v. 
Fchiing, Prof. Dr. 0. Fraas, Prof. Dr. F. Krauss, Prot. Dr. P. v. Zech in Stuttgart. Dretund- 
dreissigster Jahrgang. ecc. Stuttgart, ecc. 1877. In 8.'' 



ATTI 

DELL'ACCADEMIA PONTIFICIA 

DE'NUOVI LINCEI 



SESSIONE II' DEL 47 FEBBRAIO 1878 

PRESIDENZA DEL PROF. MATTIA AZZARELLI 



MEMORIE E NOTE 

DEI SOCI ORDINARI E DEI CORRISPONDENTI 



FLORULA DEL COLOSSEO 

COMUNICAZIONI 
DELLA SIG/ CONTESSA ELISABETTA FIORINI MAZZANTI. 

Brachjrthecium-lutescens Dntrs. JSpil. Brjrol It. p. iis. 
Dioico; caule sericeo-flavescente a rami conferii, semplici, o fascicolato- 
ramosi; foglie folto embricate, lanceolato-acuminato-striate, sotto l'apice in 
obliquo ripiegate, integre, o subserrate, nervo oltre al mezzo evanido; 
peduncolo robusto, scabro; capsula ovato-oblunga^ curvata, o subcernua, 
pachiderma tica; operculo conoideo, attenua to-ottuso, mamillato; denti del 
peristomio robusti, striati, interni da ciglia gemine o singole distinti; 
cellule delle foglie terete-fusoidee, sub ottuse; spore lutescenti, sottil- 
mente granulate. 

• 
Hjrpnum lutescens Fior. Brjrol. Rom, p. 45. 

Sul podio. 

Bfijrnckostegium'Strigosum. DNtrs EpiL Brjrol li. p. so. 
Conferto-depresso-cespitoso ; caule inferiormente semplice , serpeggiante, 

21 



— 156 — 

radìculigeroi eoa l'eia marcescente ; superiormea te fascicola to-ramoso; rami 
patuli; foglie alquanto concave, nitide, fitto-patenti, triangolari, ovato- 
acute, attenuato-acuminate; nervo valido, sotto Tapice subitamente eva- 
nido, margini subdenticolati; in secco approssimati; capsula obliqua, 
turgido-ovata, leptoderma; operculo rostellato, anulo angusto; denti del 
peristomio alquanto lati croceo*lutescenti ; segmenti interni lancelato- 
cuspidati, da cigli gemini distinti, cellule delle foglie terete*quadrato fusoidee. 

Hjrpnum strigosum Fior, Brjrol. Rom. p. 47. 
Sovra sassi, e rottami dell'Anfiteatro. 

Rhjrncostegium Megapolitanum DNtrs epil. Brjrol. It. p. 73. 
Monoico; caule lungo e lassamente percorrente, lato-intrigato-cespitoso; dal 
verde pallido sericeo flavescente; foglie concave^ rado embricate, o piano- 
distiche, ovato-aculissime, od acuminate; margini minuto-denticolati; nefvo 
oltre il mezzo superante; peduncolo lieve^ capsula ovata, subpachiderma; 
operculo obliquo-rostrato ; anulo ed operculo deciduo, denti del peristomio 
validi, croceo-rosseggianti; segmenti interni, lato-lanceolato-subulati , da 
cigli gemini distinti. 

Hjrpnum confertum /3 Megapolitanum Fior. Brjrol. Rom. p, 4S. 
In più luoghi deir Anfiteatro. 

Rhjrncostegium tenellum DNtrs Epil. BrjroL It. p. 75. 
Monoico» ed esiguo; cauli fitto-cespitosi, serpeggianti, radicullgeri ; rami 
conferii deboli ; foglie tenui, lasso-embricate, eretto-palule, subunilate- 
rali, elegantemente piumose^ serìceo-nitide, carinato-canaliculate, di nervo 
fornite; capsula in sul peduncolo curvata, quasi orizzontale; operculo 
convesso-conoideo, obliquo-rostrato ; anulo in un con Toperculo deciduo; 
denti del peristomio pugnaliformi lungo-sabulato-carinati, da cigli gemini 
nella carena distinti; cellule delle foglie tenui, allungato*fusoidee> e ta- 
lora leggiermente sigmoidee. 

Hjrpnum tenellum Fior. Brjrol. Rom. p. 48* 
Sulle mura del podio. 



— 457 -^ 

Come siDonimi ho riportato i generi e le specie della mia antica Briolo- 
gia Romanai adottando gii attuali progressi degli illustri Schimper e De No- 
taris nella fusione delle famiglie in nuovi generi e specie. 

* •• 

É. 

Licheni. 

Sulle ardue e problematiche teorie insorte intorno la biologia dei Licheni, 
considerandoli non quali essere autonomi, ma bensì di parassitismo, sul giu- 
dizio che le cellule variamente conformate e colorate, connesse ali* ifo fjlo- 
meutoso del tallo^ non sieno già organi a loro propri, ma bensì di Alghe 
diverse, di che il principio Algo-lichenico. Grandi e vive discussioni sol- 
levò una tal teoria, e nella contraddizione dei pareri, e delle osservazioni sì 
h anche "ammessa 1* esistenza di due organismi indipendenti consociati ad uno 
strano ibridismo ; e che i gonidi, indipendentemente dalllfo si riproducono 
a modo di Alghe unicellulari, ed anco pluricellulari per mezzo di zoospore, 
le quali secondo altri non sono che Alghe accidentalmente intruse nel li- 
chene, e non a veri gonidi, onde ne seguono argomenti contro il principio 
Algo-lichenico. Flit innanzi trapassando altri ai gonidi imeniali nei primordi 
di apoteci verrucariacei, videro nel processo organogenico l'abbozzo e 
formaziono di essi, e sottomettendo a coltura le spore di alcuni licheni, 
nel loro sviluppo osservarono l'elemento Algo-fungino. Ma checchessia, la- 
sciando da canto le dette teorie, e le irresolute questioni, mi permetterò di 
richiamare una nota da me inserita negli Atti di questa stessa Accademia, 
ove dimostrava esistere nel Colosseo un anomalo organismo in forma di 
crosta biancastra che si spandeva sulle mura esposte al Nord, allorché le 
condizioni di umidità destano a nuova vita i minuti organismi cellulari. 
L'anzidetta crosta poi, quando ristretta infra le fessure, si mostrava più o 
meno verdognola. Prendendone a considerare il tallo lo vedeva costituito da 
un agglomeramento di granuli, donde uscivano in un brevi filamenti bifor- 
cati, o ramosi. Permanendo in tale stadio lo giudicava specie atipica; e rin- 
tracciandone la storia lo trovava da uomini illustri aver subito varie fasi 
di collocamento, e quindi di nome, perchè ora posto tra miceti, ora tra le 
Alghe, ed ora tra i Licheni, Infra i recenti autori, il chiarissimo Schaerer 
nella sua Lichenologia Europea forma appendice dei Licheni crostacei ad 
ignoti apoteci ; e nota ch'essi similmente offrono o i primordi di altri, o lo 
stato anormale di essi. Ripigliando ora T anormalità della mia descritta crosta 
che nomai Lichen atjrpuum latebrarum Fior. Mazz. Atti delV Accademia 



— 158 — 

de Nuosfi Lincei anno XXI f^y Sess. IP". Giugno isti. Strato più o meno 
esteso^ leproso, a piccoli fioccJu} granuli coacers^ati^ sferici, micro o macro- 
gonidi, germinanti brevi filamenti settati, alVapice biforcati o ramosi. 

Sporothricum latebrarum Link Hjphomjrcetes p. 5. 

Confer\^a Puheria Aghardh Sjst. Algarum p. 34. 

Lepraria incana ^ latebrarum. 

Àcharius Lichen. Unis^ers. p. 6$. 

Puheraria incana Meth. App. /?. 33i, 

Parmelia lanuginosa |3 sterilis Fries Lich. Europ. p. 89. 

NeirAnfiteatro Flavio, nei cavi delle Mura , e nei luoghi inaccessibili 
al Sole. 

Quando furtivi raggi s* imbattono sull'organismo crostaceo , s' inizia un 
primordio di lichene, giusta i germi che racchiude, sviluppando più a meno 
a seconda delle opportune condizioni. Sono giunta a vederne derivare: la Le^ 
cidea Campestris ^ Sabuletorum con suoi apoteci , ma di misero sviluppo ; 
ed egualmente un Lichene fogliaceo, Cladonia Pjrxidata wir. gracillima, 

» 

L'angusto spazio non mi ha conceduto altre osservazioni , che praticate 
in esteso, e in più luoghi daran risultati atti a comprovare che se nel 
primo stadio di loro esistenza liavvi identità, differenza poi nello sviluppo 
di generi e specie a seconda dei diversi germi che acchiude^ 

T^errucaria controversa Erbario disseccato Italiano p. 671. 
Tallo giovanile cervino fosco areolato ; apoteci fitti , conici , corneo-car- 
bonacei ; osticlo papilloso. 

Sparso su tutte le mura del Colosseo. 

Lithoicea Tallo tartareo-*àreolato, apoteci piano-depressi. 

Come sopra. 
Lithoicea Tallo areolato, apoteci semi conici. 

Sagedia sHridula Fries Lichen. Europ. reform. p. 414. 
Tallo tartareo^ pallido-fosco cervino-castagno; apoteci emisferici alquanto 
piani. 



— 159 — 

« 

Lithoicea controversa Massalongo? 

In questi pochissimi saggi del Colosseo di f^errucaria^ Lithoicea e Sa- 
gediaj io ho rinvenuto il tallo variabile^ imperocché ora tartareo ora areo- 
lato, e verruccoso ; e nella f^errucaria allorché senile, obliterato. Le ver- 
ruche degli apoteci, ora coniche, ed ora depresso-piane, e l'esame micro- 
scopico negli apparecchi imeniali, non risultano già nh di ascili, ne di pa- 
rafisi ; ne di spore ; ma soltanto di masse cellulari, informi e nerastre, 
onde ne segue che sieno licheni d'ignoti apoteci, offerendo o primordi di 
altri, ovvero uno stato anormale di essi. In più ampio spazio egli h d'uopo 
estendere accurate osservazioni sul proposito. 

Opegraphe calcar ia Ach. Meth. Lichen, p. 72. 
Crosta bianca, pulverulenta, tartarea; apoteci tumidoli, opachi, stellulati. 

Lecanora Atra Ach. Sjn. Meth. Lichen, p. 146. 
Crosta rimosa, granulato— verrucosa , bianco-cinerognola ; apoteci a disco 
piano, atro, margine tallode, elevato, libero, in ultimo crenulato-flessuoso. 

Comune sulle mura dell'Anfiteatro. 

Lecanora galactina Ach. Sjrn. Meth. Lichen, p. ìsi. 
Tallo quasi imbrìcato, rùguloso-scabrido, bianco-livìdo-carneo , nella pe- 
riferia lobato-crenato, apoteci minuti, conferti, angolosi. 

Sulle mura del 2? ordine dell'Anfiteatro. 

Urceolaria calcarea Ach. Lichen. Europ. p. 146. 
Tallo tartareo, tenue rirauloso, sub pulverulento, bianco-cinerognolo ; la- 
mina proligera , piano-concavo-angolosa , atra ; margine tallode rugu- 
loso— crenato. 

Sulle mura più elevate dell'Anfiteatro. 

Biatora F'ernalis è Schaer. Lichen. Euròp. p. 146. 
Tallo leproso-granuloso, tendente al cinerognolò biancastro ; apoteci sferici, 
turgidi, rossicci. 

Sull'erbette disseccate del podio* 



_ <60 — 
Endocarpon pussillum ^ rufescens Schaer, Lichen. Europ. p. 234. 
Tallo coriaceo ; squamule rufo-foscescenti, ondulato-lobato-ìmbrioate. 

Frequente sul podio. 

Lecidea canescens Schaer. Lichen. Europ. p. i6$. 
Tallo glaucGh-incano, radioso-plicato ; lacinie periferiche convesso-sinuato— 
lobate ; centro ruguloso-granulato pulveraceo ; apoteci minuti, appena co- 
spicui, o nulli. 

Vive come sopra. 

11 Chiariss.*^ Fries staccò dalle Alghe lo Siigonema AtrO'-F'irens dell'Agh. 
e di altri autori, e lo riportò ai Licheni, dicendolo Ephebe pubescens^ ma- 
nifestando esso degli apoteci. 

Lecidea Sabuletorum ^ campestris Fries Lichen. Europ. reform. p. 234. 
Tallo tartareo lobato— granulato , fuscescente cinerognolo ; apoteci atri , 
piani, o alquanto concavi, marginati. 

Sulle mura del podio, dal mìo Lichen Atjrpicum latebrarum oriunda. 

Cladoma pjrxidata var. gracillima. 

Tallo microfillino cervino-^carneo ; lacinie embricate bianco-creuulate ; sti- 
piti brevissimi prostrati, afilli. 

Egualmente oriunda dal mio lichen atjrpicum latebrarum sul podio. 

Collema pulposum a papulosum Schaerer. Lichen. Europ. p. 259. 
Tallo coriaceo craisso microfillino, imbricato-lobato, verde atro, in uligine 
polposo gelatinoso^ lobuli brevi, sinuato-crenati, centrati confertissimi pa- 
pillosi; apoteci scodelliferi, sessilì, prassino-foschi, rufescenti, aschi crassiu- 
sculi breve da vati. 

Sovra i muschi del davanzale del podio. 



— 161 ~ 

Collema multifidum a complicatum Schaerer. Lichen. Europ. p. 135. 
Tallo coriaceo, IacÌDÌato^ io uliginosi turgescente uHvaceo, in secco atro- 
verde, lacinie allungate, alquanto concave^ imbricato«-lobulato complicate; 
apoteci scodellifonni superficiali, e. marginali, grandi, rufescenti. 

Sul davanzale del i'' ordine. 

^ marginale^ tallo con lacinie allungate^ anguste, canaliculate^ crespate. 
1^ ordine tra l'erbe dell'arcate. 

Collema tacerum Ach. syn. Meth. Lichen, p. 326. 
Tallo membranaceo; fogliaceo, lobi piccoli, lacero-Iaciniato-denticolati atro- 
cerulescenti ; in uliginosi per pressione le coroncine ristrette in cellule 
quadrate, trapeziformi, romboidali. Apoteci minuti,- concavi^ rufescenti; 
Ascili lungo clavati a spore assai fitte; parafisi esili. (Collema. atro-ce- 
ruleum a lacerum Schoer. Lichen. Europ. p. 245.) 

Sul davanzale del podio disteso sovra i muschi. 

Collema Cristatum Schaer. Lichen. Europ. p. 245. 
Tallo polposo-coriaceo laciniato atro-verde in secco, in uligine turgescente 
olivaceo, lacinie abbreviate, imbricato aggregate, crespato-crenulate, apice 
inciso-crestate; apoteci scodelliformi, maturi ampli, fosco-rufescenti; mar- 
gine clavato, sinuato-crenulato; aschi ovati, spore grandi, parafisi solide. 

Sulle mura del podio del Colosseo. 

Oss. I Nostocs tutti che occorrono nell'Anfiteatro non sono che anamor- 
fosi dei descritti coltemi, che in seguito delFopinione emessa, b già molti 
anni nell'Accademia dei Georgofili in Firenze, ne pubblicava indi in Roma 
una serie di osservazioni, ove esponeva il parallelo di struttura organogra- 
fica, e in un la chimica composizione nei principii costitutivi. Notava di 
poi il subordinato ufficio fisiologico nel sistema vegetativo, e gli esterni 
passaggi di transizione tra le diverse specie collemacee, e le diverse ana- 
morfosi. Non tralasciava di enunciare che alcuni preclari autori^ quantunque 
in varie sentenze facesser mostra di riconoscerne l'identità, pur tuttavia solo 
la derivavan dalla teoria delle metamorfosi. 



_ 162 — 

II citato mio lavoro non istimo già essere esente da critica e spezial- 
mente nelle coroncine sulla natura delle guaine che ho attribuito al feno* 
meno della legge di diffrazione, anziché a denso strato. mucilaginoso. Ma in 
quanto al principio dell'identità il riconosco incoocasso; e mi gode Tanimo che 
i più moderni autori di Germania, non che altri eziandio riconoscono nel 
CoUema un essere dimorfo che in istato completo di filamenti fruttifica, ed 
in istato incompleto sterile sotto il nome di Nostoc. 

« La Iconografia della predetta mia memoria si riporta a quanto di già espressi 
in proposito; e la Tav. i' Fig. i* si h il Nostoc comune, il più ovvio tra 
tutti, e deriva dal GoUema pulposum. Indi seguono numerose forme, e di- 
versi passaggi di transizione a specie più eleganti e graziose; ed infine 
i trapassi dell'apparecchio Imeniale nei Gollemi perfetti. 

Alghe 

Haematococcus Grenllii jigh. Jcon. Alg. Europ. tas^- 23. 
Strato coccineo, cellule semplici, poligonimiche. 

Protococcus pluvialis Kiitz. Species. Alg. p. 204. 

Sulle pareti sgocciolanti dell' interno degli ambulacri. 

Porphjrridium cruentum Rabenh. FI. Europ. Alg. p. 397. 
Tallo crostaceo, espanso intenso-purpureo ; cellule angolato-poliedriche. 

Palmella Cruenta Agh, Sjst. Alg. p. 2ii. 

Vive come sopra. 

Palmella mucosa Kiitz. Sp. Alg. p. 15. 
Amorfa, effusa, mucosa, verde-olivacea ; cellule microgonimiche globose, 
qua e là trapassanti in sostanza gonimica. 

Sulle umide pareti degli ambulacri. 

Drilosiphon muscicolo. Kùtz. Phyc. gen. p. 242. 
Filamenti suberamosi in istrato cìnereo^pulveraceo ; vagina interna tenera 
acromatica.; esterna irta. 

Sui muri e muschi dell'Anfiteatro. 



— 163 — 
Glaecapsa Monttuia b flasfo-aurantia Kiitz Sp. Alg. p. 218. 
Strato verde— flavescen te, o rancia to ; vescichette primarie e secondarie 
concentriche, globose, e sottilmente striate. 
Infra questa specie si aggira la Cjmbella affinis del Kiitz. 

Sulle umide pareti degli ambulacri. 

Oscillarla tenuis cum Scjrtonema Mjochroo contexta Fior. Mazz. MS: 
Ambedue intrecciate e conteste in guisa da formare un solo strato atro- 
verde plumbeo ; avendo in consorzio V Epitheniia Zebre KùtZ| e la Nitzehea 
bilobata SM. 

Sull'umido suolo degli ambulacri. 

Oscillaria A Erugineo-cerulea Kutz. Phjrc. p. las. 
Strato ceruleo-^eruginoso; filamenti sub articolati. Cosmarium aertum lialfs 
Scenedniics quadricaudatus ^ Brebiss ed il Pediastrum constrictum Hass. 
vi si aggirano in consorzio. 

Sul suolo rasente il muro. 

Conferva fugacissima Kiitz. Sp. *Alg. p. 371. 
Pallido-flavesceute^ fioccosa, subsericea in secco ; articoli del diametro 8~4 
più lunghi. 

Rasente il muro del t^ Ordine dopo le piogge. 

Faucheria DUlwjrnii Jgh. Sjst. Veg. p. i72. 
Lato-espanso, strato depresso ; filamenti cavi, flessuosi, tenui, od una li- 
nea crassi ; oogonii globosi, od elissoidei, rostrati, sessili,' singoli, o ge- 
mini ; oospore mature, maculate ; sporoderma crassissimo , da più strati 
composito. 

Sovra i muri del podio dopo le piogge. 

Mesocarpus Scalaris Hass. British. Freswater Atgaé p. 166. ta\^. XLII F. i. 
Filamenti verde-giallognoli, semplici con massa clorofillo^a in prima effusa, 

22 



-- 164 ~ 

indi contratta cellule 4-5 volte più lunghe del diametro, e conjugate da 
tubi fruttiferi, muniti di sporangi ovali sedenti in sul diametro della con- 
giunzione. 

Sul suolo umido degli ambulacri frammisto all'Oscillatoria tenuis e Scjr- 
ione ma Myochus. 

Gl(etila HormosiphoH Babench. Sp. Alg. Europ. p. 320. t. gì. 
Tallo mammoso verde-pallido, gelatinoso-mucoso, lucido-punteggiato ; fila- 
menti per lo più semplici, flessuoso-curvati, muniti di sifone. 

Vive sul suolo dei moderni ambulacri* 

Oss. Il genere Hormosiphon ed il Nostoc dall' illustre Rabenhorst riu- 
nito nel suo spec. Algarum parmi andar compresi nell'altro suo genere 
Glcetila nella sotto famiglia delle Confervacee, ch*ei medesimo nota essere 
insigne per la sua piccolezza ed affinità con i Nostocs. A mio debole giu- 
dizio essi, V Hormosiphon ed il Gloelila, non dovrebbero essere distinti che 
da caratteri differenziali Tuno dall'altro, conservandone la identità. 

Funghi 

Àgaricus coprinus deliquescens Fries. Sjrst. Mjc. p, 509. 
Subcespitoso ; pileo membranaceo striato, fuliggineo; lamelle lineari, lu- 
cido—fosche^ stipite eguale, nudo. 

Nell'arena dopo le pioggie 

Agaricus Mjrcena muscorum Fries. Sjst. Mjc. p. 167. 

Alquanto fosco ; pileo circa un'oncia lato ; convesso-piano umbonato , 
striato, stipite breve, base incrassato. 

Tra i Muschi del podio in autunno. 

Excipula Fiermicularia Corda III. Tasf. 7. p. 77. 
Solitariamente sparsa j periteci ispidi ed atri ; in ultimo pezizoidei con 
ostiolo t^nue, nucleo atro; spore fusiformi settate, lanceolate, acuminate, 
bianche^ episporio tenue; nucleo 3-4 partito. 

Trovato nell'Anfiteatro sovra una fracidc^ trave dopo le piogge. 



— 165 — 

Tulostoma Brumale Pas. Sjrn. Melh. JFìmg. p. I39. 
Stipite lieve e lungo ; pendio glol)oso glabro ; orificio cilÌDdrico, integro. 

Sul 1'' Ordine dell'Anfiteatro dal lato Settentrionale. 

Pilóbolus crjstallinus Pers. Sjn. p. ni. 

Fugace^ ed aggregato; stipite pellucido^ superato da carnosa vescichetta 
nereggiante, eretta, indi elastico, dissilientc. 

Rasente il podio, più volte trovato sul piano. 

Schizophjrllum comune Fries. Sjrst. Mjc. p. 350. 
Gregario^ tomentoso, bianco-grìgio, margine lobato ; lamelle solcato-pur- 
puree, cineree, villose } stipite brevissimo. 

Sovra una fracida trave copioso. 

Poljporus i^elutinus lutescens Fries Sjrst. Myc. p. 368. 
Pileo sugheroso, coriaceo, tenue vellutino, quasi zonato ; porì quasi rotondi, 
bianco-lutescenti. 

Abita come sopra. 

FUNGILLI 

Peziza muscorum Fries. Sjrst. Myc. p. 69. 
Gregaria, fulva ; in prima concava, indi disco piano e margine prominente^ 
flessuoso 2 linee Iato ; aschi breve-clavati ; macrospore 8. 

Sulle mura del podio. 

Ur^do JEupkorbiae ffcliosoopiae Pers. Syn. Meth. Fung. %Vi. 
Sparsa,' sub globosa, flava, prominente 

NeirAnfileatro sulle foglie delFEupliorbia Helio^copia 



~ 166 -^ 

Uredo proeminens De. FI, Fr. p. 235. 
Cespitoli flavi» indi foschi ipoGUi, convesso-piani^ da lacera epidermide 
cinti ; sporidii miauti subglobosi. 

SulVEuphorbia oharnaesjrce aderente in copia al suolo dell'arena in Estate. 

Coecoma alliorum Link. Crjpt. pari. ^ p, i. 

Macule obliterate; acervi oblungo-ovali } anfigeni ; sporidii subglobosi, 
flavi, o bianchi. 

Delle 5 varietà di Agli nei quali l'autore stabilisce 1* habitat di questa 
specie, io l'ho rinvenuto %vX Alliwnsuhhirsutum del 2° e 3^ piano del- 
l'Anfiteatro. 

Uredo Sonchi Pers. Meth. fung. p. 2i7. 
Conferto, e subconfluente, fulvo ; cespiteli alquanto piani, irregolari. 

Secondo il sudetto autore sarebbe sul Sonchus Arvensis ed io invece Tbo 
trovato sul Sonchus tenerrimus. E anche sinonimo del Caeoma compositarum. 

Frequente su tutte le mura dell'Anfiteatro. 

jUcidum Clematidis De. FI. Fr. 2 p. 243. 
Macule fosche ; acervi dei peridii orbicolati, bianco-flavescenti ; sulla fo- 
glia ; orificio subdentato, indi eranido. 

Sulle foglie della Clematis vitalba. 

jEcidum Phjllireae De. FI. Fr. 5. p. 96. 
Macule obliterate ; pseudo peridii-immersi ; orificio contratto , sporidii 
ranciati. 



Sulle foglie della Phjllirea Media. 

Cjrstopus candidus De Barjr. 

Macule pallide od obliterate ; acervuli rotondi, ed ovali sparsi, e confluenti, 
dall'epidermide bollata ricoperti ; sporidi, copiosissimi, globosi, bianchi. 

Uredo Candida Persj sjrn. nieth. Fung. p. 23. 

Sulle foglie copiosamente detta Capparis spinosa ^ inermis. 



— 167 ~ 

Sphaeria AUicina Fries. sjrst. Mjc. p. 43. 
Anfigena ; periteci dall'epidermide oriundi , sparsi sovra macule cineree 
airi e nitidi ; in prima astomi, ìndi subpapillati. 

Sulle foglie dell' Allium jimpeloprasum. 

Sphaeria Trifola Pers. p, zo. 
Ipofilla linea circa i-i| lata, ineguale, stibconfluente, turbercolosa— ragulosa 
atra ; periteci nello stroma immersi ; teche allungate ; spore settate. 

Sulle foglie del Trifotium scabrum. 



Io non ho potuto esibire che una meschina rappresentanza Crittogamica, 
imperocché la debole mia salute non mi permetteva affrontare sovente le 
condizioni di umidita onde si piaccion vivere i minuti organismi. 

Nel resto ho procurato richiamare a vita le piante e i fiori che le ve- 
nerande mura vestivan di poesia ; le quali ora spoglie , severe^ e scosse, 
attestano, come già dissi, V instabilita delle grandezze umane , di che fan 
testimonio le rovine di quel maestoso Monumento, inalzato quando Roma 
era dominatrice dell'Universo. Indi vi trionfò il Vessillo di nostra Reden- 
zione ; e quel suolo venne già cementato dal sangue de' suoi illustri Cam* 
pioni : laonde il Cristiano inalzato dalla fede s'infuturava nel Cielo. L'Ar- 
cheologica escavazione tutto distrusse, e se da principio prese a mostrare 
i meravigliosi congegni dell'arte^ ben presto essa si convertiva in fetido 
stagno, ricetto di rane e di rospi, mentrech^ le impure acque esalavano 
pestiferi miasmi, onde l'animo lungi ne rifuggiva seco recando dolore e 
mestizia insieme. 






168 



SOPRA lA RELAZIONE 

FRA I MASSIMI E MINIMI DELLE MACCHIE SOLARI 

E LE STRAORDINARIE PERTURBAZIONI MAGMETICHE 

COMUNICAZIONE Vili. 
DEL P. G. STANISLAO FERRARI 



s, 



Seguendo il metodo lucoraiDciato e seguito costantemente nelle precedenti 
comnnicazioni, siamo giunti ali* esame de' fenomeni solari e magnetici av- 
venuti nell'anno 1874 affine di studiarne la mutua correlazione. Come già 
facevamo notare sul principio della 7* Comunicazione, questa correlazione 
si farà tanto più manifesta quanto più verrà ditninuendo Tattivita sulla su- 
perficie solare in quanto essa attività si manifesta dal numero delle mac» 
cbie delle facole delle protuberanze e dall' estensione più o meno grande 
dell'area di superficie perturbata. 

Ora nel 1874 il numero delle macchie h disceso a 156 mentre nel 1873 era 
di 2i6 a nel 1871 di 304, però si rende ancora più sensibile la diminuzione 
la quale andrà sempre più crescendo ne' seguenti anni. 

Cinque sole furono in quest'anno le fortissime e straordinarie perturba- 
zioni magnetiche ed altrettante ne furono osservate a Green vich. Mancan- 
doci pel 1874 le osservazioni di Beien all'Havana abbiamo preso ad esame 
quelle dell' Osservatorio di Green vich, ed in questa circostanza avendo dato 
un' occhiata retrospettiva per gli anni precedenti abbiamo con sorpresa 
notato come in quelf Osservatorio siasi notato in questo e negli anni pre- 
cedenti lo stesso numero di fortissime e straordinarie perturbazioni magne- 
tiche come da noi. Nel i87i epoca del massimo ve ne furono 13 a Roma ed 
a Greenwich; 15 nel 1872, 3 nel 1873 e $ nel 1875. (*) Una simile coinci- 
denza fra luogi si disparati e lontani h prova manifesta della verità di ciò 
che fin dalla 1' comunicazione annunciammo nel 1874; che cio^ anche solo 
le osservazioni d' un luogo sono sufficienti per generalizzare le conclusioni, 

-_ - _ — ^^^^— 

(*) Greenwich-Magnetical and Meteorogical Observattons 1871, 1872. 1873, 1874. 



— 169 — 

poiclìè tali fenomeni di ordine cosmico si riproducono contemporaneamente 
su tutta la superfìcie del globo salvo minime differenze locali. 

Dando un'occhiata alla curva che esprime la frequenza relativa del numero 
delle macchie, si comincia a scorgere in essa un' assai meno notevole distin- 
zione in periodi^ compresi fra un massimo e due mimini assoluti, come ve- 
devasi nelle curve degli anni scorsi, e gli slessi periodi maggiori veggousi 
per dir cosi suddivisi in periodi secondari j il che e manifesto indizio del- 
l' appianarsi^ della superficie solare e dell'andarsi lentamente disponendo a 
quello stato di calma che ora veggiamo sopita di essa in quest'epoca 4Ìi mi- 
nimo assoluto. 

Per maggior chiarezza non solo, ma eziandio per esprimere più esatta- 
mente lo stato di attività sulla superficie solare, scieglieremo la divisione in 
periodi, deducendola dai valori de' massimi ed i minimi che ci vengono 
dati dalle cifre che esprimono la quantità di area di snperficie perturbata; 
ed anche per quest'anno veggiamo che usando questo metodo si riesce allo 
stesso numero di periodi^ salvo minime difiereaze, che si otterrebbe preu- 
dendo per base la curva del solo numero delle macchie. 

Queste alternative pertanto di massimi e minimi si dividono per que- 
st'anno in 9 periodi principali. La massima ordinata della curva annuale 
corrisponde ai giorni i e 27 Febbraio ed s Agosto esprimente il Jiumero di 
sette macchie mentre nel I87i salì il 15 marzo e 26 Aprile al numero di i9. 
Il medio generale oscilla fra le 3 e 4 macchie. I tre massimi sopraccennati 
accennano ad altrettanti risvegli di attività sebbene mediocre e sono come 
gli ultimi lampi della medesima, dopo de'quali essa verrà fino al momento 
in cui scriviamo sempre più diminuendo, toccando al suo minimo. 

Veniamo ora, secondo 1' usato, a mostrare 1' intima correlazione fra queste 
alternative dell'attività solare e le straordinarie perturbazioni magnetiche. 

Il i^ periodo pertanto, quanto all'area di superficie perturbata, si estende 
dal 6 di Gennaio al is Febbraio compreso fra due minimi di 6 ed 8 millimetri 
quadrati di superficie perturbata ed un massimo di i20."""'i Durante questo 
periodo si ebbero due straordinarie e fortissime perturbazioni magnetiche 
specialmente nel bifilare e queste accompagnarono esattamente il passaggio 
di due gruppi; il primo de'quali giunse il 14 a 60."""^ di superficie pertur- 
bata e l'altro, insieme con altre 4 macchie formava un totale di i20."'""« 
Ambedue questi gruppi manifestarono al loro apparire ed al loro tramonto 
vivissime eruzioni metalliche e né' loro svariati cangiamenti di forma, mo- 
stravano quanto grande fosse nel loro interno l'attività so^re. Il giorno 22 



s 



— 170 — 

poi mentre stava per ispuntare il i^ gruppo, fu osservato all'orlo Ovest il 
formai^i d'una nuova macchia, (non essendovene in quel sito alcuna il di 
precedente) essendo presenti i Professori Tacchini di Palermo e Rutherfurd 
di New York, il primo de'quali ne fece un'accurato disegno nel quale si 
vede la materia eruttata avvolgersi a forma di spira salendo a una grande 
altezza e cangiando rapidamente di forma. 

Intorno ad essa ecco quel che ne scrisse allora il Ch. P. Secchi nel n? f 
del Bullettino del 1874. « La forma e la rapidità dei movimenti strapparono 
un concorde avviso^ che la materia era projetlata in allo e quindi stra- 
scinata da vento impetuoso e turbinoso, del che al semplice aspetto si con- 
vince r osservatore. Lo spettacolo durò appena mezzora e presto svanì e 
si sciolse. Montagne di magnesio alte oltre un minuto si formavano e spa- 
rì vano rapidamente. L'altezza del getto principale si trovò essere %' 32" 
alle 2^ 33"* pom. » Per formarci un idea dell'enorme altezza di tale getto 
basterà il riflettere che il valore suddetto corrisponde nella nostra scala 
del disco solare all'altezza di 19,'"°' cioè a dire a i7 raggi equatoriali ter- 
restri, ossia a 108422 chilometri! 

La più forte però e veramente straordinaria perturbazione generale de'ma- 
gneti si ebbe il giorno 4 Febbraio tanto di noi, quanto a Greenvicb. 
Essa fu osservata dall'i^ 30"" pom. alle 2 del Gli. P. Denza a Moncalieri; 
nel nostro disegno ohe fu fatto alle 11 ant. non iscorgesi che un vivo 
fiammone all'Est con molte facole e due macchie vicino all'orlo. Tenuto 
cónto della rotazione solare e dell'angolo di posizione si trovò che quest'e- 
razione era il seguito di quella che fu osservata il giorno 22 al momento 
della sua prima formazione. Oltre a ciò il Sole era tutto puntini assai vivi 
ed al posto di alcune facole del giorno precedente in questo giorno vede- 
vasi un piccolo ammasso di pori. Indizio tutto ciò di grande attività sulle 
superficie solare. A Greenvich il Declinometro oscillò fra 19^ 5/ 25" alle 
3^ 28" pom. e ìB^ 41' 10' alle 7^ 52"^ del 4. Da noi si ebbe il massimo nel 
bifilare a 127^'''* alle 7** pom. ed il minimo a so'*'''- alle 7** pom. E tenuto 
conto della diflferenza di longitudine, il minimo accadde alla stess'ora da 
noi ed a Greenvicb, il massimo anticipò da noi di 5 ore. È da notare però 
che il magnetometro di Greenwich essendo a registro continuo mediante la 
fotografia, colse i .veri momenti di massimo assoluto e presentò una serie 
di continue oscillazioni a brevissimi intervalli, il che non si scorge da noi 
per l'interpolazione delle osservazioni. L'istante però del minimo fu colto 
allo slesso tempo in ambedue le stazioni. 



— ni — 

II 2? perìodo incomincia al termisie del precedente ai .18 Febbraio e 
e termina ai 6 di Marzo. Il giorno is si ebbe il i? minimo di 8'"'"'i di 
superficie perturbata ed s""""! altresì nel 2? Il massimo fu di 39"'"*9 il 
giorno 27. In esso fu mediocre Tatti vitk^ si ebbe però in esso il 2^ massimo 
principale di tutto Tanno se si consideri la curva che rappresenta il nu- 
mero delle macchie che furono 7 dal 25 al 27. Sul termine di questo pe- 
riodo si ebbe una forte perturbazione magnetica nel solo bifilare che per- 
corse dal mattino del 7 fino ^1 mezzodì delT s ben 46 divisioni della sua 
scala. Gii altri magneti furono soltanto irregolari. Questa straordinaria per- 
turbazione fu notata eziandio a Greenvich ed ivi il declinometro oscillò 
fra 19^ 0' 30" mezz' ora dopo la mezzanotte fra il 7 e ì\ e 19'' 4s' 40" alle 
7'' 25™ ant. delTs. Questa perturbazione corrisponde al passaggio di un* 
gruppo principale sulla superficie solare ed il giorno precedente vedeansi 
numerose e vive facole con enormi protuberanze ed un nuovo gruppo ve- 
niva formandosi nelle vicinanze delTorio occidentale del Sole. 

Il 3^ periodo corre da quell'epoca fino al 22 di Aprile, ed h aneh'esso 
un periodo di mediocre attività, pui^e non mancarono in esso delle forti 
(se non fortissime) perturbazioni magnetiche e tutte in relazione col pas- 
saggio delle principali macchie sul Sole. 

Questo periodo incomincia col passaggio d' uu magnifico gruppo, il 
quale entrò il giorno 19 Marzo e ne' giorni seguenti sviluppossi in modo 
singolare giungendo al suo massimo di 92'"°''i di superficie perturbata il 
giorno 14, tramontando il giorno 22 con viva eruzione alT orlo. 11 13 i ma- 
gneti furono assai perturbati meglio esagerati nelle loro escursioni senza 
uscire dalle ore tropiche deMoro massimi e minimi; solo il declinometro fu 
assai fluttuante al mattino. Di questo gruppo furono fatti parecchi disegni 
ed in quello del 14 Marzo è singolare T aspetto d'un istmo luminoso nei 
mezzo della macchia, con i veli rosali alla sua estremità. Nel centro di esso 
notavasi dal Ch. P. Secchi il sodio assai dilatato, il magnesio h pure dila- 
tato, s' impiccolisce la F ; s' ingrossano la E e le vicine, densissime linee si 
veggono fra la C e la D. 

Il giorno 22 Marzo la quantità di snpei'ficie perturbata sul Sole era ri- 
dotta a soli 6,'°'°'i ma v^rso la fine dei mese andò di nuovo crescendo sa- 
lendo al massimo di ^%^^*^ il giorno i e 2 Aprile, epoca in cui a Green- 
v\^ich e da noi si ebbe una forte pertutbazione straordinaria d'accordo^ al 
solito, col passaggio d'un gruppo a due nuclei sul disco solare. Altre due 
perturbazioni straordinarie ed abbastanza forti si ebbero ne' giorni 9 e 13, 

23 



— 172 — 

dopo di che andò dimiauendo T attività solare ogDÌ giorno piùt fino ad es- 
servi un solo pùnto di OyS**™! circondato da facoiette, il giorao ti Aprile. 
£ COSI termina il 3! periodo. 

Col 4? periodo incomincia un* epoca di inedioére attività ma non senza 
alcune più cbe discrete perturbasiioni : anzi, perciò che riguarda la curva 
del numero delle macchie, si osserva in essa un rialzo che giungeva al suo 
massimo nel mese di Agosto. Questo 4? perioda è compresa fra il minimo 
precedente e Taitro del 7 di Giugno con 9°^°^ di superficie perturbata. Il 
massimo sì ebbe il giorno. 9 Maggio con as""^ di superficie perturbata. In 
questo periodo la più notevole perturbazione si ebbe il giorno S9 Aprile 
dopo che era entrata nel sole una macchia nucleare preceduta dair eruzione 
giorno 25 e che mostrava una tendenza alla forma spirale, indizio deiratti- 
vita che dovea regnare nel suo interno. Il giorno stesso nel centro flel disco 
solare si erano formati dei pori che crebbero il di seguente,' indizio an- 
ch' essi di attività. Un'altra mediocre perturbazione nel bifilare si ebbe il 
il giorno 16 e i7 Maggio ed un'altra il. 26 in tutti i magneti. Queste 
perturbazioni furono come si è detto mediocri ed anoh^esse in coinci* 
denza col passaggio di macchie e piccoli gruppi sul Sole che però furono 
di ben mediocre estensione quanto all'area di superficie perturbata. In que- 
sto periodo si possono considerare copie due parti, la 1 del 21 Aprile al 
19 Maggio col minimo di 6°*°*^ in questo giorno; e l'altra dal 19 Maggio 
6no al 7 Giugno termine del periodo principale. 

Il 5? periodo incomincia da quest* ultima epoca e termina il 2S di Luglio 
col minimo di u""^ di superficie perturbata. Il massimo principale fu dì 
165"""'' di superficie perturbata agli s di Luglio; un massimo secondario si 
ebbe il giorno 20 di Giugno con 89"^'i di superficie tutti appartenenti ad 
un vasto gruppo che trovavasi in quel giorno nel mezzo del disco solare. 

Se in questo periodo non si ebbero delle fortissime e veramente anormali 
perturbazioni magnetiche, quali si avevano all'epoca del massimo assoluto, 
pur tuttavia, oltre che le forti e straordinarie perturbazioni non mancarono, 
e tutte in coincidenza coi passaggi delle principali macchie e dei sgruppi, 
il carattere più speciale di questo, periodo si fu una singolare esagerazione 
nelle diurne escucsìodi degli strumenti magnetici; giungendo p* es.il ver^- 
ticale il.giprn^' 8j LuglÌQ^menti:e trqvavansi sul Sole tre grandi gruppi col- 
r area . complessiva di 165^"'^ di superficie perturbata) a percorrere ben 36 
divisioni della sua scala essendo invece paralùzato dentro due sole divisioni 
il bifilare. 



— 173 — 

E qui vogliamo por mente ad una cosa che è fondamentale in cosifatto 
genere di ^ discussione. Quantunque dall* analisi fin qui minutamante eseguita 
risulti indubitato il fatto delia . correlazione fra i fenomeni solari ed i ma* 
gnetici» pur tuttavia, allorché si tratta dell'individuale ricerca di detti fé* 
nomeni sarebbe vano il pretendere che in tutti e singoli i casi si verifichi 
nello stesso grado la suddetta correlazione. Essa sussiste ad evidenza allorché 
trattasi dell'epoca del massimo, come apparisce dando anche solo un'oc* 
chiata superficiale alla Tavola che accompagna il riassunto che abbiamo 
fatto delle nostre ricerche nell'anno scorso (i)^ ma allorché siamo nell'epoca 
che volge al minimo di detti fenomeni avviene talvolta che non cosi per mi- 
nuto e appuntino si scorge detta coincidenza. E la legione é manifesta. Se 
si consideri per un istante la tavola suddetta, noi vediamo che all'epoca 
del massimo assai grande si é l'estensione dei massimi e minimi ne* singoli 
periodi, e ciò tanto perciò che riguarda la quantità delle macchie, quanto 
il valore dell'area di superficie perturbata, e però a tali forti esquilibrii di 
attività sulla superficie solare sempre si scorge corrispondere un simile es- 
quìlibrio nella forza magnetica della superficie terrestre. Ma per opposito^ 
allorché ci accostiamo al minimo, come apparisce manifesto e nella curva 
delle macchie e nella mediocre quantità di superficie perturbata, i periodi 
secondari e principali sono assai meno sensibili e però solo ne' più forti 
esquilibri sussiste la dimostrata correlazione, mentre non sempre si scorge 
nelle piccole oscillazioni. Al che vuoisi aggiungere il caso del ritorno di 
macchie, le quali oltre ad essere di minor dimensione, erano ancora di ri- 
torno dopo altre rotazioni ed esaurite quanto alla forza eruttiva e però di 
minore o nessuno influsso sopra lo stato del magnetismo terrestre. Con- 
viene adunque bene interpretare il senso che vuol darsi a queste parole 
correlazione, affine di non prendere motivo da qualche particolare eccezione, 
che può spiegarsi, per conchiudere illeggittimamente contro le precedenti 
conclusioni ad evidenza provate. 

Ritornando ora all' esame consueto, siamo giunti al 6"" periodo il quale é 
compreso fra il 26 Luglio^ termine del precedente, ed il 6 di Settembre. Il 
2? minimo del 6 Settembre fu di i"""*i di superficie perturbata con un 
gruppetto] di 4 pori piccolissimi con facoletta viva all'intorno; il massimo 
si ebbe il u Agosto con iie"^"''^ di superficie perturbata. Questo periodo fu 
un periodo di forte attività, relativamente allo stato attuale del Sole, spe- 



(1) V. Atti deir Accademia Pontificia de N. Lincèi. Sess. VII. Giugno 1877. 



~ 174 — 

cìalmente dai 30 Luglio fino ai il di Agosto. Questa manifestossi pel pas- 
saggio di vari gruppi, alcuni de*([ttali assai estesi accompagnati da vive 
eruzioni metalliche e che dei loro continui cangiamenti di forma mostra- 
vano la grande attività delie forze che agivano nel loro interno. Il gruppo 
n^ 102 era tutto tempestato da piccoli punti o macchie, ed anche gli altri 
gruppi ne erano ben provveduti tanto che il giorno 6 Agosto in soli 4 
gruppi trovavansi 44 macchie distinte fra grandi e piccoli pori. Dalchè vuoisi 
fare avvertito chiunque osserva ogni giorno le macchie del Sole, come non 
debbansi confondere il numero che esprime la quantità de' gruppi o delle 
macchie nucleari che trovavansi in un dato giorno sulla superficie solare, 
còl numero che esprime il numero dei piccoli fori o punti che spesso tro- 
vansi neir interno di vari gruppi. Se non si ponga in ciò attenzione ne na- 
scerebbe una grande confusione di linguaggio astronomico; egli è perciò 
che nei nostri quadri che esprimono tanto il numero delle macchie quanto 
il numero esprimente la quantità di superficie perturbata sempre possiamo 
in due distinte colonne ed il numero dei gruppi e quello delle macchie per 
evitare* ogni equivoco. 

A questo passaggio di gruppi estesi ed agitati corrisposero delle forti 
perturbazioni magnetiche. La i* si ebbe il 1^ di Agosto con l'escursione 
di 27 divisioni nel bifilare e 22 nel verticale. Da quest'epoca incominciò 
una forte salita nel bifilare percorrendo dall* i al io lo spazio compreso fra 
la 79* divisione e la 112*, ossia 33 divisioni. A questa salita del bifilare cor- 
rispose una simile discesa nel verticale discendendo in pari tempo dalla 
61* divisione alla 26* ossia percorrendo 35 divisioni. Il periodo però di 
maggiore perturbazione nei magneti è compreso fra il 9 ed il 16 Agosto 
in intima correlazione coi vasti gruppi che erano di passaggio sul Sole. 
Anche allora quando era cessata la perturbazione principale rimaneva esa- 
gerata specialmente net verticale l'escursione diurna la quale talvolta, p. es. 
il 20, fu di 25 divisioni senza perturbazione negli altri magneti e senza 
cangiamento di sorta nell'ore tropiche normali. 11 massimo della pertur- 
bazione alla meta di Agosto corrispose esattamente tanto al massimo di 
superficie disturbata quanto al trovarsi i gruppi prossimi al centro del 
disco solare. 

^ 

11 7^ periodo si estende dal termine del precedente fino al 30 Ottobre 
quanto all'andamento generale, sebbene fu suddiviso in altri tre periodi 
secondari, ciascuno de' quali fu accompagnato dalle relative perturbazioni 
magnetiche. Il 2^ minimo di questo periodo;^ fu un assoluta mancanza di 



— 175 — 

di macchie, e quindi un zero assolato di superficie perturbata, e si ebbe 
il giorno 30. 11 massimo poi fu di 93"*^ di superficie perturbata e si 
ebbe il giorno 4 Ottobre, giorno di fortissima e ^raordinaria perturba- 
zione magnetica generale da noi e da Greenwich come vedremo. 

Venendo ai particolari, il i? periodo secondario h compreso fra il 6 ed 
il iS Settembre col massimo il giorno il di 27°^*i di superficie pertur- 
bata, e forte perturbazione magnetica ad essa proporzionata. Quel che vi 
ba di singolare in questo periodo si è che mentre il giorno 9 non vedo^ 
vansi sul Sole che due piccolissimi gruppi, dell'area complessiva di soli 
jrareq jj superficic, il giorno ti videsi presso dell'orlo Ovest un ben for- 
mato ed abbastanza ampio gruppo circondato e preceduto da vivissime 
ed estese facole, con fo macchiette all' interno. Forse si cominciò a for* 
mare il di precedente, ma ne fu impedita l' osservazione pel cielo cc^ 
perto. La forte perturbazione magnetica che accompagnò quest'apparizione 
si ebbe il giorno io ed anche ne' giorni seguenti il e 12 continuò Tagi- 
tazione nel bifilare e nel verticale. Il giorno is si ebbe la chiusa di que- 
sto periodo secondario con soli 2"^"^ di superficie perturbata ed una sola 
piccolissima macchia sul Sole. 

11 2.'' periodo secondario che fu il più fornito di attività, si estese fino al 14 
ottobre col minimo in quel giorno di 7."°"''i II suo massimo assoluto, che fu il 
massimo eziandio di tutto il periodo principale si ebbe, come dicemmo, il 
giorno 4 ottobre con 93'""''i di superficie perturbata. Fino dal giorno 20 set- 
tembre si cominciò a scorgere sul sole un nuovo aumento di attività, già 
prenunziato da rapida salita del bifilare, secondo il consueto, ed una bella 
macchia nucleare vedevasi di poco entrata all'orlo Est, nell' immagine diretta. 
Tenendo conto della rotazione, essa era il risaltato d'un gruppo formatosi 
improvvisamente il giorno i settembre non lungi dall'orlo Ovest, cbe venne 
ogni di più crescendo tanto che il giorno 3 , non ostante l'angolo visuale 
assai inclinato, contava ì^"^"^ di superficie perturbata con motti cangiamenti 
di forma e bella eruzione metallica allorché fu il 5 presso all'orlo con sodio 
e magnesio osservati del Ch. P. Secchi assai copiosi nel getto principale. 
Durante il suo passaggio per la rotazione nella parte invisibile, dovette su- 
bire assai mutazioni fino a condensarsi in una vasta macchia nucleare che 
contava il giorno 26 presso al centro del disco solare 35"""^ di superficie per^ 
turbata. 11 29 si ebbe un' assai forte perturbazione magnetica generale spe- 
cialmente nei verticale e nel bifilare, percorrendo ambedue oltre a 25 divi- 
sioni. Essa fu di carattere aurorale, cioè col bifilare calante incontratosi col 



— 176 ~ 

verticale crescenleir 11 as erari ancora uua vivissima eruzione con gruppo ai- 
Torlo, il quale a mano a mano che s* iaoltraVa sul disco solare veniva in- 
grossandosi , e dà suoi continui e l'apidi cangiamenti di forme» contando nel 
suo interno fino a 28 piccole macchie e porosità, mostrava quanto grande 
ivi fosse l'attività solare. Allorché esso giunse precisameiite al meridiano cen- 
trale rispetto alla visuale terrestre ed eziandio rispetto al Nord vero del sole, 
fu accompagnato da una veramente straordinaria e fortissima perturbazione ma- 
gnetica generale. Il bifilare da noi percorse dal pomeriggio del 3 al mezzodì 
del 4, 68 divisioni della sua scela ; il verticale ne percorse 57j e le il de- 
clinometro. Anche a Greenwich fu notata in questi due stessi giorni una si- 
mile perturbazione^ percorrendo ivi il declinometro 49^ il giorno 3, e il 4 
percorrendone 48^ Il carattere di questa fortissima perturbazione fu eminen- 
temente aurorale ed infatti leggiamo che in quel giorno furono viste delle 
brillanti anrore boreali in molti luoghi dell'Europa settentrionale. 

11 3.^ periodo secondario è compreso fi a il u ed il 30 di questo mese 
con un massimo pure secondario di 22*"™*! di superficie perturbata il giorno 
18 e 4 macchiette sul sole. Due mediocri perturbazioni straordinarie accom- 
pagnarono questo breve periodo ne' giorni 24 e 28. 

Colla perturbazione fortissima del 3 e 4 cessarono le straordinarie fortis- 
sime perturbazioni di quest'anno , e si andranno facendo sempre più rare 
nell'epoca del minimo assoluto , unitamente alla sempre minore escursione 
diurna degli strumenti magnetici, checché ne sembri al sig. Faye, il quale 
vorrebbe tolta ogni legge di dipendenza fra i fenomeni solari e magnetici, 
Ma anche data e non concessa l'assenza di questa legge di causa e di efietto, 
il fatto dell' intima correlazione h evidente e dai lavori di Brown, di Wolf 
e da questi che veniamo esponendo cosi per minuto in queste communicazioni. 

L's.^ periodo corre dal 30 ottobre al i.^ deccmbrc ed e un periodo di 
mediocre attività. Se si prenda ad esame l'area di superficie perturbata esso 
dìvidesi nettamente in due periodi secondarli; il i.^ dal 30 ottobre al 12 
novembre con e""*"! in questo giorno di %,^ minimo; e due massimi uno di 33"""'' 
il 5 e l'altro di 35°"""! il 9. in questo periodo all'epoca del suo massimo e del 
suo minimo cioè ne' giorni 6 ed il, si ebbero due discrete perturbazioni pro- 
porzionali, s' intende, al grado di diminuita attività^ nàa che meglio dimo- 
strano il fatto della correlazione sopra quelli che si avevano all'epoca di 
grandi agitazioni sulla superficie solare. 

Il 2.^ periodo secondario h compreso fra il minimo di 6"°^ del precedente 
il 12 e quello di 5°*"*' il i.** di decembre, con un massimo di 34""''J di super- 



— 17? — 

ficie perturbata il giorno si. Sebbene localizzata io uo solo gruppo pure^ in esso 
fu forte ti*attivitk poiché il giórno 12 preaentbssi all'orlo Eat come una piccola 
maqchia di, !"'"'< circoadata però dajnolte e.vive f acole, e nei giorni seguenti 
venne . ognora più crescendo e ci^igiando di forma ed il ai due altri piccoli 
griippi: ^rapo già entrati sul sole e nel loro passaggio pnodussero la forte 
perturbaziope del aa specialmente . nel bifilare quanto all'ampiezza dell escur- 
sione qwntunque. anclie il declinomelro e il verticale fossero perturbati per 
ciò che! spetta l'ordinario loro andamento. Anche il giorno 30 si ebbe una 
mediocre straordinaria perturbazione colla quale si chiuse questo periodo. 

U 9.^ ed ultimo periodo di quest'anno 1874 b compreso fra il 1.^ del 
mese di Decembre e il 24^ epoca dei due minimi assoluti^ con un massimo 
il giorno ì^j quanto allarea di superficie perturbata. In queste mese furono 
pochi i giorni di : osservazione cioè otto soltanto , ma la loro distribuzione 
fra i periodi di cattivo tempo è tale, che, per ciò che riguarda al numero 
progressivo e totale dei gruppi, essoì esatto, atteso il tempo che impiegano 
i gruppi ad aitraversare la superficie apparente del sole. Ed infatti nel mese 
precedente in is giorni d'osservazione si numerarono 7 gruppi e 7 se ne 
contano in questo mese in soli otto giorni. li 2.^ minimo assoluto del 24 
fu di i*"""! con una sola piccola macchia, ed il massimo fu di se*^""! di su- 
perficie perturbata con due gruppi formati da 5 macchie principali e 20 pori 
o punti nelle medesime. Questo periodo fu un periodo di assai mediocre 
attività pur nondimeno tanto all'epoca del suo massimo quanto a quella dei 
suoi minimi^ in proporzione sempre della quantità di superficie perturbata 
sul sole, corrisposero esattamente tre mediocri e slraordìnasie pertubazioni 
magnetiche precisamente nei giorni 1, i6 e 22 del mese di decembre. 

Nell'atto che stavamo per chiudere questa communicazione , ci h caduto 
sottocchi un articolo dell*Elecricite del 30 Luglio 1878 tradotto ed inserito 
nel giornale TElettricista diretto dal sig. Lamberto Gappanera (1—15 settem- 
bre 1878) nel quale si reca l'opinione del Faye che l'apparizioni delle mac- 
chie del sole non possono considerarsi come causa delle variazioni del ma- 
gnetismo terrestre. Si reca ancora l'opinione deirAUan Brown, la quale tiene 
che i cambiamenti nella quantità di calore prodotto per l'apparizione delle 
macchie del sole non possono essere sufiicienti per modificare lo stato elet- 
trico del globo e per conseguenza per produrre delle perturbazioni magne- 
tiche. K quindi per ispiegarle fa ricorso alla causa sospettata dairHansteen» 
ossia delle ineguaglianze dei movimenti celesti e specialmente di Mercurio 
e di Giove. 



— 178 — 

Checchi ne sia 4i questa sentenza, pìtcemi soltanto di far osservare che 
posta r intima correlazione fra i fenomeni solari ed i magnetici non solo nei 
grandi e lunghi periodi ma eziandio nelle straordinarie e parziali pertur- 
bazioni magnetiche anno per anno, mese per mese, rotazione per rotazione, 
come abbiamo abbondantemente dimostrato in queste otto comunicazioni, e 
fino dal 1867 (senza che veruno fra i dotti se ne sia menomamente occupa- 
to)^ posta dico una si intima relazione, panni che se ne debba conchiudere 
che: sia come causa ^/iref^a, sia come causa iWirefóa, non può negarsi che ogni 
principale modificazione nello stato fisico del sole, manifestatasi specialmente 
pel fenomeno delle macchie, non sia cagione d^un corrispondente equilibrio 
nello stato del magnetismo terrestre e quindi delle perturbazioni magnetiche. 
I fatti già esaminati e pubblicati negli Atti della nostra Accademia^ e quelli 
che stiamo per esaminare e pubblicare senza escludere una causa (tuttavia 
a dir vero ignota) generale e comune, conducono tutti a dimostrare che una 
volta modificato lo stato di attività dell'astro maggiore , questo nelle sue 
agitazioni tende alla sua volta a modificare quello del suo satellite quale è 
la terra, donde le perturbazioni magnetiche coi fenomeni aurorali che le 
accompagnano. 

Senza entrare in polemiche inutili e sempre spiacevoli, secondo che ab- 
biamo fatto fin ora , ci atterremo ad un accurato esame de' singoli feno- 
meni, e paghi della loro evidente correlazione ben ci guarderemo dall' emet- 
tere teorie avventate, le quali se possono per un instante colpire l'immagi- 
nazione, non sempre sono quelle che reggano alla prova del tempo e condu- 
cano alla scoperta della vera cagione di così complicati fenomeni. 



179 -- 



NUOVO GENERE E SPECIE DI DIATOMEA 



NOTA 



DEL CONTE ABATE FRANCESCO CASTRACANE 



C 



faiunque a soggetto dì studio scelse la vita del mare nelle sue produzioni 
vegetali, si troverebbe poco corrisposto nelle speranze, se a campo di ri- 
cerche scegliesse il mare Adriatico nel litorale italiano, e particolarmente 
nel tratto appartenente alle Marche. La natura arenosa di quel fondo di 
mare, la poca profondità delle sue acque e la dolcezza del declivio litorale 
occupato in tutta la sua estensione o da arene mobili o da aggestioni brec- 
ciose, impediscono il tallire delle alghe lungo quelle spiaggie. Questa cir- 
costanza mi ha grandemente contrariato nelle mie ricerche in tomo le alghe 
microscopiche, le quali per l'appunto sogliono vegetare o parassite su le alghe 
superiori o in denso strato muccoso, che suole rivestire le roccie o sommerse 
o appena emergenti dal seno del mare. Questo fece che nei primordi dei miei 
studj microscopici mi dovessi rimettere al caso per riconoscere qualche Dia- 
tomea, ricercandola fra le dejezioni dei molluschi, o nel contenuto dei loro 
stomachi. In tale genere di ricerche eseguite in simili circostanze potei re- 
putarmi abbastanza fortunato, avendo per tal modo scoperto belle e interes- 
santissime forme, le quali ignora vansì abitatrici dei nostri mari, come per 
tacere di altre ' V Asterolampra Marjrlandica. Ehrbg. e Yjisteromphalos 
Brookei. Bail. 

Ma nello studio di tali piccole maraviglie io non mi era proposto sem- 
plicemente il conoscere e Tammirare con sterile contemplazione la stupenda 
varietà e ricchezza di loro forme, ma intendeva precipuamente a studiarne 
i caratteri, le influenze, in una parola, a indagare la fisiologia delle Dia* 
tomee. Ma un tale studio non può farsi altroché con il continuo osservare 
quelle minime creature ancora viventi, tentando sorprenderle nei momenti 
delle loro diverse evoluzioni biologiche, al fine di determinare per tal modo 
la precipua più diretta funzione della vita organica, la riproduzione. A tale 
scopo e più volte mi recai nell'Istria e nella Dalmazia, trattenendomi cola 
qualche tempo a raccogliere Diatomee, notando e registrando man mano quanto 
sul momento mi era dato osservare, e il risultato di quelle ricerche conse-? 
guai in apposita Memoria, che ebbi l'onore di presentare a questa Accade- 

24 



— 180 — 

mia. Però, nel desiderio di ricercarmi un campo meno per lontananza disa- 
giato alle mie ricerche e più prossimo alla mia dimora estiva e autunnale, 
impresi a percorrere ed esaminare press' a poco tutte le nostre spiagge 
Marcbegiane. 

Nel punto, dove Tltalia più si avvicina alla Dalmazia e dipendente dal 
monte Conerò, sì protende sul mare un promontorio, al quale appoggiasi la 
citta di Ancona, ivi sorta per Topportunita che la con6gurazione di quello 
a forma di gomito le dava di avere un buon porto. A chi dal mare rivolgasi 
a rimirare Ancona dal lato di S. Ciriaco, che la sovrasta, non può non ap- 
parire in quella perpendicolare altissima parete rocciosa 1* incessante azione 
demolitrice del mare. Questa azione però viene ritardata dalla circostanza 
che le assise della roccia stratificata presentano le Icmto testate press* a poco 
nella direzione dei flutti , i quali incessantemente muovono allassalto. A 
hreve distanza dalla costa , quasi a testimonio delle corrosioni operate in 
lontane epoche dal mare, sorgono a pochissima altezza sul livello delle onde 
quattro scogli, che vanno successivamente deprimendosi nella direzione op- 
posta della terra, i quali però possono dirsi costituenti un solo scoglio. 
Questo punto va distinto con il nome di scoglio di S< Clemente, dove la 
tradizione locale accenna esservi sorta una chiesa consecrata a quel Santo 
Pontefice e martire. li breve spazio occupato da quegli scogli o secche, o, 
a meglio dire, le anfratuosita, che quelli presentano, è il punto delle nostre 
spistgge che presentasi, quale oasi nel deserto, rivestito di bella v^etazione 
di alghe diverse, che possano interessare lo studioso. La io ho passato più 
ore assorto nella contemplazione della infinita varietà di forma e vaghezza 
di tinta delle alghe^ le quali vegetano rigogliose Ik dove continuo è il fla- 
gellare dei flutti. Di la ho riportato in' più volte ciufiì di alghe diverse, 
le quali mi si mostravano esuberantemente rivestite da infinita congerie di 
Diatomee. Me potevo io ingannarmi sul fatto della presenza di numerosissime 
Diatomee su quelle alghe, ad onta che il luogo non mi preisentasse agio a 
potere ad ogni volta ricorrere al microscopio. 

E qui mi sia permesso fermarmi alquanto a ricordare cosa, la quale può 
riescire vantaggiosa a conoscere a chiunque in simili circostanze intenda 
raccogliere Diatomee. Ho in diverse cii*costanze narrato, come la principale 
funzione di questi minimi esseri sia il decomporre Tacido carbonico sotto 
r influenza della luce solare ; perciò nelPassimilare il Carbonio che quelli 
fanno, mettono in liberta TOssigeno , del quale possono fare loro profitto 
gli animali per mantenere la respirazione. Tale azione vitale è compita dalle 



~ 181 ~ 

Diatomee quasi incessantementei per cui quei ciuffi di alghe, che in seno 
all'onda cerulea del mare vedonsi rivestite di graziose gallozzoline, le quali 
alFappressare della mano sfuggono e vanno a rompere alla superficie; siamo 
fatti certi da tale apparenza che fra i loro tenui filamenti si annidano mi- 
riadi di maravigliose Diatomee. 

Guidato pertanto con tutta sicurezza da tale criterio mi rimaneva sempre 
r imbarazzo della scelta, mentre ovunque mi volgevo specialmente in alcuni 
tranquilli recessi, che aprivausi fra quelle roccie, mi si presentava il lieto 
spettacolo di alghe di svariate forme e di colori smaglianti tutte rivestite 
da argentine o iridescenti bollicine di gaz, e all'appressarmi ovunque tutto 
attorno vedeva Tinte rm inabile scoppiettio di quelle. La mia mente era as- 
sorta nel riflettere alla azione benefica, che a prò degli animali superiori .la 
provvida Natura incessantemente esercita , adopraudovi le infinite miriadi 
degli umili ma stupendamente belli organismi del microcosmo, supplendo con 
il numero senza numero e alla importanza ed universalità dello scopo, e 
alla minima mole di ciascuno agente. Nell'imbarazzo della scelta io termi- 
nava per raccogliere poco meno che alla cieca alghe di diversa specie e da 
diverse posizioni per avere maggiore probabilità di incontrare varietà di specie. 

Non intendo enumerare qui le forme diverse di Diatomee da me raccolte 
allo scoglio di S. Clemente, che troppo lunga cosa sarebbe, ne mette conto 
il volere dare la flora delle Diatomee di quel luogo , amando meglio per 
ora lasciar la cura di farne speciale oggetto di studio ad alcun naturalista 
micrografo che potesse sorgere in Ancona. Solamente voglio qui ricordare 
come nei Settembre del 1872 fra le tante Diatomee, che ne riportai, la mia 
attenzione fu richiamata dal singolare aspetto di talune tenuissime forme 
lineari, le quali vedevansi aderire l'una all'altra per mezzo di piccolo istmo 
o cuscinetto jalino per angoli alterni da formare delle serie disposte a zig 
zag. La disposizione era precisamente identica a quella del genere Diatoma^ 
e si sarebbe potuto confondere con un D. Valinum Kz* non scorgendovi 
in su le prime ombra di striazìone. Ma non tardai guari a scoprire in quella 
problematica forma una singolarità tale da non trovare riscontro in alcuno 
dei generi conosciuti di Diatomee. Lungo un solo lato di quelle forme 
lineari ad estremità riquadrate, che non esitavasi a riconoscere come il fianco 
della cellula vedevasi al mezzo una figura di G, che non esisteva certamente 
nella parte opposta. , 

Una tale singolarità attirò tutta la mia attenzione , mentre quella forma 
non avrebbe trovato alcuna analogia con ciò che noi conosciamo fra i diversi 



— 182 -^ 

generi desrcritli di Dittomea, e quindi incontrastabilmente ne avrebbe de- 
terminato un nuovo genere. Però ad onta che mi sentissi intimamente per- 
suaso che l'organismo il quale io avevo sottocchio era una Diatomea vera, 
e non appartenesse ad alcun altro genere di alga unicellulare, pure mi 
rimaneva raccertarmi se le sue pareti fossero veramente silicee. E tali di 
fatti mi si mostrarono quando assoggettai il poco materiale, che conteneva 
(|uelle forme lineari a protratta azione degli acidi azotico e cloroidrico 
concentrati, fazione dei quali veniva stimolata dalla ebuUizione, e da repli- 
cate aggiunte di clorato di potassa soppesto, per aumentarne di tanto in tanto 
l'azione ossidante di quegli acidi. Al cessare di qualunque sviluppo di gaz, 
fatto certo che nulla più vi esisteva accessibile ali* azione di quegli acidi 
dopo replicate lavande, che ne eliminassero ogni traccia di quelli o di sali, 
procedetti a montare le Diotomee cosi ottenute in preparazioni permanenti 
al balsamo di Canada. Fra le molte e divei*se Diatomee di generi e specie 
note non tardai a incontrare con la maggiore mia soddisfazione le valve 
lineari della nuova Diatomea qua e là disseminate e presentantisi ora di lato 
ed ora di fronte, nella quale ultima posizione d'aspetto ravvicina vasi gran- 
demente alla valva di una Grammatophora , mentre vedevansi distinte nel 
centro da un piccolo anello rotondo, il quale però nella nostra forma, ve- 
duta di lato prende il profilo di un.C. 

La difficolta di consultare tutte le diverse pubblicazioni su le Diatomee 
che videro la luce nelle diverse lingue, e che vanno sparse negli Atti delle 
varie Accademie e Società Scientifiche mi faceva dubbi tare, che nel publi- 
care la forma per me nuova con istituirne un nuovo genere e specie, non 
avessi da aumentare 1* ingombro della già soverchia sinonimia, indicando con 
un nuovo nome un organismo, il quale per avventura fosse stato da altri 
scoperto e prima di me nominato e publicato. Tale giusto timore fece si, che nel 
Luglio del 1873 portatomi a Vienna nell'interesse di visitare T E5j[>osizione 
Universale, ricorressi all'autorevole giudizio del distintissimo naturalista 
micrografo austriaco sig. Alberto Grunow, la squisita gentilezza del quale 
in altra volta io aveva sperimentata. A tale oggetto sottoposi al suo occhio 
sagace la Diatomea per me nuova, la quale esaminata da lui diligentemente 
fu parimente riconosciuta per una forma non ptima da altri veduta, e mi 
esprimeva il desiderio di averne copia. Se non che io mi trovai displacente 
di non potere sul momento soddisfare alla sua domanda, mentre il rima- 
nente della interessante raccolta disgraziatamente mi si era confusa nell'im- ^ 
mensQ numero di materiali che ho ordinato e raccolta da tutte le parti. 



— 183 ~ 

Però gli facevo promessa di portarmi di nuovo appositamente in Ancona, 
dove speravo fare di quella interessante alghetta nuova e più copiosa 
raccolta. 

Non di rado accade al Botanico, che avendo per avventura incontrato 
in una delle sue erborizzazióni alcuna pianticella fanerogama o pure un 
musco o un lichene o altra delle tante piante crittogamiche^ la quale nel 
susseguente esame riconosce costituire una rarità, ne registra la località^ 
rimettendo ad altra occasione il procurarne esemplari. AU*accedere che quegli 
fa in altro tempo alla nota contrada e alla precisa località, quanto di fre- 
quente avviene che contro la sua aspettazione le ricerche più diligenti non 
lo rendono possessore di un solo campione della pianticella desiderata. Il 
simile arrivò a me nel seguente anno, quando quasi negli stessi giorni por- 
tatomi espressamente in Ancona e su V istesso scoglio di S. Clemente rac- 
colsi copiosa messe di alghe infarcite di Diatomee, ma non fui fortunato 
di porre la mano su la forma desiderata. Cosi mi trovai nella dura neces- 
sita di rimettere ad altra occasione il far nuova ricerca di quella Diatomea, 
se pure la sorte propizia non fosse prima per favorirmi procurandomi quella 
curiosa forma da diversa provenienza. 

ìih in questa volta la fortuna tardò lungamente ad arrìdermi. Nella tra- 
scorsa primavera il mio amico D. Matteo Lanzi cultore distinto degli studi 
crittogamici andato per pochi giorni a Napoli per giovarsi nella salute e 
per raccogliere i'n pari tempo alghe microscopiche marine per sottoporle ad 
esame, ne ebbe dal Ch. Professore Dorn un piccolo ammasso di alghe rac- 
colte nei magniCci acquari della Stazione Zoologica di Napoli con tanto 
amore da lui fondata e diretta. Quelle alghe ricchissime in Diatomee il 
Lanzi con molta liberalità volle meco divise, ed .io intendo in questa oc- 
casione rendergliene pubbliche grazie. La prima ispezione che intrapresi di 
quelle alghe (con quanta mia soddisfazione non occorre dirlo) mi presentò 
in sufficiente copia la Diatomea tanto desiderata, che sei anni prima io 
avevo incontrato in Ancona. N^ trascurai di profittare del momento per 
assicurarmi facendo ali* istante diverse preparazioni di quella rara forma. 
Questa io volli fare con nuovo metodo, per il quale le Diatomee serbassero 
fedelmente la loro caratteristica disposizione, rimanendo ordinate in lunga 
serie a zig zag. Tale sistema di preparazione riesce opportunissimo special- 
mente quando trattasi di Diatomee o filamentose o disposte in serie, e in 
una parola in tutti quei casi nei quali la posizione dei frustuli può (come 
nel nostro caso) fornire un dato caratteristico. Lo stesso metodo vuoisi ado* 



— 184 — 

perare nel preparare raccolte di Diatoroee pelagiche, delle quali molte non 
sono suscettibili per la loro squisit%tenuita di essere assoggettate al brutale 
trattamento degli acidi, come per esempio alcune Rhjrzosolenie^ le Eucampia 
i Chetoceros e i Bacieriastrum. 

In tutti questi casi si procuri avere le Diatomee isolate dalle alghe su- 
periori, prendendo alquanto del liquido torbido, che ritrovasi in fondo al 
vaso, nel quale venne serbata Taiga, che videsi carica di frustuli diato- 
macei. Il lievissimo deposito venga replicatamente lavato con acqua distil- 
lata, la quale dopo la quiete di qualche ora verrà diligentemente decantata. 
Tale osservazione deve essere ripetuta più volte sin che sia dato ritenere 
che r acqua rimanente su le Diatomee non tenga più in soluzione sali o 
altre simili sostanze, le quali nelT evaporare dell'acqua su la lastrella di 
vetro sottile abbiano da lasciare questa e le Diatomee, che vi si deposero, 
inquinate da incrostazioni. Allora sopra apposito piccolo tavolinetto me- 
tallico, il quale suole adoperarsi a montare le preparazioni e ad introdurre il 
balsamo o simile cemento resinoso con V applicazione del calore, il quale 
balsamo serve a riunire il vetrino al portaoggetti; si collocano in serie al- 
trettanti vetrini o coprioggetti, i quali devono essere diligentemente puliti. 
Sopra ciascun vetrino si versino alcune goccie del liquido, che tiene in so- 
spensione le Diatomee, curando preventivamente di scuotere ad ogni tanto 
il tubetto nel quale furono poste in serbo. ÀI tavolinetto metallico si sot- 
toponga una lampada a spirito regolata in modo da dare una piccolissima 
fjammellina cosicché abbia da riscaldare lentissimamente i vetrini per eva- 
porarne il liquido sopranatante. In seguito portato il vetrino con le Dia- 
tomee sovrapposte sopra piccola e sottile laminetta di platino, questa viene 
tenuta alla parte superiore di una buona fiamma a spirito, la quale T ab- 
bracci e l'arroventi per modo da bruciare e incinerarne tutta la parte 
organica, la quale non sia silicea. Si protragga l'azione della fiamma sinché 
ogni minima traccia di sostanze carbonose venga esportata in condizione di 
acido carbonico^ ciò che sarà riconosciuto al graduale intero decoloramento 
di qualunque punto della lastrella di vetro. A tale momento giunti non rimane 
altro che agglutinare il vetrino su il portaoggetto con alquanto balsamo di 
Canada, che con il mezzo del calore vi si introduce per capillarità, in modo 
che le Diatomee vi si trovano immedesimate e protette nello spessore della 
preparazione se pure non si reputasse più conveniente e opportuno l'appli- 
care il vetrino rovesciato sopra un cerchio di molle cemento colorato, che 
a mezzo di apposito tornetto si sia formato sul portaoggetto, pei'chè le Dia- 



— 185 ~ 

tomee ne rìmanessero custodite da qualunque azione esterna in seno a uno 
strato di aria e ad ogni .ora pronte ali* osservazione. 

Alcune preparazioni al balsamo fatte per abbruciamento, nelle quali era vi 
un numero di frustuli della nuova Diatomea io volli portar meco a Londra 
nella «scorsa estate. Colà ebbi il piacere di far presente di alcune di quelle 
a diversi distinti micrografi e diatomologt, pregandoli darmene il loro avviso; 
ma nessuDo mi potè indicare a quale specie o anche pure a qual genere 
potesse appartenere, cosicché quella forma, egualmente che a me, rimaneva 
nuova a tutti. Uno di quei signori spinse la sua gentilezza fin a ricercarne 
lautorevolissimo giudizio del Ch. Micrografo americano il Pix)fessor Hamilton 
Smitb^ il quale confermò Tassoluta novità di questo delicatissimo organismo, 
del quale attendeva il nome che io con il diritto di scopritore gli avrei 

« imposto. Ed ultimamente il gentilissimo mio intermediario mi scrìveva da 
Londra che lo slesso Professore Smith desiderava avere da me il materiale 
racchiudente quella forma per poterla pubblicare fra le sue preparazioni 
tipiche di Diatomee, quali esso con tanto utile della scienza va pubblicando^ 
aggiungendomi contemporaneamente la notizia che alcuni esemplari della 
nuova Diatomea erausi ultimamente incontrati in una raccolta recente Ame- 
ricana di Barbados. 

La principale e più cospicua caratteristica di questa nuova forma consiste 
in un loculo centrale o anello, del quale va distinta una delle due valve, 
che compongono il frustuto. Tale circostanza mi ha suggerito il nome, sotto 
il quale debba andare designato tal genere, che chiamerò Cjclophora. Quello 
che esprima tale anello io non lo saprei intendere: solamente io dirò sem- 
brarmi costituito in un loculo o nicchia centrale, che sembra aprirsi all'e- 
sterno della valva. Una circostanza io ricorderò su la quale richiamò la mia 
attenzione da solerte osservatore quale h il Dott. Lanzi, che Tendocroma, 
il quale in piccole masse distinto vedesi occupare la cavita del frustulo, 
mai si vedeva dentro il suindicato loculo. Farmi dovere essere fuori di 
dubbio, che questa particolarità ognora costante serve a fare intendere, che 
quel loculo h chiuso all' intemo, dove perciò viene a limitare la cavita fru* 
stulare. Nell*osservare attentamente i diversi frustuli mi apparve abbastanza 
evidente, che questa nuova Diatomea anche essa risulta formata da due valve 
distinte, le quali Tuna all'altra si riuniscano per mezzo di due anelli ab- 

bracciantisi Tun T altro, e che costituiscono la così detta zona corinettente. 

Da questo ne consegue che le due valve devono diflferire nella grandezza 

fra loro» cosicché Tuna abbia Tasse longitudinale alquanto maggiore che 



~ Ì86 ~ 

l'altra. E così realmente accade Della forma che andiamo esaminando, nella 
quale sinora non una sola volta m*^ accaduto vedere che la valva munita 
di loculo centrale non sia precisamente la più piccola. Quindi h che mi ap- 
parve quasi certo, che la valva munita di loculo sia T inferiore; quasi che 
quel loculo accennasse ad un centro di aderenza, per il quale nella prima 
volta si adattò ad un fulcro qualunque la forma arcbetipa o primigenia, dalia 
quale derivò per discendenza la serie che abbiamo sott' occhio. 

Ecco intanto la definizione che credo dare di questo genere : Cjrclophora 
n. g. Frustala tabulata-rectangula; ve/ in fascias con/uncta^ vel soluta^ 
sed isthmo gelineo alternatim concatenata ; a fronte oblonga^ linearla ^ vel 
parum infLata\ uahis inaequalibuSj quorum una anulo wl loculo centrali 
instructa. Indis^idua vivant in aqua marina. 

Questo nuovo genere apparterrebbe alle Àchnanthee per la circostanza . 
rimarchevolissima delle sue valve dissimili, mentre l'inferiore valva soltanto 
e distinta di un loculo centrale, come riscontrasi negli Àchnanthes^ negli 
Achnanthidiumy nelle Cjrmbosira^ e nelle Cocconeis. Ma differisce comple- 
tamente da quella sezione, e da tutti i surriferiti generi per il modo nel 
quale si dispongono. Sotto tale riguardo la Cjrclophora dovrebbe enume- 
rarsi secondo la classificazione dello Smith (Sjnopsis of tìie British Diato* 
macee) alla prima tribù delle Diatomee nude, e fra queste alla sottotribù 
quarta, la quale comprende le forme riunite in serie a zig zag. Però il no- 
stro genere rimanendo marcatamente diviso dalle Àchnanthee per il costante 
caratteristico sistema di disposizione, e dalla sezione compicendente i generi 
Diatoma^ Grammatophora^ Tabellaria, Àmphitetras^ Biddulphia e Jsthmia 
per r importante circostanza della dissomiglianza delle due valve, viene op- 
portunamente a costituire un anello di congiunzione fra i due suaccennati 
gruppi. 

11 genere Cjrclpphora per ora non comprende, altra forma ali* infuori di 
quella da me prima ritrovata in Ancona (anno f873) e quindi riportatami 
nella scorsa Primavera da Napoli^ che ora nomino Cjrclophora tenuis, n. s. 
per l'estrema tenuità e trasparenza delle sue valve. Eccone la definizione 

Cjr. tenuiSf n. s. a latere oblongo-rectangula^ medio tumidala) vakns a 
fronte lineari-inflatis^ polis rotundatis; inferiori (?) valva loculo centrali 
rotundo instructa^ in sectione subquadrato ^ interius patuh. Frustalorum 
longitado = o,"" 0455 - o,"" 055tj latitudo « o,"" 0048 - 0""" 0133. Habitat 
Anconas ad scopulos Sancti Clementis^ et Neapoli in aquariis. 

Sin dal primo momento che mi fui assicurato di aver sott'occhio le valve 



^- 187 ~ 

silìcee di una nuova Diatoraea^ mi adoperai con ogni studio a riconoscere 
se le sue valve andassero distinte da strie o da punti^ come suole aversi 
^generalmente in tutti gli altri generi o specie appartenenti a questa fa- 
miglia di vegetali. La più accurata correzione dell' immagine unita ai 
più poderosi ingrandimenti del Microscopio la diversa intensità di luce, 
la maggiore obliquità nella direzione dei raggi, tutto io adoperai ad ottenere 
r intento. Fin ad oggi Tunico dettaglio, che ho potuto scoprire, sono alcune 
lievissime strie longitudinali nella superficie della doppia fascia o zona 
connettente, che riunisce le due valve, le quali strie longitudinali presentansi 
quasi minime pieghe di detta fascia. Quelle mi parvero reali strie o pieghe 
e rilievi positivi; e non credo poterle riguardare quasi illusive apparenze 
dovute air interferenza dei raggi sul contorno delle valve e su il bordo' 
estremo delle fascie stesse. Quindi è che anche per questa circostanza la 
nostra Diatomea differisce da quasi tutte le altre, le quali generalmente pre- 
sentano la superficie delle loro valve striate o punteggiate, e poche sono 
quelle che contemporaneamente presentino dettagli nei lati ossia nella zona 
di unione. Cosi ritengo dovere io riescire giustificato innanzi alla scienza 
nell'indicare un nuovo genere e specie da aggiungere alla di già difficile e 
complicata nomenclatura delle Diatomee, avendo io preventivamente usato 
ognii dligenza a reudermi certo di non designare con nuovo nome un or- 
ganismo di già conosciuto. 



25 



— 188 — 

FULMINE A CIEL SERENO 

CADUTO IN S. STEFANETTO PRESSO ALBA 

NELL'ESTATE DEL 1877 

NOTA 

DEL PROF. MICHELE STEFANO DE ROSSI 



I 



giornali di Piemoate nella estale del 1877 descrissero it singolare fenr>* 
meno d' una scarica elettrica senza temporale che fulminò pareccliie persone 
raccolte a conversare sotto un albero. Il fatto avvenne in una proprietà di 
miei parenti» fra i quali pure furono alcuni dei fulminanti, che fortunata- 
mente però ebbero salva la vita. Quindi è che mi h stato facile procurarmi 
notizia esatta delK avvenuto fenomeno, il quale certamente merita di es- 
sere con ogni particolare registrato fra i fatti raccolti dalla scienza. E eia 
non solo per ciò che riguarda gli strani eflfetti della fulminazione e lo 
strano modo di scorrere sulle persone la suddetta scarica, ma eziandio 
perchè le circostanze del singolare fenomeno mi porgono il destro di isti- 
tuire alcuni confronti con un altro fenomeno da me esaminato ne nostri 
Atti del decorso anno, la supposta caduta cioè d^un aerolite nel Settembre 
1875 nella citta di Supino, (i) 

Stimo opportuno cominciare dal riferire testualmente la lettera scrittami 
dal mio cognato Avv. Michele Boeri di Alba, die contiene la descrizione del 
fenomeno. A questo poi farò succedere le mie riflessioni. 

Alba^ 22 Gennaio 1878. 

« So che tu avresti bisogno di avere precisi e dettagliati ragguagli sul 
fulmine caduto il 2a Agosto in S. Stefanetto. - Il fulmine cadde circa le 
ore 2 Y» pom. sopra un grande albero di ippocastano che sta presso la 
nostra casa di S. Stefanetto neir altipiano di un colle piuttosto elevato. — 
Il temporale si trovava alla distanza di quattro o cinque chilometri, al 



il) V. Alti della P. Acc. di N. Lincei, Anao XXX sess. II 



~ 489 — 

di sopra di una catena di colli più elevata separata da quella di S. Ste- 
fanetto dalla profonda valle del torrente Tinello. Sopra di noi non vi era 
che un sottile velo dì nubi grigie, senza alcuna di quelle agglomerazioni 
che nel nostro clima sono caratteristiche delle nubi temporalesche e senza 
alcuna minaccia locale di fulmine. Pochi minuti prima che cadesse il fulmine 
sopra di noi non si erano intesi che due o tre tuoni sordi lontani e prolun- 
gati. - Quando cadde sull'albero suddetto, sotto di esso si trovavano ricoverati 
un contadino cacciatore, il quale stava appoggiato col doi*so all'albero fumando 
uno zigaro, mio padre che stava pure ritto discorrendo a due o tre passi di 
distanza, ed il domestico che stava coricato a maggior disianza del tronco del- 
l' albero. — II cacciatore fu colpito dal fulmine, che gli ruppe Tabito id fusta- 
gno sul dorso, e nel punto di contatto col tronco dell'albero, gli frantumò 
il porta sigari che teneva in bocca e la catena d'acciajo dell'orologio, gli scon- 
nesse tutta la cucitura dei calzoni, gli arse tutti i peli del corpo ed uscì 
pel tallone di una scarpa facedovi una grossa rottura. — Le conseguenze ne 
furono l'asfissia temporanea, la rigidità delle gambe per tre o quattro giorni 
e l'impotenzadi orinare, per cui gli si dovettero levare dal medico le orine 
artificialmente, incommodi però che col tempo tutti scomparvero, meno un 
po' di rigidità ad una gamba che sembra voglia essere permanente. Mio padre 
fu pure colpito ad una spalla da una parte della corrente elettrica, che pare 
siasi slaccata dal tronco dell'albero per un forte gruppo incontratovi. - 
Le conseguenze ne furono l'asfissia, e quindi dolori acutissimi alle spalle 
ed a tutte le giunture del braccio e della mano offesa; la quale aveva il 
segno come di una contusione, i quali dolori diminuirono però in pochi 
giorni di intensità e scomparvero quasi totalmente dopo un pajo di mesi. - 
Il domestico non fu tocco propriamente ma sofferse per parecchi giorni 
dolori e rigidità a tutte le membra per effetto credo della forte scossa 
ricevuta. 

Tanto il detto cacciatore che mio padre tenevano indosso la scatola 
della polvere, la quale però per singolare fortuna non esplose, che altrimenti 
ne sarebbero stati malconci. 

Così tenui effetti in confronto della potenza terribile del fulmine io non 
so spiegarli altrimenti, se non che la corrente elettrica fosse sottilissima, 
perchè i guasti dell'albero non furono molto grandi ; che la massa principale 
ne abbia percorso il tronco, e quella parte che toccò il cacciatore abbia 
percorso quasi del tutto i suoi abiti sfiorandogli interamente la pelle. 
Questa h la descrizione del fenomeno sul lato fisico; dal lato morale fu per 



— 190 — 

me talmeate orribile, che aDcora adesso al ricordarlo mi mette i brividi 
addosso. ^ Io mi trovava ad una cinquantina di passi di distanza dall'al- 
bero fatale colle spalle rivolte al medesimo^ e stava osservando tranquil- 
lamente l'andamento del temporale, colla speranza che ei volesse portare 
un pò* di pioggia che era tanto sospirata per la lunga siccità che affligeva 
i nostri colli. - Tutto ad un tratto sento dietro di me uno scroscio simile 
a quello di un razzo, e quindi una detonazione come di un cannone che 
avesse portali cento chilogrammi di polvere di carica. - A quel tuono credetti 
che fosse stata colpita la casa ove aveva lasciata mia moglie colla bambina. 
Guardo i tetti ed i comignoli, ma non vi scopro alcun guasto. -* Allora» 
mi rivolgo air albero, e ne veggo le traccie sul tronco; non vedo più al- 
cuno e non sento più nemmeno un lamento. Avendo lasciato sotto quell' al- 
bero un momento prima mio padre e mio figlio, sento l'orribile, l'indicibile 
spavento che amendue sieno morti. Mi avanzo, e per fortuna veggo tosto 
mio figlio alzarsi da terra sul prato alla distanza di una ventina di passi 
dall'albero, e venire verso di me. — Il poveretto se ne era provvidenzial- 
mente scostato un attimo prima per andar dietro ad un uccelletto che aveva 
veduto posarsi sul prato. — M'accosto all'albero, e mi si presenta un qua- 
dro dei più spaventosi. - Mio padre ed il cacciatore, erano rigidi e duri 
come due pezzi di legno, e solo il domestico cominciava ad emettere qual- 
che penoso lamento. — Nella caduta mio padre aveva riportata una fe- 
rita alla fronte, che dava sangue. Alla vista di quella ferita entro in me 
la convinzione la più assoluta che fosse stato colpito dal fulmine al 
cervello, e che fosse morto. - Non te ne dico più altre perche troppo 
ancora ne soffro al rammentarlo. - Come Dio volle dopo un quarto 
d'ora tanto mio padre che il cacciatore cominciavano a dar segni di vita, 
ma ci vollero altre due ore prima che riacquistassero la piena cono* 
scenza di loro medesimi. Per caso più strano ancora in quel giorno tutti i 
contadini nostri si erano recati a raccogliere il fieno in prati lontanii e 
cosi ci trovammo soli, io, mia moglie, e due contadine, per soccorrere tre 
asfissiati ed irrigiditi. Dovemmo gridare al soccorso ed aspettare che arri- 
vassero alcuni contadini dal vicinato per poter trasportare in letto i feriti. - 
Dopo due giorni io dovetti mettermi a letto con grandi dolori al capo e 
dissesti gastrici, e durai a ristabilirmi più d'un mese» stando ora alzato^ 
ma sempre male. -* Mio figlio dopo due o tre giorni cadde pure ammalato 
e stette oltre venti giorni a letto colla febbre.... >» 

AvT.. Michele Boeax. 



~ 191 — 

Lasciando da parte ogui considerazione sugli strani effetti delia fulmina- 
zione e sulle vie percorse dalla scarica nello investire gli uomini , mi fei^mo 
ad esaminare il fatto dell'essere avvenuta la scarica elettrica fuòri dell'area, 
sulla quale sovrastava il temporale. La presenza del temporale in regione 
non lontana addita abbastanza esser stato questo la causa della caduta del 
fulmine; oltre a ciò la posizione dell'albero fulminato e ciò che videro le 
signore di casa dalla prossima casina» cioè la trave di fuoco proveniente dalla 
regione invasa dal temporale ne mette fuori di dubbio il punto di par- 
tenza essere stato le nubi della tempesta. Ora io osservo che nella caduta di 
pietre avvenuta a Supino dopo, esaminati tutti i dati, conclusi che dovea 
riconoscersi essere stata l'effetto d'un vero fulmine, quantunque non vi fosse 
temporale su questa citta. Notai però che il temporale esisteva appunto ad 
una distanza simile alla verificatasi nel caso di S. Stefanetto, perchè esso 
imperversava sopra la città di Ferentino. Fra questa citta ed il paese di Su- 
pino è interposta la vasta valle del Sacco, la quale da alla regione un 
aspetto orografico identico a quello della regione piemontese di cui. ora 
trattiamo. 

Tale somiglianza di condizioni orogi*afiche mi fa vedere la quasi certezza 
che il fulmine di Supino potè anche esso provenire dal temporale di Feren- 
tino, distaccandosi da un lembo estremo e superiore della nube temporalesca 
che avvicinayasi alla regione di Supino ; e quivi poi veniva attratta la 
scarica dall' acuta punta del monte di Supino stesso. Nel medesimo modo 
dovette funzionare il grosso albero della collina di S. Stefanetto. Le in- 
terposte valli poi in ambedue i casi concorsero, io credo, ad accrescere la 
forza attrattiva dei colli verso la scarica elettrica. Infatti questa forma 
orografica può a mio credere produrre il caso che la superficie del suolo 
della valle, quantunque sottoposta al temporale vi si trovi però in lìnea 
retta più lontana di quello che le cime dei monti verso Testremita finali 
delle nubi temporalesche. E poiché ho molte volte osservato nei temporali 
che la maggior parte delle scariche elettriche avviene presso i lembi 
estremi della nube temporalesca, dove sembrami naturale che si accumuli la 
elettricità da scaricarsi; si vede anche in ciò una ragione per la quale av- 
venne nei due casi di S. Stefanetto e di Supino lo stacco d^uno dei ful- 
mini apparentemente lontano dalla regione tempestata. Sembrami adunque 
che nel paragone dei due fenomeni ora esaminati si trovi la scientifica de- 
terminazione d'un caso speciale e di una condizione speciale per la caduta 
dei fulmini influenzata dalla orografia terrestre, che non è certo senza im- 



— 192 — 

portanza per gli studii dei meteorologisti. Se avessi agio e se ciò 'Tosse nei 
campo de' miei studi speciali» non mi sarebbe difficile di trovare nella 
statistica dei casi gik noti dei fulmini cosi detti a ciel sereno, molti altri 
casi analoghi da paragonare ai due presenti. Potrebbesi allora svolgere ogni 
particolarità e dedurre i corollari dell'accennato punto di vista orografico 
meteorologico. Ma mentre ciò sarà fatto per cura dei meteorologisti, io son 
pago d'aver trovato nel fenomeno di S. Stefanetto un caso tanto analogo 
a quello di Supino, che £a scomparire l' apparente singolarità di questo e 
giova a confermare il giudizio dato da me su quella falsa caduta d'aerolite, 
la quale dissi esser stata soltanto un trasporto di sassi gik altre volte veri- 
ficatosi sulle ali del fulmine. Mancava però il temporale sopra Supino, che 
apparisse causa immediata della scarica elettrica. Siffatta causa io travidi 
nel non lontano temporale di Ferentino; ed ecco che quanto ciò dovesse 
esser vero ce lo pone sotto gli occhi ad evidenza il fulmine certo di 
S. Stefanetto proveniente indubitatamente dall'opposto rilievo d'una grande 
vallata. 



— 193 — 

RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI MICROSISMICHE 
FATTE NEL COLLEGIO ALLA QUERCE DI FIRENZE, 
E DELLE PRINCIPALI RIFLESSIONI TEORICO-SPERIMENTALI 

DEDOTTE DALLE MEDESIME 



PAivrE III. (i) 

Rapporti fra i moti hicrosisiici di Firenze r l'azione lunisolare delle maree. -<■ 
Discussione sulle relazioni fra i moti suddetti e le variazioni barome- 
triche DAL Dicembre is73 in poi. 



N, 



ella parte precedente di questa Memoria aveva accennato ad alcuni 
puuti importantissimi della discussione dei moti microsismici, cioè : i^ alla 
ricerca delle influenze lunisolari nei moti suddetti; 2? allo studio delle rela- 
zioni fra i moti stessi e le variazioni di pressione barometrica : egli h per- 
tanto a questa duplice trattazione che h rivolta ora questa Terza Parte; 
la quale però riuscendo già per se stessa abbastanza prolissa, mi obbliga a ri- 
mandare ancora ad una Quarta Parte per lo meno, a guisa di Appendice, tut- 
tociò che mi rimarrebbe ancora a dire sull' argomento dei moti microsismici. 
Quanto alla prima discussione sopra detta, dalia quale esordisco questa Parte 
Terza^ sono stato ben fortunato di potermi valere con assai vantaggio del- 
l'opera paziente^ ed ingegnosa dell* egregio giovane Sig. Giulio Grablovitz 
di Trieste, il quale già conosciuto presso gli scienziati per altri importantis- 
simi lavori di Fisica Terrestre, e che hanno strettissima connessione co- 
gli studi miei, si è offerto volonteroso a coadiuvarmi in questa ricerca , 
della parte cioè che può attribuirsi all'azione lunisolare nei moti tromome- 
trici. - Intorno a questo argomento io non potei occuparmi di proposito in 
passato, ma considerando solo in generale ed isolatamente i rapporti dei sin- 
goli moti tromometrici osservati colle posizioni lunari, fui condotto ad accennare 
semplicemeute alcune impressioni che intanto mi erano occorse alla mente su 
tale riguardo; e furono le seguenti osservazioni che trovansi nel paragrafo IV 
della Parte I. n Niuna certa e costante relazione in ordine di tempo, io 
« trovo colla maggior o minor copia delle macchie o eruzioni solari, coi bolidi 

(I) Questa parte fu presentata dairautore nella sessione VII deiranno XXX ; e come si disse 
nd relativo fascicolo, se ne è dovuta trasferire in questo la pabbUcazionc. 



— 194 — 

« o colle pioggie di stelle cadenti, cogli eclissi solari e lunari, colle fasi della 
(( luna e colle maree. Intendo però sempre di affermare che la relazione 
a che io non trovo h quella isolata, diretta e paragonabile a quella che in- 
(c vece osservo nel Barometro. Del resto io pure ritengo come causa più 
« remota, ma molto probabile, anche fazione lunisolare nei moti micro- 
<c sismici per la stessa ragione che essa agisce così energicamente, come si 
(( sa, nella produzione delle maree dei grandi oceani, mentre è assai piccola 
« o insensibile nei mediterranei e nei laghi, d 

Intorno a questi concetti io rimetto al lettore il giudizio quando avrà 
naturalmente osservato Tanalisi minuta e coscienziosa che ne fa il Sig. Gra- 
blovitz nella sua Memoria che qui soggiungo, ed inoltre alcune riflessioni 
fatte con molta maturità ed acume dall'egregio mio confratello P. Camillo 
Melzi Professore di Matematica in questo Collegio, e mio coadiutore. In 
questo lavoro il P. Melzi facendo passaggio dalla i' alla 2* trattazione di 
questa Parte III, sviluppa le conseguenze dei risultati del calcolo in rela- 
zione ai moti microsismici, ed alla coincidenza dei medesimi colle pressioni 
barometriche, e confronta i medesimi risultati con quelli trovati per i ter- 
remoti rispetto all'azione Iunisolai*e. 

A conferma poi delle sue deduzioni egli porge da ultimo un esame par- 
ticolareggiato dei movimenti barometrìci e mìcrosismici osservati negli anni 

1874^ 1873, 1876 e 1877. 

CAPO 1? 

Rapporti fra i moti .microsismici e V azione lunisolare delle maree. 

Lettera del Sig. Giulio Grahlovitz. 

Pregiatissimo Signor Professore 

Secondo la mia promessa, eccomi ad esporle i risultati dei calcoli da me 
applicati alle osservazioni dei moti microsismici allo scopo d'ottenere^ empi- 
ricamente gli effetti dell'attrazione lunare , ma anzitutto debbo renderle in- 
finite grazie dei dati gentilmente favoritimi in quella ricca serie d'osserva- 
zioni, ch'Ella raccolse con impareggiabile assiduità dal 1872 in poi, e mi re- 
puterò oltremodo fortunato se le riflessioni, che sono per esporle^ aggiunge- 
ranno un nuovo titolo (se pure n'è duopo) a prova dell' immensa utilità 
che si racchiude nello studio dei moti microsismici. 

Allorché progettai una nuova teoria sismica delle maree nell'opuscolo 
con questo titolo, ch'Ella conosce e che si trov^ allo studio presso l'Istituto 



— 195 — 

veneto di Scienze, lettere ed arti, insieme ad un appendice che mi parve 
opportuno d'aggiungere per riempire molte lacune dapprima inavvertite, mi 
fu mossa obbiezione sul rapporto dei moti microsismici coi movimenti lunari; 
lobbiezione era giustissima in risposta alla mia ipotesi che riguarda la crosta 
terrestre come una materia elastica in grado non uniforme, vale a dire più 
elastica nei punti in cui il suo spessore h minimo ossia nei centri vulca- 
nici. Ammessa questa ipotèsi, poiché un'elasticità h pur d'uopo assegnare 
alla crosta terrestre, fosse questa pur composta di puro diamante, l'attrazione 
degli astri deve agire sopra quelle plaghe come sulle acque : questa teoria^ 
lungi dall'abbattere le teorie dei sommi scienziati, di che mi fu mossa ac- 
cusa, h invece l'applicazione delle stesse teorie a materie finora considerate 
inflessibili ed al contrario obbedienti alla attrazione luni-solare come le acque. 

Peraltro in contraddizione all'obbiezione che negava il rapporto seleno- 
microsismico, mi giungeva in pari tempo da parte del eh."''' prof. cav. De 
Rossi la comunicazione che i moti microsismici furono talvolta trovati in 
relazione coi movimenti lunari. — Ella stessa poi mi disse che il ch.*"^ 
prof. Don I. Galli s'era occupato di tale questione , per cui m affrettai a 
scrivere al primo, per avere spiegazioni sull' argomento ; in seguito a ciò 
ricevetti direttamente dal prof. Galli una gentilissima lettera , in cui mi co- 
municò d'avere osservato che nell'ora in cui il sole o la luna passavano sul 
meridiano, il valore angolare della oscillazione cresceva d'ordinario sensibil- 
mente nel pendolo tromometrico e ciò anche nei giorni di calma perfetta ; 
un fatto di grande importanza fu da lui osservato all'epoca del novilunio 
del 27 Decembre 1875, giacché precisamente al 27 il pendolo cominciò ad oscil- 
lare con grande energia e seguitò ad essere agitato fino alle ore antime- 
ridiane del 29, ma l'oscillazione del 27 fu la più estesa, ed in qualche mo 
mento il suo valore angolare giunse quasi ad un minuto (55". 30) ; questo 
fatto era significante^ massime perchè preceduto da piccole scosse sussultorie 
e perchè il movimento oscillatorio era maggiore nel giorno che nella notte. 
Il eh."'' professore soggiunge che le burrasche invernali gl'impedirono di 
continuare le osservazioni sotto il medesimo aspetto, giacche esse costitui- 
scono un elemento di grande disturbo nei moti microsismici. 

Lieto di vedere divìsa da altri la mia opinione riguardo le relazioni seleno- 
microsismiche , e d'essere anzi stato preceduto nella medésima, continuai con 
febbrile i mpazienza i conteggi già incamminali con la piena sicurezza di 
poter dimostrare con la materiale verità delle cifre un' ipotesi molte volte 
accampata^ ma ognora messa in dubbio dalla generalità. 

26 



— 496 — 

Ecco pertanto il metodo da me seguito nel calcolo : 

Calcolate le medie dei moti microsismici diurni in centesimi di linea del 
micrometro, aggruppo in una colonna tutti i dati che si riferiscono a giorni 
di novilunio ; dispongo poscia nella tabella stessa quelli dei sette giorni 
precedenti in altrettante colonne a sinistra, quelli dei sette giorni seguenti 
a destra e cosi procedo per l'epoca del plenilunio e pei rispettivi sette 
giorni precedenti e seguenti, ottenendo in tutto* 30 gruppi, che sì adattano 
ai 30 giorni (eliminata la frazione residua di g. 29. 53) d^una lunazione com- 
pleta ; peraltro non essendo sempre uguale la durata di mezza lunazione 
fra novilunio e plenilunio o viceversa , rimangono talvolta lacune alle qua- 
drature, tal altra v' è esuberanza di dati, ma a ciò provvedo mediante Fin- 
terpolazione di valori medi proporzionali nel primo caso e , nel secondo^ 
mediante l'aggruppamento dei valori esuberanti in un solo valore medio. Le 
medie microsismiche diurne impiegate nel calcolo vanno dal i? Ottobre 1872 
al 16 Ottobre 1876 e costituiscono una serie di 50 lunazioni complete ; in 
questo periodo le rivoluzioni anomalistiche si alternano non una volta, il 
che sarebbe già sufficiente, ma ben quattro volte e cosi pure succede delle 
rivoluzioni sideree, a cui è collegata quasi intieramente la posizione della 
luna rispetto all'equatore terrestre ; anche la curva annua dei moti micro- 
sismici si ripete quattro volte j per cui per l'alternarsi successivo di tutti 
gli effetti periodici, le alterazioni che ne dipendono si compensano esatta* 
mente ; rimarrebbe a tener conto delle cause perturbatrici accidentali e fra 
queste primeggia la pressione atmosferica, ma quattro anni d'osservazioni, 
mi sembrano sufficienti a compensare gli effètti , siccome bastano a deter- 
minare con la massima esattezza le minime variazioni diurne. Altrettanto 
dovrebbe dirsi per le altre cause acddentali, qualunque fosse la loro na- 
tura ; ciononpertanto a tutela di maggior esattezza applico una correzione 
a gruppi di tre valori, per conguagliare gli errori al massimo possibile. — 
Dalle somme delle 30 colonne ottengo i valori che figurano nella colonna a 
della tavola seguente ; la colonna b contiene le medie di tre giorni conse- 
cutivi ; la colonna e da per ciascuna giornata la media di tre dati conse- 
cutivi delia colonna b allo scopo d'arrotondare viemmeglio la curva ; nella 
colonna d figurano le somme e nella colonna e le differenze dei valori dia- 
metralmente opposti, cioè plenilunio e novilunio» primo ed ultimo quarto. 



\ 



Ecco la tavola : 



~ 197 ~ 



a 



Ultimo quarto 

3436 3435 3393 

3530 3442 3442 

3361 3448 3386 



3453 
2993 
3098 
3043 
3063 
3310 
2969 
2943 
3335 
3058 



3269 
3181 
3045 
3068 
3139 
3114 
3074 
3082 
31i2 
3366 



3299 
3165 
3098 
3084 
3107 
3109 
3090 
3089 
3187 
3268 



3706 3325 3350 



3211 3358 3347 



Primo quarto 



Primo quarto 

3158 3359 3352 

3707 3338 3393 

3148 3484 3488 



3596 
4182 
4155 
3837 
O 3568 
3642 
3120 
3284 
3142 
3671 



3642 
3978 
4058 

3853 
3749 
3510 
3415 
3182 

3366 
3314 



3701 
3893 
3963 
3887 
3704 
3558 
3369 
3321 
3287 
3353 



Quadrature 6745 ^ 41 



3129 3379 3331 



3338 3301 3372 



Ultimo quarto 



Sizigie 



6835 

6874 

7000 
7058 
7061 
6971 
6811 
6667 
6459 
6410 
6474 
6621 

6881 



» 



O 



)) 
» 
I» 
h 
» 
» 

» 



Quadrature 6719 
Media » 6759 






49^ 

102 

402 
728 
865 
803 
597 
449 
279 
232 
100 
85 

19^ 
25^ 



11 risultato si h che la curva d raggiunge il massimo due o tre giorni 
prima delle sizigie ed il minimo tre giorni dopo le medesime ; la colonna 
e che rappresenta l'ineguaglianza fra le fasi opposte dimostra che la mas- 
sima ineguaglianza ha luogo alla vigìlia delle sizigie , mentre alle quadra- 
ture h nulla pel corso di quattro giorni, potendosi riguardare nulli i valori 
segnati con asterisco. 

Le cifre sottolineate nella colonna b rappresentano i massimi e minimi, 
che divisi per 50, numero delle osservazioni, offrono i seguenti valori lineari : 



Novilunio - primo quarto o. 01 
Primo quarto - plenilunio 0. 81 
Plenilunio - ultimo quarto 0. 64 
Ultimo quarto - novilunio o. 69 
e quelle della colonna d : 
Sizigie - quadrature o. 64 

Quadrature - sizigie o. 71 



minimo 
massimo 
minimo 
massimo 

minimo 
massimo 



A o.io 

0. 17 

0.05 
0.08 

A 0.07 



— 198 — 

Limitando il calcolo a due sole annate per volta, sì ottengono risaltati 
senza dubbio più imperfettii ma in massima uguali , perchè i massimi ed 
i minimi conservano il loro posto. 

Lo stesso metodo applicato alla distanza della luna dalla terra ed alla 
posizione della luna rispetto all'equatore , mi fornisce risultati ben pro- 
nunciati, t^rima di esporli h peraltro duopo fare alcune considerazioni sul- 
l^alternarsi dì questi due agenti ; il primo segue il periodo della rivolu- 
zione anomalistica (27 g. ìz^ 19') , il secondo quello della rivoluzione siderea 
(S7 g. 7^ 43') ; conviene perciò che si compia un' intera rivoluzione degli 
absidi (3232 giorni) perchè tutte le posizioni lunari dell'uno s'alternino con 
quelle dell'altro e le osservazioni finora eseguite si riducono a sole quattro 
annate , in luogo di nove come sarebbe necessario. V'ha peraltro una circo- 
stanza che permette di scindere gli effetti in modo da formarsene un con- 
cetto sufficientemente approssimato al vero ed eccomi ad esporla. La luna 
nella sua rivoluzione siderea traversa due volte il piano dell'equatore e rag- 
giunge due volte le sue massime declinazioni o lunistizi (boreale ed australe). 
Secondo le leggi generali delle maree , essa esercita la massima attrazione 
quando attraversa l'equatore terrestre (nodo ascendente e discendente) e la 
minima attrazione, allorché tocca ì lunistizi; si hanno perciò alternativamente 
due massimi e due minimi in una rivoluzione siderea. Nella rivoluzione 
anomalistica invece non v'ha che un massimo ed un minimo , i quali si 
riferiscono rispettivamente al perigeo ed all'apogeo. Ne deriva che mentre 
gli effetti del periodo sidereo debbono riprodursi con sensibile somiglianza 
dopo mezza rivoluzione (i4 giorni incirca) gli effetti del periodo anomali- 
stico nello stesso intervallo di 14 giorni saranno affatto contrapposti. Som- 
mando perciò i valori ottenuti pei 14 giorni che corrono dal lunistizio bo- 
reale air australe con quelli dei rimanenti i4 giorni rispettivamente opposti 
si otterrà l'effetto medio degli effetti che ne dipendono e si elimineranno 
completamente le perturbazioni dipendenti dall'altra causa. Al contrario , 
sottraendo i valori ottenuti pei 14 giorni di parallasse inferiore alla media 
dai rimanenti 14 di parallasse superiore alla media » si elimineranno gli ef- 
fetti deiraltra causa quasi intieramente ed emergeranno quelli delle parallassi. 
Dico quasi intieramente , perchè potrebbe esserci fra i due lunistizi o fra 
i due nodi di seguo contrario un' ineguaglianza simile a quella rintracciata 
nelle fasi lunari, la quale in soli quattro anni non giungerebbe ad elimi- 
narsi, ed altererebbe, benché di poco, la curva delle parallassi^ 



Ecco pertanto l'esito del calcolo operato sulla base accennata : 

Perigeo Apogeo Differenze 

a b e a b e P A 

P 2076 3651 3600 A 3187 3340 3339 -*- - 26i 

3675 3438 3587 3298 3230 3305 + - 282 

3663 3673 3563 3204 3339 3340 + - 223 

3680 3578 3616 3515 3452 35i8 -*- - 96 

3392 3598 3515 3638 3762 3736 - -h 221 

3721 3369 3448 4133 3992 3937 - -f 489 

2993 3378 3304 4206 4056 3991 - -h 687 

3419 3165 3255 3829 3926 3878 - + 623 

3084 3221 3239 3743 3651 3727 - + 48S 

3159 3331 3366 3380 3603 3609 - + 243 

3750 3547 3522 3686 3573 3636 - -f 114 

3731 3688 3619 3652 3732 3747 * - H- 128 

3582 3622 3583 3857 3937 3794 - + 211 

3553 3441 3470 4303 3712 3767 - -4- 297 

Media 3572 divisa per 53 perìodi 

« 0.674 



Lunistizio boreale 




Luuis tizio australe 




I 


II 




a 


b 


C 




a 


b 


C 


Somme 


Ineguaglianze 


3245 


3261 


3367 




3682 


3529 


3604 


6971 


— 


+ 


237 


3114 


3570 


3559 




3253 


3670 


3676 


7235 


— 


4- 


117 


4351 


3846 


3859 




4074 


3328 


3827 


7686 


-h 


- 


32 


4074 


4160 


4037 




4156 


3983 


3929 


7965 -f- 


-*• 


— 


105 


4055 


4105 


4049 




3718 


3978 


3907 


7956 


H- 


- 


142 


4187 


3881 


3878 


• 


4059 


3761 


3895 


7773 


— 


-*• 


17 


Nodo 
discend/ 


3648 


3666 


Nodo 
ascend. 


3506 


3947 


3861 


7527 


— 


+ 


i95 


3355 


3469 


356;r 




4276 


387e 


3899 


7462 


— 


+ 


336 


3651 


3571 


3514 




3847 


3872 


3760 


7274 


— 


•♦- 


246 


3708 


3503 


3501 




3494 


3532 


3587 


708a 


— 


+ 


85 


3150 


3428 


3439 


• 


3256 


3355 


3375 


6805 


-♦• 


— 


55 


3427 


3360 


3439 




3315 


3238 


3295 


5735- 


•♦- 


- 


143 


3503 


3527 


3500 




3143 


3294 


3267 


6757 


+ 


- 


23:r 


3653 


3613 


3556 




3423 


3270 


3275 


6831 


+ 


^ 


28t 



Lnnlslizio australe Lunistizio boreale Media 7291 1 lOS « 0.57& 



-^ 200 — 

La curva delle parallassi presenta un massimo principale 6 o 7 giorni 
dopo Tapogeo ed un massimo secondario al perigeo; i minimi cadono ne- 
cessariamente nelle epoche esattamente contrapposte. 

È significante il massimo secondario e di conseguenza il minimo ad esso 
opposto^ giacché lo stesso si osserva nella curva delle fasi lunari^ vale a 
dire un massimo secondario alle sizigie ed un minimo secondario alle qua- 
drature; questo fatto si osserva chiaramente nelle colonne a e b^ mentre 
dalla colonna e in causa dell'arrotondamento dipendente dalla ricorrezione 
non apparisce che un lieve rallentamento nell'ascensione e nella discesa 
della curva, meglio pronunciato alle quadrature che alle sizigie.* - La 
differenza fra massimo e minimo nella curva delle parallassi ascende a 
687, numero che diviso per quello dei periodi da in valore lineare o^ìzì 
ossia Ys ^^U' oscillazione media (o. 67). 

La curva dei lunistizi presenta il massimo tre giorni prima dei nodi^ 
il minimo altrettanti* avanti i lunistizi; nelle differenze si scorgono ine- 
guaglianze che forse spariranno e forse riusciranno più regolari e pronun- 
ciate alla fine del ciclo di nove anni. È rimarchevole nella colonna a^ che 
contiene i dati non corretti, il repentino aumento che si riscontra *4 giorni 
prima dei nodi : h pure degno d'attenzione il minimo secondario che si os- 
serva uella colonna b ai lunistizi, nonché il massimo secondario subito dopo 
i nodi, circostanza che rassomiglia a quella che si trova nelle fasi e nelle 
parallassi. Il massimo che ha luogo prima dei nodi (7966) diviso pel numero 
dei periodi (los) da o. 74 

ed il minimo (6735) avanti i lunistizi dk o. 62 

% 

A « 0. i8 ossia circa i/e del 
valore medio. 

Le differenze fra massimo e minimo così calcolate sono minori del vero 
perché nel fare la prima correzione si ottiene una curva, il cui massimo è 
la media di tre massimi della curva reale; altrettanto si dica dei minimi; 
lo stesso accade poi nella rìcorrezione. - Estraendo tutti quei valori che 
secondo la curva corretta sono superiori od inferiori alla media e con- 
frontando le differenze della curva primitiva {a) della media con quelle 
della curva corretta (e), trovai che conviene moltiplicare per i. io le dif- 
ferenze fra gli estremi per la curva delle parallassi, per i. 24 quelle delle 
fasi e per i. 34 quelle dei lunistizi^ allo scopo d' ottenere valori più 
prossimi al vero. 



— 201 — 

Riepilogando, trovo che i massimi priacipali cadono prossimamente nel 
mezzo dei periodi che separano le quadrature dalle ^izigie, l'apogeo dal 
perigeo, i lunistizi dai nodi ed i mìnimi nel mezzo dei periodi opposti; 
i massimi secondari (molto meno pronunciati) hanno luogo alle sizigie, al 
perigeo ed ai nodi ed i minimi secondari alle quadrature, all'apogeo ed ai 
lunistizi. - I massimi e minimi secondari coincidono dunque coi massimi e 
minimi valori dell'attrazione lunare secondo le leggi delle maree; mentre 
i massimi e minimi principali hanno luogo quando l'attrazione medesima 
aumenta e rispettivamente scema con grande rapidità; in altri termini coin- 
cidono coi massimi e minimi delle prime differenze dei valori delle maree. 

Che questi risultati non sieno casuali sarebbe provato dall'analogia ch'essi 
presentano sotto tre punti di vista affatto diversi, se pure a provar ciò 
non bastassero le esperienze fatte su periodi staccati di due anni ed anche 
d' un anno soltanto, nel qual ultimo caso h duopo far le medie su gruppi 
di 7 giorni almeno, anziché di 3. 

Nel procedere ai conteggi l'esperienza m'insegfiò che i moti microsìsmici 
aumentano in ragione del quadrato della forza che li produce; ciò scopersi 
nel disporre nei miei quadri i dati dei moti microsismici in ordine arit- 
metico e secondo le fasi lunari; avvertii p. es. che i valori medi del giorni 
di plenilunio del 1874 in ordine aritmetico presentavano la seguente serie 
(in decimi di linea): 16, 18, 23, 25^ 33, 43, 53, 53, 56, 159^ 202, di cui il valore 
medio (58) sta incirca 4 volte nel massimo; estesi la prova a tutto il 1874 e 
giunsi alla stessa conclusione ; di questa circostanza non è d' uopo tener conto 
quando si trattano numerose osservazioni, ma per calcoli, come quelli che 
esporrò più oltre, h necessario prenderla in considerazione e giovarsi anzi- 
ché dei dati vergini, delle relative radici. 

Prima di passare all'esposizione dei calcoli che si riferiscono all'azione 
diurna lunare, debbo far cenno del punto di vista, da cui mossi nello stu- 
diare l'argomento. 

Ho detto in esordio alla presente che le maree debbono risentire un'in- 
fluenza più o meno grande per l'oscillazione semidiurna del suolo; pre- 
scìndendo pure dal fatto che un pozzo alla Porretta, il livello del quale 
viene misurato giornalmente , presenta analoghe oscillazioni (come ne 
scrissi al eh. prof. cav. De Rossi , facendogliene la dimostrazione) ben- 
ché l'altezza a cui si trova (200 metri sopra il livello del mare) escluda 
ogni possibilità dell'influenza mareosa, fui condotto da parecchie altre prove 
a riguardare il fenomeno delle maree nell'Adriatico quale effetto della sup- 



— 202 — 

posta oscillazione semidiurna del suolo; secondo questa mia ipotesi una 
plaga elastica avente per centro la regione vulcanica siculo-jonia s'innalze- 
rebbe e s*abl)asserebbe due volte al giorno secondo le leggi delle maree e 
trarrebbe seco nel suo movimento una vasta zona che dalla parte nostra 
sì estenderebbe a tutta la catena degli Appenninii vale a dire a tutta TI- 
talia; quest'opinione m*è confermata dalla direzione delle scosse di terre- 
moto, dalla maggior frequenza di questi lungo le catene montuosei che oppon- 
gono maggior resistenza all'elasticità del suolo, vale a dire che hanno l'asse 
diretto verso la Sicilia^ dalla vulcanìcitk del suolo presso l'imbocco dell'Adriatico 
e dalla coincidenza dei terremoti con certe posizioni luni-solari e d'altra parte 
dalle particolarità del fenomeno delle maree, che si propagano precisamente 
da quel punto in tutte le direzioni e sono perciò pili forti nell'Adriatico e 
nella Sirti minore, mentre nel resto del Mediterraneo, ove in ragione del 
volume d^acqua dovrebbero essere assai più forti, sono invece debolissime 
e passano quasi inavvertite. 

Sotto tale aspetto h da prevedersi che i moti pendolari del tromometro 
saranno più sensibili, allorché il movimento, oscillatorio del suolo sarà più ra- 
pido ; saranno meno sensibili, allorché il suolo sark stazionario ; quest'ultimo 
caso avviene all' istante del passaggio della luna pel meridiano (massima al- 
tezza) o per l'orizzonte (massima depressione) ; di conseguenza il primo av- 
verrà presso a poco nei tempi intermedi, cioè quando l'angolo orario della 
bina rispetto ad uno dei due meridiani è » t^ 45^, il che ha luogo a 3** e' - 
9^ 19' - is^ 3i' - 21^ 4V di tempo solare dopo il passaggio al meridiano superiore. 

11 calcolo prova esattamente la verità di questa considerazione. - Nell'o- 
perare i conteggi mi sono servito dei massimi diurni osservati nel periodo 
estivo, preferendo questo all'invernale, come meno soggetto ad alterazioni 
provenienti da altre cause; per ottenere un risultato conviene studiare in 
quali ore lunari avvenga più spesso il massimo diurno ed a quali ore 
lunari appartengano altresì i massimi più importanti ; ciò si ottiene som- 
mando semplicemente i dati rinvenuti per ciascuna ora lunare, senza divi- 
derli pel numero delle QSsei*vazioni ; in tal modo^ dove la maggior fre- 
quenza si accoppia alla maggiore intensità, emergono valori massimi ed il 
contrario ha luogo nei casi opposti. Poiché peraltro una giornata lunare è 
di 24^ 5o', conviene eliminare in qualche modo la frazione di f2^ il che si 
ottiene ingrandendo nel rapporto di so a 69 i dati dell'ultima ora lunare o 
meglio i dati spettanti al periodo che s'estende da 24^ a 24** so', in modo 
da supporre, di 25** la durata d'una giornata lunare. I dati così disposti si 



— . 203 — . 

riferiscono ciascuno ad un'ora differente, cioè il primo.. contiene i moti av- 
▼enuti fra il passaggio al meridiano ed i ora dopo^ il secondo quelli da 
lai ore e cosi avanti, per cui corrispondono rispettivamente in termine 
medio a o^ zo\ i^ 30', 2^ 30' ecc. — Le somme delle radici dei moti massimi 
estratti dalle tabelle dal i^ Marzo i873 al 3i Agosto 1873 e per lo stesso 
periodo 1874 sono le seguenti: 

1873 1874 Somma Correzione 12. 30 22 25 47 45 - 



oMo' 


20 


12 


41 


43 - 


13. 30 


21 


33 


54 


52 


1. 30 


18 


23 


41 


52 


14. 30 


26 


29 


55 


62 


2. 30 


30 


45 


75 


64 ' 


15. 30 


41 


35 


76 


65 -f 


3. 30 


37 


40 


77 


72 + 

m 


16. 30 


45 


18 


63 


64 


4. 30 


33 


33 


66 


63 


17. 30 


27 


25 


52 


60 


5. 30 


31 


15 


46 


55 - 


18. 30 


34 


32 


66 


45 


6. 30 


23 


29 


52 


59 


19. 30 


15 


32 


47 


55 - 


7. 30 


33 


45 


78 


65 


20. 30 


11 


13 


24 


47 


8. 30 


29 


36 


65 


73 + 


21. 30 


36 


34 


70 


52 


9. 30 


41 


37 


78 


66 


22. 30 


23 


40 


63 


65 H- 


10. 30 


25 


31 


56 


56 


23. 30 


34 


27 


61 


57 


11. 30 


14 


21 


35 


46 


24. 30 


18 


28 


46 


49 



Da questo quadro apparisce già manifesta la prevalenza dei massimi nelle 
ore previste; rendendosi dunque evidente che i massimi diurni della curva lu- 
nare sono realmente quattro ed avvengono prossimamente ai momenti cal- 
colati in via teorica, vMia un mezzo facile per determinare empiricamente 
con sufficiente approssimazione l'ora del massimo fin quasi al minuto. - 
A tale scopo dispongo i dati primitivi in modo che quelli della prima 
meta della giornata si sommino rispettivamente a quelli dell'altra metà, 
cioè di 12^ 3o' più tardi , intercalando fra i dati orari altrettanti dati 
medi, operazione che non può alterare sensibilmente la curva giacché ad 
ogni dato vero della prima linea si Bomma un dato medio della seconda e 
viceversa. — Ecco il processo: 

Ore 0.30 1 . 2 . 3.4. 5 . 6 ^. 7.8. 9 • 10. . 11 . 12 . 

I 414141 58 75 76 77 71 60 56 46 49 52 65 78 71 65 71 78 67 56 46 354147 

II 515455 55 66 76 70 64 58 52 56 65 59 47 1524 47 70 67 63 62 61514041 

^ 92 95 96 113 141 152 147 135 124 108 105 114 108 112 1 13 95 112 141 145 130 118 107 666188 

• « 

da cui si ricava che i massimi hanao luogo 3^ $' ed a 9^ si' dopo il pas- 

27 



^- 204 --. 

saggio delia luna: a ciascuDo dei due meridiani; rinnovando Toperazione 
saUa stessa base^, vale a dire sommando i valori ottenuti per le prime 6 
ore: ed un quarto con quelli delle successive, si ha: 



Ore 


I 


II. 


Somme 


II-I 






Ore 


I. 


IL 


Somme 


II-I 


0. 30 


92 


no 


202 




+ 18 






3. 


30 


147 


137 


284 


- 10 


0. 45 


93 


112 


205 




+ IS 






3. 


45 


141 


130 


971 


- 11 


i. 


95 


112 


207 




•*■ 17 






4. 




135 


124 


259 


- 11 


1. 15 


95 


113 


208 




+ 18 

• 






4. 


15 


129 


118 


247 


- 11 


1. 30 


96 


104 


200 




+ 8 






4. 


30 


124 


112 


236 


- 12 


1. 45 


104 


95 


199 




- 9 






4. 


45 


116 


107 


223 


- 9 


2. 


li3 


103 


216 




- 10 






5. 




108 


96 


204 


- 12 


2. 15 


127 


112 


239 




- 15 






5. 


15 


107 


86 


193 


- 21 


2. 30 


141 


126 


267 




- 15 






5. 


30 


105 


83 


188 


- 22 


2. 45 


147 


141 


288 




- 6 






5. 


4S 


HO 


81 


191 


- 29 


3. 


152 


143 


295 




- 10 






6. 




114 


84 


196 


- 30 


3. 15 


149 


145 


294 




- 4 






6. 


15 


111 


88 


199 


- 23 


3. 30 


147 


137 


284 




- 10 






6. 


30 


108 


90 


198 


- IS 


In 


questa 


curva 


1 si osserva il 


massimo intorno a 3 


ore» 


cioè : 








• 


A 


a" 
3- 

3" 


45' si 

— » 

15' » 


ha 

» 


288 
295 
294 


A e 
A - 




7 
1 









dónde si ottiene il massimo a 3^ a'. 

Conviene peraltro osservare che si è supposta di 25 ore una giornata lu- 
nare, percui gli altri massimi desunti da questo di 3** 6^ cadrebbero a 9^ 21't 
a 15^ 36' ed a 21^ 5i' , che ridotte in angoli orari lunari d^nno 



3" 


t 


ossia 


0" 


+ 


s" 


— 


»" 


3' 


» 


6^ 


+ 


3" 


3' 


15" 


5' 


» 


«" 


+ 


3" 


5' 




7' 


: » 


18" 


+ 


3" 

s" 


7' 



La cui media h uguale a 

iu tempo lunare. È pure da osservarsi che i dati del 1873 sono in tempo 
medio di Roma e quelli del 1874 in tempo medio di Firenze , percui il va- 
lore di 3^ 4' si riferisce ad un meridiano intermedio, cioè a 0^ 47' 28'' Est 
Greenwich ; il valore di 3** 4' s^accorda abbastanza con quello di 3^ calco- 
lato teoricamente e, se pure non si voglia ritener casuale la piccola diffe- 
renza , si arriva alla bella conclusione difesso corrisponde a 3^ del meri* 
diano situato a 0^ 4af 28'' Est Greenwich, il quale taglia TAppennino quasi 
nel punto più prossimo a Firenze, ove vengono fitte le osservazioni prese 
per base.. 



~ 205 — 
Trattando separatamente i dati dei due periodi accennati del 1873 e 1874 
si ottengono risultati sensibilmente uguali , come si può agevolmente ve- 
rificare mediante i dati suesposti ; pel 1873 il massima cade a 3^ 12' tempo 
medio di Roma; pel 1874 cade a 3^ -' tempo medio di Firenze , percui la 
differenza, presa in considerazione la diversità di meridiano, è di soli 7 minuti. 
Per convincermi, viemmaggiormen te della verità di questi seducenti risul- 
tati, presi a trattare con un metodo diverso ì mesi di Giugno .e Luglio 1874; 
disponendo secondo l'ora lunare, tutti valori che rinvenni nelle tavole da 
Lei cortesemente fornitemi e vedendo in ciò confermato lo stesso risultato 
estesi il. calcola al mese di Gennajo 1874^ che fra i mesi invernali h il meno 
burrascoso ; laddove si presentavano lacune (ed il caso non era raro, perchè 
le osservazioni non vengono fatte esattamente ad ogni ora) intercalai valori 
medi fra i dati più vicini ed alle ore notturne attribuii la media dei due 
giorni vicini, giacché era pur d'uopo riempire le lacune per avere una 
serie ordinata in modo che le variazioni da un giorno all'altro non gua- 
stassero le medie relative alle ore poste in confronto } il risultato che ne 
derivava non poteva essere rigoroso ; tuttavia malgrado quei difetti offriva 
valori soddisfacenti. Giovandomi poi della comunicazione da Lei fattami, che 
talvolta l'azione lunare paralizza anziché aumentare gli effetti barosismici , 
studiai la questione anche da questo lato su tre mesi estivi , calcolando 
cioè a quali ore lunari fosse massima la digressione dalla media del giorno. 
Il risultato di questi calcoli fatti con metodo e su periodi divei*si, mi die- 
dero sempre il massimo fra 2^ 50' e 3^ 15' dopo il passaggio al meridiano. 

È cèrto che se si potesse trovare il modo di intraprendere regolari osserva- 
vazioni per tutte le ore del giorno e della notte, si giungerebbe a risultati 
più precisi ; ma per ora è sufficente l'aver provato V influenza lunare in 
modo inoppugnabile. 

Volli ottenere approssimativamente V influenza della pressione atmosferica 
e giunsi ad una conclusione che dapprima mi sorprese , ma la mia sorpresa 
non durò molto ; il fatto è che l'attività microsisraica è minima a barometro 
normale (760 al livello del mare) è massima a pressioni estreme j peraltro 
meno fòrte a barometro alto, che a barometro basso ; ecco le medie rica- 
vate dall'anno 1874 : 

745 millimetri » linee 1. 8 

730 )i » » J. 3 

755 )) ta* » i. 

760 }} , XM » p. 8 

7^5 » . " i) . 0. a 



~ 206 — 

770 » = » 1. 

775 )i a ji i. 2 

In tale rapporto mi soyyiene d*ayer letto esserle stata mossa obbiezione 
colPasserire che i moti microsismici a barometro basso dipendono dal vento 
che in questo caso h frequente e forte. E da che dipende allora il risveglio 
delPattivita microsismica a barometro alto ? Invece mi sembra naturalissimo 
Tattribuire la causa dei moti alla pressioue atmosferica, come Ella sostiene; 
infatti allorché la pressione atmosferica h normale dovrebbe regnare equili- 
brio fra r intemo e l'esterno del globo ; allorché essa h minima o massima 
la tensione agisce in un senso o nell'altro con ugual vigore, senonché per 
la forma stessa della terra uno sforzo dall* internò diretto all'esterno deve 
produrre per ragioni meccaniche un effetto ben maggiore d^uno sforzo in 
senso opposto. 

Con ciò io credo d'aver esaurito il mio compito , almeno entro i limiti 
delle mie deboli facoltà ; ringraziandola della simpatia^ di cui volle onorarmi, 
nel prendere in considerazione i miei poveri lavori e forse più la mia buona 
volontà , non debbo tacerle che, malgrado la riconoscenza di cui Ella mi 
si dichiara debitrice, riconosco in me solo il dovere della gratitudine per 
la materia ch'Ella ebbe la gentilezza di fornirmi allo scopo d'estendere le 
mìe ricerche ed a Lei debbo il gnrnde il vantaggio d'aver potuto mettere 
più solide basi alle mie opinioni. 

Mi creda pertanto di Lei devotissimo ed obbligatissìmo servo 

Giulio Grablovitz* 
Trieste 25 Novembre 1876. 

CAPO 2.^ 

Confronto delle osservazioni barometriche e sismometriclie delle stazioni 
italiane dal 1873 in poi. Memoria del P. Camillo Melzi Barnabita. 

Allorché il P. Bertelli stava per mettere mano alla' presente terza 
parte del suo lavoro, trovandosi egli non poco indisposto di salute, tanto 
da non potersi più come per l'addietro e presentemente occupare dei suoi 
studi, pregò me a stendere i risultati, che hanno dato le osservazioni da 
lui fatte col tromometro in confronto colle pressioni barometriche. Di 
buon grado mi sono io posto a coadiuvarlo nelle sue ricerche e con tutto 
l'impegno ho cercato di rendere evidente ciò che egli ha asserito più volte 
nelle parti precedenti della presente memoria, le prove delle quali si tro- 



\ 



~ 207 — 

▼ano nelle osserva&ioni fatte. Non so però se sono riuscito a far yeramenie 
quello, che avrei desiderato : egC h perciò che innanzi dì esporre quello che 
ho radunato, chiedo indulgenta a chiunque ayrk sott' occhi questo mio 
scrìtto se non avrò saputo disimpegnar bene rincarico avuto. 

Gli splendidi risultati dei caicchi esposti . dal Chian Grablovitz nella let- 
tera sopra riportata nel capitolo i? ci avvertono e ci provano in modo in- 
dubitabile, che l'attrazione lunisolare esercita un'azione costante e sensibile 
anche sui moti microscopici della terra. E dico in modo indubitabile, per- 
chè questi calcoli essendo fatti suU' ipotesi da nessuno ormai contrastata, che 
anche la parte solida della superficie del globo risenta in qualche modo come 
Toccano l'effetto della forza d'attrazione lunisolare, l'unica diflScoltk da rimuo«- 
vere era quella, che tali effetti non potessero essere resi sensibili e manifestati 
dal calcolo di un piccolo numero di osservazioni. Ma l'ingegnoso e Ch. 
Grablovitz avendo saputo eliminare gli effetti dovuti a tutte le altre cause 
per mezzo d'una sufficiente compensazione, e d'altra parte i massimi e mi- 
nimi cosi primarìi come secondarìi trovati coincidendo con quelli, che l'at- 
trazione e i movimenti lunisolari desideravano, non possiamo rigettare un 
così buon risultato, se non obbligandoci a ritrovare un'altra causa a tali 
combinazioni. Ora questo non h per nulla facile. 

D'altra parte mentre sino ad ora almeno , tutte le indagini fatte dal 
P. Bertelli e da altri sull'influsso che hanno le altre cause> come la tempe- 
ratura, l'elettricità, il vento nella produzione dei moti microsismici> hanno 
svelato, che nessun effetto costante e apprezzabile vi producono, noi ab- 
biamo invece alcune altre coincidenze, che ci fanno ben presagire come la 
forza d'attrazione non sia indifferente sui detti moti. Ed è appunto su que- 
ste, che io desidero fermare un momento i lettori prima di venire a par- 
lare della pressione barometrica, affinchè poi risulti ben chiara la differenza, 
che passa tra la manifestazione della forza lunisolare e la manifestazione 
della forza barometrica sulle osservazioni. 

II. Chiunque ha avuto sotto gli occhi le curve annue dei moti microsismici 
per Livorno, Firenze, Bologna, Roma, e riportate nella seconda parte 
di questa memoria, sarà certamente rimasto meravigliato della quasi identità 
di dette curve nei diversi osservatorii e in ciascun anno d'osservazioni, an- 
corché le osservazioni non si facessero che di giorno, dove molte e dove poche. 
Or bene, fatta la curva annua della forza d'attrazione solare, noi troviamo uns^ 
curva quasi identica a quella dei moti microsismici, poiché mentre i minimi li 
abbiamo nei mesi estivi, i massimi li abbiamo nei mesi invernali e le curve 



_ 208 — 

dei moti microsismicì 8ono anch' essei come quelle deir attrazione, quasi sim* 
nielricbe intorno ai Biassimiied ai miniipi* Non mi pare poi di andare. errato 
neU* attribuire la forma analoga d«lle varie curve mensili microsismicbe nei 
diversi osservatorii e nei dìvìersi anni di osservazione airinfluenza. dellattra- 
zione solare, perchè essendomi io. provata a rifare le curve annue ilei moti mi- 
crosismici, non già di mese in mese» ma di ddcade in decade, ho; tosto veduto 
svanire ogni forma analoga tanto nelle vàrie curve di un medesimo osserva^ 
torio per anni diversi, quanto nelle curve idei medesimo anno per diversi osr 
serva torii. In ccfnseguenza ho dovuto concbiudere^ che .<{uella medesima causai 
che si manifestava tanto meravigliosamente costante nelle curve dei diversi osser- 
vatorii era la stessa, che isii manifestava nei. diversi anni idi osservazione per 
uno stesso luogo, ed essere quindi per. cosi dire una causa, che Jia uno 
svolgimento annuo costante ed identico annualmente per tutte le nositre 
stazioni. Ora che questo non. quadri con la forza d'attrazione e a niun 
altra, credo che non. possa dubitarsi. 

Inoltre colle curve microsismiche annue mensili il P. Bertelli ha 
anche pubblicata una curva dedotta dal fiiK^cardo < sopra i terremoti, la qual 
curva presenta tutta l' identità . delle curve, micnosismiche ed è anzi più 
simmetrica di esse, perchè non ha un piccolo, rialzamento che vedesì pro- 
dotto in quasi tutte le altre curve nel febbraio. Ciò posto, questa curva, 
mentre ci fa vedere, che i moti microsismici non sono d'altra origine, che 
endogena, colla sua forma ci fa vedere di più, che quella legge, che noi 
avremmo ritrovato per .ciascun anno in ciascuna, stazione micròsismica è 
assai più universale e abbraccia tutti quegli anni , in cui sono avvenuti 
i terremoti , sui quali è: stata ricavata la curva. E qui è bene il .no- 
tare , come la curva dell'opera del Boccardo non è tracciata mensilmente, 
ma di giorno in giorno, e con tuttociò non perde eisa in nessun modo 
la forma, che si avvicina . cotanto a quella dell' attrazione solare (i). 

Mentre quindi i principii dai quali sono partiti il P* Bertelli e il Sig. 
Grablovitz ci permettono, di conclnudere, ò^e Tattrazionse isolare può. aver 



.ja—L 



(1) Nell*opera del Bobcardo vi sdho è Vero altre curve dedotte medesimamente da altri terre- 
moti , le quali non concprdano athtto con. quella^ di cui qui, si par)a, ma è da osser^a^si che 
le altre curve appartengono o alKaltro emisfero, o ad alcune regioni soltanto del nostro •. e tutte 
sono fatte con un numero immènsamente minore di terremoti e noii possono perciò mettersi a 
prima giunta al pari d«Ua aucoitata» che è la..più generale ed estesa, tanto per le osservazioni 
che abbraccia, quanto perchè si riferisce prccisamcute a( nostro emisCero. 

Non sarebbe mal fatto, che alcuno si mettesse a completare e discutere anche le rimanenti 
curve dateci dal Boccardo sotto lo slesso punto di vista. ' 



— 209 — 

rdsiziooe coi moti miérosismicij lecùrre anDae ce lo s^eiano-e h curva 
dti terremoti ci conferma , cbe*i movimenti 'mìcrosismici sono di aatura eu"- 
dogena e come tali in relazione col4*attFazk>De solare^ Che ìsenoi. troFÌamo 
nella memòria del Clii^r. GràUoyitz rispetto ai moti miciìo^smici dèi 
risultati tanto bene concordanti coi movimenti lunari f h ben pregio 
dell'opera far qui un' cenno dei risultati trovati dallo Schinidt e dal Per- 
rey per i veri terremoti. Il Perrey trovò infatti die i terremoti hanno una 
prevalenza alle sisstgiè e al perigeo rispetto- alle qiiadraCure e all'apogeo. 
Lo Sclimidt invece nei suoi lavori cònchiuse un massimo di frequeoiza uei 
terremoti all'epoca del uovilunio e la minima frequenza nel giorno del- 
l'ultimo quarto. Trovò poi anch' égli un maJ^imo al perigeo^ ed un ninimo 
all'apogeo. 

Ma questi masìsimi e minimi non rappresentano, nella curva dei. moti mi^ 
Crosismici rispetto 'ali* età e posizione dèlia luna, cbé dei massimi e laki imi 
sècondarii. Ancorché adunque lo Schmidt coi suoi calcoli non abbia ritiro^ 
vato un'altro massimo al plenilunio ed un' altro minimo al primo cptarto 
ma piuttosto il rovescio; osservando che lo Schmidt e il Perrej discussero 
tuttavia quasi il medesimo intervallo di tempo^ ma con metodo diverso^ 
contentandoci di considerare come più certo ciò soltanto che h comune a 
ciascuna delle Suddette ricerche» diremo che l'attrazione lunare indubitala» 
mente manifestasi come causa preponderante così riguardo alla frequenza dei 
terremoti come neirincremento dell'attività microsismica. 

Perciò nello stesso modo che per Tattrazione solare i lavori fatti sopra 
i terremoti convengono a provare la teoria già formata^ così anche per 
r attrazione lunare noi possiamo appoggiarci ai risultati avuti dai veri 
terremoti. 

III. Come ho accennato fili da principio, scopo del presente ragionamento 
h stato di far bene risaltare la differenza, che passa tra le relazioni, che 
noi troviamo dei moti microsismici coirattrazione lunisolare e le relazioni, 
che vedremo invece dei medesimi moti con la pressione barometrica. Di 
tutte e due queste cause nella produzione dei moti microsismici ed anche 
dei terremoti è bene ricordare, che non sono cause altrimenti che occasio- 
nalif vale a dire, che nel trovarsi la terra in un tempo di cresciuta at- 
trazione lunare o solare o neiresiser vi una forte depk*eteione barometrica i gsis 
interni dilatandosi offrono una causa ^^is^erminii/ite una reazione ^eadogeoa^ 
la quale poi produce direttamente il' terremoto ovverosia un piccolo oscil^ 
lamento del suolo a seconda degli impedimenti maggiori o minori, che tro* 



— 210 — 

Tano i fluidi e gM intenti per obbedire alla loro dilatazione. Questo tut- 
tavia h da notarsi, che come la pressione barometrica è più immediata del- 
l'attrazione lunisolare> perchè quella agisce continuamente in modo gra- 
duato, e questa a sbalzi più o meno repentini, cos\ la pressione barometrica 
di natura sua deye coprire gli effetti dell'attrazione in modo da non pò* 
tersi vedere quelli, se non ;per interpolazione dei dati deirosservazione. Ed 
io sono ben persuaso, che non si potrà mai riescire a far palese 1* effetto 
delle attrazioni, lunisolari, se non precisamente usando di qualche metodoi 
che tolga anzitutto l'effetto dovuto alla pressione barometrica. 

Il metodo ottimo usato dal Ch. Grablovitx per compensare gli effetti do- 
vuti a tutte le altre icause diverse dalFattrazione lunisolare, ne è certa- 
mente una prova. Il Ch. Autore infatti per avere dei risultati assai più 
soddisfacenti di quellii che non presentino i calcoli diretti del suo metodo, 
fa un* interpolazione dei numeri ricavati addizionandoli tre a tre. Cosi egli 
trova la sua seconda colonna di valori; e trova la terza addizionando di 
bei nuovo a tre a tre i numeri della seconda colónna. In tal modo i ri- 
sultati sono sensibilmente più veritieri, rispetto alla teoria, che si vien di- 
mostrando, ed io ancora una volta mi rallegro col Ch. Grablovitz di sì 
buon esito delle sue fatiche. D^ altra parte pero non posso negare che 
queste due ultime interpolazioni bastano per celare tutta l' influenza 
barometrica, che prima dovea pur rimanere, e sosterrei perciò come neces- 
saria una tale interpolazione. Infatti prendiamo i risultati stessi datici dal 
Grablovitz in fine della sua memoria per 1^ accrescimento pei moti microsi- 
smici dovuto alla pressione barometrica. Egli trova per 



millim. 745 


linee i, 8 


750 


i, 3 


755 


i,0 


700 


0,8 


708 ' 


ó, s 


■ ' ' 770*" 

• 


1, 


. ' ■ 776 .' 


• • i>i 



Il movimento dovuto al. barometro oscilla in diedia adunque tra 0, s e i,s 
Ora sicoome entro un mese prèsso a poco il numero delle ; burrasche è com- 
preso tra e 10, il tempo medio di uà' onda baroo^etricii h compreso tra 
3 e 5 giorni. 



— 21f ~ 

I tre numeri 0| 8 - i, 8 — Of 8, possono quindi approssimatamente deter- 
minare il valore medio dei moti mìcrosismici in un'ondata di tre giorni e 
i 5 numeri OyS-- i,3-i,8 — i,3 —0,8 sarebbero i valori medii dei moti 
microsismici nell'ondata di s giorni. 

Assoggettando un seguito di queste seria all'interpolazione adottata pei 
moti microsismici, la differenza nella prima interpolazione resta divisa per 3 e 
nella seconda per 9. Supponendo dunque le ondate di s giorni , la differenza 
fra due dati consecutivi ^i riduce solo a | di decimo di linea cioè a i de- 
cimo e I dopo la sola prima interpolazione e di -/ di decimo di linea 
nella seconda interpolazione per le ondate di 3 giorni. Tutte e due queste 
differenze essendo inapprezzabili, l'interpolazione cela dunque certamente 
l'effetto dovuto alla pressione barometrica, se ancora vi rimane. 

Ritengo poi che i valori della prima colonna contengano ancora gli ef- 
fetti della pressione barometrica per alcune ragioni. In primo luogo infatti 
come l'azione lunisolare agisce sul mare, agisce anche sull'atmosfera; nel- 
l'addizionare perciò i valori microsismici dovuti alle medesime etk della luna 
o alla sua medesima posizione, molto facilmente le ondate delle burrasche 
non si compensano, ma si sommano in parte, tenuto conto principalmente 
alle osservazioni di due anni distinti. Secondariamente poi i massimi micro- 
sismici dovuti alle pressioni barometriche superano talvolta il quadruplo 
del massimo medio i, 8 sopracitato, mentre d altra parte sono pochi relati- 
vamente ai giorni osservati. Dopo un piccolo numero di anni, non possono 
adunque essere compensati. La gran difficolta di poter coprire gli effetti 
dovuti alla pressione barometrica si manifesta poi anche nelle medie essendo 
quasi doppio l'effetto medio dovuto al barometro di quello dovuto all'at- 
trazione lunare, mentre nei massimi ne h quasi il triplo e nei minimi h 
poco più che una volta e mezzo. Quindi è che sebbene per gli effetti lu- 
nari è molto difficile vedere volta per volta gli accrescimenti di moti mi- 
C]*osismici dovuti alle posizioni della luna, h invece facilissimo per ogni on- 
data barometrica riconoscere un aumento dei medesimi moti. E questo h ap- 
punto ciò che ora farò vedere particolareggiato negli anni 1874, 75, 76, 77. 
Noto però che non ostante che i calcoli del Ch. Grablovitz ci mostrino 
aumento di moto anche negli innalzamenti del barometro noi non- ci occu- 
peremo che delle depressioni* perchè sono queste soltanto che più' visibil- 
mente ci mostrano la relazione intomo ai moti microsismici e il barometro. 
Del resto l'aumento dovuto agli innalzamenti del barometro essendo una parte 
solo di quello dovuto alle pressioni, non e meraviglia che si celi all'osservatore^ 

28 



— 2*2 — 

tanto più, che può trovarsi coacomitante coi terremoti, i quali posticipano di 
alcuni giorni, (generalmente parlando)^ i-moti microsismici. Ma su questo tor- 
nerò di nuovo^ allorché esposti i confronti, il valore stesso delle osserva- 
zioni ci farà più chiara la conclusione. che deve adottarsi. 

IV. Veniamo ora al particolare confronto dei moti tromometrici cogli 
abbassamenti barometrici incominciando dal Dicembre 73. Nella tavola n. i 
sono raccolti in tre colonne gli abbassamenti barometrici avvenuti a Roma 
e Firenze e i moti tromometrici di Firenze. I valori però, che sono segnati, 
indicano pel barometro gli abbassamenti sotto la media annua e pel tro- 
mometro i soli moti notevolL La tavola n. i contiene le osservazioni dal 
Dicembre 73 al Luglio 74 inclusive. 

Ne) Dicembre 1873 e Gennaio 1874 parrebbe, che i moti del tromome- 
tro poco combinino con le pressioni barometriche, perchè di contro ai moti 
tromometrici quasi continui e forti di tutta la prima decade dei due mesi 
non abbiamo che delle insensibili depressioni barometriche sotto la media 
annua. Questa discordanza lungi dalPesserci d' inciampo, ci da luogo a ri- 
petere subito un' importante avvertenza a tutti i lettori di questa memoria, 
che cioè non sono i moti tromometrici^ che debbono tutti avere riscontro 
cogli abbassamenti del barometro, si bene questi con quelli. Non essendo 
infatti la pressione atmosferica se non una occasione favorevole ai moti 
sismici, e non già la causa intrinseca, assai è evidente, * che mancando 
pure tale pressione possono manifestarsi anche in alto grado i moti sismici. 
£ ne sono prossima prova i molti terremoti avvenuti in detti due mesi in 
tutta r Italia. Dai quadri sinottici dei fenomeni endogeni italiani pubblicati 
dai Ch. Cav. Prof. Michele Stefano De -Rossi nel suo pregevolissimo Bullettino 
del Vulcanismo Italiano si ricava, che in questi due mesi tutti i giorni il suolo 
è stato agitato neiritatia, ad eccezione del I6, 17 e a3 Dicembre e del 6 , 
20 e 21 Gennaio, e che il numero maggiore di scosse è avvenuto nei giorni 
1, 2, 9, 20, 26 Dicembre e 5, 9, 13, 24, 27 Gennaio. Dai medesimi quadri 
Jisulta pure, cbe la forza delle scosse è stata assai maggiore nel Dicembre 
73 che nel Gennaio 74, ciò che avvenne pure nei moti microsismici di Fi* 
renze. Nessuna meraviglia adunque cbe mancando gli abbassamenti baro- 
metrici si siano avuti dei moti microsismici molto sensibili. Del resto è anche 
da aggiungersi, che molle burrasche atmosferiche attraversarono nel me- 
desimo tempo TEuropa, le quali sebbene non arrivassero fino a farsi sen- 
tire nelle stazioni italiane (tirono assai forti specialmente nel Dicembre. Che 
se poi noi preadiamo i minimi barometrici di Roma, vediaoto pure^ che essi 



— 213 ~ 

cadono presso a poco nei massimi moti sismici. Nel dicembre infatti detti 
mìnimi cadono nei giorni i, 7, io, n , 29 mentre i massimi sismici li ab- 
biamo nei giorni 2, 9, i7, 28 e nel gennaio 74 i minimi barometrici furono 
il 5, 13, 18, 25, 28 e i massimi sismici il 2, 4 e 6, 11 e 14, 18, 29. 

Mentre dunque da una parte possono ritenersi come moti più strettamente 
sismici quelli del Dicembre 73 e Gennaio 74, dall'altra non può neppure 
negarsi un'influenza della pressione atmosferica almeno sopra i massimi movi- 
menti del tromometro in detti mesi. 

Nei seguenti mesi Febbraio, Marzo, Aprile^ Maggio , Giugno , Luglio è 
poi evidente il confronto. L'abbassamento del giorno 1 Febbraio lo vediamo 
combinare coi moti microsismicì dei primi 5 giorni del mese con un mas- 
simo nel giorno 2, gli abbassamenti dell's al 10 coi moti microsismici dalfs 
al is con un massimo il giorno il. Quelli dal 16 al 22 corrispondono anche 
ai massimi dei giorni 17 e 20. L'abbassamento avvenuto Tultimo giorno di 
Febbraio, lo vediamo corrispondere ai moti dei primi giorni di Marzo, il 
cui massimo è però caduto lo stesso ultimo giorno di Febbraio. Dal 9 al 
12 e dal 19 al 21 abbiamo due altri abbassamenti , che corrispondono ai 
moti microsismici, che hanno il massimo i giorni 11 e 20, mentre i minimi 
barometrici sono pure nei medesimi giorni. In Aprile dal 4 al 17 l'abbas- 
samento barometrico si riscontra sempre con un moto tromometrico no- 
tevole e mentile «i minimi barometrici cadono il 6, 8, 14 i massimi tro- 
mometrici cadono il 5, il 12 e il 15. L'abbassamento del 28 Aprile non è ri- 
sentito fino al 2 maggio, ma ìt da notarsi, che un tale abbassamento, si pro- 
lungò più o meno fino al 17 Maggio' e che sino al giorno 16 durarono i 
moti notevoli nel tromometro; quindi l'accordo esiste ancora fra i due istru- 
menti. I minimi barometrici poi furono il 3 ^ 8, 11, 16 Maggio e i massi- 
mi tromometrici il 5, 9, 12, I6. Per Firenze furono solo il 3, 10, te; i due 
minimi delFs e 11 non ne hanno formato adunque che un solo il 10. 

Dal 22 al 27 vi ebbe poi un altro periodo di abbassamento nel baro- 
metro , il quale fu risentito il 23 e 24 dal tromometro. Parimenti i periodi 
d'abbassamento -del i3-i5; 20-23; 26-^9 Giugno corrispondono ai moli note- 
voli del 14-15; 22-23; 29 Giugno. Nel mese di Luglio i moti notevoli del 
25 e 26 e quelli del 30 corrispondono alle depressioni manifestatesi nel ba^ 
rometro dal 24 al 28 e dal 29 al 3i, Questi però non fnrono i soli abbas- 
samenti atmosferici del Luglio, perchè la tavola ce ne da due altri, l'uno 
air li e 12 e l'altro il is e 22 e ambedue mancano di confronto con dei 
moti notevoli, tromometrici. Il confronto non sfugge tuttavia se conside- 



— 2U — 

riamo i massimi notevoli diurni, i quali non sono notati nella tavola, ma 
già sono stati pubblicati pel i874 nella parte 2* della memoria del P. Ber* 
telli e furono sensibili precisamente i giorni i^ e il. Pel periodo tra il 
18 e il 22 il rialzo nel massimo del giorno 22, cioè s"^ a, poco più della 
meta 3*^, o di quello che suol considerarsi notevole e per conseguenza non 
sarebbe atto a far vedere il confronto propostoci, se non leggessimo, (Atlt 
dell'Accademia PontiGcia dei nuovi Lincei Anno 1874, 5 Luglio) un* os- 
servazione importante fatta già dal P. Bertelli quando discusse la curva 
barometrica e tromometrica del 1874. Il medesimo notò infatti pel tromo- 
metro una sensibilità maggiore nel periodo infernale e una minore nel- 
Vestii^o a mettersi d'accordo col barometro. Ora questa minor sensibilità, 
che si manifesta qui di nuovo nei mesi di Maggio, Giugno e Luglio e che 
rivedremo anche negli anni seguenti; ci da tutto il diritto a conchiudere che 
il periodo tra il la e 22 ha il suo confronto col rialzo nel medio e nel 
massimo diurno del giorno 22. Fin qui adunque nessuna depressione atmo- 
sferica h stata esente, come abbiamo veduto, da moti microsismici e in due 
mesi soli cioè nel Gennaio 74 e Dicembre 7a si sono veduti moti microsi- 
smici senza abbassamenti barometrici. 

V. Passiamo ora all'Agosto 1874, mese, del quale nelle tavole abbiamo 
ancora calcolati i moti sensibili microsismici osservati a Bologna dal 
Sig. Conte Malvasia, al quale dobbiamo rendere pubbliche grazie e merite- 
voli elogi per essere stato uno dei primi a intraprendere^ un corso regolare 
di tal genere di osservazioni dietro il suggerimento del P. Bertelli, (i) Le 
osservazioni di Bologna non cominciano, che il giorno 9, e prima di detto 
giorno non vi h stato, che un abbassamento barometrico nei primi tre giorni 
del mese , il quale non ha confronto nelle osservazioni raicrosismiche di 
Firenze; ma e da notarsi, che questo abbassamento era già cominciato alla 
fine del mese, combinando il suo massimo col massimo tromometrico del so 
Luglio. Il giorno 6 Agosto il tromometro nota a Firenze un moto sensibile 
che se non può mettersi a confronto col piccolissimo abbassamento del 5 
e 6 nel barometro di Roma, trova però la sua spiegazione nell'abbassamento 
avvenuto a Firenze stesso, che h stato di 2'', 6 sotto la media annua nei 
medesimi giorni , e molto più nel fatto, che in quei giorno h caduto il mt> 
nimo assoluto decadico nella maggior parte delle stazioni italiane. 

CI) Le ossenrtstoni di Bologua sono cominciate il 9 Agosto 74 con pendolo longo^nu 
3»$43 io cai il massimo d'ampiezxa notevole è 16'^ e la media notevole è 6"» ; nelle tavola 
sono quindi notati i valori maggiori di 6''» 0.. 



— 215 ~ 

Dal 9 in poi nell'Agosto medesimo i confronti del barometro coi movimenti 
microsismici di Firenze e Bologna sono quasi perfetti. I minimi infatti ba- 
rometrici avvennero il 9, i5, i9, 21, 23 e 25, e per Bologna i massimi movi- 
menti furono il 9^ il 15» il 19, il 22 e 28, mentre a Fii*enze, sebbene non ap- 
paianoy che dei moti nel 9 e 15, pure rivedendo le curve pubblicate nella 
2' memoria a pag. 69 noi troviamo i massimi relativi ài 2". 4 e i". 4 d* in- 
tensità il 19, il 26 e il 30. In quanto poi ai movimenti, che troviamo a Fi- 
renze il giorno 11 e a Bologna il giorno is e che non hanno corrispondenza 
con alcun abbassamento barometrico a Roma, Firenze e Bologna, ben può 
affermarsi, che siano movimenti propriamente sismici, giacché il Bollettino 
del De Rossi nota il giorno 15 per Bologna tre scosse telluriche a ore 
differenti. E cosa intanto da notarsi che dovendo fare il confronto degli 
abbassamenti barometrici coi moti verificati in più osservatorii , siccome h 
abbastanza assicurato, che esistono pure dei terremoti locali^ noi non do- 
vremo meravigliarci di trovare tali moti in questa o quella stazione sol- 
tanto, che non abbiano poi corrispondenza cogli abbassamenti atmosferici. 
Anzi a me pare che non essendovi né questa circostanza, né quella della 
coincidenza con movimenti di altri paesi con grande certezza possiamo 
assicurare che detti moti sono propriamente sismici, cioè veri piccoli ter- 
remoti locali. 

Le concidenze del barometro nei mesi di Settembre, Ottobre, Novembre 
1874 sono tanto evidenti, che al solo gettar gli occhi sulle tavole ce ne pos- 
siamo convincere. In Settembre, ancorché le depressioni barometriche a Roma 
non siano state, che il i3 e i4, pure i moti sismici abbracciano un periodo 
dal 10 al 15 coi massimi nell*!! e 13 e di pia un moto isolata il giorno 199. 
comune ad entrambi gli osservatorii ed un moto isolato per la sola Bolo- 
gna il 1^ del mese. Il moto del giorno 19 può attribuirsi sia a un minima 
secondario barometrica avvenuto in quel giorno, sia a qualche scossa minima 
tellurica appena sensibile ai tromometri, come é da attribuirsi il massimo 
del giorno 1 per Bologna e più ancora quello del giorno il che fu anche 
veduto dal De-.Rossi a Rocca di Papa. lu Ottobre poi tre souo i principali 
periodi tromometrici il prima dall'i al 7; Taltro dal 15 al 2i e il terzo dal 
21 al 26. Quello dall'i al 7 ha corrispondenza coU'abbassamenta barometrica 
dei medesimi giorni. Quello dal i5 al 2i eoa massimi discordanti nelle due 
stazioni é da credersi sismica e combina colle eruzioni deìTEtna nei mede- 
simi giorni (Bull. De-Rossi)^ ciò cbe farebbe credere a un trasporto locale 
dell^ commozioni interne. Finalmente il perioda dal 2i al 26 combina cogli 



„ 216 ~ 

abbassameoti del barometro nei giorni t%, 23, 24. Neirii, 27 e 28 Bologna 
nota altri tre moti sensibili, che possono riputarsi sismici non solo, perche non 
verificati a Firenze, ma ancora, perchè in quei giorni avvennero veramente 
molte scosse di terremoto, come registra il Builett. del De-Rossi. In No- 
vembre infine ad eccezione dei moti isolati del 5 a Firenze e del 7, 9 e io 
a Bologna i moti microsismici cominciati il giorno 12 accompagnano quasi 
senza interruzione Tabbassamento barometrico cominciato il giorno innanzi 
e che seguitò Con decrescimenti e rialzamenti più o meno sensibili 6no al 
5 de! Dicembre seguente. 

VI. Dal giorno 9 Dicembre 74 a tutto Novembre 75 le tavole recano le os- 
servazioni tromometricbe di Roma, le quali sole potei avere nelle mani; 
il confronto procederà perciò ora per tre stazioni. È notevole che nel Di- 
cembre 74 mentre il barometro h stato quasi sempre basso, anche i tromo- 
metri sono stati tutti e nel medesimo tempo molto agitati. Anzi eccettuate 
le commozioni del periodo 0-9 e del giorno 25 ^ le quali . non hanno corri- 
spondenza con dei minimi barometrici e sono piuttosto sismiche, combinando 
colle scossse avvenute nella Valle del Liri, a Roma, Napoli, Firenze, al Vesu- 
vio ecc. ecc. (Vedi Builett. De-Rossi) e per il 25 alle scosse di Belluno, 
Tolmezzo ; gli altri massimi tromometrici vanno d'accordo coi minimi baro^ 
metrici avvenuti a Roma il 13, 15, 21, 30. A Firenze infatti i massimi moti 
sensibili furono il i6, 18, 22, 29 , a Bologna il 12, 16, 18, 20, 22, 29 e a Roma 

il 14, 18, 22, 29. 

li minimo barometrico del 30 Dicembre h stato risentilo anche nei primi 
giorni di Gennaio specialmente a Bologna , sebbene fosse in diminuzione. 
Però il moto del giorno 3 a Bologna, come isolato, deve riputarsi del tutto 
sismico; non cos\ quello del 6, che fu comune alle tre stazioni, e che cor- 
risponde a un piccolo abbassamento barometrico appena sensibile a Roma , 
ttia assai più sensibile nelle altre stazioni italiane.- Bologna nei giorni io, 
11, 20, Roma il giorno 12, e Firenze e Romft il giorno 14, 28 ci presentano altri 
ìnoti isolati non corrispondenti a nessun abbassamento barometrico. Gli altri 
periodi dei 16-19, 21-24, 25-27, 30-1 Febbraio, hanno ragione negli abbassa- 
menti del 17, 22, 26, 30, che poco figurano nelle osservazioni barometriche 
di Roma, ma furono più sentiti in aitile stazioni italiane. Lo stesso dicasi 
dal Febbrajx) 1875 al 6 Marzo, nel qual tempo barometri e tromometit forono 
sempre ^gitiatì ass&ii, e le scosse isolate del 9 e 12 a Roma, del n a Bolo- 
gna, e dtl22 d Firenze, avvennero quando il barometro stava per tornare ad 
un valore 'miediò normale con un massimo di rialzamento. Scosse del tutto 



~ 2n — 

isolate furono quelle di Bologna 1*8, e & Mai*zo a barometro alto. Del resto 
i due periodi di abbassamento atmosferico del Marzo, che furono dairii 
al 16, e dal ss al 30 corrispondono ai periodi di agitazione tromometrica 
dalPil al 16 e dal 28 al 31. In quanto all'abbassamento barometrico del 19 
al 23, il cui massimo avvenne per Roma il 2I9 non troviamo alcuna coinci- 
denza coi moti microsismici a Firenze, sebbene nei giorni 21 e 22 la media 
diurna non sia inferiore, che di 0", s alla media sensibile, che e 3"f 0; ma 
la troviamo per Bologna e per Roma. Questo però non deve far meraviglia, 
quando si può osservare, che nel giorno precedente (is) e susseguenti a questi, 
furono osservati a Firenze oscillazioni verticali, indizi di piccoli terremoti, 
e sappiamo che veramente molle scosse furono sentite in tutta V Italia su- 
periore e media il 18 ; imperocché la forza sismica svolgendosi in punti 
non lontani da Firenze, poteva non manifestarsi nei punti intcrmedii, dove 
forse coincìdevano i nodi delle vibrazioni sismiche» 

Nel mese d'Aprile (i876) gli abbassamenti barometrici furono dal 5 all's 
e dal i2 al is e dal 23 al 26, e troviamo concordemente nelle tre stazioni 
dei moti sismici nei medesimi tre periodi , sebbene il terzo si pro- 
lunghi di più per Firenze e Roma ; stanno invece isolati per Bologna i moti 
del 2 al 4; per Bologna e Roma quelli del 19 e 20, per Firenze e Roma quelli 
del 16-17: e possono riputarsi sismici perchè corrispondono a leggiere scosse 
avvenute nelle medesime stazioni , come risulta dal Bullettino del Yul- 
can. Ital. p. 93. 

Nel Mese di Maggio i confronti sono visibilissimi, perchè come leggeris- 
sime furono le pressioni atmosferiche, cosi quasi nulle furono per Bologna 
e Firenze le manifestazioni microsismiche, e quelle di Roma accaddero ap- 
punto in giorni di piccoli abbassamenti, sebbene si possano credere anche 
di natura puramente sismica. Non così tuttavia il periodo deirultima setti- 
mana sensibile al barometro e al sismometro delle tre stazioni. L'accordo 
per questo mese h dunque soddisfacente. 

Lo stesso deve dirsi per la prima meta di Giugno. In quanto poi ai 
moti del 19-20; 22-23 faremo notare, che sebbene il barometro non sia ca- 
lato a Roma sotto la media normale, tuttavia calò a Firenze. Del resto es« 
sendo vero, che tra il 22 e 23 cadde in quasi tutta T Italia il mìnimo asso- 
luto barom. della decade, possiamo })er questa volta confessare che il con? 
fronto voluto non vi si rinviene. 

Lo stesso deve dirsi deirabbassamento barom. del 2S Giugno al a luglio, 
che un giorno solo fu sentito sensibilmente da ciascuna stazione unitamente 



«* 



— 218 — 

a leggiere scosse di teri'emoto. Il movimento del 9 e io e quello del te al 
10 fu sentito in tutte e tre le stazioni , non cosi quello del sa e S3» che 
non fu risentito oltre il moto sensibile a Firenze. Furono poi moti isolati 
per Bologna quelli del as e 26 e a Roma quello del 30 senza corrispondenza 
nel barometro. 

In Agosto non abbiamo che due periodi di abbassamento barom. il primo 
dal 3 al 6 per Roma, ma un poco più esteso dall* i al 7 nel rimanente dltalia, 
e loro fan riscontro i moti del a, 5, 0^ a Bologna, (sebbene quello del o 
sia forse moto isolato e sismico) e per Roma e Firenze dal 4 al 7. Il secondo 
abbassamento più piccolo incominciò a Firenze il 28, duro fino al 2 Settem- 
bre e fu sensibile a Roma sotto la media annua i soli giorni 29 Agosto e 
2 Settembre e trova inoltre confronto con alcuni movimenti del 3t per Firenze 
e Roma, e del 2, 3, 4 a Roma. Mancarono movimenti a Bologna, ma in 
questa stazione vi furono moti isolati il 24, 25, quando il barometro era ab- 
bassato un poco, (ma non oltre la media), nell'Italia. 

Anche i movimenti isolati osservati a Roma dal I4 al 17 Settembre av- 
vennero piuttosto con barometro in ribasso, e acccompagnati da leggerissime 
scosse di terremoto. Il giorno 24 il barometro segna una piccola depressione 
atmosferica, che è risentita il giorno appresso da tutte e tre le stazioni, 
e seguita sino al 28 per Roma. Il 20 si riabbassa il barometro sino al 3 
Ottobre, e i tre tromometri si rimettono in movimento, sebbene per Roma 
e Bologna non arrivi ad essere sensibile che nell' i e 2 Ottobre, mentre a 
Firenze, dove il movimento barom. era cominciato prima è sensibile nei giorni 
20 e 30 Settembre e più debole i giorni seguenti i e 2 Ottobre. 

Prima di passare alia nuova stagione di massimo incremento del moto tromo- 
' metrico non dimenticherò di osservare^ che il confronto dei precedenti mesi 
estivi offre i medesimi caratteri di quelli deir estate del passato anno , 
imperocché anche questa volta i confronti sono men pronunciati , se si 
considerano i soli moti sensibili dei tromometri e gli abbassamenti del ba- 
rometro oltre la media annua, mentre invece restano soddisfacenti consi- 
derando i moti quasi sensibili nel tromometro e le depressioni relative del 
barometro. 

L'attività sismica e barometrica si risvegliò al principio della 2* decade 
d*Ottobre, e il perìodo deH*!! al 17 nel barometro è notato dal io al 17 
nelle tre stazioni , verificandosi i massimi per ciascun istrumento nel 14. 
Un secondo periodo Tabbiamo in tutte e tre le stazioni dal 20 al 2S, e un 
ter^o dal 28 alla fine del mese coi massimi non discordanti di più di un giorno. 



— 219 — 

In Novembre (i875) notiamo dei moti isolati a Roma il 3 e 4 accompa- 
gnati da leggiera depressione barometrica neiritalia poco sensibile a Roma. 
Poi abbiamo un periodo di depressione atmosferica dal 6 al 12 accompagnata 
dai movimenti sismici a Firenze e Roma , ma non sensibile a Bologna che 
il giorno 7, e quasi sensibile (?", 9) il giorno li in cui furono 'i massimi. 

11 giorno 15 a Firenze si ebbe un moto isolato, mentre in quella stazione il 
barometro notò un leggiero abbassamento oltre la media annuale; dal 19 al 

24 vi fu un*altra depressione atmosferica, e a Firenze si ebbero dei moti 
sensibili il is e il 20, 21, 22; ma a Bologna e a Roma i moti non furono 
sensibili che il 21 cioè il giorno dopo il minimo barometrico. Finalmente il giorno 

25 cominciò una nuova sensibile depressione barom., che durò fino a tutta 
la prima decade di Decembre e i tromometri di Firenze e Bologna si mo- 
strarono tosto agitati, non cosi quello di Roma. 

VII. Dal Dicembre 1875 mi è forza non poter più discutere le osserva- 
zioni di Roma, non avendole potuto aver sott'occhio, incominciarono però 
quelle di Velletri e di Camerino: ed h bello notare come i quattro tromo- 
metri furono agitati tutti sino al giorno 8, giorno in cui terminò pure la 
depressione barometrica. Nel rimanente del mese si manifestò un'altra sola 
depressione notevole, se pure non vogliamo tener conto di quella dell'i 1 e 

12 che ha riscontro con moti sismici. avvenuti nelle tre stazioni di Firenze^ 
Bologna e Camerino i giorni 10 e 13. Fra il I8 e 22 abbiamo due scosse 
isolate a Bologna e Camerino; il giorno 25 l'abbiamo a Firenze e il 27, 28, 
nelle altre tre stazioni. Questi moti , rinnovatisi anche in tutti e quattro 
gli osservatorìi l'ultimo del mese possono ritenersi di natura solo sismica , 
sebbene fossero accompagnati in questi stessi giorni da due leggiere flut- 
tuazioni barometriche come accenna il Bullettino del Collegio Romano; Inoltre 
il 26 e il 30 accaddero i minimi barometrici. 

Nei primi tre giorni del mese di Gennaio 1876 i tromometri notarono so- 
lamente alcuni moti isolati, ma dal 4 al 15, furono quasi in continuo movi- 
mento in corrispondenza alle depressioni barometriche di quei giorni^ che a 
Roma non furono tanto sensibili^ ma avvennero in quasi tutta l'Italia ed 
ebbero i loro massimi nei giorni 5, 9, 13 contemporaneamente ai massimi moti 
microsismici. Nel rimanente del mese i tromometri non furono mai mossi tutti 
quanti insieme se non il giorao 22, ma tuttavia presentano tre periodi assai 
distinti dal giorno 16 al 18; dal 21 al 23, e il 29« nei quali un po' l'uno, un 
po' l'altro tromometro ebbe movimenti sensibili. Questi periodi coincidono 
coi minimi berometrici, (maggiori però della media annua), segnati nel Bul- 
lettino del Collegio Romano il 17, 22, 29. 

29 



— 220 — 

In Febbraio le prime depressioni barometriche furono dal 5 al 12, e i 
medesimi giorni si manifestarono i perìodi microsismici. Due altre depres- 
sioni poco sensibili a Roma si manifestarono il 24 e il 28, anche esse ac- 
compagnate da periodi microsismici. Del resto non vi furono altri moti, se 
non i due' gruppi dal 15 al 17 per Firenze, Bologna e Camerino, e dal i9 
al 21 per Firenze e Bologna, moti del tutto isolati. 

Il giorno 2 Marzo tutti e quattro i tromometri furono agitati in corri- 
spondenza al minimo barometrico sensibile di quel giorno. Altri moti ma* 
nifestaronsi a Bologna il 5 e il 6, ma solo dal 7 al 13 i tromometri si tro- 
varono tutti in movimento insieme col barometro, il quale ebbe il suo mi- 
nimo il giorno IO, allorché i tromometri erano più agitati. Fra il 15 e il 21 
si ebbe un nuovo periodo barometrico e tromometrico; ma mentre nel baro- 
metro avvennero due minimi il is e il 20, i tromometri ne ebbero un solo 
il 19. Dal 23 al 27 il nuovo periodo barometrico si fece di nuovo sentire 
in tutte le stazioni, compresa Fermo^ che incomiuciò il 24 le sue osserva- 
zioni, e gli estremi dei due istrumenti coincidono nei giorni 24 e 26« Dal 
28 in poi il barometro tornò di nuovo ad abbassarsi, e con diverse fluttua- 
zioni durò fino al 3 Aprile, giorno in cui la depressione era quasi termi- 
nata. In tutto questo tempo però i tromometri non si mostrarono sensi- 
bilmente agitati, sebbene non poche scosse di veri terremoti abbiano dimo- 
strato che r attività sismica era piuttosto grande. (V. Bull, del Vulc. It.) 

La piccola depressione del 5 Aprile fu invece sensibilissima a tutti i tro* 
mometri, meno quello di Firenze. I moti dal 7 a Camerino e dell' 8 e a 
Velletri e Fermo corrispondono a leggiere scosse di terremoti in alcune lo- 
calità d'Italia. Le agitazioni microsismiche ricominciarono contemporanea- 
mente a farsi sensibili nei cinque osservatorii il giorno 13, e dove più e dove 
meno durarono sino al 24. I minimi barometrici furono i giorni 15, 19, 21, 
23, i massimi tromometrici furono per Camerino il 13, 15, 17, 19; per Fi* 
renze il 15, 19, 21^ 24, per Bologna il 14, 19, 22, 24; per Velletri il 13, 15, 
19, 21, 23, e per Fermo il 14, 17, 19, 24. L^ ultimo periodo fu dal 27 al 3 
Maggio per quasi tutti i tromometri, il barometro invece a Bologna fu 
poco depresso; ma molto più lo fu a Firenze e in altre citta d'Italia, co- 
sicché nello stesso modo, che la pressione atmosferica non fu del «tutto ge- 
nerale per la nostra penisola, cosi pure i tromometri furono variamente 
agitati. 

Si ebbero poi in Maggio 4 gruppi distinti di moti microsismici dal 6 al 
9; dal 13 al 15; il 19 e 20 e dal 24 al 28 Questi periodi corrispondono esat- 



— 221 — 

tamente ad altrettante depressioni barometriche, come lo mostrano ad evi- 
denza le tavole. Nel Giugno le depressioni furono 5^ ma solo le 4 ultime tro- 
varono coincidenza sensibile coi tromometri, la prima invece è solo mani- 
festa a Firenze e per un giorno solo. Tuttavia tenendo, conto» che nei 
mesi estivi, è minima l'attività e sensibilità microsismica, e che nelle tavole 
non abbiamo registrato, che i moti sensibili, l'accordo dura ancora. 

Lo slesso deve dirsi dei piccoli periodi del Luglio, Agosto e Settembre, 
e dei primi giorni d' Ottobre del medesimo anno, non essendovi difficolta di 
rilievo, il solo sguardo alle tavole mostra la coincidenza di ogni moto mi* 
crosismico, con ciascuna depressione del barometro. 

In Ottobre la sensibilità microsismica si h risvegliata il giorno 17, due 
giorni dopo le prime depressioni barometriche avvenute a Roma ed è 
perdurata infino al %% insieme con queste in quasi tutti gli osservatorìi. Dico 
quasi tutti : non solo, perchè a Montefortino (che in detto mese si osservò 
invece di Fermo) i moti non si manifestarono che un giorno solo: ma 
anche, perchè a Bologna continuarono ancora per poi riprendere tutti in*- 
sieme dal 97 al $9, quando un nuovo periodo barometrico raggiungeva il 
suo minimo. 

La discussione per il mese di Novembre è un poco più complicata, 
comincieremo però dall' osservare i quattro periodi barometrici del 30 Otto- 
bre al 8 Novembre, quella dal 7 al io, quella del is, quella del 18 al 23 e l'ul- 
tima dal 28 al 30, che hanno corrispondenze esatte in tutti gli osservatorìi, 
meno quella del 16, che si manifestò solo a Bologna con un massimo, e 
che d'altronde non fu generale in tutta l' Italia. Oltre a questi gruppi, ne 
abbiamo altri microsismici fra il 5 e il 6; l' fi e il 15, che non corrispon- 
dono a sensìbili abbassamenti barometrici; ma solo a delle fluttuazioni^ che 
ebbero i minimi nei giorni 5 e 0^ e i massimi il 6 e 1* il. 

Vili. L'anno 76*77 incomincia molto regolarmente con due periodi di 
abbassamento barometrico nel Dicembre 76, i quali corrispondono esatta- 
mente ad altri due di moti microsismici. Notisi per altro che siccome i 
moti microsismici non si manifestano che a salti, come abbiamo gik notato 
sin da principio, non deve farci meraviglia, se non in tutti i giorni dei pe- 
riodi microsismici, si bene in una qualche stazione ogni giorno di abbassamento 
barometrico vediamo dei moti sensibili. 11 primo periodo durò dal giorno 3 
al giorno 13 e ci presenta i massimi pel barometro nei giorni, 4 e li e 
per ì tromometri nei giorni, 4, 6, 8, iO e ifi. A Velletrì i massimi tromome- 
trici furono solo i giorni s e io e tre giorni soli segnarono moti sensìbili 



.« 222 ~ 

bastanti però a determinare la corrispoDdeaza coi due massimi abbassamenti 
barometrici. A Firenze invece^ manca la corrispondenza dei moti col se- 
condo massimo deli' il. Il 2"* periodo durò dal 14 al 28 e pel barometro ab- 
biamo i massimi nei giorni is e 24. I tromometri invece^ risentito il primo 
straordinario abbassamento del giorno 16 e 17, manifestarono un secondo mas- 
simo il giorno 19, un terzo al 22 e un altro il 25. Finalmente tra il 26 e 
27 si ebbe un ultimo massimo. Questo succedersi dei moli massimi di due in 
tre giorni nel tempo dei periodi di abbassamento barometrico e un carattere 
proprio e facile a spiegarsi dei medesimi moti microsismici. L'attività en-^ 
dogena infatti, allorché riesce a vincere le difficolta e gli ostacoli che si 
oppongono alla dilatazione dei gas interni e alla formazione delle reazioni 
chimiclie^ ritorna tosto a ricercare il proprio equilibrio, nel modo stesso, 
che vediamo ribollire una massa di materia pastosa, nella quale i gas con- 
tenuti giunti ad un massimo di tensione erompono in gallozzole, e dopo la 
materia ricade su se stessa per incominciare di nuovo a distendersi, segui* 
tando così sinché dura la causa del ribollire. E forse questa è anche una 
delle ragioni per cui talvolta vi possono essere dei ritardi nelle manifestazioni 
microsismiche. Poniamo p. es. che Tatti vita endogena non abbia potuto an- 
cora riunire tutte le sue forze in un punto e quelle sparse intorno ad un 
centro qualsivoglia tendano sin da principio a congiungersi. Ancorché cessi 
la causa che l'ha promossa, l'attività sismica potrà continuare a svolgersi, 
e giungerà al suo massimo allorché è già svanita la causa che l' ha formata. 
Anzi questo giuoco avviene qnasi sempre prima di una vera scossa di terre- 
moto, perché é necessario in tal caso che molte forze endogene si concentrino 
in un punto. Difatti quasi sempre prima di una scossa i tromometri dei 
punti relativamente vicini al centro sono in perfetta calma. Tali osservazioni 
ho voluto qui fare, perché non sono inutili nel confronto degli abbassamenti 
barometrici coi moti microsismici e ci danno forse la spiegazione di molte ano- 
malie, che s'incontrano. Non ho poi creduto bene farle da principio, sia 
perché^ quando pochi erano gli osservatorii, sopra i quali poteva discorrere, 
ho dovuto tenere un modo un poco diverso nel fare il detto confronto , sia 
ancora, perché l'analisi delle osservazioni di questi ultimi mesi desidero 
farla più minuta^ appunto avendo fra le mani maggior copia di dati. 



Noia. Essendosi dovuta ritardare la stampa del bollettino per ragioni tipografiche ho creduto 
bene estendere a tutto Tanno 1877 la discussione dei moti microsismici, seguitandola con gli stessi 
criterii. Per la stessa ragione si è potuto aggiungere alla pubblicazione delle osservazioni micro- 
sismiche di Firenze per Tanno 1876 quelle delTanno 1877. 



-^ 223 — 

Nel gennaio seguente il primo periodo barometrico h piccolo, perchè ab- 
braccia soltanto due giorni, cioè il 5 e 6 ed ha confronto col perìodo mi-» 
crosismico dal 4 al 7. Il periodo barometrico è ancor breve dal 12 al 15 e 
abbraccia i moti microsismici dei medesimi giorni col massimo per ciascun 
istrumento nel giorno 12. I tromometri però di Bologna, Velletri e Fermo 
tra il 14 e 15 manifestano un secondo massimo , al quale fan seguito 
degli altri nei giorni 16, 17 e is e di nuovo il 21 per Bologna e il 22 per 
Velletri e Fermo. Queste ultime manifestazioni possono però ritenersi si- 
smiche, perchè non si manifestarono ad un tempo in tutti gli osservatori!. 
Il giorno 24 tutti i tromometri furono mossi, e sebbene a Roma il baro- 
metro non abbia segnato nessun abbassamento, ma sia rimasto stazionario, si 
può notare la coincidenza dell'onda barometrica, che cominciò a passare per 
le stazioni italiane sino dal 23 ed ebbe il massimo il giorno 26. Il 27 in- 
fatti avemmo i massimi valori tromometrici a Firenze, Bologna e il giorno 28 a 
Velletri e Fermo* Un ultimo periodo di moti incominciò il 29 e terminò il 3 
Febbraio, ed ebbe i massimi il 31 Gennaio e il i"* del mese coincidendo coi 
massimi abbassamenti barometrici di questi due giorni. A Bologna, Velletri 
si ebbero alcuni moti isolati, e a Fermo continuarono sino al giorno 6. 
In questa stazione non fu risentito un abbassamento barometrico , il quale 
non passò la media annua a Roma che nei giorni 13 e 14; ma fu risentito 
in detti giorni dalle altre stazioni tromometrìche. 

11 barometro ricominciò a calare a Roma nel pomeriggio del 17 e la flut- 
tuazione ebbe un massimo il giorno is ma riprese poi e continuò Y abbas- 
bassamento più o meno sino al giorno 28, dando altri massimi nei giorni 22 e 
27. I tromometri anch'essi diedero tre massimi il primo nel giorno 18; 1* al- 
tro fra il 21 e 22 ed il terzo il giorno 27. 

In Marzo il rapido abbassamento del giorno 1 fu annunciato dai tro- 
mometri coi moti dei primi tre giorni del mese^ ma con massimi discor- 
daùti per le varie stazioni. Dal 5 al 15 un nuovo periodo di depressione at- 
mosferica si manifestò e i minimi barometrici furono il giorno 8 e 14. I tromo- 
metri turbati in quasi tutti i detti giorni mostrarono dei massimi di due 
in tre giorni in ciascuna stazione, uno dei quali tra Ts e il 9; i soli {stru- 
menti di Bologna e Velletri notarono però dei moti sensibili il giorno del 
secondo minimo barometrico avvenuto il giorno I4. 11 17 il barometro calò di 
nuovo a Roma e ci dà forse la ragione dei moti isolati di Firenze nel giorno I6 
e di Velletri nel giorno 17 e 18. L'ultimo periodo di abbassamenti barometrici 
segui poi dal 18 al 26 coi massimi i giorni 20, 23 e 26. I massimi dei tromometri 
tutti agitati iu questi giorni furono fra i giorni 19 e 20: 21 e 22; 25 e 26. 



/ 



— 224 — 

Durante quasi tutto il mese di Aprile il barometro di Roma stette sotto 
la media annuale, ma i tromometri non notarono che 5 perìodi di movi- 
menti sensibili stante la minore facilita osservata in tutti gli anni^ che hanno 
i tromometri di mostrarsi obbedienti alla pressione atmosferica nei mesi estivi. 
Detti cinque periodi coincidono tuttavia coi minimi barometrici verificati i 
giorni 4 e 6 ; 10 ; ìt, 2A} 30 e ì Maggio e durarono quanto le fluttuazioni barome- 
triche dal giorno 2 al 7; dai 9 al 18; dal 15 al li; il giorno 24 e dal 28 al 30. 

Nel Maggio continuò la poca sensibilità dei tromometri rispetto al ba- 
rometro } tuttavìa lasciando da parte i moti dei primi tre giorni a Fermo e 
a Foggia, perchè sono isolati, il perìodo barometrico del 4 al 13, fu sen- 
tito un poco in ciascuna stazione; e mentre i minimi barometrici furono i 
giorni 6, B e 12, i massimi tromometrici seguirono fra il 6 e il 7; il o e 
il 10 e fra il 12 e 13, con un giorno o due di ritardo in ciascuna stazione. 
Di più Foggia non ebbe che un massimo solo il giorno 9 e Velletri non 
ebbe nessun moto sensibile i giorni 12 o 13. Il 15 di Maggio il barometro 
calò di nuovo a Roma di i,"*"* 7; ma questo abbassamento non ha riscontro 
che coi moti posticipati di Velletri e Foggia del le o 17. È da notarsi che 
queste sono le due stazioni che non manifestarono il massimo il giorno 13, 
perchè dunque non potrà dirsi che Fattività sismica, già crescente in quei 
giorni non ha avuto il suo massimo che nella nuova discesa del baro- 
metro, mentre l'attività microsismica delle altre stazioni rìmase appena alterata 
da questa nuova discesa, perchè già aveva avuto il suo colmo nel giorno 13 ? 
Mi pare che la spiegazione non sia irragionevole e la possiamo ripetere 
per Tabbassamento barometrico che solo coincide coi moti del 20 e 21 a Vel* 
letri. Furono moti isolati quelli del 25 a Foggia, del 30 a Bologna e del 
31 a Firenze e Foggia. 

Giugno non ci presenta che due abbassamenti sotto la media annuale, 
Tuno sensibile fra il 14 e il le, che non ha corrispondenza notevole, se non 
col moto tromometrico di Fermo, il quale è però in ritardo d* un giorno, 
sul massimo abbassamento che fu il 12. L'altro anch* esso piccolo avvenne 
tra il 23 e il 25 col massimo nel 24, precisamente come accadde pure per 
i moti tromometrici di Bologna, Fermo e Foggia. Firenze e Velletri non 
ebbero moti sensibili, ma tuttavia i valori tromometrici si alzarono alquanto, 
come può vedersi nel Builettino dell' Osservatorio di Moncalieri diretto dal 
P. Denza. Lo stesso può dirsi delle osservazioni tromometriche nei giorni 
del primo perìodo d'abbassamento barmuetrico. Finalmente osserveremo che 
anche i due moti isolati di Fermo e Foggia nei giorni 2 e 3 possono 
corrispondere al minimo della fluttuazione barometrica, che non oltre*- 



— 225 ~ 

passò la media annua, ma che avvenne fra 1' l e il 3 del mese nei varii 
osservatorii d'Italia. 

il mese di Luglio ci offre 5 periodi di moti sensibili tromometrici nei 
giorni 3-4; 9-iij 14-16; i8-20; 25-30 i primi due dei quali non corrispon- 
dono ad abbassamenti barometrici oltre la media annua ; ma solo ai mi- 
nimi dei giorni 2 e 8 segnati sul Bullettino del Collegio Romano. I moti 
tromometrici sono dunque anche questa volta in ritardo sopra i minimi ba- 
rometrici di Roma, inoltre i moti tromometrici non furono sensibili, che in 
alcuni osservatorii, mentre gli altri non ebbero che un leggiero incremento, 
li periodo dal 14 al la fu preceduto da un moto isolato il giorno 13 a 
Velletri, cui deve mettersi insieme il moto del 14 di Foggia. Questo periodo 
ebbe il massimo pel barometro' il giorno 15, e per i tromometri il 15 o^il 16. 11 
periodo dal 18 al 20 si manifestò principalmente a Firenze ove non era 
stato sensibile il primo abbassamento barometrico. 11 massimo tromometricp 
anticipò questa volta il minimo barometrico di Roma nelle stazioni di Fi- 
renze, Bologna, Fermo e li accompagnò nella stazione di Velletri. Foggia 
non ebbe che un incremento insensibile il giorno 20. L' ultimo periodo 
barometrico dal 24 al 28 corrisponde^ sebbene un poco in ritardo, al pe- 
riodo ultimo tromometrico dei 25 al 30. Questo perìodo non si manifestò 
a Firenze che nel massimo diurno del giorno 26^ giorno in cui anche le al- 
tre stazioni ebbero un massimo posticipato d' un giorno al minimo baro- 
metrico, che accadde a Roma il giorno 25. A Foggia però il massimo tro- 
mometrico fu il 27 e a Fermo si ebbe un altro massimo il giorno 30. 

Dal mese d'Agosto in poi abbiamo ancora, le osservazioni di Montefortino 
a cominciare dal giorno 17. In questo mese si osservano 4 abbassamenti ba- 
rometrici sotto la media annuale di Roma. Il 1^ fu osservato fra il 2 e il 
4 ed ebbe il massimo il giorno 3 concomitante con quello tromometrico 
delle -stazioni; meno di quella di Foggia^ in cui accadde un giorno dopo. 
Il 2^ periodo d'abbassamento fu dal 9 al 13. Questo non combina con nes- 
sun moto sensibile degli osservatori!, ma in tutti tra il giorno 11 e il 13 vi 
furono dei moti quasi notevoli. Lo stesso dicasi del piccolo ahbassamento 
barometrico nel giorno io, manifestato solo il giorno dopo a Montefortino 
e il periodo del 27 al 29, che non ha riscontro se non il 28 a Fermo. Il 
moto del 31 a Montefortino è del tutto isolato. 

L'attività microsismica si è risvegliata nel Settembre 1877 come è avvenuto 
tutti gli anni e le osservazioni non ci manifestano, che un abbassamento baro- 
metrico a Roma oltre la media annua nel giorno 3 e un periodo più lungo 
di depressione dal 16 al 25. I tromometri invece ci manifestano 5 periodi 



— 226 — 

distiati. Il primo dal 2 al 6 corrisponde all' abbassamento del giorno 3. Il 
secondo dall' 8 al i2 corrisponde ai minimi dei giorni 8 e i2. Il terzo dal 
15 al 20 coi massimi fra il 17 e is corrisponde alla prima fluttuazione del 
secondo periodo barometrico, che ha due minimi il il e il i9: il quarto poi 
dal 21 al 24 ha il massimo fra il 22 e 23 e corrisponde all'ultima parte del 
secondo periodo barometrico, il /Cui mìnimo fu il giorno 22. Finalmente 
l'ultimo periodo tromometrico avvenne fra i giorni 26 e 29 col massimo tra 
il 27 e 28. A Montefortino cadde il 29, ma non ha riscontro che con un 
minimo b.arometrico avvenuto il 27 a Roma. 

Ottobre ha due periodi sensibili di depressioni barometriche il primo dal 
giorno 1 all' 11, l'altro dal 25 al 27. Tuttavia la fluttuazione barometrica dei 
primi tre giorni del mese non ebbe riscontro con moti tromometricì, 
forse perchè l'attività endogena già erasi sfogata negli ultimi giorni del 
mese precedente. I • tromometri mostraronsi però subito tutti agitati al 
nuovo diminuire della pressione atmosferica e diedero due massimi, Tubo 
verso il giorno 6 e l'altro fra il 9 e il io, mentre il minimo barometrico 
fu il 9. A cominciare dal 13 il tromometro a Montefortino fu quasi sem- 
pre agitato: lo slesso avvenne a Velletri il giorno 13 e 18; a Bologna il 
20; si^ Fermo il is e a Foggia il 22. Questi però furono moti isolati; de- 
vesi solo notare che il 18, giorno in cui si ejbbcro tre tromometri agitati e 
gli altri in incremento* seguì un minimo barometrico accaduto il giorno 
prima a Roma alle 5 pomer. Le agitazioni tromometriche del 25 corrispon- 
dono al 2? periodo barometrico sopra accennato. Lo stesso può dirsi dei 
moti dal 27 al 29, sebbene questi abbiano l'aspetto di moti indipendenti 
dal barometro, a meno che non vogliansi unire con quelli dei primi due 
giorni del mese seguente, che corrispondono a un minimo barometrico del 
giorno 1 Novembre. 

In questo nuovo mese poi i moti del 9 a Fermo e Montefortino sono 
isolati; incominciarono però il giorno 11 dei moti tromometrici concomitanti 
l'abbassamento barometrico che ebbe il suo massimo il giorno 12. I tromo- 
metri furono mossi sino al le e i massimi manifestaronsi sconcordanti, 
* il che dimostra certamente la presenza di altre cause endogene in que- 
ste agitazioni. Mòti isolati furono quelli del 17 a Foggia e del 18 a 
Montefortino. Il 21 poi tutti i tromometri ad eccezione di Foggia erano di 
nuovo conturbati e insieme il giorno prima era comincialo un periodo ba- 
rometrico di abbassamento sotto la media annua, che ebbe i minimi nei giorni 
21 e 25. Per i tromometri i massimi avvennero anche il 21 (a Velletri il 22) 
e il 25; Firenze però e Montefortino ebbero un massimo anche nel giorno 23. 



— 227 — 

Foggia Boii nolo- che un solo moto sensibile, e questo il giorno si4. Final- 
mente negli ullinii Ire giorni del mese si ebbe insieme una depressione ba- 
roroetrìca e un* agitazione di lutti e sei i tromometrì; quattro di questi 
ebbero il massimo il giorno 30 insieme al minimo barometrico: Firenze e 
Bologna un giorno prima. 

IX. Avendo passato in rassegna ad uno ad uno tutti i perìodi di agitazione tro-* 
mometrica e di abbassamento barometrico dal Dicembre 1873 al Novembre 1876, 
non ci resta altro che conchiudere riassumendo le principali conseguenze, 
che a parer nostro evidentemente emergono dalla discussione fatta. 

1? Ad abbassamenti barometrici d*una durata maggiore almeno di due o 
tre giorni in tutta T Italia corrispondono sempre agitazioni sensibili o quasi 
sensìbili dei tromometri, e questi moti durano quasi esattamente il tempo 
in cui il barometro si trova al disotto della media annuale. 

In tutta la discussione delle osservazioni precedenti non si è visto ec- 
cezione a questo fatto, se non due o tre volte; e allora si e sempre os- 
servato^ che o Fattività sismica si h manifestata in luoghi non lontani per 
mezzo di terremoti, o l'eccezione è stata solo per alcuni osservatorii, non 

gik per tatti. 

2? Al contrario nel tempo di innalzamenti duraturi del barometro, i tro- 
mometri, generalmente parlando, sono allo stato di calma. 

Nelle nosti^ tavole avendo soltanto notati gli abbassamenti del baro- 
metro e avendo coli* esposizione fatta mese per mese verificato, che anche i 
moti microsismici non si manifestano generalmente in modo sensibile, che 
barometro basso, e verificandosi sempre che i moti microsismici a baro- 
metro alto non sono comuni a tutte le stazioni e in generale corrispon- 
dono a veri moti sismici, deve essere necessariamente vero, che a barometro 
normale od alto i tromometri sono calmi. 

3^ I massimi microsismici quasi esattamente coincidono coi minimi baro- 
metrici di Roma, sia quando si considerino gli abbassamenti al disotto 
della media annua, sia quando si considerino le fluttuazioni barometriche 
durante un periodo sismico. 

Espressamente ho notato ogni volta che vi era un periodo sismico non 
corrispondente ad abbassamento barometrico sotto la media annua, che i 
massimi tromometrici avvenivano quasi esattamente nei giorni dei minimi 
barometrici relativi: imperocché non mi pare errato il giudicare, che allor- 
quando Fattività sismica h in incremento, anche la sua sensibilità ai mo- 
vimenti atmosferici cresce, come quella che non avendo piiì da vincere l'i- 
nerzia dell* equilibrio, si trova piiì facile a sentire l'influsso delle altre forze. 

30 



— 228 ~ 

Lo stesso infatli avviene se mettiamo a paragone le diverse stagioni del- 
l'anno rispetto ai moti microsisoxici^ die in cs<)e avvengono. L'autunno e 
l'inverno le manifestazioni uiicrosismiche sono immensamente maggiori che 
non la primavera e Testate; or bene la discussione stessa teste fatta per 
gli anni 1873-1877 e quella dcITanno 1872-73, gik pubblicata dal P. Ber- 
telli fanno vedere, come l'accordo tra gli abbassamenti baix>metrici e i moti 
microsKsmici è più perfetto nelle prime due stagioni; ed io ho già fatto 
vedere, che tali accordi ritornano assai perfetti anche per i mesi e.^tivi, 
purché si considerino moli sensibili dei valori assai minori che non V au- 
tunno o r inverno. Per le quali cose,, a me pare sarà ben fatto nel pro- 
gresso di tempo non tenere una scala intensiva costante per tutto Tanno 
riguardo ai moti sensibili,' o non sensibili, ma variarla a seconda delle sta* 
gioni, considerando come grado di sensibilità minore o maggiore, il più o 
meno accordo con gli abbassamenti barometrioi. 

4^ 1 moli troroomctrici isolati non comuui. a tutti gli osservatori!, noa 
coincidono con abbassamenti barometrici è debbono riputai*si del tutto si* 
smici, cioè della natura dei.vcM terremoti. 

L'aver osservalo che gli abbassamenti barometrici sono accompagnati da 
moti niicrosismici in tutti gli osservatorii e non essere i moti sensibili co- 
muni a tutti gli osservatorii nei giorni di barometro alto o normale, ci 
fa lecito conchiudere che non sia la medesima causa, vale a dire T azione 
meccanica atmosferica, che determini i moli isolati di alcune stazioni, e 
debbano questi attribuirsi perciò a cause del tutto endogene indipendenti 
dai movimenii atmosferici. 

Queste sono le principali conseguenze ohe possono ricavarsi dalle osser* 
vazioni microsismiche, e sebbene non possano considerarsi come del tutto 
sicure, perchè ancora piccolo è il numero degli anni di osservazione, tut- 
tavia non credo che possano essere mollò lontane dal vero. Ringraziando 
perciò i gentili e solerti cooperatori di queste ricerclie, mi lusingo che 
allri vorrà intraprenderei medesimi confronli con melodi divedi, ed esten- 
derli mano mano alle nuove osservazioni, affinchè la moltiplicita dei faUi 
e la varietà delle considerazioni rischiari sempre più un punto abbastanza 
importante nelle manifestuzioni endogene. 

Fra le tavole aggiunte a questa memoria vi sono pure gli specchi dellei 
osservazioni microsismicbc fatte a Firenze nel 1870 e 1877. Queste fanno 
seguito a quelle pubblicate nella 2'' parte della memoria; si sono però tra- 
lasciate le curve a punti. Quelle degli anni seguenti sono pubblicate nel Bui- 
lettino del R. Collegio C. Alberto di Moncalieri insieme a quelle delle altre 
stazioni italiane. 



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22-79 

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3-75 

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34-71 
10-83 

6113 
38-87 

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30-84 
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242 



COMUNICAZIONI DEL SEGRETARIO 

i. Il Segretario ricordò agli adunati, come Todierna seconda sessione del- 
Tanno XXXI avrebbe dovuto aver luogo ai 20 del Gennaio decorso ; e come 
a cagione degli straordinari avvenimenti pubblici il eh. p. Angelo Secchi 
Presidente avesse creduto opportuno di trasferirla alla seguente Domenica 27. 
In questo giorno poi stante V improvviso e gravissimo peggioramento della 
malattia dell* illustre presidente, per spontaneo desiderio di tutti i membri 
fu creduto opportuno sospenderla nuovamente. Perdurando intanto lo stato 
aggravato e di imminente pericolo nella languente vita del P« Angelo Sec- 
chi; ed essendo sopraggiunto anche il grande lutto dei romani e dei cat* 
tolici tutti per la morte del s. Padre Papa Pio ÌX , vi sarebbe stata forte 
ragione per sospendere anche l'odierna seduta. Ma poiché troppo ne avrebbe 
sofferto la continuità dei lavori accademiciy il Comitato giudicò di tenere 
una privata adunanza allo scopo soltanto di comporre il fascicolo secondo 
degli Atti accademici del XXXI anno ; ed è in questa forma che vennero 
spediti gli inviti agli Accademici. 

2. Relazione del segretario sulla distribuzione d' una medaglia commemo- 
rativa inviata dal s. Padre Pio IX agli accademici che contribuirono con 
memoria alla compilazione del volume straordinario di triplice omaggio offerto 
alla stessa Santità Sua il 19 Giugno 1877, in occasione del suo episcopale giubileo. 

COMITATO SEGRETO 

II Comitato Accademico propose a socio corrispondente straniero il chmo 
sig. prof. Nicola Breitbof dell'università cattolica di Lovanio. Fatta la vo- 
tazione risultò eletto a pieni voti, essendo 10 i votanti. 



SOCI PRESENTI A QUESTA SESSIONE 

Prof. Mattia Azzarelli , il quale tenne la presidenza in assenza del eh. 
P. Angelo Secchi gravemente infermo ^ Conte Ab, F. Castracane degli 
Antelminelli - P. F. S% Provenzali - Ing. prof. A. Statuti. - P. G. Foglini 
- P. G. S. Ferrari - P. G. Lais - D. B. Boncompagni - Cav. G. Oli- 
vieri - Prof. M. S. de Rossi , segretario 



L'adunanza aperta legalmente alle ore 3 | pom., fu chiusa alle 5 5. 



243 



OPERE VENUTE IN DONO 

t Abhandlungen der koniglichen Akademie der Wissensehaften xu Berlin, — Àui dem Jahre 1876. 

— Berlin ecc. 1877. In 4.* 

2. Atti del Reale Istituto d' incoraggiamento alle scienze naturali economiche e tecnologiche di 
Napoli — 2." Serie — Tomo XIV. - Parie 1. — Napoli ecc., 1877. In 4.* 

3. Bulletin de VAcadémie Imperiale des sciences de St.-Pétersbourg, — Tome XXIV. N! 2? In 4.<* 

4. Bullettino di Bibliografia e di Storia delle scienze matematiche e fisiche pubblicato da B. 
Boncompagni, ecc. — Tomo VII. — Gennaio 1874, — Tomo X. — Marzo— Luglio, Settembre 
Novembre 1877. — Roma ecc., 1877. In 4.' 

5. Bulletin de la Société des Sciences de Nancy — Ancienne société des Sciences naturelles de 
Strasbourg fondée en 1828. — Sèrie II. — Tome III. — Fascicule VI, iO« Anuée. — 1877. 

— Paris ecc., 1877. In 8.' 

6. L'Elettricista, Rivista di scienze fisiche e loro applicazioni dedicata particolarmente all'elet- 
tricità — Voi. IL — Num. 1. — Gennaio, Marzo 1878. — "Firenze ecc., 1878 in 8.<> 

7. Monatsberieht der hàniglich preussischen Akademie der Wissensehaften zu Berlin. — Novem- 
ber 1877. — Berlin 1878, ecc. In 8.' 

8. R. Comitato Geologico d^ Italia. — Bollettino N! 11 e 12. — Novembre e Dicembre 1877. 

— Roma ecc*, 1877. In 8.* 

9. Triplice omaggio alla Santità di Papa Pia IX nel suo Giubileo episcopale offerto dalle tre 
romane accademie Pontificia di Archeologia, Insigne delle Belle Arti denominata di S. Luca, 
Pontificia de* Nuovi Lincei. — Roma ecc., 1877. In 4.* 

10. Ulm Oberschwaben. Korrespondenzblatt des Vereins fUr kunst und Alterthum in Olm und 
Obersehwaben — Nr. 9. 1877, In 4.* 



ATTI 

DELL'ACCADEMIA PONTIFICIA 

DE' NUOVI LINCEI 



SESSIONE III' DEL 17 IIRZO (g78 

PRESIDENZA DEL PROF. MATTIA AZZARELLI 



COMUNIGAZIOISfl DEL SEGRETARIO 



Il Segretario fece notare ai colleglli, come non avesse 
luogo la formale partecipazione ali* Accademia dell* infausta 
morte del suo presidente P. Angelo Secchi. Pei-occhfe gli stretti 
vincoli di amicizia, che legavano tutti i membri dell' Accademia 
coli' illustre defunto, li avevano già chiamati ad assistere per* 
sonalmente ai funerale celebrato nella Chiesa di S. Ignazio. 
Disse peraltro esser doveroso proporre un atto manifestante il 
lutto accademico per la dolorosa perdita dell' infaticabile Pre- 
sidente. Quindi a nome del Comitato direttivo propose che 
l'Accademia si astenesse dalle comunicazioni scientifìche) e 
stabilisse che il fascicolo degli atti, corrispondente a questa 
sessione, fosse unicamente dedicato alla biografia dell'illustre 
P. Angelo Secchi, ed all'indice dei numerosi lavori di lui. 
La quale proposta essendo stata unanimemente approvata, fu 
anche pregato il eh. P. S. Ferrari di redigere la desiderata 
biografia. Ma poiché la mole di tal lavoro per essere pro- 
porzionata alla importanza veramente straordinaria del sog- 
getto esige tempo non breve, si h deciso collocarlo alla fine 
dei volume, onde non ritardare troppo il corso della pubbli- 
cazione degli ordinari Atti accademici. 



32 



— .246 — 

Il medesimo Segretario comunicò all'Accademia, come nella sera del Sabato 
9 Marzo la Santità di N. S. Papa Leone XllI siasi degnata di ricevere in 
privata udienza il Comitato accademico^ accogliendo con somma benignità 
i sentimenti di devoto ossequio e di filiale obbedienza, che i suddetti pre- 
sentavano à nome dell'intero corpo accademico al nuovo Pontefice. La S. S. 
mostrò grande impegno per il progresso delle scienze; e in particolare 
ricordò l'importanza che fra esse hanno le scienze naturali coltivate dalla 
nostra Accademia. Quindi il medesimo S. Padre fu largo di parole atte ad 
incoraggiare nei loro lavori gli accademici, che benedisse con tutta l'effu- 
sione del paterno suo cuore. Non mancò in fine la Santità Sua di condo- 
lersi con l'Accademia per il grave lutto, nel quale essa si trova, a cagione 
dell'irreparabile perdita dell'esimio suo Presidente P. Angelo Secchi. 

Il medesimo Segretario presentò la circolare a stampa inviata ali* Accademia 
da un Comitato di discepoli del P. Angelo Secchi^ con la quale vengono invi- 
tati gli amici del Secchi a contribuire ad un decoroso e solenne funerale per 
l'anima di lui. Contemporaneamente però fu osservato da alcuni soci, non 
essere conveniente che la nostra Accademia si riducesse unicamente a se- 
guire l'invito di discepoli in una dimostrazione di affetto verso il suo pre- 
sidente. Esser perciò assai più decoroso per gli accademici il farsi invece 
promotori dell'erezione di un monumento alla memoria di lui. Per tale 
monumento poi e per le trattative e la organizzazione della colletta e di 
quanto altro si riferisca al medesimo oggetto, viene nominata una commis- 
sione accademica composta del Comitato direttivo col suo nuovo presidente, 
cioè Sig. Comm. Alessandro Gialdi, Prof. Mattia Azzarelli, Conte Ab. Fran- 
cesco Castracane degli Antelminelli^ Prof. Michele Stefano de Rossi^ segre- 
tario; e dei eh. Sig. Principe D. Baldassare Boncompagni, P. Stanislao 
Ferrari, P. Giuseppe Lais. Fu anche decretato che nei giornali cittadini 
venisse immediatamente pubblicata cotesta risoluzione accademica relativa 
all'erezione di un monumento alla memoria del P. Angelo Secchi. 

COMUNICAZIOIVI 

Ferrari P. Stanislao. Distribuzione del primo annunzio della morte del 
P. Jngelo Secchi. - Il eh. P. S. Ferrari distribuì agli Accademici in forma 
di opuscolo il primo annunzio della morte del compianto P. Angelo Secchi, 
coi principali cenni della laboriosa vita del medesimo, pubblicato sui gior- 
nali a nome degli addetti all'Osservatorio pontificio del Collegio Romano.' 



— 247^— ^ 

Àbhellimi Prof. Tito. Presentazione di una sua rivista. - li eh. Prof. 
T. Armellini presentò all'Accademia e distribuì agli adunati una sua rivista 
dell'ultima opera del defunto nostro presidente, intitolata ^* Le Stelle *' 

COMITATO SEGRETO 

L'Accademia riunivasi in Comilato segreto per procedere airelezione del 
Presidente e di altri officiali dell'Accademia. Dapprima il Segretario lesse gli 
articoli dello Statuto, die si riferiscono alle suddette elezioni. Quindi rife- 
rendo le deliberazioni del Comitato accademico, disse come questo, inter- 
pretando il desiderio generale manifestato da tutti i soci, avesse deliberato 
di proporre per candidato alla presidenza V illustre e benemerito membro 
della nostra Accademia l'Eccellentissimo signor Principe D. B. Boncompagni. 
Ma questi avendo conosciuto il desiderio dell'Accademia e preveduta la con- 
seguente deliberazione del comitato, avea non solo fermamente dimostrato 
di non voler accettare la presidenza, ma eziandio caldamente pregato il Co- 
mitato Accademico di non costringerlo ad emettere una rinunzia all'onorifico 
incarico; del quale quanto gradiva la cortese offerta, altrettanto era risoluto 
non prenderne il seggio. Quindi il Comitato suo malgrado trovavasi costretto 
a presentare alla votazione un altro candidato, che scelse nella pei^sona del 
cb. Commendatore Alessandro Cialdi, i cui meriti distintissimi e la cui an- 
zianità nel corpo accademico rendevano sopra ogni altro meritevole del sommo 
grado fra i Soci. Prima di procedere alla votazione il corpo accademico deli- 
berante^ manifestando il sommo dispiacere di non poter dar luogo alla de- 
siderata dimostrazione di stima, di affetto, di gratitudine verso V Eccino 
Sig. Principe Boncompagni, ordinò al Segretario di prendere atto di cotesti 
sentimenti dell'Accademia e di consegnarli a perpetua memoria nel processo 
verbale della riunione. Oltre a ciò ordinò pure allo stesso Segretario di notifi- 
care i detti sentimenti dell'Accademia al Sig. Principe Boncompagni per mezzo 
di una lettera d'officio. Fatta dipoi la votazione a forma degli statuti sulla 
proposta candidatura del Sig. Comm. Alessandro Cialdi , venne questi eletto 
a pieni voti, e poscia applaudito. 

Il Sig. Comm* Cialdi dichiarò che egli non avrebbe giammai accettato la 
carica di Presidente, se non avesse veduto una cosi esplicita e ferma vo- 
lontà nel Sig. Principe Boncompagni di non volere aderire al desiderio di 
tutta l'Accademia, che lo desiderava presidente. Ricordava inoltre essere egli 
stato uno dei più caldi promotori della candidatura del suddetto Sig. Prin- 
cipe Boncompagni. 



—.248 — 

Si passò poi alla elezione dei due membri del Comitato accademico ces- 
sati d'officio; il primo dei quali, sig. Prof. Mattia Azzarelli, non poteva 
essere rieletto» perchè già confermato una volta il 5 luglio 1874. Il secondo, 
eletta per la prima volta nella medesima data, Conte Ab. Francesco ì^astra- 
cane, avrebbe potuto esser confermato; dovevasi perciò procedere alla, vo- 
tazione sulla conferma di quest* ultimo, prima di passare ai voti i nuovi 
candidati per quest'ufficio proposti dal Comitato nelle persone del eh. P. 
Stanislao Ferrari e Cav. Augusto Statuti. Il prof, de Rossi Re in forza del 
§ II, Tit? IV degli Statuti, che da facoltà ai membri ordinari di far pro- 
poste, che credansi utili, suggerì al corpo accademico^ in vista dei meriti 
speciali del prof. Azzarelli, di confermarlo neirufficlo^ domandandone perciò 
al S. Padre Tapprovazione unitamente alla deroga della legge imposta dallo 
statuto. Tale proposta non solo accettata ma fu grandemente applaudita daU 
TAccademia. Poscia a pieni voti fu confermato nell'officio per altro triennio 
il Conte Ab. Francesco Castracane. 

In fine TAccademia si occupò della nomina dei censori, i quali a forma 
dello' statuto dovrebbero esser quattro. Atteso però il piccolo numero degli 
Accademici, avendone nelP ultima elezione scelti soltanto due, si giudicò ora 
tornare ai regolamenti. Il Comitato propose di confermare i due antichi cen- 
sori, cioè il Sig. Principe Baldassare Boncompagni ed il P. Cbelini; e no- 
minare nuovi il P. Ferrari e il Cav. Statuti: furono tutti eletti a pieni voti. 



SOCI PRESENTI A QUESTA SESSIONE 

Comm. A. Cialdi — Prof. Mattia Azzarelli, - Conte Ab. F. Castracane 
degli Antelminelli - P. G. Foglini - Prof. T. Armellini - Dott. D. Cola- 
pietro - Cav. F. Guidi - Mons. F. Regnani - P. S. Ferrari - Prof. A. 
Statuti - Prof. V. de Rossi Re - Comm. C. Descemet - P. G. Lais - 
Cav. G. Olivieri - P. F. Provenzali - Prof. M. S. de Rossi, segretario. 



L adunanza aperta legalmente alle ore 4 pom., fu chiusa alle 6 1 p. 

OPERE VENUTE IN DONO 

1. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino pubblicati dagli Accademici Segretari delle 
due Classi — Voi. XIII, dispensa 1', (Novembre 1877), ecc. In 8? 

2. Atti del Reale Istituto d* incoraggiamento alle scienze naturali economiche e tecnologiche di 
Napoli. — 2* Serie — Tomo XIV. — Parte II, ecc. 1877. In 4*. 

3. Bulletin de VAcadémie Imperiale dessciencesde St.-Pétersbourg. — Tome XXIV. N! 3! In 4.» 
ecc. Voi. XI — 31 Luglio, 31 Dicembre 1876. — Num. 7, 12. -- Voi. XII — 31 Gennaio— 3D 
Aprile 1877. — Nam. 1—4. In 4? 

4. ÉulleUino di Bibliografia e di Storia delle scienze matematiche e fisiche pubblicato da B. 
Boncompagni, ecc. —Tomo XI. — Gennaio 1878, — Roma ecc., 1878. In 4.' 

5. Bullettino Meteorologico delV osservatorio del R. Collegio Carlo Alberto in Moncalieri, — 

6. GHAMPSEIX (André). — La vie des cellules et V individuante dans le rcgne vegetai -- Intro- 
duction au cours de Botanique Crypiogamique par le professeur Francois Ardissone traduit 
par André Champseix, ecc. In 8* 

7. FERRARI (G. Stanislao). — Necrologia del P. Angelo Secchi, ecc. In 4! 

8. Mémoires de la Società des Sciences physiques et naturelUs de Bordeaux — 2« Sèrie — 
Tome II, ecc. In 8.! 

9. Reale Istituto d" incoraggiamento. — Relaiione, ecc. 1878. In 4? 



ATTI 

DELL'ACCADEMIA PONTIFICIA 

DE'NUOVI LINCEI 



SESSIONE IV' DEL 14 APRILE 1878 

PRESIDENZA. DELL'EMO CARD. CAMILLO DI PIETRO 



MEMORIE E NOTE 

DEI SOCI ORDINARI E DEI CORRISPONDEIVTI 



INVARIANTI, COVARIANTI 
E CONTRAVARIANTI DELLE FUNZIONI OMOGENEE 

NOTA 

DEL P. GIACOMO FOGLINI 

Jjssendoini proposto, a comodo degli studiosi, di riunire insieme, di or- 
dinare e svolgere convenientemente i capi di dottrina che negli ultimi 
anni sono stati introdotti di nuovo in diversi rami della Matematica, alla 
prima Nota intorno alle coordinate triiineari fo succedere una seconda Nota 
relativa agli Invarianti delle forme algebriche, cioè a quelle funzioni dei 
coefficienti, le quali o non si alterano punto o si rivestono solo di un fat- 
tore costante, quando si adopera una sostituzióne lineare in ordine alle va- 
riabili delle medesime forme. Agli Invarianti vanno associati i Covarianti 
e i Contravarianti, vale a dire quelle altre funziotii delle variabili insieme 
e dei coefficienti, le quali hanno pure un carattere òì invarianza e conser- 
vano la stessa dipendenza di composizione dalla forma primitiva e dalla 
sua trasformata per sostituzioni lineari, sieno poi tra loro congredienti 

33 



— 250 — 

ovvero conlragredienli le due serie di variabili che apparleagoao a quelle 
funzioni e a queste forme. La Nota, che io ho l'onore di presentare al- 
l' Accademia, tratta dei diversi modi di trovare coleste funzioni rispetto a 
una data forma qualunque, e ne fa quindi V applicazione specialmente alle 
forme binarie e ternarie dei primi gradi. 

1. Chiamiamo forma o quantica una funzione omogenea di più varia- 
bili oCfjr^ . . . ^ come per es. A or* + 2 Borj" + C j^* : le forme si dicono 
binariej ternarie^ quaternarie^ etc, secondochè contengono due, tre, quattro, 
etc, quantità variabili ; e ciascuna di esse viene detta inoltre quadratica^ 
o cubica^ o quartica, . . . , a norma del grado secondo, o terzo, o quarto, 
. . . , al quale si eleva» 

Invariante di una data foima si appella qualunque funzione de'suoi 
coefficienti A , 6 , C , . . . , alla quale riesca uguale in tutto o differente 
soltanto per un certo fattore costante e determinato la funzione consimile 
dei coefficienti A', B' , C',... di una nuova forma che si ottiene, tra- 
sformando con una sostituzione lineare tutte le variabili -S!^ , / , z , . . . 
della forma primitiva. 

Sia data per esempio la forma generale a un numero qualunque di va- 
riabili e di grado m. 



A j:r~ + m B af^^ j + w C af^^ z + . . . 

2 "^ 2 

dove ai termini successivi sono preposti i medesimi coefficienti numerici /», 

> • • • che nello sviluppo della potenza (x +>• + z -f- ...)'" : alle 

variabili o*^^, z, . . . contenute nella medesima forma si aUrìbuiscano i valori 

0? « /, x' * m, y -K w, z' 4- . . . , 



w 



jr =^ l^ x' -h m^y -*. ?ijj z' -h . • . , 

z « /j or' + m^y •♦- 7i3 z' -f . . . ^ 



— 251 — 

espressi linearmente per le nuove variabili x\ jr'^ z', . . . ; si otterrà, me- 
diante la •sostituzione, una nuova forma dello stesso grado 

A' x'" + m B' a?'"^' j' + m C a?'"-' / + . . . 



i5 ■i"»»«"t*»»«» 



8 



2 



Ora denotiamo col simbolo o) due funzioni consimili dei coefficienti lette- 
rali della forma data e di quella dedotta, con n un numero qualunque, e 
con A il determinante 



/j Tìli Hj • . • 






che ha per elementi i rispettivi coefficienti delle espressioni [1], e che si 
addimanda il modulo della trasformazione o della sostituzione i la fun- 
zione (f (A, B, C, . . . , H, K, . . • ) sarà un invariante della data forma ge- 
nerale, quando si adempie la condizione 

<p (A', B^ C, . . . , H', K', . . .) = A** X <p (A, B, C, . . . , H, K, . . .), 



ovvero 



f (A , K, CT, ••.,n,K,««.)af (A, B, C, • • • , n, K, . . •). 



Avendo luogo quella prima equazione, sussisterla questa seconda allorché si 
abbia n^ o y ovvero si abbia A a l e la sostituzione sia perciò unimodulare : 
nel secondo caso finvariante f si dice assoluto^ cioè tale che non è punto 
modificato per la trasformazione delia data quantica. 

a. Che poi rispetto ai coefficienti delle diverse forme o quantiche si dieno 
delle funzioni tali che soddisfino alla predetta condizione ed abbiano la 
proprietà d* invarianza^ lo possiamo dimostrare col fatto, togrliendo ad 
esame qualche forma speciale. Consideriamo a cagione di esempio la forma 
binaria quadratica 

A jcr* + 2 B ^ 7^ •*- C 7"* : 



— 252 — 
se in questa si effettua la sostituzione [i] che nel caso attuale si riduce ai 
due valori 

or « /, a:' + m, y , ^ « /, x' + m, y , 

risulterà la nuova forma 
(A /J + 2 B/, /,+ C/J) x'' + « [A /, m, + B (/, m, -h/, m.) + C /, m, ]x'/ 

-f (A wj + « B m, m, -f C nil)y\ 
ossia 

quando si rappresentino con A', F, C i coefficienti letterali dei rispettivi 
tre termini. Ora se noi prendiamo il discriminante (A' C - B'*) di questa 
nuova forma, abbiamo immediatamente 

(A' C - B'») « (A /J + 2 B /, /, + C II) (A mf + 2 B w, TO, +C m\) 
- (A /, m, + B /j OT, + B /a m, + C /, wj* 



/, /Ha 



X (A C - B») - A» X (AC- B'). 



Adunque essendo uguale un tale discriminante o funzione dei coefficienti 
alla funzione corrispondente o al discriminante della forma primitiva, mol- 
tiplicato per il quadrato del modulo A « /^ m, — /, m^ di trasformazione, 
né segue secondo la definizione che il discriminante (AC- B^) della forma 
proposta h anche un invariante della medesima forma. 

Nello stesso modo si troverebbe che per la forma binaria cubica A x^ 
+ 3 B x^f + 3 H xjr* •*- Ky è un invariante il suo discriminante A* K* + 4AH' 
-t-4B^K-3B*H^-6ABHK, e che per la forma ternaria quadratica 
G X* + Hy + K z* •*■ 2 P JCjr + 2 Q a: z + 2 Kjr z h pure un invariante il discri- 
minante GHK + 2PQR-G R*-HQ*-KP': il primo invariante h di quarto 
grado relativamente ai coefficienti della forma alla quale appartiene, il se- 
condo invariante h di terzo grado; tutti due sono funzioni omogenee, come 
anche il precedente che h una funzione di secondo grado. Dopo di avere 
dichiarato che cosà s'intenda per funzioni invarianti di una data forma, in- 



— 253 — 

dichiamo subito qualche metodo per formare coleste fuozioni» o per de- 
durle da quelle che sono già formate e conosciute, avvertendo che in que- 
sta trattazione ci ha servito di scorta principalmente la classica Opera {Le- 
gons d^ Algebre Supérieure etc.) del Sig. G. Salmon. 

3« Ci restringeremo per ora alle forme binarie, e supporremo ciò che 
sarà dimostrato più tardi, vale a dire che ogni termine dell* invariante di 
una forma qualunque è di uno stesso grado per rispetto ai coefficienti della 
medesima. A fine di esporre con chiarezza il primo metodo che consiste 
in una equazione differenziale, premettiamo le seguenti considerazioni in- 
torno alla forma 

che è binaria e di grado m in generale. 

i^ Se la funzione ? (A, , Àj, À^, . • . ^ A^) h un invariante della forma [%\, 
in ciascun termine di quella funzione la somma degli indici sarà costante. 
Infatti senza far variare la a:, nella forma si sostituisca A: j^ alla* semplice /; 
si avrà una trasformata, e sarà ^ il modulo della trasformazione: quindi 
poiché là funzione f h per ipotesi un invariante^ una funzione consimile 
dei coefficienti della trasformata dovrà esprimersi giusta la definizione col 
prodotto della prenominata f per una potenza del modulo k, per esempio 
col prodotto k' (f {A^ , A, , A^ , . . . , A^). Ma sostituire nella forma [2] la 
quantità kjr alla variabile j'^ h lo stesso che sostituirvi invece dei coeffi- 
cienti letterali A^ , A, , A, , . . . , A^^ rispettivamente gli altri coefficienti 
A:** Ao , A: A, , Ar* Aa , . . . , k^ A,„ , lasciando intatta la j^ ; sicché nella tra- 
sformata la funzione dei coefficienti consimile a quella che si è supposta 
invariante in ordine alla forma primitiva, non h altro che f [k^ Ao , A: Ai , 
A:* A, , . • . , ^~ À|„): sussisterà dunque 1* identità 

(p (*** Ao , A: A, , ** Ai , . . . , A:~ A„) = A:' 9 (Ao , A, , A^ , . . . , Aj. 

Di qui si raccoglie che in ciascun termine della funzione tp (k^ K^fk A, ,. .), 
corrispondente a ciascun termine dell* altra funzione <f (A^ j A, , . . .), h co- 
stantemente la stessa la somma s degli esponenti delle diverse potenze di A*, 
dalle quali si trovano moltiplicati i coefficienti primitivi A,,, A,, etc; e 
siccome gl'indici di queste ultime quantità sono identici agli '^esponenti 
delle potenze di k per cui sono rìspettivamente moltiplicate, cosi h pur co- 



— 254 ~ 
stante la somma degli indici in ciascun termine delia funzione invariante 

2^ Essendo m il grado della forma binària [2] f se si dinota con [i 
quello di un suo invariante f per rispetto ai coefficienti, la sotnma co- 
stante degli indici in ciascun termine di questo invariante sarà uguale ad 
^ m (JL. Di vero se noi nella forma cangiamo jc ìny eàjr in x\ o sempli- 
cemente X in ^ ed j^ in x, avremo un' altra trasformata^ e il modulo della 
nuova trasformazione sarà 



- 4; 



quindi per la sostituzione la funzione f non variera che nel segno, quando 
si trovi moltiplicata per una potenza dispari del modulo, e rimarra sempre 
la stessa in valore assoluto. Ora la sostituzione della ^ in vece della x, e 
per converso della oc in vece della ^, torna a una inversione di tutti i 
coefficienti letterali della forma [2] che diviene 

A„ar + m A„_, x"-' y + "* A„_, a;"-" f + ..*.+ k^f, 

1 «Ss 

e perciò torna allo stesso che a un cangiamento di ciascun coefficiente A, 
nell'altro A„_v. Dunque la funzione invariante 9 (A^, A^ , A, , . • . , A^) 
dovrà rimanere identica a sé medesima, quando in essa si scambiano A^ in 
A^ , A| in A„^K, etc. ; conseguentemente la somma costante degli indici dei 
coefficienti compresi in qualsivoglia termine di f prima dello scambio sarà 
uguale alla somma degli indici dei coefficienti compresi pure in un termine 
qualunque di f dopo lo scambio. Laonde se si chiamano y9 , ^ , r , . . . que' primi 
indici, saranno (m - p)^ (/» - y) , (m — r) , . . . questi secondi^ e si avrà 
r equazione 

/> + ^ + r •*- . . . « (i?i - yo) + (/» - ^) + (m - r) -^ . . . ; 
ossia 

essendo tanti i termini in ciascun membro della penultima equazione quante 
sono le unità contenute nel grado fx deli' invariante f . 

4. Di nuovo se nella forma binaria [2] si pone x -f ky invece della va- 



255 



riaUle a;, lasciando intatta la j^ ovvero si pone j -¥ k x invece dell'altra 
variabile y senza toccare la x, la funzione invariante tp dei coefficienti 
della [2] non dovrà punto mutarsi per la trasfoimazione di questa, e ri- 
marrà la stessa nelle due sostituzioni; giacche nell'una e nell'altra sostitu- 
zione il modulo 



1 h 



i 



1 



k 1 



non ^ altro che 1' unità : cerchiamo le condizioni alle quali deve soddisfare 
in questi due casi la funzione f, affinchè resti la medesima nelle soprad- 
dette trasformazioni e sia perciò un invariante. 

i^ Sostituito il binomio x-^ky alla semplice or, la forma [2] del nu- 
mero precedente, dopo che sieno state svolte le diverse potenze del binomio 
e raccolti in un solo i termini simili, diviene 

A, ar" + OT (A, + A: A,) ar"-' y + ^ " ^ (A, + a * A, +*» A^) x"-*/* 



+ — ' — ' (A3 +3 A: A^ 4- 3A:'A. + k^ Ao jc^-^y ^- . • . ; 

1.2. 3 * -^ 

e COSI le mutazioni stanno tutte nei coefficienti Aj , A, , A3 , . . . ^ che di- 
vengono rispettivamente A, -♦• ^ A^ , A, + 2 A: Aj + A:' A^ , A3 + 3 A: A, •♦• 3 Ar* A^ 
-fA:^ Aq, etc. : queste stesse mutazioni s'introdurranno nella funzione f dei 
medesimi coefficienti, la quale per conseguenza si potrà sviluppare dopo le 
mutazioni secondo la formola di Taylor, e si cangerà nella seguente 



t+[*a;^ +{»*a. + *»Ao) 



d f 
~dk. 



* {3 k A^ -^ 3 k^ A, + k^ A„) -j^ + . . . ] 



— F 

i.2 L 



A:A 



d ff 



o j-T- + (2Ar A, + A:* Ao) 



d (f 

5X • 



+ (3 A: A, + 3 A:* A, + A^ A^) v-j^ -«■ . . .1 •♦.... 

d A3 ' J 



— 256 — 

dove la notazione esponenziale e simbolica. Si ordini questa nuova fun- 
zione secondo le potenze ascendenti di k', risulterà 

•^[(^o ji:*'^' jlr*«^' j^*-) 

* è (a, ^ ■. « A. ^ * 3 A, i£ * . . .] ] i:« ^ . . . : 

avvertendo che la quantità k h indeterminata ed arbitraria^ bisognerà che 
si annullino separatamente tutti i coeflScienti delle diverse potenze di kj 
aOinchè la funzione f rimanga la medesima prima e dopo la trasforma- 
zione ; sarà dunque la <p un invariante della forma [2], quando soddisfa 
alle equazioni differenziali 

(A--r-r-+3A, T-r- *« A.-T-^+ . • . i 
' dk, d A3 dA^ J 

j / . do t ^9 A^T \* 

*^A,^*.A. ^*3A,^....j-o, 



Ma notiamo che il primo membro della seconda equazione il cui sviluppo 
h questo 

""" V '^Af ■'*^* JÀj ••**^^' rfATrfA, *"•)' 



— 257 
si può ancbe scrivere 



X 



V'dT, ■'*^' Va; *'^' rfA; *•••)' 



purché col sìmbolo compreso nella seconda parentesi si operi sopra il poli- 
nomio della prima parentesi, considerando in questo polinomio successiva- 
mente come yariabiii i due fattori letterali di ciascun termine : dunque la 
seconda equazione (e lo stesso si dimostra in somigliante modo per tutte le 
equazioni susseguenti) si verificherà necessariamente, quando sia verificata 
la prima. In conclusione la condizione necessaria e sufficiente perchè la fun- 
zione f non si alteri punto per la sostituzione x -^ k j in luogo della x, 
introdotta nella forma binaria [s] , consiste nell* avveramento dell' unica 
equazione 

W A„ J^+,A.Ì^^^3A, ^.....;„A_.^-o 

2" Similmente sostituita la quantità jr ^k x invece della jj la forma [2] 
si trasmuta in un'altra 

2 2*3 ^ 



+ m 



[a. * (m-i) * A. * (^llLi^ll ;t«A. + . . .] :r-'^ 



■ •2 L_ 2 J 

perciò la funzione «p dei coefficienti primitivi diventa 



[(m * A. * ^J^ *' A, +•. . .) 



dAo 



(<-)**- *^===^ *• A.- O^ 



34 



^ 258 — 

+ I (w-2) A: A3 + ^ --^ '- ^* A4 + . . . I -T-j- + . . . I + . . . ; 

e perchè sia un iavariante, dovrìi pur -soddisfare alla equazione 

P^ do d <p do A^? 

[4] m A.^^ M-i) A, ^- * (m-,)A, _..... A. -^-^— »o. 

Ma qui osserviamo che una funzione invariante f della forma [2], come ab- 
biamo mostrato di sopra (3 . 2?), non si altera in valore quando si scam- 
bia ciascun coefficiente A^ in A„^^ : ne segue che se si verifica l'equazione 
[3] per la funzione f, si verificherà ancora, lasciando intatta la medesima f 
e scambiando Tindice v in m-v in ciascuno dei coefficienti Ao, A| , etc. 
che appariscono esplicitamente nella [3] e dei loro differenziali d A^d fi^j etc. 
Ora il risultato di questo cangiamento non h altro che la formola [4] scritta 
in ordine inverso : dunque soddisfatta Tequazione^sj* resterà pur soddisfatta 
l'altra equazione [4]; e quindi basterà che si adempia la prima condizione 
[3], affinchè la funzione f sia un invariante. 

5. Dopo tali premesse^ è facile l'assegnare un primo metodo per trovare 
gr invarianti di una data forma binomia. Volendosi un invariante <p di grado 
IX I e relativo a una forma di grado m , i coefficienti A della forma saranno 
m -f I di numero , e coi successivi indici da zero sino ad tn inclusive 3 in 
ciascun termine della (f entreranno come fattori un numero fi di questi coef- 
ficienti che vi possono essere ripetuti una o più volte, e la somma dei loro 

indici dovrà essere (3) costantemente = — friu; da ultimo la medesima fun- 

2 

zione (f avrà manifestamente tanti termini , quanti sono i modi diversi di 

comporre il numero — m [x con fx numeri compresi tra zero ed m inclusiva- 

mente. Mediante queste considerazioni che sono una conseguenza dei prin- 
cipii ora esposti, potremo subito notare la parte letterale di un invariante 
che abbia un dato grado nei coefficienti della forma, alla quale appartiene : 
se per esempio si cercano gì* invarianti che abbiamo indicato più sopra (2), 
cioè r invariante f ^ di secondo grado di una forma binaria quadratica e l'in- 
variante fa di quarto grado di una forma binaria cubica, significheremo colle 
lettere P 1 7 , ^ , e ^ n altrettanti coefficienti numerici da determinarsi , e 
> giusta le precedenti considerazioni noteremo le parti letterali dei due inva- 
rianti scrivendo 



— 259 — 

Yj « P Ao Aj» •*■ y A, A, = p Ao Aa ■»• y A J , 

Ta^^P A^Ao A3 A3 +y AoAa AaAa + ^ AoA, Aa Aa + cA. A, A, Aa + mA. A, A^A, 

= P AJ a; w- y Ao AJ ■*. e Aj A3 + Yì Af A» -. ^ Ao A, A, A3 ; 

giacché in ciascun termine la somma — m fx degli indici » deve essere 2 

quanto al primo invariante f ^ e deve essere 6 quanto all'altro invariante f^* 
Per determinare poi i coefficienti numerici (3 9 y > etc. , abbiamo la con- 
dizione [3] del numero precedente, alla quale deve soddisfare ciascuno dei 
due invarianti : e poiché si ha m » 2 rispetto a ^ ^ , ed m «=> 3 rispetto a f, , 
perciò quella condizione nei due casi particolari vuol dire che operando noi 
col simbolo 

Ao T-r- + 2 A, 



d A, 'rfA, 

sopra la espressione di fi , e sopra la espressione di f, operando colFaltro 
simbolo 

A ^ A ^ A ^ 

sieno identicamente nulli i due risultati che quinci si ottengono. Avremo 
pertanto con queste operazioni per qualunque valore dei coefficienti lette- 
rali Aq , A^ , Aa , etc, in ordine air invariante fi la identità 

2 (y + (3) Ao A, - , 

e in ordine all'altro invariante f, I^ identità 

(3 e + 2 *) Ao AJ A3 + (2 Y) + 6 y + 3 i) Ao Al A| 

+ (3 + 6 P) A* Aa A3 + (4 Y) + 3 e) AJ Aa = : 

nei due membri identicamente nulli debbono uguagliarsi a zero ì coeffi- 
cienti numerici di tutti e singoli i termini ; perciò fatto per esempio Pai» 
avremo y = — i rispetto all' invariante (p, , e per risguardo a 9, troveremo 
^sr~6, e = 4, Y) = -3, y«=4. Laonde gP invarianti cercati saranno 

?« = Ao A3 - Af , 

Ta - AJ A; + 4 Ao Ai + 4 AJ A3 - 3 AJ A* - 6 A, A, A, A3 , 



— 260 — 

che sono appunto i discriminanti delle due rispettive forme quadratica e cu- 
bica : fatto ^ B i , le due forme uguagliate a zero rappresenteranno geome- 
tricamente, la prima un sistema di due punti e la seconda un sistema di 
tre punti sopra l'asse delle ^ 3 e le due f, » , fa <= saranno la condi- 
zione perchè nelle rispettive forme riescano uguali due radici , ovvero per- 
chè nei detti sistemi coincidano l'uno sopra l'altro due punti. 

Se col metodo attuale si calcolasse un invariante 73 di terzo grado per 
una forma binaria di quarto grado che si suppone sempre scritta nei suc- 
cessivi termini coi corrispondenti coefficienti numerici del binomio nev^to- 
niano, si troverebbe la espressione 

?3 •= Ao A, A4 + 8 A. A, A3 - Ao A J - AJ A4 - AJ } 

e per la medesima forma si troverebbe V invariante di secondo grado 

94 = A^ A4- 4 A, A3 + 3A* . 

6. Osserviamo che nell' invariante qualunque f di una forma binaria essendo 
necessariamente un numero intero la somma costante degli indici di ciascun 

termine, ed esprimendosi (3. 2.) cotesto numero col prodotto — mjx, ne se- 
gue che il grado m della forma rispetto alle variabili e il grado |x dell* in- 
variante rispetto ai coefficienti letterali, non possono essere ambidue numeri 
dispari ; e cosi apparisce manifesto che una forma binaria di grado dispari 
non ha invariante se non di grado pari. 

Ancora osserviamo che non alterandosi punto in valore (ibid.) e rimanendo 
identica a sé medesima la funzione invariante f se in essa si scambia cia- 
scun coefficiente Ay nelKaltro A^., , ne segue parimenti che nel determinare 
i coefficienti numerici (3,7, eie. giusta il metodo del numero precedente, 
debbono risultare uguali tra loro i coefficienti di quei termini della 7, le 
cui parti letterali si mutano a vicenda l'una nell'altra quando in esse si 
scambia ciascun indice v in m — v , come appunto vediamo verificato negli 
invarianti superiori f, e fs . 

7. Ma quello che vogliamo notare soprattutto, si è che trovato un in- 
variante di una forma unica per es. col metodo ora esposto, possiamo tro- 
vare facilmente uno o più invarianti di un sistema di forme dello stesso 
grado. Sieno date, a cagione d'esempio, le due forme binarie quadratiche 



— 261 — 

( B„ ar, + 2 B, ar^ + B.j-' ; 

e designato eoa p un numero qualunque , si scriva la forma composta 

[«] (Ao + p B,) X» + 8 (A, + p B.) xjr + (A, + p B,)/ , 

e quindi (5) si scriva pure il suo invariante 

M (A„ + p Bo) (A. + p B,) - (A, + p B,)' : 

questo , sviluppato che sia, si riduce al trinomio 

R (A„ A,- AJ)-. (A, B,+ Ao B,-» A. B.)p + (B. B.-B«)p»i 

e poiché già sappiamo che il primo e il terzo termine di un tale trinomio 
sono due invarianti relativi alla prima delle due forme date e alla seconda 
moltiplicata per p , perciò sarà pure un invariante il secondo termine, cioè 
senza il fattore arbitrario sarà un invariante la quantità 

[«] A, Bo 4. Ao B, - 2 A, B, 

che come funzione dei coefficienti delle due forme proposte , appartiene al 
sistema [5] delle medesime forme. 

Per dare di tutto ciò una ragione che sia fondata sopra la definizione 
degli invarianti e valga altresì per un sistema di due foime di qualunque 
grado, si rifletta che essendo la funzione j^o)'] l'invariante della forma [co], 
la medesima funzione, moltiplicata per il quadrato del modulo A di trasfor- 
mazione, sarà uguale per definizione a una funzione consimile .dei coeffi- 
cienti letterali della trasformata dì [u] , cio^ sarà uguale alla espressione 

[a."'J (A', * p B'J (A', H- p B',) - (A-, * p B'.)'. 

Pertanto si stabilisca Tequazione tra [w"'] ed [w'j moltiplicata per A* , e i 
due membri svolti si ordinino secondo le potenze ascendenti della quantità p : 
siccome questa è arbitraria , così nei due membri dovranno essere uguali 
tra loro i coefficienti delle stesse potenze di p ; e di tal modo ciascuna 
delle funzioni racchiuse nelle parentesi in [o''] , moltiplicata per A*, risulterà 
uguale a una fieinzrione consimile dei coefficienti delle trasformate delle due 



— 262 — 
forme [5] , vale a dire ciascuna di quelle prime funzioni sarà un invariante. 
Ondechè generalmente^ data una forma di qualunque grado che abbia per 
coefficienti A^ , A| , etc. , e trovato un invariante f della medesima , per 
trovare uno o più invarianti di questa e insieme di un*altra forma dello 
stesso grado che abbia per coefficienti Bo » B^ , etcr basterà che in f alle 
quantità A^ , A^ ^ . • . si sostituiscano rispettivamente le altre A^ + p B^ , 
Ai "^ P ^i 9 • • * ) ^ coefficienti delle diverse potenze di p nello sviluppo 
della nuova funzione saranno altrettanti invarianti, dei quali alcuni appar- 
terranno alle due forme separate ed altri alle due forme unite. 

Ritornando air invariante [g] del sistema [5J, dimostriamo che la riduzione 
a zero di un tale invariante è la condizione da verificarsi^ affinchè con 
jr^ i sieno armonicamente coniugate tra loro le due coppie di punti rappre- 
sentati sopra Tasse delle x dalle due forme [5J» cioè dalle due equazioni 

Ao or* + 2 Aj a: 4- Aa = , B© a:* + 2 B, or •♦• B, = 0. 

Sieno M t N i due punti rappresentati dalla prima equazione, ed M^ , N, 
i punti rappresentati dalla seconda: m , n sieno le distanze di quei primi 
punti dalla origine, ossia le due radici della prima equazione ^ ed /Tig , n, 
le distanze dei secondi punti pur dalla origine, ossia le radici della seconda 
equazione. La condizione perchè i punti M , N sieno armonicamente coniugati 
coi punti Mi , N, , sta nella relazione 

MM, NM, 

M N, ^ N N/ 

la quale corrisponde all'altra relazione 

m, — m /W| — n 



n^ -^ m n^ — n 



questa poi , quando sia svolta , può scriversi nel seguente modo : 

im/i + m, w, 1 i/n + nil/w, + w, 1 = • 

Ora giusta la teoria delle equazioni di secondo grado, abbiamo 

K Ba 2 A, 2Bi 

m il ^ -T— 9 /n, /i, = -=r- 9 m + Ti «=» — , m, + Wi = — -^ — • 

Ao Bo Ao J5^ 

Dunque la condizione perchè i quattro punti predetti sieno in rapporto ar- 
monico, si ridurra in fine alla equazione ' * 



— 263 ■— 

Aa Bo + Ao B, -2 A, B, =0. 

Questa stessa condizione deve verificarsi aflSnchè le due forme [5], ugua- 
gliate a zeroj sieno armonicamente coniugate l'una coU'altra. 

8. Per trovare un invariante del sistema delle tre forze binarie di se- 
condo grado 

l Ao .r* + 2 A, X jr + A,^^ , 

[7] I Bo :r^ -H 2 B^ orjr •*■ B3 j^^ , 

Co a:* + 2C, j?jr -^ C^jr^ , 

possiamo considerare semplicemente la forma pure binaria 

(A, + BJ x"" + 2 (A, + B,) xj\ (A3 ^ B3)/, 

e giusta la regola del numero precedente scrivere l'invariante di questa e 
della terza forma data, cioè 

(A3 ^ B3) Co -^ (A, ^ Bo) C3 - 2 (A^ -H B J C,. 

Sara quindi la funzione 

A> C, + Ao C, - 2 A, C, + B3 Co ^ B, C3 - 2 B, C, 

un invariante del sistema delle tre forme proposte ; e questo non è che la 
somma degli invarianti che rispettivamente appartengono al sistema della 
prima e terza, della seconda e terza forma. 

Ma anche il determinante che ha per elementi i coefficienti delle tre 
forme [7], è un invariante del loro sistema. Imperocché fatta la sostituzione 
lineare 

X =^ l^ X -^ m^jr\ jr-l^ X -*- m^j ' , 
la prima di quelle forme si trasmuta in quest'altra 

dove come nel numero (2) i valori dei rispettivi coefficienti sono 
A'i <= 1, *, m, + A, (/, OTj + /, w,) + A, l, i»j , 



264 — 



A'a « A^ mj + 2 A, m, m^ -k- k^m\i 

somiglianti a questi sono i valori dei nuovi coefficienti B^, B^» B^» e 
C'o , C', , C'a nelle trasmutazioni delle altre due forme; e perciò atteso il 
teorema che rìsguarda la moltiplicazione dei determinanti, avremo 

A o ^ I "a 

B'o B\ B', 

Co C. C, 

A^/J+2A,/, Z^+Aa/J, Ao/,m,+A, (/,ina + /a''»i)+Aa/,/i»a, Aoi?iJ+2A,/7»,m,4.Aj/i»J 
B^/J+2B,/, /;iH-B,/J,B^/i m,+ B,(/| /Ha -H/^m,)-*- Ba/,ma,BomJ + 2B, II», /»,+B,mJ 

C^/'jH-2C,/,/a+Ca/J,C^/ill»,+C, (/,ll»a + /all»J+C3/all»aiComf + 2C,m,ll»a+CalllJ 



n 



«/./a 



l\ 



m 

/i 11*1 Z| ll*a * ^a ^i ^2 ^9 



m 



2 m ITI, 



m: 



Ao A^ A, 

B. B. B. 




/, m, 


3 
X 


c. C, C. 




/, m. 





Aq A| A31 

B„ B, B, 
C. C. C. 



Adunque, poiché il primo fattore di questo ultimo prodotto è una potenza 
del modulo di trasformazione, giusta la defizione degli invarianti apparisce 
chiaro che il deteiminante dei coefficienti delle tre forme [7] è un inva- 
riante. Quando un tale determinante è nullo, i sei punti che possono es- 
sere rappresentati dalle tre forme sopra una stessa retta, formeranno parte 
di un sistema in involuzione^ come crediamo bene di dichiarare nei due 
numeri che seguono. 

9. Due sistemi di punti in linea retta si dicono omografici^ allorquando 
le distanze oc ed x di due punti considerati l' uno nel primo e V altix) nel se- 
condo sistema, da una origine fissa, sono connesse tra loro da una relazione alge- 
brica di tal natura che ad ogni valore della or corrisponda sempre un valore ed 
un solo valore della a:', e conseguentemente ad ogni punto di uno dei due sistemi 
corrisponda pur sempre un punto ed un punto solo deH' altro sistema. La 



_ 265 — 

predetta relazione dovrà dunque essere di primo grado in x ed x\ e nella 
massima generalità sarà 

[s] H or jr' + K X + P x' + Q « 0. 

In generale sono differenti tra loro i valori Xj x\ che soddisfanno a que- 
sta equazione ; ma vi hanno due valori della prima variabile » ai quali 
corrispondono i medesimi valori per la seconda : sono essi le due radici 
af & 'della equazione quadratica 

H x^ -f (K ■*- P) X H- Q = oj 

ed essendo tutti i punti situati sopra una stessa retta^ quelli determinati 
dai due valori a, b in un sistema, saranno comuni e coincideranno con 
quelli che loro corrispondono nell'altro sistema. 

Dalla condizione [s] si deduce che quattro punti qualunque, presi nel 
primo sistema, hanno un rapporto anarmonico uguale a quello dei punti 
corrispondenti nel secondo sistema. Infatti sieno a, |3, X, /ut le distanze ardi 
Quattro punti del primo sistema dalla origine, ed a\ |3', X', fi sieno le di- 
stanze x' dei punti che corrispondono a quei primi nel secondo sistema. 
In virtù della definizione o della equazione [s] si avranno le quattro 
espressioni 

"~"Ha'+K' *^"'' H|3'+K ' 



quindi 



Pp'->-Q P«'-«-Q (KP-HQ) ((3'-«') 
" " ^ " H |3' + K "■ H «' + K * (fl P' + K) (H «' + K) ' 

(KP-HQ) (V-«') (KP-HQ) (j3'-/.' ) 

" (HV + K)(H«'+K)' f*"*^" (H^+K) (H/x'*K)' 

„ 1 (KP-HQMVjV) . 

'^~ (HTTKnBTTK)' 

35 



— 266 — 
per conseguenza 

lui (H X' + K) {^' - «') (i-p^ itti' + K)i^'-f>.'} 
« - X ° (H^' + K) a'-«')' ^ - X " (H p' + K) (V - ft') ' 

e in fine 

« - fi fx - fi £zE.. Li£ 

a — X fjL -' X «' — X f'-X 

I dtt€ membri di quest'ultima equazione non sono altro che i rapporti anar- 
menici ^ei quattro punti presi nei primo sistema e dei quattro punti cor- 
rispondenti nel secondo sistema; e per definizione di due sistemi omogra- 
fici di punti in linea retta, potremmo adottare questa medesima uguaglianza 
di rapporti anarmonici, la quale^ adoperando le indeterminate x ed x' in 
vece di fx e fx', ci condurrebbe poi a una equazione della stessa forma di [§]. 
10. Se poniamo P =3 K , la equazione [sj diviene semplicemente 

[9] H xx^ -^K {x -^ x') -^ Q = 0. 

Ora siccome è simmetrica cotesta relazione rispetto alle variabili x ed x' ^ 
così h manifesto che se x' prende il valore a' quando si assegna un valore 
particolare a alla Xf viceversa la x prenderà il valore a quando il predetto 
valore a si attribuisce alla x^ ; vale a dire nella retta^ sopra la quale sono 
situati i due sistemi, ad un punto determinato da una quantità arbitraria a, 
corrisponde sempre uno stesso punto determinato dalla lunghezza a , qua- 
lunque sia dei due sistemi quello nel quale si considera il medesimo punto; 
in tal caso i due sistemi omografici si dicono formare un sistema di punti 
in involuzione, o semplicemente una ins^oluzione , e la relazione che li 
collega tra loro, h appunto la equazione soprascritta [9]. 

Pertanto un sistema in involuzione si compone di coppie di punti corri- 
spondenti, le cui rispettive distanze a ed a , |3 e ^', X e V, etc. dalla ori- 
gine in una stessa retta verificano T equazione [9]; e come ia due sistemi 
omografici, così pure in un sistema di punti in involuzione il rapporto anar- 
monico di quattro di essi punti è sempre uguale al rapporto anarmonico 
dei loro corrispondenti. Le due coppie di punti coincidenti, che si deter- 
minano coi due valori uguali della a: ed a:' , cìo^ colle' due radici a y a 
della quadratica 



— 267 — 

le chiameremo i fuochi del sistema in involuzione: sono sempre distinti tra 
loro i due fuochi reali o imagìnarii, eccetto se K^ - HQ « o nel quale caso 
non ha più luogo V involuzione ; e il punto medio tra i due fuochi, quello 

cio^ che viene determinato da 0:0 — -=r-9 Io diremo centro della involu- 

U 

zione. In questa due punti corrispondenti, qualunque essi sieno, formano 

sempre un gruppo armonico coi due fuochi. In vero sono generalmente x 

ed a:' le distanze di due pUnti corrispondenti dalla origine fissa, come sono 

a ed a' le distanze dei due fuochi dalla medesima origine : nella ultima 

equazione quadratica saranno 

2K , 

a 4- a 8 — g- 9 aa => — i 

ossia 

2 

e quindi colla sostituzione di questi due valori l'equazione [9] diventa 

2 xx^ - (x •♦• x) {a + a') + 2 an' « , 

ossia 

(x - a) {x' - a) 4. (x - a') {x' - a) « 0. 

Da questa equazione proviene 

j: - a x' ^ a' 



, X —, +1-0, 



a:— a x — a 



ovvero 



X ^ a x'- a 



f •""! 1 

jc-a X -a 



-i 



che è apptinto il rapporto armonico che abbiamo asserito. 

È ora facile il vedere come fatto j^ « i 9 le tre coppie di punti che pos- 
sono essere rappresentate sopra l'asse delle x dalle tre forme [7], cioè dalle 
tre equazioni 



268 



A^ jc* + 2 A, X + Aj « ^ 
B, X* + « B, or + Ba « , 
C^ x' •♦• 2 C, JC ■*- C, «= , 

saranna in involuzione quando si riduca a zero il determinante costituito 
dai coefficienti delle medesime forme. Imperocché se noi dalla origine dino- 
tiamo con d 9 d' le distanze dei due punti rappresentali dalla prima delle 

A 

tre equazioni, ossìa le radici della medesima equazione, avremo 93" = -^- 

aA 
e i -ir d' ^ ^ ; e poiché se i due punti formano parte di un sistema in 

involuzione, i due valori i e 8' debbono soddisfare alla equazione [9J quando 
sieno sostituiti in luogo delle rispettive x ed x', perciò per questa prima 
coppia e in somigliante modo per le altre due coppie di punti in involu- 
zione dovranno sussistere le relazioni 

Q Ao - 2 K A, ^^ H A3 = (^ ^ 

Q B0-2KB, + HB3»a, 

Ca-2K C, + HC3«o. 

Eliminando da queste le tre quantità Q ^ K » H ^ o i rapporti di due di loro 
alla terza, abbiamo 

A^ A| A3 

Bo B, B3 

1 C, C. C3 

che sarà la condizione necessaria affinché le tre coppie di punti formino 
parte di un sistema in involuzione. Questa stessa é la condizione per la in- 
voluzione, relativamente alte tre forme [7] uguagliate a zera. 

il. Accenniamo un altro metodo, il quate si adopera per dimostrare che 
sotto una certa condizione sono in varianti, le funzioni simmetriche delle dif- 
ferenze tra le radici di una equazione ordinaria a una sola incognita, ed 



~ 269 — 

anche di una fonna qualunque binaria. Diremo radici di una forma 
binaria 

A X" + B jr^»7 + e jT-*/* + . . . + K^, 
le radici della eqnaxioae 

OC 

in — a Zy la quale equazione proviene dalla forma divisa per ky^ ed ugua- 
gliata a T^ro : trattandosi di rapporti tra le variabili x ed /, se indi- 
chiamo con Zr una radice qualunque della equazione [d], sarà questa sod- 
disfatta per tutti queMavori x^ ^^ Jr^ per i quali sussiste x^^yr^r\ ^ 
se si dinotano rispettivamente con 

^\ ^% *^3 ^m 

2| a 9 2^ A — — > Zj « > • • • i Sm ™ ""^ 

j^i y% ^3 ym 

le m radici della medesima equazione, potrà essa porsi come è noto sotto 
la forma 

ovvero 

dopo che sia stata liberata da tutti i suoi denominatori. 

Ora in questa forma diciamo che ogni determinante simile ad x^y^^y^ x^f 
h un invariante. Imperocché posta la sostituzione lineare 

a:-»mX+7iY,j^«jxX-*-vY, 
abbiamo la trasformazione per es. del primo e del secondo fattore 

7, X - x, r -7i (/w X + 71 Y) - X, (fi X -^ V Y) 
-(m7.-px,)X-(vx..;»j.,)Y-Y.X.X.Y, 

» 

jrxX-x,jr - (mja - {X X,) X - (v jf,-»^,) Y - Y»X - X»T, 



— 270 — 
dove sono 

Y, = w j, - fx ar, , X, = V a:, - n ^, , Yj, = my^ - /* J:» . X, = v a:, - »/, : 

somiglianti a cpieste sono le espressioni di Y3, X3, . . . nella trasformazione 
degli altri fattori lineari del primo membro [io], il quale «ara quindi tra-- 
smutato nel prodotto 

(Y. X-X, Y) (Y.X-X. Y) (Y3X-X3Y)...(Y„X-X„Y). 

È poi il determinante 

X, Y, - Y, X, = (» jr, - njr^) {my^-^x^~ (mjr^ - fi x,\ (v x, - njr^) 



= fn « (ar, Jj -Ji X,)- n {i (x, j, - j, x,) 



/» n 



X (^, ^2 - j, Jf.) ; 



vale a dire la funzione X, Y, - Y, X, che spetta ai coefficienti della tra- 
sformata^ non differisce che per un fattore costante, modulo della stessa 
trasformazione, da una funzione consimile x^jr^-^jr^x^ che risguarda i 
coefficienti della forma primitiva [loj: è dunque questa ultima funzione un 
invariante; e nella medesima maniera si dimostrano invarianti le altre fun- 
zioni o determinanti x^j-^ -^i ^3 t ^a J^3 -^Ji ^^ > etc. 

12. Ne viene per. conseguenza che ogni espressione composta di parti si- 
mile ad {^iJ%''J'i ^^ì sarà un invariante. Ora ogni funzione simmetrica 
delie differenze tra le radici della equazione superiore [d] si riduce a una 
espressione composta di parti simili ad [x^y^—ji x^, purché ciascuna 
radice entri uno stesso numero di volte in ciascun tèrmine della funzione. 
Così^ per esempio^ se z^ 9 z^ ^ z^ ^ Z4 sono le radici di una equazione bi- 
quadrata, la funzione simmetrica 

che e la somma dei prodotti delle differenze, in ciascun termine della quale 
somma tutte le radici compariscono ciascuna una volta, si può ridurre 
alla espressione composta di quelle parti che abbiamo detto, 

S ("^i /» -^i ^») (-^3^4 - /, ^4)' 
X X 

sostituendovi — ^ > — ^ , . . . in luog^ó di z. , z, . . . ^ e liberando il rìsul- 



— 271 — 

tato dalle frazioni mediante la moltiplicazione^ per il prodotto j^, ^^^ ^3^4: 
una tale riduzione non si potrebbe però ottenere, se Zn 2, » etc. fossero 
radici di una equazione superiore al quarto grado, ovvero se nella equa- 
zione di quarto grado iavece della prefata funzione si considerasse la fup- 
zione ^ (Zj - Za); perchè in questo ultimo caso liberando il risultato 
della sostituzione dalle frazioni» rimarrebbero due fattori jr in ciascun ter- 
mine, e si avrebbe 

Dunque ogni funzione simmetrica delle differenze tra le radici di una 
equazione ordinaria [d] h un invariante, quando ciascuna radice si presenti 
lo stesso numero di volte in ciascun termine della funzione; e una forma 

binaria, ottenuta dalla [0] col sostituire il rapporto — alla semplice z e 

col liberare quinci il risultato dalle frazioni, avrà per invarianti ciò che 
risulta dalle predette funzioni simmetriche, dopo che in esse a ciascuna 

radice z^ sia siato sostituito il rapporto -—^ e siano fatte sparire le frazioni. 

fa. Veniamo adesso a un'altra specie di funzioni, la cui dipendenza da 
una o più forme date si conserva la stessa nel modo di composizione, 
quando si adoperi per le date forme e per le funzioni dipendenti una me* 
desima sostituzione lineare. Pertanto dicesi Coi^ariante di una forma una 
tale funzione (f dei suoi coefficienti A, B, C, . . . , e delle variabili x^jr^ z, . . • , 
la quale moltiplicata per una certa potenza del modulo A di una sostitu- 
zione lineare, riesca uguale a una funzione consimile f dei coefficienti A', 
B', C', . . . , e delle variabili j:',^', z', . • . di quella nuova forma che ri- 
sulta dalla forma primitiva perla detta sostituzione lineare; sicché abbiasi 
la equazione 

<f (A', B', Cj .•.,a:',y, z\ .•.)« A** X ^(A, B, C, ... , x, /, z, ...), 

ovvero anclie 

(f(\\ B', C, ....x'jfi z'; ...)"? (Al B,C, ... , x,j, z, ...) 

nella ipotesi di A»|, di una sostituzione unimodulare. 

Così, per cagione di esempio, nella forma binaria di terzo grado 

- t ; ' 



-^ 272 — 
sì adoperi la sostituzione lioeare 

la quale non coilduce a calcoli assai lunghi e complicati ; la forma si mu- 
terà in quest'altra 

A' x'» H- 3 B' a:' V + 3 C x'y^ + D' y'\ 
dove i valori dei nuovi coefficienti sono i seguenti : 

A'-X'A, B'-XV A -fX'B, 

C'«Xfx*A -f^AfiB + XC, D'«^*A + 3f*'B + 3f*C-^D. 
Quindi y attesi anche i due valori 

^ — 5~ » y^jf 

e fatte tutte le operazioni e riduzioni ben note, dedurremo la eguaglianza 

(A' G • B'*) x'* + (A' D' - B' C) x'f -h (B' D' - C'^)/ * 

= X" [(AC - B") 07* + (AD - BC) xj + (BD • C')/] i 

e poiché la quantità X è il modulo della attuale trasformazione, si conchiu- 
deià giusta la definizione che la funzione, la quale si trova moltiplicata per 
X' nel secondo membro, è rispetto alla forma proposta un covariante di se- 
condo grado quanto ai coefficienti e quanto alle variabili. 

14. I metodi onde si fa uso per formare i covarianti di una binaria, sono 
analoghi a quelli che abbiamo già svolto (riurn. 3 e segg*) relativamente alla 
formazione degli invarianti. Quanto al primo metodo^ supponiamo anche qui 
Ciò che sani dichiarato dipoi^ vale a dire che i covarianti sono funzioni 
omogenee in ordine ai coefficienti delle forme alle quali si riferiscono; e 
che perciò se una data forma o tutti i suoi coefficienti si moltiplicano per 
una stessa quantità costante^ anche i covarianti della forma resteranno mol- 
tiplicati in tutti i termini per una medesima potenza di quella costante : 
ciò supposto, osserviamo le cose che seguono. 

i? Denoti e una quantità costante : se per e"* si moltiplica la forma binaria 

[ìì] kox'^ -¥ m A, x'""'^ + — ^ Aj a^ jr ••■... > 



— 273 — 
la medesima potrà essere scritta sotto l'aspetto 

Ao (sxr -^ m £ A, (ea:)—'^ +^i^ e" A, (ix)"-' 7% ... ; 

e si vede che dall' una forma si passa all'altra , cangiando a? nella nuova 
variabile e a:, e ciascun coefficiente letterale Ay della prima in t^A^i colle 
stesse mutazioni si otterrà un covariante C della seconda da un corrispon- 
dente covariante C della prima forma. Quindi se A^ A^ A^ ... x x^f"^ fe 
un termine qualunque del covariante C , quello che gii corrisponde in C 
sarà evidentemente 

e A'+^+'-+ ••••*■« A^ A^ A^ ... X a:«7~-« : 

ma, come abbiamo detto, un tale termine non può differire dal termine cor- 
rispondente di C che per un fattore costante, il quale è lo stesso in tutti gli 
altri termini ; dunque nella ultima espressione è costante il primo fattore 
o potenza di e, e conseguentemente in ciascun termine del covariante C delia 
forma primitiva \ pur costante la somma y9-i-^-fr + ...H-a che risulta dalla 
somma degli indici nei coefficienti e dell'esponente nella variabile x. 

2? Per trovare la espressione di questa somma costante , sia fx il grado 
del covariante G rispetto ai coefficienti della forma binaria di grado m alla 
quale appartiene, e sia pure n il grado del medesimo covariante per rispetto 
alle variabili x ed y. Si trasmutino nella forma proposta la x in j^ e la ^ 
in X : allora, essendo « — i il modulo della trasformazione , il covariante 
C non si altera punto in valore assoluto, nel tempo stesso che ciascun suo 
coefficiente Ay si scambia in A„., , come abbiamo già dichiarato (3. 2.^) in 
proposito degli invarianti. Per la qual cosa nel covariante C il coefficiente 
Ap A^ A^... della x*, fatta la trasformazione, si troverà prefisso natural- 
mente {fbid.) alla potenza jc""*, divenendo A„^^ A,„_^ A^,^^...; e perla iden- 
tità del covariante C nei due casi, dovrà essere la somma costante 

a + y» +^ + r-*-... «(ti- a) + (/n-y») -*- (m-^) + (m -r) •♦• ... 

ovvero 

essendo tante le m da aggiungersi quante sono le unità contenute nel 
grado \t. relativo ai coefiicienti della forma. 

36 



— 274 — 

15. Ancora osserviamo che se un coyarìante C della forma binaria [iil « 
esprima con 

C - H„ a:» + n H, :c»- 7 + !LÌ2zL^ h, x—^' +••• , 

dove i coefiìcieuti H,, , H, , H,,.... sono tutte funzioni degli altri coeSi- 
cienti Aq , A, , A,,... che appartengono alla predetta forma, dovranno essere 
soddisfatte le seguenti equazioni: 



a„''4l..a.Ì«'.3a/«' 



dk. 



d A 



d k 



••• "• "o > 



[12] 



rf Ha rf H, rf H, „ 

A. T-v + 2 A, -j-r- + 3 Aa -7-7- + ... = a H, , 



rf A, 



rfAa 



</ A 









« n,_. 



S'immagini di fatti che nel covariante C sia mutata la variabile a: in :t* -«- kjr. 
Egli è evidente che il risultato di questa sostituzione in C si ottiene ugual- 
mente, se la medesima sostituzione si adoperi invece nella forma corrispon- 
dente [lij e si determini quindi il covariante della trasformata : ma la so- 
stituzione della x+kjr alla semplice x nella forma binaria [il], equivale 
(4. 1") a un cangiamento dei coefficienti A^ , A, , A^ , ... negli altri rispet- 
tivi A^ + ArAo, Aa + 2 A: A, + A:^ Aqì A3 •*• 3 Ar A, + 3 A:* A, + A:^ A^ , ... intro- 
dotto nella medesima forma e perciò anche nel suo covariante C : si otterrà 
dunque uno stesso risultato, sia che nel covariante C venga scambiata la 
X m X •¥ k j, sia che vengano scambiate in esso le quantità Aq , A, , 
etc. in A, + A: Ao, A, 4- 2 A: A^ + A^* A„, etc. Ora fatto in C il primo 
scambio e ordinati i termini giusta le potenze ascendenti di A:, abbiamo 
per risultato la espressione 

e + [n H, X— jr + '-ii^^ t H, X"-' y + ...] k 






— 215 



fatto poi nel medesimo C o nei suoi coefficienti H^, H^, H, , etc. il secondo 
scambio e sviluppato ciascun dei nuovi coefficienti per la formola di Taylor 
con quello ordinamento e riduzione di termini che nel numero (4. 1**) ab- 
biamo eseguito relativamente a una funzione consimile f, proviene in fine 
per risultato il polinomio convenientemente ordinato 

/ , rf H, . rf H, j, da, \ 

r I /. rf H„ .da, da, \ 

/k d , d , d \ 

*t( )( )-^*^^( )(->-v*.-.]^'*.... 

dove coi punti racchiusi nelle doppie parentesi s' intende un prodotto ana- 
logo a quello che è scrìtto nel termine precedcntei mutato solamente Ho 
in H| ovvero H,, etc. Dovendo questi risultati essere identici, saranno pure 
identici tra loro nei dne polinomi i mohiplicatorì delle stesse potenze di 
X eà jTj e di k: limitandoci ai termini nei quali si trovano le medesime 
potenze dielle variabili ^ , / e la prima potenza della quantità indetermi- 
nata ky ne deduciamo immediatamente le equazioni [12] che sono state scrìtte 
pòco avanti* 

Non si lasci di avvertire che quando sono verificate le condizioni [it] 
coi valori dei coefficienti Q^ « H, , H,,..» da determinarsi per esse, allora 
nei due risultati ottenuti da G colla duplice sostituzione che abbiamo detto, 
riescono necessariamente identici tutti gli altri termini tra loro corrispondenti. 
Consideriamo a cagione di esempio i due termini che nei due risultali con- 



/ 

/ 



— 276 — 
tengono il fattore x"~* jr* /^ : aeìV uno di questi lermini il coefficiente 

è — ' Hj, nell'altro è poi il coefficiente 

ma questo secondo coefficiente, attesa la terza e la seconda delle equazioni 

[12] , si riduce alia espressione Ho del primo coefficiente : dunque 

yerìficate le condizioni [12], sono identici tra loro i due termini cbe ab- 
biamo considerato, e cosi pure a due a due tutti gli altri termini corrispon- 
denti^ e perciò i due polinomii che sono risultati da C per la duplice 
sostituzione. 

16. Fatte le precedenti osservazioni, ecco come si trovano i covarianti 
di una data forma binaria. Supponiamo^ per 'esempio, che si cerchi il co- 
variante 

C « Ho or* + 2 H, xj^ + H, 7' 

di secondo grado si per rispetto alle variabili come per rispetto ai coeffi- 
cienti, il quale appartenga alla forma cubica 

A^ ar^ + 3 A, x*7 + 3 Aj jc/* 4- A3 j^. 

I coefficienti H^ , H, , H, di C nei loro termini si compongono ciascuno 
di due fattori letterali A che spettano alla cubica^ e di uno dei coefficienti 
numerici ^, P', |3'% etc; però in ciascun termine del covariante C la 
somma degli indici dei due fattori A e dell'esponente di x deve (14) essere 
uguale ad ^ (f) H- 77} fji), espressione che nel caso presente si riduce alla cifra 4, 
essendo 71^2, I7^-3,/ulb2: formando nei modi possibili questa determinata 
somma con due indici dei quattro coefficienti della cubica e coU'esponente 
della X nei successivi termini di Cj vediamo che i rispettivi coefficienti di 
^* 9 ^ J y J^ nel richiesto covariante saranno, 

Ho - M. A, + P' A, A, , H. - r A. A, + p'" A. A, , H. - ^ A. A, * i3' A» A. 

e cosi il covariante medesimo resterà determinato quanto alla parte 
letterale. 



— 277 ~ 

Perchè poi sia anche determinato quanto ai coefficienti numerici j3, /S', 
etCy conforme alle tre prime condizioni [ia], si operi col simbolo 

Ao -TT" + « Aj + 3 Aj 



sopra i tre coefficienti H^ ^ Hi , H^ già determinati nella parte letterale, e 
i risultati si facciano rispettivamente uguali alle espressioni dei secondi 
membri di quelle condizioni : otterremo le tre equazioni 

(«P + «p') A„ A. - 0, (p -3 r - n Ao A. + i^'-tr) A. A.-o, 
(a P" - p") Ao A3 + (2 |3"' - 3 P" - 4 ^') A. A, - 0; 

e poiché devono esse sussistere per qualunque valore di Aq , A, , etc. 9 
perciò si eguaglierk a zero il coefficiente numerico di ciascuno dei loro 
termini, e con |3 - i se ne ricaveranno i valori a questo relativi 

Se ne faccia la sostituzione nelle espressioni superiori di Ho 9 H| , H3 , e le 
nuove espressioni si sostituiscano in G nel luogo dei coefficienti che erano 
prima indeterminati : proverrà determinatamente il covariante cercato della 
forma cubica binaria, cioè il covariante 

C - (A, A, - AJ) x' ^ (Ao A, -A, A,) a:jr + (A, A, - k\)y , 

che è appunto quello di cui abbiamo fatto uso (i3) come di esempio nella 
definizione. 

17. Di più notiamo che se nella espressione generale del covariante C (15) 
si muta ì^jrinjr'^kXj si ha lo stesso risultato che si otterrebbe (4. i") » 
cangiando nelle funzioni H^ , H^ , etc. i coefficienti A09 A|, A,, etc. della 
forma primitiva [11] rispettivamente negU altri 

Ao 4- m A: A, -f- k k^ •¥ — ^ '-^ : ^ A. •«•... , 

2 2.3 • 

Aj + (/?» - i) * A, -H i i-5 i A* A3 -^ ... , 

z 



vs 



Aa +(/it -2) A: A3 + - — ---^ -k A4 -4- . . • , 



saranno dunque identici i due polinomii che risultano da G mediante i pre- 
fati cangiamenti, cioè i due polinomii ordinati secondo le potenze di k^ 

C + Tn H, ar* + n (n-t) H, ùif-^^y 

« 

(m - 2) A, -j-j^ + . . . Ja?**^^ + . •• 1* -»* r I** -^ ...; 

e se ne dedurranno le equazioni differenziali 

m A, -v^ 4.()n-i) Aaj^ -^(m-a) A^ — + . • .e»(/i-i)fl,, 
Il* A, — +(/i»-i) Aj j^ + ^'^"'*' «Za" "*" ' ■ •'"^'*"*)°t» 



tra i coefficienti Hq, H, , H^, etc. del covariante C che si hanno a de- 
terminare. 



— 279 — 

Ma si avverta cbe quando sia deternsiaato il primo coefficiente H^ in 
modo da soddisfare alla prima delle equiazioni [ìb], tutti gli altri coefficienti 
e termini del covariante si potranno conoscere facilmente. Imperocché po- 
nendo per ragione di brevità il simbolo 

dalle precedenti, equazioni noi abbiamo. 

71 il, =5 -T — } n (fl-l) H, «= W ^-5 — *= -; — -f 

a (ò a tu a (ù^ 



if Ha d^B 
■ a (ù aoi 



o 

J • « • • • 



e quindi l'espressione generale del covariante G del numero (i5) diverrà 
^ „ ^ d H^ ^ ^ I ^ H^ ,^ _ _ 1 rf^ Ho „ 9 . 

e si potrà determinare, conosciuto il coefficiente Ho* 

Si voglia trovare, per la forma binaria cubica già considerata 

A^ or* •♦• 3 A, JC* 7 -i- 3 ^2^J* "^ A3 ^' , 

un covariante 

^ „ a rf H^ 2 • rf H^ _ I " H_ , 

che sia di terzo grado in ordine alle variabili ed anche in ordine ai coef- 
ficientu Abbiamo in questo caso 3 (^ + /» fx) «: e, e perciò (u • s^) nel coef- 
ficiente Hg la somma degli indici dei fattori A dovrà essere 3, il quale 
coefficiente avrà per conseguenza la forma 

H =PA A„A *p'A.A.A,+rA.A,A.: 



o o '"a 



sopra questa espressione operando in conformità della prima delle equa- 
zioni [12], abbiamo quindi 

(3l3+p')A/ A,-f (2p'+3r)AiA,*«o; 



— 280 — 

e poiché con P-»i si banoo in questa equazione 0'--3, ^"««, perciò il 
valore determinato del primo coefficiente del covariante saia 

Ora poi se operiamo tre volte di seguito sopra questa funzione H, col sim« 
bolo [is] cbe nel presente caso si ristringe ai tre termini 

A ^ A '^ A <^ '^ 

'^'rfA:**^«5T. *^' dir 77' 

verremo a determinare gli altri coefficienti, ossia i tre valori 

—2 «3A,A,A,-6AoAJ + 3AJ A,, 

-j— à" «12AJ A,-6 Ao Aa Aj-cA, AJ, 

U (ù 



Cù 



j -isA, A, A -6 Ao AJ- 12 A\i 



conseguentemente resterà determinato in tutto il covariante richiesto che sarà 
C = (AJ A, - 3 Ao A, A, + 2 AJ) X* + 3 (A^ A, A^- 2 Ao k\ + AJ A,) x^j 
* 3 (2 AJ A3 - Ao A, A3 - A, Aj) x/* + (3 A, A, A, - Ao AJ -2 k\ìy. 

18. Col secondo metodo, adoperato già per certi invarianti speciali nel nu- 
mero [il], si dimostra altresì che sono covarianti tutte le funzioni simme- 
triche, formate colle differenze delle radici di una equazione in z tra loro 
e colle differenze tra la medesima z e una o più radici, quando in ciascun 
teimine di quelle funzioni entri ciascuna radice lo stesso numero di volte. 

Sieno Zi , 2, , Z3 , . . . le radici della equazione; si ponga z » — — , e per 

conseguenza z, a — L,^^!»— , etc. : la equazione si potrà scrìvere sotto 
la forma omogenea, e il suo primo membro si ridurrà (li) al prodotto 



— 281 — 

Si consideri ora, rispetto a una tale equazione, la funzione simmetrica 
]^ (2-2i) (^a-^s)* • • nella quale ciascun termine contenga ciascuna radice 
uno stesso numero di volte: si ridurra essa pure (t2) a forma omogenea, 
scrivendo 

W S (ri X- ^ij) (x^jr^ -7a ^3) • ' • . 

Adoperata la sostituzione lineare per le variabili x ed j^ della quale ab- 
biamo fatto uso nel precitato numero (11), quel primo membro si trasfor- 
merà nel prodotto 

(Y,X-X.Y) (Y.X-X,Y) (Y3X-X3Y).,., 

e questa funzione nella somma 

M S(Y, X-X.Y) (X,Y3-Y.X,)...: 

ma {ibid.) nei termini corrispondenti delle due somme o funzioni [yi'J ed 
[yi] , i primi fattori sono uguali tra loro, e ciascuno degli altri fattori in [V] 
è uguale in [vi] al fattore corrispondente, moltiplicato per il modulo A 
della sostituzione : sarà dunque la funzione [yi'J uguale alla funzione con- 
simile [y)], moltiplicata per una potenza di A; e perciò, giusta la defini- 
zione, la funzione simmetrica [yi] sarà un covariante. È poi chiaro che 
questa funzione simmetrica risguarda le differenze delle radici di una equa- 
zione tra loro stesse, e le differenze tra l'incognita della equazione ed una 
o più radici; le quali per altro abbiamo supposto che comparissero ciascuna 
lo stesso numero di volte in ciascun termine della funzione. Così, per 
esempio, la funzione ^{z — z^* (z^-^z^f sarà un covariante di una forma o 
equazione di terzo grado: ma cesserà di essere covariante, se si riferisca a 
una equazione di grado superiore al terzo. 

19. È qui da notare che ogni invariante di un covariante qualunque, è 
anche un invariante della forma alla quale appartiene il covariante. Sieno 
in fatti 

A X** -»• m B ar~-* J" -^ . . . , H ar" -»• /i K x^^^jr + . . • , 
A' x'- -f m B' ar'"-*y + . . . , ff x^ +n K' x'—»/ ^- . . ., 

una forma e un suo covariante a un numero qualunque di variabili, e ciò 
che divengono la stessa forma e covariante per una sostituzione lineare che 

37 



— 282 ~ 

per più semplicità possiamo supporre unimodulare : un iavariatite del co^ 
variante sarà una tale funzione F dei coefficienti del medesimoi che dia 
luogo (i) alla equazione 

F (H', K', . • .) =3 F (H, K, . . . ) • 

Ma i coefficienti H, K^ ... del covariante sono funzioni dei coefficienti A, B, ... 
della forma primitiva, e funzioni consimili dei coeflìcienti A'^ B', . . • della 
forma mutata per la sostituzione sono (i3) i coefficienti H'i K', . • . del co- 
variante pur trasformato; sicchb dovranno aversi insiememente 

H=/(A, B, . . .), H'-/(A', B', . . .), K-/, (A, B, . . .), K'-/, (A', B', ...),... : 

I 

fatta la sostituzione di questi valori nella equazione precedente , sarà 
dunque 

9(A',B',...) = T(A, B, ,..); 

vale a dire che un invariante F (H, K,...) di un covariante non è altro 
che un invariante f (A, B, . . . ) della forma primitiva. 

Così, a cagione di esempio, il covariante di secondo grado nei coefficienti 
e nelle variabili 

(Ao A, - k\) x^ * (Ao A3 - A. A,) X 7 + (A, A3 - AJ) jr\ 

che h stato trovato nel numero (te) e si riferisce a una forma binaria cu- 
bica, ha per suo invariante. (5) la funzione 

(AoA,-AJ)(A. A,-A[)-i(A,A3-A.A,)'; 

ossia, fatta la riduzione e mutati i segni di tutti i termini dopo la molti- 
plicazione per 4, 

A J AJ -e 4 A<, AJ + 4 AJ A, - 3 A J A* - 6 A^ Aj A, A3 : 

ora questo h appunto {ibid.) un invariante della cubica binaria. — Di pari 

modo ogni covariante di un altro covariante, apparterrà pure alla forma 
primitiva. 

20. Finora abbiamo supposto che le variabili di una forma e delle fun- 
zioni da essa dipendenti fossero trasformate con una medesima, sostituzione 
lineare, ossia che le due serie di variabili fossero, come suol dirsi, congre- 
dienti: ma può accadere che due serie di variabili sieno contragredienti f 



— 283 — 

tali cioè che mentre sì trasformano linearmente le variabili a:, /, 2, . . . con 
una data sostituzione, restino trasformate con una sostituzione reciproca od 
inversa certe altre variabili a,13,y,... che per qualche relazione sono 
connesse colle prime. Saranno pertanto contragredienti le due serie, se ado- 
perando per le prime variabili la sostituzione 

2 = /, x' •♦• ma y + 7i3 2' + . . . , , 



le seconde si trovino trasformate coU'altra sostituzione pure lineare 

ovvero nel caso di à (modulo della prima sostituzione) uguale alla unità, 

« = L, a' 4- M, |3' + N, / 4- . . . , P « L, a 4- Ma P' + N, / + . . . , 

y =» Lg «' + M3 /3' 4- Nj 7' -♦- . . . , ; 

e in questa seconda sostituzione gli elementi L, , M^ , . . , L,, M,, . . . del 
deteiminante-modulo sono i reciproci degli elementi di A, vale a dire sono 
i minori che si ottengono dal determinante per la soppressione delle linee 
orizzontale e verticale, le quali s* incontrano in /|, ovvero in m^ , etc. 

Per addurre un esempio di cui presto ci serviremo, una funzione 
/(jc,^, 2,... ) si trasformi colla prima sostituzione lineare; le derivate della 
funzione rispetto a ciascuna delle variabili ^,^,2,... si troveranno tra- 
sformate per la sostituzione reciproca, e perciò le stesse variabili colle ri- 
spettive derivate della funzione formeranno due serie contragredienti. Di 
vero in virtù della predetta sostituzione essendo nella funzione f le varia- 
bili j?,^, 2,... funzioni esse stesse delle altre variabili indipendenti x', 7^', 2',..., 
abbiamo dal calcolo differenziale le formole 



df 


df dx 


df dy df 


dz 


d a: 


dx d x' 


dj d X d z 


dx' 


^f _ 


df dx 


df dj ^ df 


dz 



• • • » 



dy dx df dy dy^ dz df 



284 



df df_ £x d_f_dy^ df_ dz_ 

17 dx d z' djr dì! dz dz' '**' 






e quindi attesi i valori 



dx djr , dz - 

T^^^'' T^'^^^' 51?"'^'- •• 

dx djr dz 

dx djr dz 



1 



che nella sostituzione si derivano dalle espressioni delle x^jr^z^ etc, in 
funzione delle x\ y\ z\ etc. , avremo conseguentemente 

da^ ^' dx ^' dx * dz ' 

df df df df 

df df df df 

rfz dx djr * dz 



Da queste equazioni coli' uso dei determiaantì, si ricavano immediatamente 
le espressioni delle derivate 



dx 



L(lJI ^M If ^N IL . ^etc- 



ovvero nel caso di A » i , 






285 



il 

d z 



L. 



dx' "' dy "' rfz' • 



dx' 



I-. •^.^M.^H-N. 4/^*... 



rfz' 



1 



le quali espressioni sono manifestamente inverse di quelle che sono state 
assegnate per la trasformazione alle variabili x ^ y ^z^ etc. Possiamo dun- 
que conchiudere che le variabili ^^r^x,..., e i simboli -; — » -; — , 

dx dj 

--7— » * - • di derivazioni da effettuarsi sopra una funzione di quelle» costi- 
tuiscono due serie contragredienti di variabili. 

21. Ciò posto, per trovare con un metodo più generale gli invarianti e 
i covarianti di una forma qualunque^ notiamo che quando si trasformano 
gli elementi variabili di un dato determinante con una sostituzione lineare, 
la quale sia la stessa per gli elementi di ciascuna linea, allora il dato de- 
terminante si trasforma in un altro che sarà composto colle nuove varia- 
bili in un modo identico a quello di prima, e da esso differirà solo per un 
fattore costante che è il modulo della trasformazione: ciò b chiaro se nel 
determinante 



^i J 



I «I 



• . • 



X 



2 J 



a 



Z. 



^« fz 



. • 



si trasformino gli elementi di ciascuna linea orizzontale con una sostitu- 
zione lineare, somigliante a quella che abbiamo adoperato per la trasfor- 
mazione delle variabili x ^ jr ^ z , . • * al principio del numero precedente, 
e se si attenda quindi alla regola sopra la moltiplicazione dei determinanti 
come nel numero (s) in un caso analogo» Ma in una funzione qualunque F 

Ad. il 

delle variabili x^ ^jr^ < • • » «^a » ^a i • • • t etc, i simboli 



d x^ d jr^' 



d X, 



286 



djr^ 



, . . . , etc. di derivazioni relative alla F, si trasformaao tutti (20) eoa 



una stessa sostituzione lineare, quantunque inversa di quella con cui ven- 
gono trasformale le variabili x^^ jr^^ . . .^ J?, t ^a , . . . , etc. : dunque ciò 
che abbiamo ora notato, avrà pur luogo in ordine al determinante 



d 


d 


d 


dXt 


dj. 


dz. 


d 


d 


d 


dx. 


djr^ 


dz^ 


d 


d 


d 



dx. 



dj. 



• • • 



dz. 



• ■ • • 



• • • • 



•' • 



applicato alla funzione F; e ciò che abbiamo notato, torna a dire che un 
tale determinante sarà un invariante, o meglio un simbolo di un'operazione 
invariante da farsi sopra la predetta funzione F. E poi evidente che saia 
pure un simbolo invariante una potenza qualunque del medesimo determi- 
nante, ovvero un prodotto di più determinanti o delle potenze di più de- 
terminanti, i quali sieno lutti simili a quello che abbiamo scritto ultimamente. 
Ne segue che se noi operiamo per esempio col simbolo 



["] 



d 


d 


dXj 


dy. 


d 


d 



dx. 



dy 



d 


d 


dxi 


dy. 


d 


d 



dx. 



dy, 



d 


d 


dx^ 


dy. 


d 


d 



dx. 



dI^ 



sopra un dato sistema di forme binarie che abbiano i rispettivi coefficienti 
distinti con diverso numero di apici e le variabili x ^ày distinte cogli in- 
dici 1,2,3, etc, potendosi queste forme considerare complessivamente come 
una funzione F delle variabili a?, ,^, , x^^ j^^ etc, otterremo per risul- 
tato un invariante o un covariante del sistema, secondo che dopo Topera- 
zione differenziale compariranno ancora o dispariranno le quantità variabili. 
Parimenti se col sìmbolo 



287 



[,5] 



d 


d 


d 


dXi 


dy. 


dZf 


d 


d 


d 


dx^ 


dj. 


dz. 


d 


d 


d 



dx. 



dji dz^ 



d 


d 


d 


dx. 


dfx 

• 


rf?. 


d 


d 


d 


dx^ 


dy^ 


dz. 


d 


d 


d 



dx^ djTt^ dzf^ 



X •• • 



si opera sopra un sistema di forme ternarie, il risultato sarà pure un in- 
variante o un covariante del medesimo sistema; e cosi di seguito per i si- 
stemi di altre forme che contengano un numero maggiore di variabili. 

Si distinguono nelle successive forme del sistema le variabili x ed j^ cogli 
indici successivi i^ 2, 3^ etc. , affinchè si vegga subito in quali di quelle 
forme si debbono effettuare le derivazioni pai*ziali, indicate dal simbolo in- 
variante di operazione : ma esaguita ogni operazione e riduzione, si pos- 
sono togliere tutti gl'indicii come dalle variabili delle forme primitive, cosi 
da quelle dei covarianti che ne sono risultati per il sistema j perchè è chiaro 
che se una funzione delle x^^y^ • • • > ^j» T"» » • • • * eie. è un covariante di un 
sistema di forme che abbiano anche diversi indici nelle variabili, sarà pure un 
covariante del sistema quando si faccia astrazione da^utti gl'indici nelle foripe 
primitive e nei risultati finali, non alterandosi punto nei due casi i coefficienti 
della funzione per una medesima sostituzione lineare ed unimodulare delle 
quantità variabili. Se poi vogliamo un invariante o un covariante di una sola 
forma o funzione V delle variabili x y j ^ z , . . . , formeremo da questa un 
^sistema di funzioni soìniglianti Vj, V^ , V3 , . . . , ponendo successivamente 
diversi numeri di apici nei coefficienti e diversi indici nelle variabili della 
forma data V; ìndi opereremo sopra il sistema di forme distinte Vx , V^ , 
V3 , . . . in quel modo che si è detto poc*anzi; faremo in fine che queste 
nuove forme divengano identiche alla V, col sopprimere tutti gli apici 
negli invarianti ottenuti ed anche tutti gPindici nei covarianti: ciò che 
si presenta alla vista dopo una tale soppressione, sarà manifestamente un 
invariaate un covariante dell'uaica forma V. 

22. Per trovare con questo metodo 1* invariante, a cagione di esempio, 
della forma binaria quadratica A x* + 2 B xy -^ ^ j^ y scriveremo le due 
forme simili 



288 



[i«] 



A' xj * 2 B' x,^, * C'jJ . A" x\ * t B" x^jr, * evi; 



e ad esse applicheremo il simbolo 

d^ et et 



- 2 



^ 



d^ 



che è lo stesso simbolo [u] per y9«=2»^"ra...o0:il risultato della 
operazione, libero dal fattore 4 comuue a tutti i termini, sarà A^ C" -«- A" C 
- 2 B' B". È questo un invariante delle due forme che abbiamo scrìtte a 
norma della forma data; e soppressi gli apici a tutte le lettere, avremo 
come invariante della stessa forma proposta, senza il fattore comune 2, la 
espressione già nota AC— B*. 

Se poi sopra le due forme quadratiche, distinte cogli indici nelle varia- 
bili, operiamo coli* altro simbolo 



["] 



d 


d 


dXx 


dr. 


d 


d 


dXt 


du 



dx^ djr. 



_d d_ 

dx^ djt * 






otterremo per un covariante delle medesime, libero dai fattori oumerici, 
la funzione 

(A' B" - A" B') X, a:, + (A' C" - B' B") x, ^, 
* (B- B" - A" C) a:, j. + (B' C" - B" C) j. j, ; 

la quale, tolti tutti gl'indici, diviene 

(A' B" - A" B') X* + (A' C" - A" C) xy + (B' C" - B" C')y\ 

e in tal modo apparterrà come covariante alle due quadratiche quando sieno 
scritte esse pure senza gl'indici nelle variabili. 
Alle due forme [loj si unisca la terza forma 

A"' x\ + 2 B'" x,j, ^ C" r\ : 

operando sopra di es&^ con tutta la parte notata nel simbolo [14], e nella 
ipotesi che ^9 « ^ = r = t , risulterà un invariante del sistema delle tre 



— 289 — 

forme binarie e quadratiche ; cioè lasciati i fattori numerici comuni a tutti 
i termini, risulterà 

A' (B" C" - B'" C) + B' (A'" C" - A'» C') + C (A" B'" - A"' B'% 

che è li determinante costituito dai coefficienti letterali delle tre forme, e 
che noi abbiamo gik veduto (s) per altro modo essere un invariante del 
sistema. 

Similmente si trovano col presente metodo generale gì* invarianti e i co- 
varianti delle forme binarie di grado superiore al secondo; di questi già 
ne abbiamo altrove (5 , i6| 17) indicati o trovati alcuni con metodi speciali e 
proprii delle forme binarie. Ma per addurre anche un esempio relativo alle 
altre forme, consideriamo una ternaria quadratica 

V « G X* + H^* -fK2*-f2Pa:7+fQarj5 + «R7 2, 
e svolta la parte 

2 



d 


d 


d 


dxt 


dr. 


dZf 


d 


d 


d 


dx^ 


djr^ 


dz^ 


d 


d 


d 


dX3 


ày. 


dz 
t 



del simbolo generale [is]^ operiamo con essa sopra le tre forme V| , V^ , V3 , 
simili alla V , e distinte tra loro per gli indici diversi nelle variabili e per 
i numeri corrispondenti di apici nei coefficienti G, H, etc. : tolto il fattore 
8 comune a tutti i termini, la espressione risultante 

G' (H" K"' -f H"' K' - 2 R" r ') 4- H' (G" K'" -f G'" K" - 2 Q^' Q'") 

4^K'(G"H'" + G'"H"-2P"F") 

+ 2 V (Q" R'" + Q'" R" - K" P"' - K'" P") + 2 0' (P"" R"' -^ P"' R" - H" Q"' - H'" Q") 

+ 2 R' (P" Q'" -1- P"' Q" - G" R'" - G'" R") 

sarà un invariante del sistema delle medesime tre forme ternarie e quadra- 
tiche. Supponendo che le tre forme sieno identiche alla V per la soppres- 

38 



— 290 — 

sione di tutli gl'indici ed apici, T invariante apparterrà a questa ultima 
forma, e si ridurra alla espressione già indicata nel numero (2) 

G H K + 2 P Q R - G R* - H Q' - K P', 
dopo che sia stata divisa per il fattore 6 comuae a tutti i termini: i*an« 
nullamento di un tale invariante o discriminante della ternaria quadratica V, 
ci esprime la condizione alla quale devono soddisfare i coefficienti della 
forma, affinchè T equazione V » rappresenti un sistema di due rette (Vedi 
Atti di questa Accademia, Ad. XXX. pag. |89). Se lo stesso simbolo di 
operazione che ci ha dato un invariante della ternaria di secondo grado, 
si applicasse a una forma pure ternaria di grado superìorer, si avrebbe per 
risultato un covariante di questa. 

23. Per ragione di compendio si rappresenta con 12 il determinante o sim- 
bolo [17], con li'' la potenza p"'^*^ del medesimo, e conseguentemente con 
12'' X 13^ X is"* X ... il simbolo operativo [14]: così pure il simbolo generale 
[15] si rappresenterà con 123 ^ x 234 ^ x . . • , e analoga a questa sarà la 
rappresentazione degli altri simboli di operazione per gì* invarianti e co- 
varianti delle forme. 

Ma crediamo qui di avvertire che i simboli 12^, 123^, ... applicati a 
una forma unica, non ci possono dare nessun invariante o covariante della 
medesima, quando l'esponente p ^ nn numero dispari. Perocché per appli- 
care per es. il simbolo 123'' a una forma unica, nel risultato dell'opera- 
zione si hanno a togliere tutti gl'indici alle variabili, sicché in questo 
caso significano in fine e devono condurre a una stessa cosa i due simboli 
123^ e 2l3^: ma i due determinanti designati dai simboli lis e 2T3^ come 
quelli che differiscono tra loro per il solo scambio di due linee, sono 
uguali ed opposti di segno; e cosi pure uguali £ di segni con tra rii sono le 
due potenze lis^, 213^, quando p h \m numero ilùspari: dunque perchè 
questi ultimi simboli, applicati a una forma unica^ ne conducano a una me- 
desima cosa, bisognerà che il risultato della operazione fatta coli* uno o 
l'altro di essi sopra la forma si riduca identicamente a zero nella detta 
ipotesi ; e perciò con p dispari non si potrà ottenere alcun invariante o co- 
variante di una sola forma mediante i simboli operativi 12'', 123^,.... 
E per questa ragione cflie nel secondo e nel terzo esempio del numero pre- 
cedente, nei quali si è operato c(À rispettivi simboli compendiati 12 e i2 . 13 . 23, 
i risultati non possono applicarsi a una sola forma. < 

24. Ancora notiamo ctè due è stato iupposlo aUrove (3. ié) , e si 
intende chiaramente jacl presente metodo, vale a dire ch<e igl'iavarianti e ì 



— 291 — 

covarianti di una forma o di un sistema di forme sono funzioni omogenee 
rispetto ai coefficienti delle medesime, e clie il grado di omogeneità è 
sempre uguale al numero delle cifre numeriche diverse che si trovano 
nel simbolo compendiato di operazione. Consideriamo, per esempio, il 
simbolo [14], limitandoci alla parte che in esso h segnata esplicitamente: 
poiché un termiue qualunque nello isviluppo della potenza (a •»- 6) '^ si può 
notare colla espressione K' a^ b^, nella quale K' è un coefficiente numerico 
variabile col posto del termine, ed a e j3 soddisfano alla condizione a -4- ^^pì 
perciò nello sviluppo dei primo fattore del simbolo [14] , ossia della pò* 
tenza p*''"'' del binomio [t?] , il termine generale sarà 

df" d^ 



rfo:,* djTj^ dx/ djr^ 

Cos\ pure indicando con K" e K'" due altri coefficienti numerici^ e con y 
e d , {JL e V tali altri esponenti che soddisfino alle condizioni y-^S^q^ /^ 
+ V =» r , le due espressioni 



d x^ dj^^ d x^ dj{f ' d x^f dj^ d x^ dy^^ 

saranno i rispettivi termini generali negli sviluppi del secondo e terzo fat- 
tore del simbolo [14]; se dunque rappresentiamo 'con K il prodotto dei 
prefati coefficienti numerici, il termine generale nello sviluppo del medesimo 
simbolo [14] sarà il seguente : 

^ ^ ,, d^-^^ d^^"- d'''^'' 



d x.'^^y d //-^^ d x^^^f" rf^'/'*"' d x^^-^'' dy^y^^ 

Espressioni a questa somiglianti si avrebbero se nel simbolo [14] si consi* 
derassero quattro o più fattori, ovvero si considerasse il simbolo [is] rela- 
tivo a forme ternarie, o anche un altro simbolo relativo a forme che con- 
tengano un maggior numero di variabili; e così le conseguenze che si de- 
ducono per le binarie dalla espressione del termine generale che abbiamo 
ora scritto, varranno ancora per le forme di un numero qualunque di 
variabili. 

Ora dal termine generale [is] si deduce che applicando il simbolo [14] a 
tre forme binarie V, , V, , V3 , ogni termine del risultato avrà come fat- 



— 292 — 

tore una derivata di ciascuna delle medesime forme: ma ogni derivata ba 
seco congiunto ai primo grado un coefficiente della rispettiva forma : dun- 
que ogni termine del predetto risultato (invariante o covariante) conterra 
come fattori tanti coefficienti al primo grado quante sono le forme alle 
quali si è applicato il simbolo, cioè ne conterra tanti quante sono le cifre 
numeriche diverse nel simbolo compendiato che nel caso nostro h sempli- 
cemente li''. 13^. 23''; giacché a questo numero di cifre diverse cor^ 
risponde il numero di quelle forme. Supponendo identiche le forme V^ , 
Va» V3, risulterà sotto le condizioni accennate nel numero precedente un 
invariante o covariante di una forma unica V> e sarà una funzione omo- 
genea rispetto ai coefficienti della medesima; e quando si vuole che 
questa funzione invariante o covariante di una o più forme sia di un dato 
grado, per es. di secondo grado, nei coefficienti, converrà operare con un 
simbolo, per es. ti' ovvero II, rappresentato in compendio da tante cifre 
numeriche diverse quante sono le unità contenute nel dato grado. 

Àncora dal termine generale [fs] si scorge che operando col simbolo [14] 
sopra le dette tre forme, l'ordine delle derivate, contenute in ogni termine 
del risultato, per ciascuna forma è costante ed uguale alla somma degli 
esponenti da cui nel simbolo compendiato li^. i3^. 23 '^ sono affetti i gruppi 
nei quali entra l'indice della medesima forma. Ne viene che per avere un 
invariante di un sistema di forme, si dovrà operare con un simbolo tale 
che per ciascuna cifra numerica del suo compendio la somma degli espo- 
nenti dei gruppi nei quali si trova la medesima cifra, sia uguale al grado 
della forma che ba una tale cifra per indice; e per avere un covariante, 
basterà che per una o più cifre quella somma di esponenti sia minore del 
grado della forma corrispondente : cosi i simboli ??, 12*. 13*. 23% 123^ ci danno 
rispettivamante l'invariante di una o due binarie quadratiche, di una o 
di tre binarie di quarto grado, di un sistema di tre ternarie cubiche; 
come pure i simboli ìà, Ti*. S, T23. 234 ci daranno i rispettivi covarianti 
di due forme binarie di secondo grado, di una o di tre binarie di terzo 
grado, di un sistema di quattro ternarie cubiche. 

25. Fermandoci di nuovo sopra le forme binarie, possiamo or» mostrare 
che ad ogni invariante dM* ennesimo grado di una binaria di grado m 
corrisponde sempre un altro invariante delV emmesimo grado di una binaria 
di grado n. Consideriamo, per esempio, il simbolo Ì2*. 23'. 31% che conte- 
nendo tre cifre diverse, colla somma 4 negli esponenti di ciascuna, rappre- 
senta nella sua applicazione un invariante di terzo grado relativamente 



— 293 — 

ai coefficìeDti di una binaria di quarto grado, come h statò test^ dichiarato. 
Concepiamo pure un equazione di terzo grado in z che abbia per radici 
le tre quantità z, , z^^ z^ , e nel simbolo assunto a ciascuno dei g^ruppi 
il, Ì3, 31 sostituiamo la diflferenza corrispondente di due delle tre radici 
predette: avremo la funzione simmetrica 

(2.-2.)* (z^-z,)^ K-^«)% 

la quale (is) h un invariante per sé stessa e da luogo a un invariante 
della forma binaria di terzo grado che si ottiene dalla equazione contem- 

piata, col porre il rapporto — in luogo della incognita z. Or bene que- 

sto invariante della forma binaria di terzo grado deve ascendere al grado 
quarto, rispetto ai coefficienti della stessa forma o della corrispondente 
equazione : perchè nella funzione, simmetrica superiore essendo 4 il massimo 
degli esponenti di ciascuna radice, dovrà consistere nel numero 4 il grado 
di essa quando alle radici si sostituiscono i loro valori in funzione dei coef-- 
ficienti della equazione; se non fosse cosi, poiché i coefficienti di una equa- 
zione equivalgono alla somma delle radici o dei prodotti di esse a due a 
due, a tre a tre, etc^ e sono ciascuno una funzione di primo grado in 
ordine a ciascuna radice, ne seguirebbe che sostituendo di nuovo ai coef- 
ficienti i proprìi valori, la funzione simmetrica delle radici che abbiamo 
notata di sópra, non risulterebbe più di quarto grado per rispetto a cia*^ 
scuna radice ma di grado minore o maggiore di 4. Conchìudiamo che dun- 
que all'invariante del terzo grado di una fórma binaria biquadratica corri- 
sponde viceversa un invariante del quarto grado .di una forma binaria 
cubica. 

Il ragionamento è generale e si applica a un invariante di grado qua- 
lunque n nei coefficienti, il quale si ottenga operando convenientemente col 
simbolo 12 ^. ^^ .34 ** . • . sopra di una forma binaria di grado m : nel sim- 
bolo le cifre numeriche diverse saranno n di numero^ e ciascuna di esse 
vi si troverà ripetuta un numero m di volte. Se quindi dinotiamo con 
^i 9 ^a » z^9 ^4 9 ^^^* le ^ radici di una equazione dì grado ennesimo^ la 
funzione simmetrica 



(2, -2»)'' («a -2,)^ {Z,-Z^)\ 



• • 



sarà un invariante di una forma binaria di grado n che si deduce dalla 



— 294 — 

equazione, e un tale invariante ascenderà al grado m per rispetto ai coeOi- 
cienti della forma o della equazione; giacché m è appunto il massimo degli 
esponenti, di cui riesce dotata ciascuna radice nella precedente funzione 
simmetrica. Onde in generale ad ogni invariante di grado n relativamente 
ai coefficienti di una binaria di grado m^ corrisponde sempre un altro in- 
variante di grado m in ordine ai coefficienti di una binaria di grado n ; 
cioè una forma di grado m possiede tanti invarianti deire/i/ie^/mo grado 
nei coefficienti, quanti sono gli invarianti dell* em/rae^i/no grado che pos^ 
siede rispetto ai suoi coefficienti una forma binaria di grado n. Questo è il 
teorema, o la legge di reciprocità del Sig. Hermite. 

La forma binaria biquadratica che abbiamo considerato da principio, ha 
nei suoi coefficienti, oltre ali* invariante di terzo grado, anche un invariante 
di secondo grado (5); avrà quindi, come invariante dipendente da questi 
due, il prodotto dell'uno per l'altro, ovvero il prodotto di una potenza 
del primo per una potenza qualunque del secondo: conseguentemente la 
medesima forma dovrà avere rispetto ai suoi coefficienti tanti invarianti di 
un dato jgrado n, quante sono le soluziomi intere che ammette la equa- 
zione indeterminala 3a:-H2^«n; ed altrettanti saranno pure, giusta la 
legge ora esposta, gV invarianti di quarto grado nei coefficienti che ha una 
binaria di grado n. ^^ Cosi anche una binaria di secondo giado ha bensì 
per invariante indipendente soltanto il suo discriminante (ibid.)^ quello cioi 
che si deduce dal quadrato (z, - z^^ della differenza tra le radici della cor- 
rispondente equazione quadratica, ed è di secondo grado nei coefficienti; 
ma è evidente che indicando con k un numero qualunque intero e positivo, 
saranno pure invarianti della medesima forma quelli che derivano da (Zj— z,)'*: 
ne segue che dunque ogni binaria di grado pari s^ ha un invariante di se* 
condo grado, simboleggiato da 12^'^; e che le sole binarie di grado pari 
hanno un tale invariante, perchè altrimenti una binaria quadratica potrebbe 
avere un invariante di grado dispari nei coefficienti. 

26. La stessa regola ha pur luogo nei covarianti di un dato grado in x 
ed jr. Consideriamo in generale il covariante che risulta dalla applicazione 
del simbolo 12^. 23^. 34"... a una forma binaria di grado m. Supponendo 
che le cifre numeriche diverse sieno n di numero in questo simbolo^ e che 
le medesime cifre i, 2, 3,... si trovino in esso ripetute rispettivamente 
un numero a , b y e , . . . di volte, il covariante sani di grado n per ri- 
guardo ai coefficienti della forma primitiva, e di grado 

{m^a) + (m-è) + (m^c) 4- ... « mn-la-hb-hc + . . .) 



— 295 — 

per riguardo alle variabili a? ed j : la ragione della prima asserzione h 
evidente per ciò che h stato detto nel numero («4); e quella della seconda 
asserzione apparisce pur manifesta quando si rifletta che colla applicazione 
del simbolo la forma viene a differenziarsi a volte di séguito per causa 
della cifra <, b volte per causa della cifra 2, etc. Si concepisca ora una 
equazione di grado ennesimo in z, le cui n radici sieno z^ z , z ,24,...; 
e sulla norma del simbolo di operazione si formi la funzione simmetrica 



• • • • 



cotesta funzione è per se stessa un covariante (ìb) della equazione che ab- 
biamo concepito, ed. h ài grado (m^a) ^ {m- b)-^ (m^c) -^ . . . in ^i dà 
luogo per conseguenza a un covariante della forma di grado th gb^ H dc*^ 
duce dalla medesima equazione, e un tale covariante rimane nello stesso 
grado in otr ed ^ cbe il covariante considerato da principio nel sii^bolo di 
operazione. Il grado pero del medesimo covariante per rispetto #i coeffipieiiti 
della equazione in 2, o della forn^a corrispondente in x ed j^, sarà preci-* 
samente il numero m; pei^cb^ è chiaro cbe nello sviluppo della funzloae 
simmetrica precedente ciascun termine consiste in un^ potenza della z 9 mol- 
tiplicata per una funzione simmetrica delle radici z, , z^ , z, , etc, e nel 
complesso di t^li funzioni h m il massimo esponente di ciascuna delle ra- 
dici: si può questo vedere più chiaramente in particolare per es. nella fun- 
zione simmetrica (21 — 22)* (2-2,)* (z-Za)'» covariante di quarto grado ri- 
' spetto alle radici z, , z, di una quadratica, e corrispondente al covariante I2' 
di secondo grado rispetto ai coefficienti di una binaria biquadratica; in 
ambidue i covarianti il grado relativo alle variabili h 4. Se m è il grado 
della funzione [19] per risguardo a ciascuna radice, sarà pure m il grado 
nei coeflScienti della forma binaria che si deduce dalla equazione, alla 
quale appartiene la medesima funzione |^i9J: di mpdo che ad ogni covariante 
di grado n rispetto ai coefficienti di una forma binaria di grado m, corri- 
sponde sempre un covariante di gr^ulp m in ordine ai coefficienti di pn' altra 
binaria di grado zi, rin^anendo in ambidue lo stesso il grado, relativa- 
mente alle variabili; e cosi una forala binaria dell' emmesimo grado ha 
tanti covarianti di grado n nei coefficienti quanti sono, i covarianti di 
grado /n che ha per rispetto ai coefficienti u;;ia binaria à^ìV ennesimo grado» 
Se prendiamo ad esempio la forma quadratica che abbiamo teste conside-. 
rato in particolare, essa non possiede aljtrì cpyarja^ti se non quelli che ri- 



— 296 — 

sultano dal prodotto di una potenza qualunque fi del suo discraninante 
per una potenza v della stessa forma; e questi covarianti» introducendoci 
le radici z^ e z^ della equazione da cui proviene la forma, hanno general- 
mente per tipo la espressione 

(z.-z,)'^ {z-z,y (z-z,y. 

Ora in tale funzione le radici 2, e z, entrano al grado a ft 4- v , e la va- 
yariabile z entra al grado 2v; quindi i covarianti di una binaria quadra- 
tica essendo di grado a fx -f v nei coefficienti e di grado a v in ^ ed 7*, ne 
segue che ogni binaria del grado a fx -f v avrà un covariante del secondo 
grado nei coefficienti e del grado pur %y in a: ed jr: ponendo v « i » noi 
conchiuderemo che ogni forma binaria di grado dispari possiede un cova- 
riante del secondo grado sì nei coefficienti come nelle variabili. 

17. La serie dei simboli compendiati la', 12^9 12^»... che applicati a 
a una binaria ci danno un invariante di secondo grado nei coefficienti delle 
rispettive forme di secondo, di quarto, di sesto grado^ etc, ci dara pure 
(24) i covarianti delle forme che abbiano il proprio grado rispettivamente 
superiore al secondo, al quarto, al sesto, etc. : cotesti covarianti sono in- 
dicati dalle espressioni 



[20] 



d" w d' y 

dx' df 


■(• 


dx dy) ' 




d'^ y d'>v 

rfar* dy^ 


-4 


rf*V 
da^ dy 


rf*V 
dxdy^ 



+ 3 



\dx- dy') ' 



le quali si ottengono, sviluppando i predetti simboli e applicandoli alla 
forma binaria V. Ora le medesime espressioni non sono altro, che grinva-' 
rianti dei corrispondenti emananti della forma, quando questi vengano 
considerati come funzioni delle sole variabili esplicite. 

A dichiarazione di un tale asserto, diciamo che se in una binaria V si pone 
X -¥ hx in vece della semplice x, ed / -«- hjr in vece della j^, nello sviluppo 
della funzione giusta la serie di Taylor i coefficienti letterali delle diverse pò- 

(ti A \rt 

X -z — + r -1 — I V , sono distinti 
dx djrj 



— 297 — 

col nome di emananti della forma^ e si dicono deir ordine primo, secondo 
eie., a norma delie unita che si contengono nelf esponente n. Ora ciascuno 
degli emananti è un covariante della forma, alia quale appartiene. Perchè 
se noi nella funzione V trasformiamo le variabili colla sostituzione lineare 

le due derivate della medesima funzione rispetto alle nuove variabili 
saranno (20) 



dx 



, rfV , dN 



dW 



dx 



dr ' 4r' 






dalle quali, supposto che la sostituzione sia unimodulare, si ricavano poi 
le formole 



rfV 
dx 



rfV , dV 



dx' 



dV^ 

dy' djr 



Ir 



d/ 



- m 



dV 



e queste poiché possono scrìversi nel seguente modo 



dV , dV 



V^)' " 



£V 
dx 



/. 



dV 
df 



+ m, X 



( dx') 



dW d\ . 

ci mostrano che le due derivate — r— e — 5 — si trasformano colla medesima 

djr dx 

sostituzione che le due variabili x ed j", e con queste sono perciò con- 

gredienti. Saranno dunque un simbolo di operazione invariante (21) il de* 

terminante 



djr 

X 



d^ 
dx 



X 



dx 



djr 



e le sue potenze; e applicati cosiffatti simboli alla forma binaria V, ci 
daranno altrettanti covarianti della medesima forma^ contenendosi nel ri- 
sultato le due variabili x ed j. 

39 



— 298 — 

Generalmenle se la forma V abbraccia un numero qualua({ue di varia- 
bili x^ j^ 29*«-9 ^ per sé evidente cbe si ottiene sempre lo s lesso risul- 
tato, sia cbe nella forma si mettano prima x ^ h Xy y ^ hy 9 z-^hz ^ etc. 
in luogo colle rispettive jer, y^ z, etc, e si trasformino poi le variabili 
nelle nuove x', ^', z\ .. con una stessa sostituzione linearci sia die si com- 
piano prima queste sostituzioni nella forma e si pongano poi x^ -k-h x\y 
+ hy\ z -¥ h Zy eie. invece delle x\ jr, z , etc. Ciò vuol dire che se la 
forma V per la sostituzione lineare diviene V\ il risultato che emerge dal 
porre x -^ h x^ jr -^ hy^ etc. nella V e dal fare quindi le sostituzioni 
lineari, è identico a quello che si avrebbe col porre nella V in vece delle 
x\y\ eie. rispeltivamente le quantità x^ -^ h x\y •¥ hy\ etc; e così 
uguagliando tra loro nei due risultati i cofficienti delle stesse potenze della 
quantità indeterminata h , conchiuderemo che gli emananti 

/ d d d \n^ 

per la trasformazione delle variabili mediante una sostituzione lineare^ 
divengono 

(, d , d , d \^ tri 

e sono perciò giusla la definizione tutti covarianti della forma Y. E qui è 
bene il ricordare che quando si opera per es. sopra una funzione orooge* 

nea di tre variabili o sopra una forma ternaria col simbolo x -3 — 

-t-y --7— + z --z — , senz'altro si ottiene per risultato la stessa funzione mol- 
tiplicata per un fattore numerico. 

28. Per compiere la dichiarazione di ciò che abbiamo asserito di sopra, 
sappiamo finora cbe l'emanante di un ordine qualunque n, ciob 

quando sì trasformano con una sostituzione lineare tutte le variabili» 
diviene 



— 299 — 

Supponiamo che trasfoimando in esso le sole esplicite, si abbia per risul- 
tato la espressione 

A a:'* 4. n B or'""*' / -^ . . . . ; 

dovranno essere i coeflicienti A, B, eie, funzioni tali delle variabili 

Xjjr,...^ che quando anche queste sieno trasformate colia detta sostituzione 

d" V' rf" V 
lineare, divengano quei coefficienti rispettivamente ^^ > • ,^_^ . ■ , ; etc. : 

ma se neil' emanante [21] si considerano come variabili le sole x ^y ^. . • espli- 

rf* V rf** V 

cite, un suo invariante è una funzione dei coefficienti -7 — » > -r ;- > etc. , 

d X dx"^^ dy 

la quale nel caso per es. di una sostitazione unimodulare riesce uguale 

a una funzione consimile di A , 6 , etc. : dunque il medesimo inva- 

. rf" V rf* V 

riante sarà tale funzione dei coefficienti - — > -r— r- , etc, delFema- 

rfo:" c/j?"-* dj ^ 

nante proposto, che quando per la sostituzione unimodulare si trasformano 
anche in questi come in A, B, etc, le variabili x, ^9 ••.9 risulterà 

u£:uale a una funzione consimile delle derivate . , > -5—7 =-, , etc; e 

^ dx*" dx^^^djr 

COSI per definizione (13) ogni invariante di un dato emanante che si con- 
sideri come funzione delle sole variabili esplicite, è un covariante della 
forma primitiva. 

Se ora noi prendiamo in una data forma binaria i successivi emananti 
di ordine pari ma inferiore al grado della stessa forma, e quindi in eia* 
scuno di questi emananti troviamo l'invariante di secondo grado per ri- 
spetto ai coefficienti con uno dei metodi già esposti, ovvero lo formiamo 
colla legge già nota (5) per le forme quadratiche e biquadratiche, otterremo 
per risultati le soprascritte espressioni [20] di altrettanti covarianti della 
data binaria, ovvero di un'altra forma binaria la quale abbia il suo grado 
rispettivamente superiore al secondo, al quarto, etc. Risguardo poi a una 
forma ternaria V di qualunque grado, prendiamo 1' emanante per es. di se- 
condo ordine 



( d d rf \' 



— 300 — 

e consideraaclo come variabili le sole esplicite x^ jj Zj formiamo il suo 
invariante o discriminante 



+ 2 



rf'V 



rf* V 



dx* djr^ dz* 



dx djr dx dz djr d 



d'V 

dx V djr dz 



\djr dz) dy\ 



d'v 



djr . \ dx dz 



/ "" dz* \dx dy ) 



giusta la legge veduta alla fine del numero (22) per una ternaria quadratica: 
sarà questa la espressione come dell* invariante di una forma ternaria di 
secondo grado» cosi di un covariante di una ternaria di grado qualunque ma 
superiore al secondo; il suo simbolo compendiato è iis'. Nella stessa maniera 
si trovano per questa forma e per le altre composte di un maggior numero 
di variabili^ i covarianti che provengono dai successivi emananti di ordine 
pari, posto che si conoscano gì* invarianti di queste ultime funzioni. 

29. Date le forme V, V", V", . . . che contengano altrettante variabili 
Xy jTj z» • • • 9 abbiamo notato (20) che le serie delle loro derivate rispetto 
a ciascuna variabile sono contragredienti colla serie delle stesse quantità 
variabili, e perciò congredienti tutte tra loro ; sarà dunque (21) un simbolo 
di operazione invariante il determinante 



rfV dY dY 



dx 


dj 


dz 


dV" 


d\" 


dY" 


dx 


dy 


dz 


dW" 


dY" 


dV 



dx 



dr 



• • • 



dz 



• • • 



Esso è detto di Jacobi o Jacobiano delle forme proposte, e non è altro 
se non il determinante che risulta da n funzioni lineari ad n variabili» vale 
a dire è il determinante degli emananti di primo ordine 



301 



rfV dV dV 

X — r— + r —7—. + Z — T— +. . . 



dx 



dz 



X 



d\" 
dx 



y 



dT 

dy 



dz 



"t* • » • j 



X 



dV 



ni 



dx 



*y 



d\ 



Ut 



dV 



ni 



dx 



+ z 



dz 



+ . . • 



che appartengono alle forme date e si considerano come funzioni delle sole 
variabili esplicite: lo stesso determinante, contenendo in sk le variabili» 
sarà un covariante del dato sistema di forme. 

Data poi una sola forma V a un numero qualunque di variabili, si pren- 
dano le derivate parziali --r— , -^ — , --7— > . • . , cbe riescono generalmente 

altrettante funzioni delle variabili, j:,/,z, etc, e perjl sistema di que- 
ste funzioni derivate sì calcoli il determinante di Jacobi che nel caso pre- 
sente ci si offre sotto la forma 



(fV rf* V 



d'V 



dx^ 


dx dy 


dx dz 


d'V 


éTV 


d'S 


dx dy 


df 


djrdz 


rf'V 


d*V 


(TY 



dx dz dy dz dz 



• • • 



• • 



h 



sarà questo un covariante del sistema delle prime derivate, o semplicemente 
un covariante della forma proposta. È detta funzione di Hesse o Essiana 
della medesima forma, e non è altro se non il discriminante deir emanante 
di secondo ordine 



( 



d V 



d V d V 
dy dz 



Y 






« • 



— 302 — 

, rf* V , rf» V d* V rf> V 

^ rfr ^2 "^ dx dj dx dz 

risguardato sempre come funzione delle sole variabili esplicite : lo sviluppo 
del determinante Essiano consiste nella prima delle espressioni [so] per una 
forma binaria, nella espressione notata alla fine del numero precedente per 
una ternaria, e eosì dì seguito nel discriminante del rispettivo emanante 
di secondo ordine per un'altra forma a maggior numero di variabili. 

Per applicare a qualche esempio la teoria precedente, il determinante di 
Jacobi 

dj^djr d r dr' 

dx djr djr dx 

per il sistema delle due forme binarie quadratica e cubica 

V = A X* + a B j: r + e y*, 
V" - H jc» + 3 K 3c*y + a P xj* + 0/» 

tolto il fattore 6 comune a tutti i tennini e fatta la loro riduzione, sarà 
il seguente covariante di terso grado nelle variabili 

(AK - BH) a?» + (2 AP - BK - CH) x»/ + (AQ + BP - « CK) xy' + (BQ - CP)y. 

La funzione Essiana, mediante l'applicazione della prima delle espressioni [so], 
poste nel numero (87), per la forma binaria cubica 

V-Aa:* + 3Bj:*/ + 3H xj* + Ky*, 

senza il fattore comune sarà il covariante quadratico 

(AH - B*) x» + (AK - BB) x^ + (BK - H»)^ j 

e per la foima biquadratica 

V - A X* * 4 B x*y + « C x*y + 4 H xy^ + K f\ 

sarà il covariante 

(AC-B')x4 + 2 (AH-BC)x*j+ (AK * s BH -aC) x»/ 

-H a (BK - C H) x/ + (CK - H*)^. 



— 303 — 

FormaDdo .il delerminante Jacobiano di ciascuna delle due fonne e della 
corrispondente funzione Essiana^ troveretno per la forma cubica e la sua 
Essiana il covariante di terzo grado 

(A* K + a B» - a ABH) a:^ + 3 (B* H ^ ABK - 2 AH") x^ j 
+ 3(2B«K-"B r-AHK)a:y + (3BHK- AK» -aH^)^^. 

e per la fuma biquadratica ^ la sua Essiana troveremo pure il covariante 
JacobianOf che h di sesto grado per rispetto alle variabili ed ha per coeffi- 
cienti nei successivi termini le rispettive quantità 

A' H ^ 2 B^ - 3 ABC , A" K + 2 ABH + 6 B' C - 9 AC% 

5 ABK 4. 10 B» H - i5 ACH , 10 B* K - io A H*, 

15 BCK - 5 AHK - 10 BH* , 9 C^ K - AK» - 2 BHK - 6 C H', 

3CHK-2H3-BK\ 

30. Veniamo in fine alle funzioni centra varianti di una o più forme date. 
Sieno oCy jTj z^...} a^ ^, /»•*• ^^^ ^^^^ ^^ variabili, delle quali la se- 
conda si trasformi con una sostituzione lineare reciproca (20) di quella onde 
viene trasformata la prima serie; e sia f (A, B, . . . , a ^ ^ , . . .) una funzione 
dei coefficienti A, B,.*. di una forma o quantica ¥ in x^ j'n z, etc, e 
delle variabili ^e , P . 7 , etc. : si dirà tf una funzione contra^ariante della F, 
se adoperando le prefate sostituzioni inverse, conservi la stessa dipendenza 
di composizione dalla trasformata di F cbe aveva da questa quantica prima 
della trasformazione; ovvero in altri termini, se alla medesima funzione f 
riesca uguale o differisca solo per un fattore costante una consimile fun- 
zione f (A'^ P'»« •! ^^1^'. • ••) ^^^ coefficienti della trasformata di F, e delle 
nuove variabili a', ^\ y\ etc. rispetto alla seconda delie due serie primilive. 

Data, a cagione di esempio, la forma ternaria di secondo grado 

[F] G x*+ Hy + K z* + 2 P xj + 2 Q orz + t R/ 2 

la quale uguagliata a zero non è cbe Teqnazione trilineare di una sezione 
conica, se si prende la funzione mista 

[pj OLX -^^y -^-y z 



— 304 — 

che fatta uguale a zero rappreseata uaa retta, essendo a , P , jf le coordi- 
nate tangenziali di questa, è noto dalla Geometria {f^ed. Atti di questa 
Accademia, An. XXX. Pag. iso) che la condizione da verificarsi, affinchè 
la retta [p] sia tangente alla conica [F]^ consiste nell'annullamento della 
funzione 

( (R*-HK)«%(Q'-.GK)P* + (P"-GH)/ 

M 

( +2(KP-0R) «13+2(HQ-PR)(X7 + 3|{GR-PQ)13 y. 

Ora se noi adoperiamo per le variabili x , ^ , z la sostituzione lineare di 
di modulo A, cioè la sostituzione 

a: = /, x' + /Uj y + n, z', y « /, j/ -f m^y + n^ z^z = /^ x' + m^f + n^ z\ 

la forma [F] diviene evidentemente 

G' x'* -♦• H'/'* + K' z'» + 2 P' xy -f 2 Q' a:' z' + 2 R'/ z' ; 

e la funzione [p] si trasforma in quest'altra 
« (/, x' 4- i7»,y + », z) + P (/, x' + iWji y + n, z') •*- 7 (/, x' + may +71^2'), 

ovvero 

quando si faccia 

a e» /, a + /^ ^ + /^ y , |3' = /u, a + mj P •♦• /»j y , y' « y^, « + n, P -f n, y, 

e per conseguenza 

Si vede dunque che trasformando le coordinate di un punto qualunque 
della conica con una sostituzione lineare, le coordinate tangenziali della 
retta [p] restano trasformate (20) colla sostituzione inversa, e che nella tra- 
sformazione ambedue le funzioni [F] e [p] conservano la stessa forma di 
prima : quindi la espressione analitica della condizione, perchè la retta rap- 
presentata dalla trasformata di [p] sia tangente alla conica rappresentata 



~ 305 — 

dalla trasformata di [F] » conserverà pure la stessa forma dì prima, e sarà 
la [f] accentuata in ogni lettera ed uguagliata a zero. La funzione [f] non 
differirà dalla nuova funzione [f'J che per un fattore costante che h una 
potenza del modulo di sostituzione, e sarà un contravariante della forma 
data [FJ. 

31. Dopo ciò, per indicare un modo di trovare i contravarianti di una 
data forma, osserviamo che nelle forme binarie le quantità contra varianti 
a, P si' trovano rispetto , alle xedjr in quella medesima condizione, nelle 
quale rispetto a queste stesse variabili si trovano le derivate parziali di 
1* ordine della funzione V considerata nel numero (27); e perciò P e - a 
sono congredienti con x e jr^ e ambedue le coppie di variabili corrispon- 
denti si trasformano con una stessa sostituzione lineare. Quindi se la fun- 
zione <f (A, B, ...f^r, ^) per una sostituzione per esempio unimodulare $t 
trasforma in y (A', B', • • • 1 ^^ y) ed è un covariante di una data 
forma binaria, la funzione f (A, B, . • . ,13^- a) si trasformerà nelP altra 
<f {k\ B', . . . , ^\ - a') e sarà per definizione un contravariante della mede- 
sima binaria : dunque, nelle forme binarie, non vi ha essenziale distinzione 
tra i covarianti e i contravariai^ti \ e per avere queste seconde funzioni, 
basterà che in quelle prime si sostituiscano rispettivamente ^ , - ce in luogo 
delle variabili x ed jr. 

Quanto alle altre foime, consideriamo le ternarie V, , V^ , V, 9 • • • » nelle 
quali sieno distinti cogli indici corrispondenti 1,2,3,.., le variabili 
X ^ y , ZI essendo la serie a, p, 7 con tragred lente per ipotesi colle serie 
di variabili 



^i^ X\ì ^19 ^%9 y% » ^f J etc, 



sarà congrediente (20) colle altre serie 



flTVj rfV, rfV^ rfV, rfV, rfV, 
àx^ djr^ * dz^ ' dx^ ' djr^ * rfa, ' 



dunque come nel caso degli invarianti e covarianti (21), così nel caso at- 
tuale sarà un simbolo di un'operazione invariante da farsi sopra le forme 
ternarie V,, V,, V3, etc. il prodotto 

40 



~ 308 — 

di forme sarà senz' alcun dubbio un contrauariante } altrimenti ciò che si 
ottiene dall' applicazione del simbolo, conterra anche le variabili ^, jr, etc, 
e sarà un covariante misto del sistema: cosi abbiamo veduto, ed è con- 
forme alla conclusione ora dedotta, che operando col simbolo ris* sopra due 
ternarie quadratiche, si ha per risultato un contravarìante delle due forme 
e quindi anche di una forma unica; operando collo stesso simbolo sopra 
due forme di grado superiore al secondo, si avrebbe un covariante misto 
del sistema ed anche in fine di una sola forma. 

33. Il simbolo [22], col quale nel numero (31) abbiamo operato sopra le 
due ternarie quadratiche V, e V^ per dedurne un contravarìante, collo svi- 
luppo del quadrato si può scrìvere nel seguente modo : 



[«] 



e, «* + e, P* + e, 7* * e. « ^ + C4 a 7 + C5 P 7. 



Parìmeati se insieme colle medesime due fonne coasideriamo anche la terza 

V = G X* + H^* + K z* +.8 P X j' + 2 Q ar z + $ Rj- 2 » 

per avere un invariante del sistema di tutte tre le forme^ converrà ope- 
rare sopra di esse. (24) col simbolo lis', ossia col simbolo 



[24] 



d 


d 


d 


dx 


àr 


dz 


d 


d 


d 


dXi 


dy. 


dzi 


d 


d 


d 


dx^ 


dy. 


dz^ 



9 



e questo, sviluppato che siaj si può anche mettere sotto l'aspetto 



Co :7-3 + C, -^ + C, -^ + C3 -i — r- 
€ir* ' 4p^ *d^ ^ dx dx 



d- d^ 

+ C5, 



dx dz 



djr dz 



dove ì coefficienti C^, G, , eie. sono gli stessi che nel simbolo contrava«> 
riante [23]. Ora, a fine di trovare espressioni opportune di questi coefficienti, 
osserviamo che dalla forma V si hanno le derivate 



~ 309 — 

2 P, -3 T- =2 0» j j "2 Rj 



e che perciò chiamando I l'invariante che risalta dalla applicazione dell'ul- 
tinn) simbolo alle tre forme (|uadratiche V, Vi, V^j senza il fattore 2 
comune a tutti i termini, si avrà 

I - Co G 4. e. H + C, K •*. C, P + C4 Q + Cs R : 
conseguentemente differenziando rispetto ai coefficienti di V^ otterremo 



di f. dì dì : di - di _ d\ 



e se le tre forme fossero i,4,^ntichej allora per ragione, della simmetrìa 
del simbolo [24] Te C^,.C^, etc, sarebbero ripetute ciascuna tre volte 

nella derivata corrispondente d^Il' invariante I , e si avrebbe Co « i —^ , 

d li 

• • > 

j I 
Gi»| jrr, etc.: attedi dunque cotesti valori, il contravarìante [23] diverrà 

ri *dl .^ di di .dì di ^ di 

I 

dopo la soppressione del fattore comune j, e apparterrà alla forma ter- 
naria quadratica V quando a quesla appartenga pure T invariante L Da 
tutto questo che abbiamo discorso e possiamo applicare a un'altra forma 
qualunque, s* inferisce che da un simbolo, per esempio m*, di un 
invariante si passa a quello «ìi* di un contravariante, col sostituire a una 
cifra del primo simbolo una Variabile contravariante a; e che $enza effet- 
tuare r operazione «ii^ sopra la forma V, si poissono dedurre uno o più 
contravarianti della medesima V da un suo invariante già noto 1, mediante 

la espressione [25] o una potenza qualunque ■ a Tp- + P* nrìr + • • • ) I 

di tale espressione. A cosiffatti contravarìanti, dedotti da un invariante, si 
attribuisce il nome di es^ettanti della forma V, o del suo invariante I. 



— 310 — 

In generale possiamo dichiarare la medesima cosa nel modo che segue. 
Data una forma 

kar-^mh oT-^ 7 + m C x"-' z + ^^^"^^ D x"-* j ■».... 
di grado qualunque m , sia 

un invariante di essa : aggiungendo alla forma il prodotto di una quantità 
arbitraria h per la potenza emmesima della funzione mista ax -^ ^jr ^y z ^ 
la quale per la trasformazione dejle variabili X^j^ z, rimane invariata (30) 
nella composizione al pari della data forma» avremo un invariante analogo 

in ordine alia nuova forma o quantica ^ 

Questa ultima funzione f, moltiplicata per' d'uà certa potenza del modulo 
di sostituzione, è uguale a una funzione consìmile dei coeflScienti della tra- 
sformata della nuova quantica; e syolta Tana e T altra funzione secondo 
la serie di Taylor, dovranno essere uguali tra loro nei due membri della 
uguaglianza i coelS^ienti delle stesse potenze. d^lU, quantità arbitraria /i: ciò 
vuol dire che indicato con n un numero qualunque intero e positivo, le 
espressioni 

V dk ^ dJi ' dC ^ rfD 7 

si possono considerare come tutti invarianti rispetto alla nuova quantica, 
e sono tutti, cqntrasfarianti della forma data^ da principio, o Civettanti del 
suo invariante I. ri 

Per /i^i, si avrebbe l'evettan te di primo ordipe, il quale relativamente 
alla ternaria quadratica Y , considerata di sopra, coincide colla funzione [25] : 
e poiché r invariante di una tale forma è quello trovato alla fiiie del nu- 
mero (22), cioè il discriminante 

G P Q 

I» P H R 

Q R K 



— 3H — 

perciò, eseguita T operazione [as], per T evettante di questo risulterà coi 
segni mutati la funzione contravarianle [f] indicata nel numero (30), la 
quale può essere messa sotto forma del determinante 



a 



y 



P 

H R 



R K 



Se si forma il discriminante I^ di E, o della funzione [^ ] , e se ne calcola 
quindi revettaote E, a norma del simbolo [25], sarà E^ un contravariante 
di [9], o un covariante della forma primitiva V, e si troverà E| «= I x V; 
e come la funzione E^ ovvero [fj, si deduce dalla forma Y, così questa 
si può viceversa dedurre da quella con riguardo all'invariante L 

34. Nello stesso modo si trovano gli evettanti delle forme binarie» o 
dei loro invarianti; ma in questo caso, essendo ^ e - a eongredienti (31) 
con X ed jTf ovvero a e |3 eongredienti con -^ ed jp, nell' evettante di 
una binaria o nel suo sìmbolo potremo sostituire ad oc e |3 rispettivamente 
le variabili - ^ ed a: , e quindi effettuare le operazioni indicate nel sìm- 
bolo. Così, per esempio, la binaria cùbica 

A ar* + 3 B x*jr + 3 H a: 7' + Kj^ 

Jxa per suo invariante (2.5) il discriminante 

I - A» K* + 4 A H* + 4 B^ K - 3 B* r - « A B H K , 



e per evettante di 1° ordine la espressione 



di 



di 



dì 



di 



dk '^ dB '^ rffl "^ dK 



posto -/in vece di a, ed x invece di P, l'evettante diviene 

, di , dì , rfl i dì 



ed eseguite le derivazioni sopra la funzione invariante I, risulterà dopo 



— 312 — 
la soppressione del fattore comune St rivettante cercato 

(3 BHK - AK* - t H^) / + 3 (J B* K - AHK - BH») j-' x , 
+ 3 (ABK - 2 AH% B* H)7 x* + (A'K - 3 ABH -m B«) a:% 

il quale, come abbiamo già osservato (3f), coincide colla funzione cova* 

riante di terzo grado che è stata trovata altrove (i7). 

Ancora dal sìmbolo di un invariante di una data forma binaria si ricava 

immediatamente il simbolo con cui dobbiamo operare sopra la forma, per 

ottenere Tevettante corrispondente. Imperocché se nel fattore per esempio 24 

del simbolo compendiato di un invariante si sostituisce alla cifra 4 (e cosi 

in ogni altro fattore che contenga la medesima cifra) la variabile contra- 

variante a, si ottiene (33) il simbolo di un contravariante della forma o di 

un suo evettante per rispetto al dato invariante : ora il medesimo fattore 

simbolico, per una tale sostituzióne divenendo «2 , e per lo svolgimento 

gì fi A fi 

scrivendosi a -j ^ "T"' ^^ trasforma dipoi nel binomio Jtr-j— '^J'j^ 

col porre ~ ^ ed x in luogo di a e ^ , e col mutare i segni ai due ter- 
mini risultanti; e quest'ultimo binomio, applicato a una funzione omogenea 
delle due variabili x tà jr^ o a una forma binaria, non fa altro cbe intro- 
durre nel risultato un fattore numerico costante, il quale può essere sop- 
presso e fatto sparire dallo stesso risultato. Dunque se dal simbolo di un 
invariante di una data forma binaria si tolgono tutti i fattori che come 
24 contengono una stessa figura per es. 4, e che nel passaggio al simbolo 

di un contravariante corrispondono al predetto binomio JC;t— -^ J "^-7» si 

avrà senza dubbio il simbolo dell* evettante della binaria per rispetto al 
medesimo invariante : cosi essendo i2* . 34^ . Ì3 . 24 il simbolo dell'invariante 
di quarto grado nei coefficienti, o del discriminante, della binaria cubica 
che abbiamo considerato or ora, il simbolo del suo evettante sarà 12'. 13, 
ovvero 34'.i3> etc. ^ il quale risulta dal primo simbolo mediante la sop- 
pressione di tutti gli ambi in cui si trova la cifra 4, ovvero la cifra 2, etc, 
35. Abbiamo visto come dagli invarianti e covarianti di una forma o dai loro 
sìmboli si può passare ai contra varianti o ai simboli di queste funzioni; vediamo 
ora come per converso dai con tra varianti si possono dedurre quelle prime 
funzioni. In una funzione contravariante per esempio di una forma ternaria V 



~ 313 — 

• 

(ciò die diremot si applica generalmente a qualunque forma o sistema 
di forme), le quantità ex, (3, y si suppongono solo trasformate con una 
sostituzione reciproca di quella onde si trasformano le variabili x\j^ z 
contenute nella stessa V : ma in cosiffatta condizione si trovano ap- 

////// 
punto (20) i simboli di operazione -r— , -r- , -r— , relativi a una forma 

dx dj dz 

o isolata o unita con altre in un dato sistema, ed anche nella me- 

desima condizione si trovano le derivate -; — > —r^» -i — ; dunque nel con- 

dx dy dz ^ 

travarianie di una forma V o di un sistema di forme, in luogo delle quan- 
tità contravarianti a, J3, y, potremo mettere quei primi simboli di ope- 
razioni da eseguirsi sopra la V, ovvero potremo anche mettere queste ul- 
time derivate della stessa funzione Y: colla prima sostituzione otterremo 
evidentemente il simbolo operativo di un invariante o coifariante della 
forma o del sistema dato, e l'uno o l'altro otterremo come risultato dell'o- 
perazione, secondocbè in questo risultato si conterranno o no le variabili 
^y J ì ^> colla seconda sostituzione poi, otterremo sempre un covariante 
della forma V, o del sistema. 

Nel primo caso è manifesto che il simbolo compendiato dell'invariante 
o del covariante si ricava da quello del contravariante, scrìvendo in que- 
sto ultimo simbolo una nuova e stessa cifra numerica invece di ciascuna 
lettera a: cosi se òTTi^ h il simbolo del contravariante, il simbolo dell'inva- 
riante o del covariante sarà 123''; e se quello è a23 . «24, questo sarà m . m. 

Nel secondo caso poi, il simbolo del covariante si ricaverà dal simbolo 
del contra variante, scrivendo in questo una nuova e differente cifra nu- 
merica per ciascuna lettera a; di modo che se per es. i2^^ è il simbolo 
compendiato del contravarìante di un sistema, quello del covariante sarà 
123.124, riferendo sempre le nuove cifre a una medesima forma di quelle che 
costituiscono il sistema. Infatti poniamo che rispetto al sistema delle due 
forme V, e V^ , il simbolo operativo di un contravariante sia quello che 
abbiamo ora indicato per primo esempio, cio^ sia 

d d d 



dx^ 


dr. 


dZf 


d 


d 


d 


dx^ 


dj. 


dz^ 


a 


P 


1 



41 



— 3U — 

h chiaro che se per ridurre un tale simbolo a quello ii un covariante, si 

sostituiscono alle quantità contravarìanti a, ^^ 7 le rispettive derivate 

rfVrfVrfV.. 

-7—^9 *7^' "7"^' ^' risultato del suo sviluppo sarà quello stesso che si 

iiX uY (tZ 

Otterrebbe in fine quando si fossero prima separati nel simbolo primitivo 

i due fattori uguali, e si fossero quindi sostituiti in luogo di a, (3, y 

////// 
neiruno dei due fattori i simboli -; — , -; — , -^ — relativi alla forma V,, 

ax^ dj^ dzs 

e nell'altro fattore i sìmboli ^ — , -= — , -^ — relativi pure alla medesima 

dx^ djr^ dz^ 

forma V, : ma con questa seconda operazione il simbolo lice * diviene 



d 


d 


d 


dXg 


dy. 


dzt 


d 


d 


d 


dx^ 


àjTx 


dz 


d 


d 


d 



rfx, djr^ dz 



« 



d 


d 
djx 


d 
dZf 


d 

dx^ 


d 
dj. 


d 
dz. 


d 


d 


d 



dxf^ djt^ dzf^ I , 



e si scrive in compendio 123 . m . Dunque ctc, 

36. Chiudendo la presente Nota, osserviamo che il contravariante [$J, 
trovato alla fine del numero (31) e appartenente alle due ternarie quadra- 
tiche Vj e Va, quando riesca ug-uale a zerOfi ci esprime che la retta 
a X -t- |3^4-yzB0 è tagliata armonicamente dalle due coniche V,«0, V^-a. 
Infatti se noi eliminiamo la variabile z tra T equazione della retta e quella 
di ciascuna conica, provengono le due nuove equazioni 



[26] 



(G' / + K' a» - 2 Q* « y) 4:* + « (P* y» 4. K' « ^ - R' «e y - Q' <a y> X jr 

+ (H'y'-i-K'P»-4R'Py>7»-0, 

(G" y* + r a» -8 Q" ay) x* + »(P"y' + K" « P-R" «y- Q^^y) xy 

+ (H" y* + K" (3*- »R" g y) 7» - 01 

e queste equazioni devono essere verificate rispettivamente dalle coordinate 
delle due coppie di punti, nei quali la retta prenominata s^ incontra colle 



— 315 — . 

due coniche. Quindi la condizione perchè la prima coppia di punti sia ar 
monicamente coniugata colla seconda, consiste (7) nella equazione 

(G' 7* + K' «'- 2 Q' cty) (H" 7* + K"/3»-2 R" Py) 
H- (G"y%K" «'-2Q"a7) (H'7* + K'^»^2 R' |3 y) 

- 2 (F 7% K' « P - R' « y - Q' 13 y) (P" y' + K'' « 13 - R" « y - Q'' p y) » a ; 



e una tale equazione, svolta e rìdotla, non è altro se non la [$] » 0. 

Se insieme colle due sopraddette forme V, e V, si considera anche la 
quadratica 

V = G ar' + H^-'-*- K z* •«• 2P xy •*-2 Qo: z + 2 R^ z , 

e sopra il sistema delle tre (orme si opera col simbolo 012 . oèÌ3 • 03? , si 
avrà pure un contravariante [$'] che è di terzo grado per rispetto ai coeffi- 
cienti e alle variabili; la sua espressione sarà 

(HKR) o? + (KGQ) ^' + (GHP) f - [(HKQ) + s (KRP) ] «' ^ 



[*'J 



+ [(GKR) + 2 (KQP)] « p» + [(KHP) + s (HRQ)] «* y 
- [ (GHR) + 2 (HPQ)] « 7* - [(KGP) + s (GQR)] (3* y 
+ [ (HGQ) + s (GPR)] |3 y' + [ (GHK) - 4 (PQR)] « |3 y , 



dove coD (HKR), (KGQ) , (GAP),... sono ricettivamente indicati i de- 
terminanti 



HKR 



H' K' R' 



H" K" R 



il 



K 



K' G' Q' 



, 1 K" G" Q" 



fl 



H' F 



G" H" F' 



• • • • 



ora nel caso attuale le due coppie di punti che verificano le equazioni [25] ^ 
e la coppia che verifica la terza equazione 



318 



(Gy» + K«'-»Qay)a^+a(I>/ + K«P-Ray-Q(5y)x/ 

+ (H-/ + Kp'-iR(3y)7» = o, 

appartengono a un sistema in involuzione (io in fine), quando sia nullo il 
determinante 

Gy* + Ka'-2Q«y, P/+K «p-R «y -Q Py, Hy' + KP»-2R(3y 

G"y%K"«'-2Q"«y, F'y' + K"ap-R"«y-Q^'py, H"y' + K"(3*-2R"^y 

GV + K'«"-2Q'«y, Py' + K'a^-R'ay-Q'^y, H'y' + K'P'- 2R'p y 



che sviluppato si riduce alla soprascritta funzione [^]; dunque [$'J = oci 
esprime la condizione perche sieno in involuzione tra loro le tre coppie 
predette di punti, cioè quei punti nei quali la retta a x + ^jr + y z = o è 
intersecata dalle tre coniche V ^ o , V, => o > V, => o. 



— 317 — 

SUL VERO UFFICIO CHE PRESTANO LE APPENDICI DEL CUORE 

DENOMINATE ORECCHIETTE, E SULLA PERFEZIONE 

DELL'ORGANO ASPIRANTE E PREMENTE, 

PRODOTTA DALLE STESSE APPENDICI. 

MEMORIA 

DELL'lNGEGfnBRE FILIPPO GUIDI 



N, 



on è davvero mestieri speader parole, per dimostrare che dallo Studio 
del creato, s* apprenda la via per la soluzione dei problemi, in ogni arte, 
ed in ogni scienza. È piuttosto da meravigliarsi^ che l'ingegnere abbia tanto 
taixlato a riconoscere il vantaggio della forma tubulare nelle travia mentre 
ne avea l'esempio nelle ossa degli uccelli: che il costruttore navale non ab- 
bia riconosciuto, che tardi, nelle forme dei pesci le curve di minima resi- 
stenza : che insomma Tuomo abbia speso lunga serie d* anni ad investigare 
tante verità, che avrebbe assai prima scoperte, se si fosse posto senz'altro 
ad osservare accuratamente la struttura degli esseri che lo circondavano. 

Ora io voglio chiamare l'attenzione degli scienziati sulla perfezione dell'or-» 
gano propulsore della circolazione sanguigna, cioè del cuore, considerato dal 
lato meccanico, come può fare un ingegnere, e sulla vera funzione che eser- 
citano le appendici chiamate orecchiette. 

In qualunque trattato, in qualunque pubblicazione, che riguardi la circo- 
lazione sanguigua, dai primi scopritori di essa, fino angiomi nostri, si trova 
sempre espressa l'opinione, che le orecchiette del cuore spingano il sangue 
nei ventricoli^ e che questi proseguano l'impulso nelle arterie: anche nelle 
opere didascaliche recentissime la rappresentazione della orecchietta e del 
ventricolo, in schema, h fatta con due pompe aspiranti e prementi succes- 
sive ed attigue : ma con le osservazioni che io sono per esporre si vedrà 
chiaramente , che 1' organo veramente conformato a guisa di pompa non h 
che il ventricolo. Difatti il ventricolo è munito di valvole^ per l'aspirazione 
dal lato delle vene, e perla compressione dall'altro delle arterie: al dila- 
tarsi di esso chiudonsi le valvole sigmoidee, ed apresi la mitrale o la tri- 
cuspidale, che lascia entrare il sangue nella sua cavità : ed al contrarsi del 
ventricolo stesso si richiude la valvola, che servì alla introduzione, ed apronsi 
le sigmoidee, per dar passaggio al sangue nelle arterie. 

L' orecchietta è sprovvista di valvole ai fori comunicanti con le vene, ed 
alla sua contrazione, il sangue troverebbe sempre più facile adito a retro^ 

41* 



— 318 — 

cedere nelle vene, piuttosto che a cacciarsi nel ventricoioy attraverso- di una 
valvola. 

Qua! è dunque 1' ufficio dell' orecchietta ? Dessa h una stupenda appen- 
dice all'apparato aspirante e premente » posta dal creatore con una sempli- 
cità non mai immaginabile da mente umana, per rendere equabile il corso 
del sangue nelle vene, e per togliere al cuore il sinistro effetto del colpo 
d'ariete, che inevitabilmente si produrrebbe dalla colonna di liquido, che dalle 
vene ha suo corso verso il cuore. 

Mi sia permesso chiarire con due parole il significato meccanico del colpo 
d^ ariete. 

Allorché la cavita di uaa pompa si dilata, per assorbire un liquido pe- 
sante, questo liquido è posto in moto per tutto il condotto, che comunica 
con la pompa stessa : all'istante in cui la pompa ha compiuto l'aspirazione, 
ed invertendosi Tazione, sta per cominciare la pressione, in quelFistante, dico, 
la colonna di liquido, arrestandosi in tutto il condotto, deve inevitabilmente 
perdere tutta la velocita acquistata contro le pareti interne della pompa , 
con un colpo brusco simile ad una- martellata : ed ecco ciò che i mecca- 
nici chiamarono colpo d'ariete. Questo colpo secco fa timore anche all'in- 
gegnere, sebbene sappia valutarne gli effetti con la formola MV^: desso h 
di tale effetto, che se ne trasse partito per elevare l'acqua con la macchina, 
che appunto si chiama ariete idraulico. 

Ora si vede a colpo d'occhio, come similmente avrebbe dovuto accadere 
nel ventricolo al suo dilatarsi, poiché la colonna dì liquido sanguigno, posta 
in movimento ben veloce nelle vene, avrebbe dato un forte colpo d'ariete 
all'istante che il ventricolo era per contrarsi; e soltanto la elasticità delle 
pareti delle vene avrebbe lenito alquanto s\ nocevole effetto. 

Questo colpo inoltre avrebbe reso molto irregolai'e l'immissione del san- 
gue nelle arterie, a traverso le valvole sigmoidee, dovendo questa immis- 
sione cominciare con un getto vivacissimo, sotto l'influenza del colpo d'a- 
riete, e rendersi poi molto moderata allorché fosse prodotta dalla sola sistole. 

Col sussidio della orecchietta la velocita di deflusso nelle vene, non h 
aumentata al dilatarsi del ventricolo, non e arrestata al contrarsi di que- 
sto: il ventricolo al dilatarsi assorbe il sangue accumulato nella orecchietta, 
insieme a quello, che normalmente fluisce dalle vene, ed al chiudersi della 
valvola mitrale o tricuspidale, l'orecchietta nuovamente si dilata, per non 
arrestare il corso del sangue nelle vene, e per preparare altro volume, che 
unito al corsa normale delle vene stesse, fornisca la massa di liquido oc- 
corrente alla successiva dilatazione del ventricolo: ed ecco il perché la ca- 



~ 319 ~ 

pacita della orecchietta è metà all' incirca del votame caccialo dal ven- 
tricolo ad ogni sìstole : e questa sola osservazione basterebbe a persuadere 
sulla giustezza della nuova analisi del meccanismo del cuore, che sto pro« 
ponendo, poiché non è davvero conciliabile l'azione di due pompe succes* 
sive ed attigue, che si muovano di perfetto accordo^ ma che siano l'una 
di capacita doppia dell' altra. 

L'orecchietta adunque non spinge il sangue nel ventricolo, ma soltanto 
ne accompagna il deflusso con la sua contrazione, ed al suo dilatarsi non 
lo assorbe, ma semplicemente fa luogo e spazio al sangue defluente dalle 
vene, perchè trovisi pronto alla chiamata, che ne sta per fare il ventri- 
colo, nella successiva diastole. 

Il cuore adunque è più perfetto, ed k più semplice, di quel che si cre- 
dette sino ad ora: più perfetto, perchè anche due pompe aspiranti e pre- 
menti attigue non avrebbero mai prodotto un corso equabilissimo del sangue 
nelle vene : più semplice, perchè un solo organo aspirante e premente, mu- 
nito di valvole, rende un ufficio il più completo mediante soltanto una ap- 
pendice, che accumula il liquido da aspirarsi. 

La giusta conoscenza dell'ufficio dell'orecchietta sembrami possa giovare 
non soltanto a soddisfazione del fisiologo, ma bensì a chiarire di molto le 
osservazioni sul cuore anormale, e forse anche a dar lume sullo stato del- 
l' intiero organismo. 

Suppongasi difetto in una delle orecchiette sia per capacita, sia per 
insufficiente dilatazione causata da induramento delle pareti o da affievoli- 
mento nelle azioni muscolari; ed ecco l'effetto di colpo d'ariete, ecco una 
palpitazione^ e finalmente un romore d' attrito nelle valvole sigmoidee, che 
si potrebbe attribuire a vizio di tali valvole, mentre esse non hanno al- 
cunché di anormale. 

Una affezione nervosa può alterare le contrazioni dei ventricoli : una flo- 
gosi può aumentare V irritabilità dei stessi ventricoli : e parimenti una tur- 
gidità di vene altererà le funzioni delle orecchiette: insomma ben diverse 
cause daranno luogo ad anormali pulsazioni del cuore ; ma i fenomeni di 
ascoltazione saranno ben distinti. 

Gli esperti ascoltatori conoscono già la varietà di tali fenomeni; ma 
nello studio di essi, e nella investigazione delle cause, potrà, certamente 
giovare una più perfetta conoscenza delie azioni reciproche fra una parte 
e l'altra dell'organo propulsore, e delle diverse reazioni che per legge 
idraulica debbonsi verificare nel medesimo^ sì nello stato normale, che nelle 
varie alterazioni morbose. 



_ 320 — 

Nel chiudere questo breve ragionamento sopra un portento di creazibne» 
ove non so se più debbasi ammirare la semplicità ovvero la perfetta p]^e* 
videnza degli effetti che dovevansi avverare per legge idraulica, mi sia per- 
messo fare una interrogazione ai materialisti. 

Ogni cosa, che di stupendo si' offre a nostri sensi, o provvisti di tele- 
scopio per gli astri immensi, ovvero di microscopio per le cristallizzazioni 
le flore, le faune, tutto h soggetto a leggi mirabili, leggi non speciali di un 
determinato ordine fisico, ma coordinate a verità matematiche, al vero 
astratto: e tutto ciò si vuole dal nulla sortito! 

La mente umana, che pot^ discuoprire codeste leggi mirabili, potè con- 
templare i veri astratti, e dal loro legame costituirne una scienza, déssa 
mente ancora fu parto del caso! 

Una materia , inerte , cieca , seppe da se perfezionarsi con 1* andare 
dei secoli!! 

Oh si prova troppa ripugnanza ad ammettere tali assurdi: eppure ne 
siano concessi : ma quale spiegazione si avià delle sublimi prevìgenze nell'or- 
dine di natura? 

Come già accennava dianzi, una classe degli esseri viventi è dotata di 
speciale secrezione, che fornisce loro la materia cornea, sicché vestansi di 
penne, e possano librarsi sulle ali: ora.se tutto ebbe vita dal caso, chi 
previde che codesti animali avrebbero dovuto sorreggersi natanti con grave 
sforzo muscolare nelle membra anteriori, e perciò dotoUi di scheletro spe* 
ciale, e per accoppiare la massima leggerezza alla necessaria resistenza, pre- 
dispose la struttura delle ossa diversa da quella stabilita per gli altri 
animali ? 

Questo esempio è volgare : ma i tanti altri di meravigliosa provvidenza 
pel nutrimento dei vari esseri nei loro primi momenti di vita, a cominciare 
dalla fecola preparata per V embrione di un vegetale, e terminando al latte 
fornito dalla madre nei mammiferi, tutti codesti esempi, che mi permetto 
chiamare di previgenza di natura, come possono avere una spiegazione senza 
il fiat dell'Ente necessario immutabile? 



— 321 — 

UNA NUOVA VARIETÀ* 
DI MELOSIRA BORRERII GREV. 

NOTA 

DEL CONTE AB. FRANCESCO CÀSTRACANE 



u, 



o breve tragitto di poche ore oggi da Ancona ci conduce in Dalmazia, 
paese attiguo alla nostra Italia, le di cui citta ad ogni pi^ sospinto ci atte- 
stano le glorie della veecliia Regina della laguna , e la religiosa pietà dei 
vittoriosi condottieri della , Repubblica Veneta. E un viaggio cosi breve ; e 
pure, difficilmente si potrebbe incontrare regione più interessante e che più 
si raccomandi alla studiosa curiosità del. viaggiatore, se non che dilungandosi 
ad enormi distanze. Varietà di razze e di costumi, alcuno dei quali arieggia 
l'Oriente, e che vi riportano ai tempi andati, pregio di memorie artisti- 
che, avanzi grandiosi di monumenti Romani e di epoche ancor più lontane, 
tutto trovasi riunito nella stretta lingua di terra ^ la quale limitata da un 
lato dal mare Adriatico e dall'altra dal giogo di montagne che la separano 
dalla Croazia, formò l'antico Illirio, ed ora porta il nome di Dalmazia. 
Ma quelle località sopra tutto si raccomandano al naturalista , e in parti- 
colare modo a quegli che assunse ad argomento dei suoi studi la vita del 
mare. La natura rocciosa della costiera Dalmata, la profondità e perfetta lim- 
pidezza di quelle acque, le anfrattuosita e i tranquilli recessi e i piccoli sensi 
difesi da ogni vento, fa che in quei paraggi la interessantissima vita vege- 
tale e animale del mare Adriatico si mostri nel suo maggiore rigoglio. 

11 desiderio di rendermi conto della vita delle diatomee , tentando sor- 
prenderne la manifestazione nei suoi diversi fenomeni, mi condusse più volte 
colà, ad onta che allora la mancanza di regolare comunicazione diretta fra 
r Italia e la Dalmazia mi obligasse a fare ben più lungo giro per Trieste 
con non liéVe jattura di tempo e di denaro. L' ultima mia gita colà fu nel 
Settembre del i874; e allora scelsi a precipua stazione di studio Tamenìssimo 
Canale dì Traù, favorito di cordialissima ospitalità dai padri dell'Ordine di 
San Domenico nel loro piccolo Convento di S. Croce all' isola Bua. Questa 
lunga isola rocciosa descrive approssimativamente la corda di un curvo 
seno di mare , la di cui sponda coronata da un seguito di sette ridenti 
castella che si succedono e si toccano danno il nome alio stretto canale, 
ricordato con orgoglio dai Dalmati con il nome appunto di Canale delle 
Sette^ Castella. E veramente la vista non può essere più ridente per la 

42 



— 322 — . 

limpidezza delle tranquille acque che qual terso specchio ripetono rovesciata 
r immagine di graziosi paeselli incorniciati da pingui colti e da ubertose 
campagne^ alle quali fanno fondo e contrasto gli erti gioghi delle vicine 
montagne. Cola passai giorni felici, occupato unicamente nella contempla- 
zione delie maraviglie della Matura, assoggettando al microscopio nel giorno 
ogni ciuffo di alghe ed ogni altro materiale da me raccolto nella mattina 
nel mare, spiandone diligentemente le Diatomee, che vi si annidavano. Nel 
mio giornale di studio sono registrate diverse osservazioni interessanti la 
biologia di quelli curiosissimi esseri, e alcune di quelle verranno ricono- 
sciute interamente nuove allora che ne farò argomento di speciale lavoro. 
Nelle ore del pomerìggio andavo a diporto in barchetta condotta da robusto re- 
matore, e mi piacevo nell'ammirare la perfetta limpiditk delle acque azzurrine 
di quello stretto^ la quale mi lasciava distinguere tutte le accidentalità del 
fondo petroso, Su le quali attraeva il mio sguardo il guizzare dì pesci di 
forme e colori diversi, e la vegetazione delle alghe e gli echini e le spugne 
abbarbicate al letto marino. 

Verso Testremita occidentale di quel canale mi venne indicato lo sgorgare 
di una ricchissima polla di acqua , la quale sorgendo al piede del vicino 
monte subito confonde le sue acque con quelle del mare. L' industria dei 
paesani ne ha tratto profitto applicandone la forza a dar moto a molìni. 
Un giorno co Ik feci indirizzare la barchetta voglioso di visitare quella scatu- 
rigine. Giunto in prossimità del luogo vidi che il littorale assumeva l'aspetto 
di una laguna per modo che non sapevasi indicare il limite fra quella ed 
il mare. Fra Tuno e Taltro spingevansi da terra due palafitte, le quali se- 
gnavano il letto della corrente. Questa allora che io avanzai con la barchetta 
era oltremodo impetuosa, così che gli sforzi del battelliere che con tutta la 
lena appoggiava su i due remi, a gran stento otteneva di avanzare di bre- 
vissima misura^ fin al punto che io veduto quanto dovesse costare a quel 
pover uomo la soddisfazione della mia curiosità gli ordinai il retrocedere. 
Però non tralasciai di assaggiare l'acqua della rapida corrente, quale io at- 
tendevo ritrovare dolce o tutt'al piiì salmastra, mentre invece parvemi pret- 
tamente salsa. Ad ogni istante vedevo travòlti dalla corrente dei gruppi di 
Conferve presentanti qual più qual meno una tinta verde olivastra o ti- 
rante su l'ocraceo, indizio certo dell'acervamento di miriadi di Diatomee. 
Ne arrestai ar passaggio diverse masse, curando di tenerle disgiunte affine di 
istituire particolare esame su ciascuna massa. Alcune non presentarono altro 
che degli Achnantes di diverse specie e delle Synedre, altra racchiudeva in 
abbondanza delle Rhoicosphenia, dei Rhabdonema, ed altre Diatomee. Maggiore 



— .323 — 

interesse mi suscitò un altro gruppo di Confervacee , il quale moslravasi 
infarcito da straordinario actìumulamebto di una bellissima e grande Melosirea. 

La bellezza e la non comune eleganza di questa Diatomea, che nel suo 
genere distìnguesi per la dimensione superiore alla massima parte delle 
specie congeneri» e la non troppo grande difficolta a riconoscere e distin- 
guere le particolarità strutturali delle quaU va ornata, la raccomandava più 
specialmente alla mia attenzione. Si aggiunge la circostanza di avere fortu- 
natamente posto la roano sopra una raccolta straordinariamente ricca e quasi 
pura, la quale mi avrebbe offerto Topportunita di studiarla convenientemente, 
e in pari tempo mi permetteva farne partecipi i micrografi e crìttogamisti 
italiani e stranieri, ai quali potesse interessare. 

Questa Melosira presentasi in filamenti o serie formati da frustuli o indi- 
vidui binatamente congiunti, quantunque non sia del tutto raro 1* incon- 
trarli riuniti a tre frustuli. Mi h sembrato però che la riunione di tre fru- 
stuli o individui abbia luogo unicamente allorché per la presenza del 
cingolo o zona, che riunisce le due valve del frustulo ebbe luogo la dedu- 
plicazione o fissiparita con la formazione di due giovani valve prospettanti 
ciascuna una delle valve delia cellula madre. E di ciò mi forni prova il ri- 
trovare taluni filamenti dove le due valve tenevansi largamente disgiunte 
sotto la protezione del cingolo, mentre talvolta fra le due vecchie valve di- 
stìnguesi appena il profilo leggermente indicato delie due valve giovani, le 
quali aderenti Tuna all'altra per il dorso in seguito dividerannosi, costituendo 
due frustuli, ciascuno risultante da una valva reccliia e da una di recente 
formazione. 

La forma dei frustuli è subctlindrica con i due fondi largamente convessi 
per modo che la superficie di congiungimento fra i due frustuli h circa un 
terzo della base del cilindro. L asse polare delle cellule è alquanto maggiore 
dell'asse equatoriale nei frustuli di maggior dimensione^ mentre nei più pic- 
coli senza alcuna eccezione avviene il contrario. Tale circostanza parmi do- 
vere indicare che i frustuli più pìccoli sono altresì i più giovani, i quali 
in seguito audranno crescendo specialmente nel perimetro, fin a raggiungere 
gradatamente le proporzioni tipiche dei due assi. So che in tale modo di 
vedere io mi discosto dalla opinione, la quale fin ad ora forse è la più ge- 
nerale, ed è sostenuta da sommi Naturalisti, che io altamente onoro. Questi 
credono che la cellula diatomacea appena formata non sia più capace di 
ulteriore ingrandimento, mentre ogni ulteriore modificazione sarebbe impe- 
dita dalla rigidità della silice, la quale ne costituisce la parete. Però io non 
posso persuadermi che un orgatiismo autonomo e perfetto non abbia da pre- 



— 324 — 

serilare nella sua forma delle qualità , e (se non delle dimensioni) almeno 
delie proporzioni fisse^ che ne determinino la fisonomia. Che poi la silice 
possa non impedire l'ulteriore aumento della cellula e la distenzione delie 
sue parti h una tesi che in altre volte ho difeso con addurre molte prove 
di fatto, non che qualche autorità. Oltre di die si potrebbe ancora dire che 
noi non possiamo conoscere la condizione nella quale trovasi la silice or- 
ganizzata nella parete della Diatomea vivente, mentre sappiamo che talvolta 
la silice può trovarsi alla condizione gelatinosa. Si aggiunge di più la ri- 
flessione che la materia silicea va impregnando la cellulosa della Diatomea 
sotto l'influenza della forza vitale per modo forse da sostituire in quella com- 
binazione uno dei tre costituenti della cellulosa il carbonio. E tale modo di 
vedere viene confermato dagli studi dei due distinti Chimici i Sigg. Friedel 
e Landenburg, i quali da più anni già dimostrarono la possibilità di tale so- 
stituzione. Quindi h che io ritengo per fermo che quei filamenti o serie di 
frustuli della nostra Melosira, nei quali le cellule non presentano minore il 
diametro polare dell'equatoriale, voglionsi considerare per individui giovani 
destinati a raggiungere gradatamente le proporzioni nei due assi, che rìscon- 
transi invariabilmente nei frustuli maggiori ed adulti. 

Tanto le valve che i cingoli o zone connettenti nella forma sottoposta ad 
esame presentansi finamente granulate, e le file di granuli vedonsi disposte 
in serie quadrata e possono scorgersi con moderato ingrandimento, special- 
mente sotto r influenza della illuminazione a raggi obliqui. Tutti questi ca- 
ratteri sin ad ora ricordati* combinano esattamente con quelli che per la Me^ 
losira Borrerii^ Grev. vengono riportati da Smith nella Sinopsi delie Diato- 
mee Britanniche. Questa specie da Pritchard e da Rabenhorst viene riferita 
come sinonimo della M. moniliformis (Muli.) Ag. nel mentre che il succi- 
tato Smith viceversa riguarda qnest*uUima come sinonimo della il/. BorrerU', 
onde è che sembra riguardare questa denominazione anteriore ali* altra , e 
quindi la ritenne a preferenza. Io per ora preferisco attenermi alla aiitorita 
del celebre autore della succitata Sinopsi, tanto più che a ciò fare vengo 
confortato dal Cli. Diatomologo Americano Professore Hamilton Smith, il 
quale nella pubblicazione utilissima delle preparazioni di Diatomee tipiche 
fra le molte specie di Melosira, sotto il M. 217 ci da la /1/. Borrerii, non 
facendo menzione della M. moniliformis. 

Ma se neir insieme dei suoi caratteri la nostra Melosira non difi*erisce 
dalla M. Borreriij pure se ne diparte abbastanza sotto molti altri riguardi. 
Difatti la Diatomea che prendemmo ad esaminare, è generalmente più grande 
e le granulazioni sono più evidenti. Però questa differenza può con molta 



— 325 — 

ragionevolezza essere attribuita alle circostanze favorevoli che influirono 
sul suo sviluppo, e perciò non può certamente essere riguardata di grarve 
momento. Vi h altra particolarità su la scoltura della superficie valvare » 
che mi tiene molto esitante. La Melosira del Canale di Traù si distingue al 
momento dalla M. Borrerii per la circostanza di numerosi denticuli e brevi 
spine, le quali scorgonsi sparse nella superficie valvare e specialmente su i 
due fondi largamente convessi del frustulo. Di tale circostanza non difficile 
a rimarcare per quanto è a nostra cognizione nessuno degli osservatori, che 
ci precedettero, ne fece cenno. Quindi è che ad accertarmi meglio dei ge- 
nuini caratteri della specie Grevilleana ho avuto ricorso alla maravigliosa 
preparazione di Diatomee tipiche che nello spazio di tre millimetri in qua- 
drato in numero di ben quattrocento seppe riunire sistematicamente la pro- 
verbiale abilita del Sig. Moller di Wedel nel Holstein. In questa preparazione, 
la quale va distinta con il nome tedesco di Tipen-Platte, sotto il nome di 
M. Borrerii. Grev. ci viene presentato un breve filamento di frustuli ci- 
lindroidi a fondo largamente convesso^ e protetti da cingolo cilindrico. Le 
pareti dei frustuli vedonsi finalmente granulati, e i cingoli sono pure di- 
stinti da circoli di granuli. Ma nel confronto della Diatomea tipica con la 
forma Dalmata, quest'ultima oltre all'essere generalmente maggiore e con cin- 
goli quasi interamente granulati, mostrano la superficie convessa dei fondi 
dei frustuli regolarmente e a brevi intervalli cospersa di denticuli, i quali 
gli danno UH aspetto spinoso. È vero che il Gh. Rabenhorst nel definire la 
M. moniliformis (MuUer) Ag. della quale dice sinonimo la M. Borrerii , 
Grev. adopera la espressione « valvis depresso-hemisphericis subnoduloso- 
punctatis » ma non credo che con tali espressioni abbia voluto alludere 
all'apparenza nodulosa e scabra che alla forma presa ad esame danno le 
denticulazioni delle quali h seminata ; mentre poi il tipo più attendibile 
del Tipen-Platte di Mùller non ci mostra nella M. Borrerii se non che 
una superficie semplicemente granulata. 

Riconosciuta pertanto una ben marcata differenza nelle particolarità strut* 
turali, che adornano la superficie della Diatomea, che abbiamo sott* occhio 
in confronto con la M. Borrerii , quale viene definita da Smith e quale 
ce la presenta la preparazione Molleriana, dovremo noi riguardarla come 
costituente una nuova specie? È indubitato che la forma Dalmata costi- 
tuisce un ben determinato organismo autonomo degno di essere designato 
con un nome speciale, mentre il non riscontrarsi mai alcun frustulo me- 
scolato, il quale sia sprovisto di quelle denticolazioni, ci persuadono, che 
quelle non voglionsi attribuire ad accidentalità come se dovuta a sovrabbon- 



— 326 — 

danza di materiale siliceoi ma sì dimostra quale attributo dipendente dalla 
idiosincrasia e natura deirorgauisroo. Cosi su una tale ben marcata e co- 
stante clifferenza potrei a buon diritto costituire una specie nuova, mentre 
mi sarebbe agevole cosa il portare avanti più esempi di specie stabilite da 
distinti Micrografi, che mi precedettero nello studio delle Diatomee, le quali 
specie precisamente vennero stabilite su resistenza di simili denticolazionij^ 
o ancbe su differenze di minore importanza. Però l'accordo perfetto il quale 
riscontrasi nella forma dei frustuli e della superficie di congiunzione, nel- 
Tapparenza granulata delle valve e del cingolo, e nella disposizione binaria 
e più raramente ternaria delle cellule individuali sembra persuadere come 
più consentaneo a ragione che la Diatomea sottoposta ad esame debba essere 
riguardata come appartenente alla medesima specie della M. Borrerii. Ma 
a distinguerla della specie Grevilleana, come quella che ne differisce real- 
mente per la costante presenza dei denticuli su la superficie valvare dei 
quali mostrasi irta specialmente nella parte convessa^ ritengo che ciascuno 
reputerà conveniente il designarla quale varietà della succitata specie. Quindi 
la Diatomea da me pescata nel Canale di Traù in ricchissima raccolta deve 
essere nominata Atelosira Borreriij Grev. hispida, nova varietas. Aggiungerò 
ancora che avendo ritratto con la fotomicrografia alcun frustulo di questa 
nuova forma, nella projezione dell* immagine ho potuto contare le file di 
punti che in serie quadrate ne ricoprono la superficie. Cosi il numero delle 
file o ranghi di punti li ho contati isoo al millimetro , mentre i denticuli 
vedonsi sparsi regolarmente alla distanza di alcune file di punti. 

Terminerò questa mia breve nota con ricordare di avere io di nuovo in- 
contrato questa stessa varietà della M. Borrerii sul litorale di Fano nella 
scorsa estate ; non ne rinvenni se non che pochi filamenti, nei quali però 
mi era dato constatare con ogni certezza la presenza costante della denti- 
culazione su la superficie convessa degli individui concatenati. Cosi siamo 
fatti certi che questa forma vive nelle acque salse delFAdrìatico ; e che per- 
ciò la raccolta che io feci a traverso la corrente delle copiosissime sorgenti, 
le quali incanalate si scaricano nello stretto di Traù non erano avventizie, 
ma proprie del luogo e cresciute nellacqua marina sotto 1* influenza dell'af- 
flusso delle acque dolci^ il quale afflusso al presente conosciamo giovare gran- 
demente al rigoglio delle Diatomee. 



~ 327 — 

EQUAZIONE DELLA LINEA GEODESICA 
CON QUALCHE APPLICAZIONE 

NOTA 

DI MATTIA ÀZZARELU 



i. JLia linea la più brève che congiunge due punti di una data su- 
perficie h chiamata linea geodesica. 

2. La determinazione delle equazioni della goedesica tracciata sopra una 
superficie qualunque suole farsi dipendere dalla teorica delle variazioni; pe- 
raltro mi sembra che tali equazioni si possano stabilire partendo dalla sem- 
plice cognizione della condizione dei massimi e minimi ordinari, ragionando 
ed operando come segue: 

3. Sia la superficie 

ed a partire ia questa da un puato A fino ad un altro punto B sia 

AB«f 

« 

Tarco della linea compreso tra questi punti. Ora fra tali punti si possono 
intendere condotte quante linee si vogliano, le quali si trovino sulla super- 
ficie medesima, tra queste ci proponiamo assegnare quella della minima 
lunghezza. 

4. Per r elemento di qualsivoglia curva abbiamo 

d^' « dx^ + d^' + dz* 
che porremo sotto la seguente forma " 



-•'-'[m^m^im 



e fatto, per comodo. 



àx , djr dz f 



— 328 

avremo 



As^às^x'^^y^ ^z'^ 



e quindi 



i As v/a:'*+y* + z" + C 



Ora quest* arco deve essere della minima lunghezza; a tal fine^ designando 
per C9 una quantità infinitesima ed arbitraria si diano ad x\ y\ z\ gV in- 
crementi 

(ù àx , (ò d^', 0) dz'' 
e cosi avremo^ per l'arco s minimo^ 

f [(a:' + tódx)%(;^' + c^;r')V(z' + a>dz')*> d ^ - ((x'* 4- j'' + z' *)' d^ > 
ovvero sviluppando i quadrati e quindi in serie sarà 



/[ 



' 2(ùX^dx' +ft(ùr'dr^-h2oi z Az « rwl i 

^ ^ + w' H I dj 



(a:'' +y^ ^ zy 



nella quale JI rappresenta il complesso dei termini che sieguono. Essendo a> 
infinitesimo h chiaro che il segno della serie è quello che compete al primo 
termine : ma questo contenendo u alla prima potenza muta segno con que- 
sta quantità : dunque affinchè il risultato sia costantemente positivo è ne- 
cessario che abbiasi 



(x^ dx' + y dy + z d2 \ ^ f a M j 

' -^ -^ I d j « , I 0) H d J > 

Ora gì, ds non possono essere nulli, dunque dobbiamo avere 

x^ dx +y d;^' + 2' d;5' « ; 

nella quale sostituiti i respettivi valori per x'j j^ z\ risulta 

dx ^ dx ^y ;t 4r ^^ j ^^ 

d^ ds ds * ds ds ' ds 



— 329 
ovvero ' moltiplicando per ds, 



Dalla (i) differenziando deduciamo 

dj^r -r^ + dr -r^ + dz -~ = (3) 

àx ^ àjr dz 

Se tra queste due equazioni eliminiamo dz otterremo 

L dJ * di " dj^r ' ds j Ldz ' ds djr ' ds J "^ 

ed essendo x, jr indipendenti, questa equazione deve verificarsi per iden- 
tità, onde le due seguenti 



d/ djf ^ j ^ 
dz ' ds - dx ' ds 



dz ds djr ds 



i*) 



Queste equazioni avendo luogo pel caso nel quale l'arco s della linea 
tracciata sulla superficie (i) tra due dati punti, è un minimo, dunque le 
Xj /, z non valgono che per quei punti i quali compongono essa linea, e 
perciò queste equazioni sono quelle che rappresentano la geodesica. 

Lorquando h data la superficie particolare si conoscono le derivate 

dx djr dz 

in funzione determinata delle coordinate, onde sostituite nelle (4) tali fun- 
zioni per mezzo della integrazione otterremo la linea della minima distanza 
fra 'due punti, o la linea geodesica. 

5. Dalle equazioni (4) si ricava facilmente che il piano osculatore della 
geodesica, e la normale alla superficie sulla quale h tracciata la geodesica 
si confondono. 

43 



— 330 
Di fatti dalle (4) abbiamo 



^ é^ ^ // d/ V / ^/ \' / «J/ V "^ ' 

d^ dr d^ Vld^/ * {'¥) * Idjj 

ove M, N rappresentano i valori dei radicali; da queste ne seguono 

d/ N,dx^ N.^^^ iL^^ M 

d^ " M" "*• d7^ d^ "^ M d^ ' Az^ U"^' As' ^*'- 

Ora rappresentando per X, fx^ v gli angoli che la normale alla super- 
ficie (1) nel punto di coordinate x ^ jr ^ z forma coi tre assi abbiamo» 
come è noto. 



cosX 



Ax 



Ay 

COSfA - ^ = (6) 

ÈL 

àz 



e sostituendo in queste i valori delle derivate datici dalle (&) otteniamo 



, Ax 

^ QS 

COSA «=. -===-=^=..=^ 



vm^H)'^{-'i) 



— 331 — 

às , V 

COS/x = , _ (7) 

COSV «a ; 

ma i secondi membri delle (7) rappresentano i coseni degli angoli fatti 
coi tre assi coordinati dalla normale ad una curva, cioè dalla retta che 
è intersecazione nel punto x^jr^z del piano osculatore col piano normale; 
dunque il piano osculatore della geodesica fc normale alla superficie. 
6. Se l'equazione della superficie è di forma esplicita 

essendo allora 

àz — r- dj: - -r^ « 

ax Qjr 

porremo, come suole farsi comunemente 

dz d/ d^ d/ 

^ dx dx ' ^ djr ' Ay 

ed allora le (4) si mutano in 



^ dx ^ dz 

d. v- -*-p d. -T-* 
df ^ d^ 



A ^y A ^ 

^- d7 "^ ^- d7 



(8) 



7. Quando venga data qualche famiglia particolare di superficie può di- 
mostrarsi qualche proprietà che convenga a qualunque geodesica tracciata 
sopra di queste superficie. 



— 332 — 

Consideriaiuo pertanto la famiglia delle superGcie cilindriche rappresen- 
tate dalla equazione a differenze parziali 

ap -^hq ^ i 

ove 

àz àz 

^ dx^ " djr 

ed a, b sono le tangenti trigonometriche degli angoli che le projezioni 
della retta generatrice sopra i piani coordinati zx, zy formano coir asse z. 
Si dicano a, 13 > 7 gli angoli che la retta generatrice, parallela ad un 
piano dirigente» forma coi tre assi coordinati, avremo 

cosa - C0Sj3 
cosy ' cosy 

e perciò T equazione delle superficie cilindriche si muta in 

p cos« + q cosp =a cosy : (9) 

sostituendo in questa i valori di p^ q dedotti dalle (a) otteniama 

5" 



cosa. d. -r— •♦- cosp d. -r^ + cosy d. -r— « (10) 

ds ds ae 



la quale ci fa conoscere che: 

La normale principale della geodesica è in ogni punto perpendicolare 
alla generatrice la superficie cilindrica. 

a. Supponiamo che la geodesica venga considerata come una evoluta^ ve- 
diamo di riconoscere su di quale superficie si debba trovare la sua evolvente. 

A questo fine sieno 

x^jr, z 
le coordinate di un punto della geodesica, ed 

quelle del puntg corrispondente nella evolvente. 

È noto che la normale alla evolvente h tangente alla evoluta « e nel 
caso attuale alla geodesica*: dunque si rappresentino con 



— 333 — 
gli angoli che tangente la geodesica forma coi tre assi, avremo evidentemente 

COSX COSfA cosv 

Ora rappresentando per s larco della geodesica compreso tra nn panto 
fisso e r altro di coordinate x^ f* z^ e per e una costante avremo ancora 



^-^i r-^i g-g 



cosX cos/x cosv 



i « J + e (il) 



Ma abbiamo ancora 



dx dr dz 

cosX e -7- : cosu « -7^ » cosv » -7- 

d^ d^ - d.r 

dunque dalle (11) deduciamo 

dj? 

^ (i2) 

a, « 55 - (^ + C) -jj 

le quali differenziate danno facUmente le seguenti 

dx 



(13) 



dXj^ « - (^ + e) d, , 

dr. •= - (^ + ^) d- a7 

dz, - - (^ + e) d. jj 

Ora moltiplicando queste tre equazioni ordinatamente per 

cosa» cos^, cosy 

e sommando otterremo 

[Ajf^ dir nz T 

cosa. d. j- + cos^, d*^+ cosX d. rj I 



— 334 — 
che per la (io) si riduce a 

àxi cosa + d^, cos^ •*• ézi cosy « o 

onde 

x^ cosa -^jr^ cosP ^ Zi cosy = C 

che rappresenta un piano perpendicolare alla retta generatrice del cilindro. 

Di qui risulta che la evolvente di una linea geodesica tracciata sopra 
una superGcie cilindrica h una linea piana situata in un piano perpendico- 
lare al piano dirigente la linea generatrice esso cilindro. 

Se determiniamo la costante nella condizione di 

troveremo 



onde il pian passera per T origine delle coordinate sarà 

J?, cosa + j'i cos|3 + z, cosy = o. 

Se ora diciamo p la distanza che corre tra i due punti corrispondenti 
Xj jTj z deirelica, ed x^^ 7*2 » Zi » del piano, avremo 

ove sostituiti i valori che per queste differenze ci sono date dalle (12) troveremo 



i^^(s-^c) 



'im^m^im- 



ma essendo 



ne siegue 



dx^ + d^* + dz' « d^' 



(^1"^ (*)'<£)' 



1 : 



dunque 



i ca J + e 



— 335 — 

9. Gli angoli die la geoeratrice il cilindro forma coi tre assi hanno per 
coseni 

cosff, cosjSy cosy; 

e r elemento d^ della geodesica che passa pel punto jo^jr^z forma coi 
medesimi assi gli angoli i saoì coseni sono rispettivamente 

da: dj dz 
ds ds ds 

dunque designato per <p T angolo che T elemento della geodesica forma colla 
retta generatrice abbiamo: 

da: dr ^ dz 

cos^ » -j- cosa + -p cosp + -^ cosy 

ma integmta la (io) risulta 

djo dr dz 

-p- cosa + 7^ cosfl + -r— cosy = k (i4) 

d^ ds ds ' 

essendo k una costante : dunque 

cos<p «A: (u) 

e perciò la geodesica tracciata sul cilindro incontra tutte le generatrici sotto 
il medesimo angolo. Di qui risulta che Telica cilindrica è una linea geodesica. 

10. Pel punto 

delia geodesica immaginiamo una generatrice del cilindrico, e nel tempo stesso 
un piano perpendicolare ad essa generatrice^ e quindi dalKorigine delle coor- 
dinale si cali su dj questo piano una perpendicolare , questa h ttecessaria* 
mente parallela alla generatrice, onde forma cogli assi coordinati gli angoli 
^ 9 |3 9 y ^ perciò l'equazione del piano è 

X cosa +^ cos^ + z cosy « /, (l6) 

ove / rappresenta la lunghezza di essa perpendicolare. 
Differenziando la (le) e dividendo per ds h 

djc df ^ dz d/ 

-7— cosa -H -T— cosp + -T— cosy « -r- 
d^ . df ds ds 



— 336 — 

e COSI per la (u) 

cU , 

ds ^ 

della quale 

d/ a A: ds ed integrata l ^ ks -^-c (il) 

e determinata la costante in modo che per / » /i , sia ^ « o » troveremo 

/ « /, , -^ ks . 

Dunque la geodesica tracciata sopra un cilindro h rettificabile. 

il. Se qui poniamo che il cilindro sia retto, il piano nel quale giace la 
evolvente della geodesica, è quello coordinato delle xjr , essendo per questo 
caso l'equazione della superficie delle forma 

ne dedurremo 



A-8^, fy^^T^ f.^o. 



Ora dalle (13) abbiamo 



d^"='^cb;**dr"d^d^ 

dz, - dz .do: d/ d/ 
dj:, ' dj * * dj dz ' do: 



e quindi 






Ma dalia equazione della superficie abbiamo 

dr X . ,. dr, dx 

^=--. e quindi ^=-^ (18) 

Dunque la tangente al circolo base del cilindro è normale nel punto cor* 
rispondente alla evolvente. 



„ 337 ~ 

12. Prenderemo ora a considerare una famiglia di superficie che derivino 
dalla ruotazione di una linea intorno Tasse della z , e V equazione di essa 
espressa da derivate parziali è 

qx^py. (19) 

Si sostituiscano in questa i valori di py q dati dalle (s), e risulterà 

xd. -j^ -r d. ^ «o 
d^ -^ d^ 



ed essendo 



4r 



J- dj: àx r . dx 



otterremo per l'equazione della geodesica sopra una superficie di rotazione 
la seguente 

X djr --jr dx^c ds (20) 

nella quale e rappresenta la costante della integrazione. 

11 primo membro può ridursi ad una espressione monomia, ponendo 

X = r cos (p , ^ B= r sen 9 

perchè essendo allora 

dx « dr cos cp - r d<p sen <p ; d^ = dr sen <p + r d^ cos <p 

troveremo 

X djr - jr dxf'^r^ d^ 

onde la (20) diverrà 

r* d^ « e dj , (21) 

e qui h necessario avvertire che nel ds si contiene dz. Quest'ultimo risul- 
tato ci prova che l'area descritta dalla projezione del raggio sul piano xjr 
cresce proporzionalmente all' arco d^ della linea geodesica. 

13. Per farne una applicazione si supponga che la superficie data sia un 
paraboloide di rotazione intorno Tasse delle z » onde la sua equazione sia 

44 



— 338 — 
x^-^jr^^pz (22) 



ovvero 



r^mpz 



servendoci della stessa sostituzione. 
Essendo ora 

ds* « dx* + dj» 4- dz* 

si esprimano do: , d^ , dz in fuazione delle nuove variabili r , <p e troveremo 



d^*» /^J^^dr*+rV 



(«3) 



la quale deve coesistere con 

r* d<p = e dj : 

se in queste elimioeremo df troveremo una relazione tra ^ ed r , e quando 
venga eliminata d^ ne sorgerà una relazione tra r e (p; 

14. Pel primo caso , onde valutare Tarco della geodesìca, porremo 

r' df tì* ■ ■ 
r* 

ed avremo per la (23) 
dalla quale 



^-^ \/r^ 



e fatto r « yi^ sarà più semplicemente 



1 Av ^ I V -^ a 



(»*) 



poneodo a, & in luogo di /?*, e' 
Integrando sarà 



'"-^/*'\/Ht*«' 



e ponendo 



V •■ 



14* -I 



— 339 — 

si troverà 

, 2 {a -^b) udu 

e quindi l'espressione razionale 

fu* àu 

ps^ia^b) J ^-5_j + C. (25) 

Integrando per parti avremo 



/ii^ du u I r ^^ 



ma per i noti metodi abbiamo 



onde 



Ju^ du u i 1 Z'* " *\ 



e per la (25) avremo 

ove sostituiti per u^ a^ b \ loro rispettivi valori avremo per l'arco della 
geodesica dato in r 

e posto che ad r a e corrisponda x «> o, avremo 

is. Se venga eliminato As troveremo facilmente 

e " r V r' - e' 
che può essere posta sotto la seguente forma : 



p df dr p + r 



— 340 — 
la quale si decompone nelle due seguenti : 

, àr 

e quindi 

àr 
PJ , C r^ /. , rdr 

Per la integrazione della prima parte porremo 

e e dr , 

— « cosfl , — — =• dfl sen(? 

r r* 

onde 

dr 

d9 cosd 



f . f 



9 



e fatto 

p senfi = a ^c*-»-^*, de cosfi = du ^ 

avremo 

dfi cosfi 1 r dtt i . 

— / , I ^ ■ « — I , « - — Are. sen (= w) 

e yd' + ^' - ^^ sen* e pc j vT^ y^c 

e quindi 

J de costì i , / psenS v 

— /a a . a " — Arc. sen ( =» 7=i==5 I- (28) 

Per integrare la seconda parte della (27) porremo, come altrove 

r =(;, a^ p , b ^ e 

e così Sara 

r r dr ^ r àsf 

ove fatto 

flM* ■♦- fe - - 2 (a '^ b) u ^u I, ' 7-n (a + 6) a 

i' = r > on<l« <1^ « -^ -M — » e vCi' -^ a) iy-h)^ t- 



— 341 — 
otteniamo 

Sostituendo ora nella (27) risulta 

^ - ^ Are. sen (- ^S=\ h- I logVv^!2jLV^Z?ì , C 

e perchè 

sene - — ^ r* ^c* 

r 

avremo in fine 



M 



Per assegnare il valore della costante C supporremo che ad r = e corri- 
sponda f « 0, e così troveremo C « o , onde 



9 = Are sen ( <= f , I + — log I ^ . 1 



(30) 



Dunque tanto T arco della geodesica tracciata sul paraboloide di rivoluzione, 
quanto Tangolo f, sono funzioni trascendenti della r e quindi delle varia- 
bili indipendenti x , jr perchè abbiamo 



r* e X* -^jr^. 



Ora essendo 



9= Are. cos (e» . ì « Are sen {« ,— \ 



ne siegue che Tultima equazione ci rappresenta la proiezione della geode- 
sica sul piano ^y e perchè al tempo stesso questa equazione ci rappresenta 
un cilindro coesistente col paraboloide ne siegue che le (22) (30) danno la 
goedesica. 



— 342 — 

SULLA SORGENTE DELL'ACQUA ANTILITIACA 
DI ANTICOLI - (CAMPAGNA) DENOMINATA DI FIUGGI 

NOTA 

DEL PROF. AUGUSTO STATUTI 



T 



ra le molte acque minerali delle quali si giova V Idroterapia moderna , 
non è certamente alle altre seconda pel credito che presentemente gode 
appo noi r Acqua Anticolana, celebrata fin da secoli indietro (i) per la sua 
speciale virtù nelle affezioni calcolose delle vie orinane. 

Il Villaggio di Atlticoli già antica terra degli Ernici (2) situato pros- 
simamente a i5 chilometri a maestro di Alatri ed a it chilometri a set- 
tentrione di Anagni si erge sopra una collina che occupa uno degli estremi 
del gran bacino lacustre noto ai geologi sotto il nome appunto di bacino 
di Anticoli ed è costruito iateramente sopra una roccia calcare ad ippuriti 
(3). A piedi di questa collina procedendo verso mezzogiorno neirinsenata di 
una gola (4) formata da due ripide scarpate, ricoperte di fiorente vegeta- 
zione boschiva sorge la rinomata acqua minerale conosciuta sotto la deno- 
minazione di Act/ua di Fiuggi. 

I diversi scienziati che in differenti epoche hanno tolto ad esame questa 
sorgente (5) e che più specialmente si sono occupati di designare la prò- 

(1) È indubitato che le acque di Anticoli ebbero rinomanza per la loro portentosa azione 
fisiologica fin da tempi assai remoti: ma è inesatto che Plinio abbia tenuto proposito di queste 
acque, come leggesi nella memoria pubblicata nel 1850 dall'esimio Prof. Chimenli; il quale é a 
ritenersi cadesse in questo equivoco per non avere interpreirato a dovere una citazione del Co- 
luzzi. Plinio citò bensì come antilitiache talune sorgenti, tra le quali una in Ischia ed altra esi- 
stente in Francia; ma a lode del vero non fece menzione alcuna della sorgente Anticolana. Così 
ò egualmente inesatto che TAverrobis e l'HoUerio ricordati del precitato Cbimenti e dallo Zampnli 
(nella guida dell'acqua di Fiuggi) abbiano parlato dati* acqua suddetta. 

(2) Il paese di Anticoli infeudato fin dal secolo XVI ai Principi Colonna, conta presente- 
mente 2000 abitanti e fa parte della Provincin di Roma •- Circondarlo di Prosinone. 

(3) Possono osservarsi magnifici esemplari di questi avanzi organici della specie HSppnritei 
curva Lk. nel paramento in pietra lavorata dei pilastri che ornano l'ingresso principale dello 
stesso Anticoli. 

(4) L'estremo inferiore di questa gola era fino a pochi anni indietro ricoperto dalle acque 
di un taglietto artificiale ora prosciugato: nel quale affluivano i sopravanzi dell'acqua del fonte di 
Fiuggi ed altre sorgentelle più basse che parimenti si credono dotate air incirca delle stesse pro- 
prietà della fonte suddetta, quali piccole sorgenti si disperdono ora nei fossi. 

(5) Bibliografia degli autori che hanno trattato dell'acqua di Anticoli: 
Dacci Andrea. — Da Thermis. 



— 343 — 

prieta terapeutiche della medesima per quanto io mi sappia, hanno circos* 
critto i loi*o studj tassativamente sul corpo di acqua sgorgante dal bocca- 
glio della fonte suddetta. 

Avendo peraltro prese notizie sopra liiogo in ordine al modo con cui u 
detta acqua era stata raccolta ed incondottata, mi fu dato agevolmente venir 
in cognizione che la medesima proveniva da un regolare manufatto di 
presa, che mercè la cortesia dell'Onorevole Sindaco di Àntìcoli Sig. Pietro 
Falconi^ potei a mio beli* agio visitare; e poiché a seguito di questa ispe- 
zione ebbi luogo a constatare alcune circostanze di fatto che possono 
avere un tal quale interesse speciale per ciò che si attiene alla natura 
di questa sorgente, mi accingo ad estenderne un succinto ragguaglio. 

La principale osservazione che in occasione della visita alla ricordata botte 
di allacciamento mi occorse disfare si fu che questa rinomata acqua non 
derivava già da una polla come da taluno dei scrittori di quest* acqua 
erasi asserito, ma sibbene risaltava dalla riunione o dirò meglio dall'arti- 
ficiale associazione di quattro distinte vene affatto fra loro separate ed in- 
dipendenti; le quali pullulano in un terreno tenace (porcino) che local- 
mente chiamano tasso*, formando una specie di fango al quale grindigenì 
attribuiscono pure una lai quale medica virtù per alcune speciali sofferenze. 

11 fondo di questa botte, a livello del quale s'innalzano le sorgenti, si 
trova attualmente a circa Met. 3. io sotto il piano della strada che conduce 
«Ha Fonte situata pochi metri a valle del ridetto mauufatto. (s) 



i^*i" 



Petronio Alessandro. 

Colutii Fraocisci Velitemi, medici ac philosophi in almae Dfbis Gymnasio profeasorì De quaere- 

lis nephriticis ex renum et fescicae calculo. 
Gan^emi Rev. P. Fr. Fraacisci. — De mirificis qualitatibus Aquae Àntìcoli in Campania. 
Colajanni Mons. Vescovo. 
Dottor Lucarelli. 
Dottore De Andreis. 

Cbimenti Dott. Francesco: Osservaiioni pratiche dell'acqua di AnticoIi detta di Fio^^gi. 
Zamputi Dott. G. Guida all'acqua di Fiuggi, 
Scalli Dott. Francesco: Memoria sull'acqua di Anticoli e del loro vantaggio contro i calcoli 

orinar] 
Gamberinì -^ Idrologia minerale dello Stato Romano. 

Marìeni Cav. Dott. Lniffi. — Notixie sulle aeque minerali del Regno d'Italia e (paesi limitrofi. 
Statistica del Regno d'Italia. — Acque mtnercili. 
Dottor Barbieri 

Perone : Diiionario universale topografico storico fisico-chimico terapeutico delle acque minerali 
Stefani. --* Diiionario coreografico dello Stato Pontificio. 
Guida alle acque minerali eo ai Bagni d'Italia per L. If. 

(6) Vuoisi avvertire che nella volta del manufatto di presa si scorgono tuttora dei residui di 
antiche condottare murate ad un allena di circa Met. 0. 80 «al livello attuale delle vene, ciò 
che indubitatamente dimostra che una volta, se non tutte» talune almeno di queste vene sgorgava 
ad' un livello superiore a quello presente. 



— 344 — 

Le quattro suindicate sorgenti conservano fra loro una distanza media di 
circa Met. i. 50 e formano quattro distinte pescolle cui intestano altrettante 
cunette murate in laterìzio, le quali poi fanno capo ad un canale collettore, 
destinato a convogliare le acque delle quattro vene insieme riunite, al boc- 
glio (7) della fontana di Fiuggi. 

Constatato pertanto che il getto di questa fonte rappresenta T aggregazione 
di quattro distinte sorgive, non essendo nuovo in Geologia il fatto della 
coesistenza di parecchie vene in un dato luogo, le quali tuttoché sgorganti 
a poca distanza fra loro ed anche talora sotto un medesimo livello tro- 
vansì poi in fatto costituite da principii differenti (s) fu mio pensiero di 
indagare se nel caso concorressero o no in ^s&e sorgive se non altro gii 
identici caratteri esteriori. E primieramente in quanto al colore, osservai che 
le suddette quattro vene sono egualmente limpide ed assolutamente incolore 

Non così per ciò che riguarda il sapore, dappoiché nella prima polla, 
meno ricca delle altre in volume, ebbi luogo a rimarcare un leggerissimo 
sapore ferruginoso mentre l'ultima presenta uu gusto alquanto acidulo, 
essendo poi le due intermedie affatto insapore. 

Esplorata quindi la temperatura delle dette quattro vene (9) potei sta- 
bilire che la prima (entrando a destra nella Botte) 

segnava . . . 14? so Gentig. 
la seconda . . 12? so » 



(7) Una buona porzione dell'acqua proveniente dalla quarta vena, a mezzo di una separata con- 
dottura unitamente all'acqua reflua della fonte di Fiuggi fa ad alimentare direttamente un lava- 
tojo pubblico ed un beveratore per bestiami costruito non «ha guarì inferiormente alla fontana sud. 

(8) A comprova di ciò volendo pur addurre uno fra i tanti esempi che si potrebbero citare, mi 
limito solamente a ricordare il notissimo stabilimento Idroterapico in Castellamare di Stabia, ove 
in una ristretta zona di 15 Metri di perimetro scaturiscono a piedi del Monte Aureo non meno 
di sette sorgenti contenente ciascuna diverse facoltà medicinali. Queste acque sono conosciute sotto 
il nome di 

Media 1. e 2. 

Solfurea ferrata. 

Solforosa (della Grotticella), 

Ferrata del Pozzlllo. 

Salino Acidula iSpaccatella) 

Solforosa (di S. Vincenzo) ' 

Ferrata nuova. 

In occasione dei scavi, che con molta intelligenza ed alacrità stanno presentemente eseguendosi 
nelle antiche forme Romane delle acque Salino Solforose dette della Ficoncélia in quel di Civita 
^ecchia, presso una polla di acqua termale si è scoperta altra polla di acqua minerale assoluta- 
mente fresca. 

(9) Il rilievo della temperatura delle sorgenti venne eseguito alla ore S am. del giorno 13 Set- 
tembre 1877. 



— 345 — 

la terza . . 13? oo » 

(io) la quarta ... 13? 10 » 

La temperatura poi dell'acqua al boccaglio della fontana risultò 
di 12^80(11)9 lo che comprova che l'acqua di Fiuggi nella scala termome- 
trica delle acque minerali va considerata nella categoria delle sorgenti 
fresche e non fredde (i2). 

Debole in genere è l*eflfervescenza notata in ciascuna delle polle; effer- 
vescenza dovuta senza meno alla presenza dell'acido carbonico libero, come 
ne fa fede l'analisi eseguitane come dirò in appresso; tuttavia a parità di 
volume di acqua ebbi luogo a rimarcare che il quantitativo delle bollicine 
gazzose nella prima e neirultima, ma segnatamente nella prima, era assai 
maggiore che nelle altre intermedie. 

' Finalmente in quanto ai sedimenti; ninna traccia di materie depositate ap- 
parisce nb entro i bacini delle sorgenti, né tampoco entro la tazza o sulle 
pareti della fontana. 

Riassumendo pertanto i suindicati elementi e senza entrare nel campo 
delle discussioni teoriche intorno alle cause dalle quali può ripetersi la mag- 
gior freschezza o caldezza delle acque, posta la differenza di temperatura 
che esiste nelle dette quattro poUe^ la diversità di sapore e il diverso grado 
di effervescenza che taluna di esse presenta^ sembrami possa a buon diritto 
concludersene che le ^ anzidette sorgenti anche nella chimica loro composi- 
zione devono probabilmente tra loro differire. E quindi a complemento dei 
studi analitici (dei quali più sotto terrò proposito fatti dall'esimio Prof. Ratti (i3) 

(10) Pretendesi dagli Anticolani che la temperatura della sorgente di Fiuggi cresca ueirin* 
Terno e diminuisca invece neir estate! In difetto di osservazioni precise non intendo per mia parte 
appoggiare questo fatto che sarebbe interessante di ben verificare: qnantunque in genere io dirida 
l'opinione esternata dal eh. mio collega Prof. Stefano Derossi (Veggansi Atti dell'Accademia Pon- 
tificia dei nuovi Lincei, Anno XXX, Sesione VI del 27 Maggio iS77) e Icioè che poco nulla 
deve essere l'influenza immediata della temperatura dell* aria su quella dell'acqua. 

(li) Giova avvertire che il volume dell'acqua fornito dalle quattro sorgenti non è eguale in 
ciascuna di esse. . 

(12) Per norma credo opportuno soggiungere la scala termometrica per le sorgenti minerali 
ora comunemente adottata. 

Sorgenti fredde sotto 12* 00 

fresche dai 12* ai 14® 

naturali dai 15* ai 18* 

tiepide , . . dai IQo ai 25* 

calde . , dai 24* ai 50<> 

caldissime sopr|i 50<> 

(13) Veggasi memoria del Prof. Scalzi già superiormente citata. 

45 



— 346 — 

sull'acqua sgorgante àMsi Fonte di Fiuggi^ la quale come si h detlo> rappre- 
senta il miscuglio di quattro distinte sorgenti, onde tentare di viemmeglio 
stabilire le intrinseche qualità della medesima, da cui senza meno devono 
poi ripetersi i salutari effetti fisiologici ohe incontestabilmente si verifica- 
no in coloro che soffrendo di affezioni calcolose fauno uso di quest^ acqua, 
sarebbe utile a mio avviso di procedere eziandio all'analisi parziale di eia* 
scuna delia ridette sorgenti; tanto più che il risultato di questo lavoro 
potrebbe porre in chiaro quale delle enunciate quattro vene sotto il rap- 
porto terapeutico dovesse all'altra essere preferita. 

In aggiunta agli elementi come sopra forniti intorno alla nostra acqua 
unisco altresì un cenno sulla portata delie dette sorgenti. 

11 volume di acqua sgorgante al boccaglio della fontana, d' appresso i ri- 
lievi da me assunti li 7 Settembre 1877 epoca di straordinarissima siccità, 
ammonta a Litri o 4i per secondo. Tenuto calcolo peraltro della quantità 
proveniente dalla quarta vena che va ad alimentare direttameute, siccome 
fu detto, (Veggasi nota N. 7) il pubblico lavatoio miserato in litri 0. fO 
per i'^, nelfassieme si può stabilire che la portata delle quattro sorgenti sia 
di litri 0,61 per i" ossia di oncie 2. 60 (Modulo Felice o Paola di Roma) e 
qonsequentemente che lo scarico delle ridette quattro sorgenti in ÌA ore rag- 
giunga un volume di Ettolitri sti. 04 (14) volume che nelle stagioni inver- 
nali si può considerare quasi triplicato, per quanto consta da informazioni 
assunte sopra luogo da persone degne di fede. 

Per quanto poi si riferisce alla composizione chimica di qoest' acqua, l'analisi 
qualitativa iniziata gik dal Ch. Prof. Viale di illustre memoria completata 
quindi, come si disse, dell'esimio Prof. Ratti ci rivela chela medesima contiene 

Aria 

Acido carbonico libero in piccola dose (1$) 



(14) Non si comprende come il Zamputi (Vengasi memoria citata nella nota N.5,) abbia potato 
enunciare la portata in 24 ore della sorgente di Fiuggi in Ettolitri 13,520 assegnando a questa 
portata il mese di Luglio, dappoiché, ammesso pure che nel mese di Settembre le tene acarseg-* 
gÌBO assai più che nel Loglio, e tenuto calcolo altresì della straordmariMima siccità che regnava 
ovunque nella Provincia Romana nel Settembre dell'anno decorso; cionostante la differenza tra 
le due cifre risulterebbe troppo esagerata: lo che insinua qualche dubio sulla precisione dei dati 
che servirono di base alle oalcolaaìoni del prelodato Prof. Zampu|i;eciòameno che non volesse 
ammettersi una sensibile diminuzione assoluta nel volume delle sorgenti, lo che peraltro è con- 
tradetto dai naturali del luogo. 

(15) Si disse già che l'acqua di Fiuggi nasce prossimamente nel fondo di un bacino lacustre 
e la presenza dell acido carbonico in essa acqua conferma appunto ({uesto criterio geologico ; da 
che è noto che le acque prendono quest'acido traversando terreni vulcanici, ovvero passando 
per terreni sedimentari ove ^queir acido si sviluppa per lenta decomposizione di materie organiche. 



— 347 — 

Blcarbonalo di calce (le) 
Cloruro di sodio 
Bicarbonato di f^rro 
Solfato di calce ] 
Nitrato di calce > Tracce 
Silice ] 

D'appresso questa analisi il prelodato Prof. Scalzi (i?) pur ammettendo 
che esista in quesf acqua una vera ed efficace operosità risolvente ed espul- 
siva fu costretto ad escludere in essa la presenza di qualsiasi sostanza 
mineralizzante proclamando semplicemente la detta acqua come un tipo di 
acqua potabile^ molto prossima all'acqua distillata. 

Per render poi ragione del modo col quale la detta acqua tuttoché de- 
stituita di sostanze medicinali, agisce efficacemente nelle affezzioni cal- 
colose, soggiunse cha tale operosità risolvente ed espulsiva debba ripetersi 
« dalla facilita di transitare nelle vie orinarie per leggerezza specifica, fre- 
» schezza e modica acidita ed in parte dall'az/o/ie meccanica di trascinare, 
)) bevuta in larga copia , quante materie solide incontri , e in parte dalla 
» facoltà dissolvente che è in tutte le acque povere di principii solidi. » 

In sostanza il Prof. Scalzi ricusa air Acqua di Anticoli una virtù pro- 
pria dissolvente, come del resto a sua dichiarazione si possiede dalla ri- 
nomata acqua di Yichy. 

Ora è appunto sopra questo concetto che mi è occorsa una seconda osserva- 
zione desunta dal fatto che categoricamente passo ad esporre. Alieno dall'entra- 
re nell'altrui campo, sopratutjo in materie alle quali mi dichiaro assolutamente 
estraneo, e protestando anzi ogni maniera di rispetto agli illustri scienziati 
che si occuparono dall'analisi suddetta, parmi ciononostante che possa pro- 
muoversi un qualche dubbio sulla negata azione specifica dissolvente della 
nominata acqua. 

A coonestare questo mio dubbio non ho che riferirmi ai seguenti rilievi. 

E notissimo non solo agli indigeni, ma ben anche a tutti i moltissimi 
forestieri che per ragioni di malattia annualmente accorrono con inconte- 
stato lovo vantaggio alla Fonte di Fiuggi-, (is) che quest'acqua intacca 

(16) Giova notare che il bicarbonato di calce fu ^ià riconosciuto dal Brugnatelli, siccome il fiù 
energico litolisico dei calcoli urici. Veggasi Pnrgottl, Analisi delle acque minerali di S. .Gemini. 

(17) Memori» citata sotto la nota If. 5. 

(18) A torto piacque al Marieni di screditare in certo modo l'uso sopra luogo dell'acqua di 
Fiuggi per difetto di alloggi in Anticolì, asserendo che gli uomini sono costretti adattarsi nel Gon- 
▼ento dei Cappuccini I e cbe le donne recandosi in quella terra non fi trovano agiol dappoiché 
posso attestare che sia per uomini sia per donne non incontrasi difficoltà ad ottenere comodi e 



— 348 — 

non leggermente e lentamente, ma sentitamente e rapidamente la pietra 
calcare, a modo da logorarla e consumarla in brevissimo tempo ed in pro- 
porzioni tali da mostrare all' evidenza che essa ha un azione intrinseca spe- 
ciale dissolutiva sulla pietra calcare. 

Io stesso ho avuto luogo nell'estate decorso di esaminare più volte il 
boccaglio della fonte di Fiuggi. (i9) formato da una grossa mensola di cal- 
care ippuritica ed ho potuto osservare nel medesimo oltre un logoramento no- 
tevole nelle pareti interne, una effettiva corrosione per ben più che due 
centimetri di lunghezza sul ciglio del boccaglio medesimo; corrosione che 
d' appresso testimonianze ineccezionabili potei in seguito constatare essersi 
prodotta nel breve lasso di soli tre anni circa; dappoiché il detto bocca- 
glio era stato rinnovato nel Luglio 1874, nella quale epoca il presistente 
boccaglio che rimontava a pochi anni indietro fu dovuto porre fuori d*uso, 
parimenti perchè era stato dall'acqua soverchiamente consumato. 
Ma non è poi solo sulle calcari che la nostra Acqua esercita la sua azione 
dissolvente, ma può asserirsi altresì che la spieghi egualmente sui metalli, 
come fu dato assicurarmene sopra una moneta di rame estratta in mia 
presenza dal fondo della ripetuta vasca di Fiuggi , quale moneta tuttoché 
evidentemente di conio non antico si rinvenne, per ogni senso riflessibil- 
mente corrosa. 

In presenza di queste osservazioni, in grazia delle quali resta ineecezio- 

^abilmente documentato, ciò che del resto era già noto a tutti gli antichi 

e moderni scrittori di quest'acque non escluso il Ch. Prof. Scalzi, e cioè 

che le medesime hanno la facoltà d'intaccare ""f or temente le pietre calcari 

ed i metalli, non pretendo già debba trarsene di legittima ed immediata 
conseguenza che tali acque debbano altresì agire con pari intensità nella 

vita intima dell'organismo sui calcoli siano urici, ossalici o fosfatici; dap- 
poiché non ignoro che la economia animale non può essere considerata come 
un laboratorio di chimica, credo peraltro in genere possa bensì dedursene 
che V Acqua di Fiuggi ha realmente in se una virtù speciale ed intrinseca 
dissolvente che dal menzionato illustre Prof. Scalzi sembra siale contrastata (20) 

convenienti aliogi nel detto ritlagio; nel quole anzi, a lode del vero, mi è grato di aggiungere 
che i forestieri sono accolti e trattati con ogni modo di urbanità e cortesia. 

(19) Il boccaglio da me ispezionato nell* Agosto 1877 non è quello che presentemente trovasi 
in opera alla fonte di Fiuggi. Il detto boccaglio che era naturalmente in aj^getto sul prospetto delia 
fontana si crede venisse spezialo (forse per inavvertenza con un colpo di barile od altro recipiente) 
in una notte del. Settembre decorso da taluno del villaggio di Acuto (prossimo ad Anticoli) che per 
penuria di acqua potabile in paese veniva a provvedersene a quella fonte. 

(20) Sulla fede dello Scialpi» l'Acqua Media di Gastellamare, che del resta non intacca minima- 



— 349 — 

Ne vale, almeao a mio avviso i[ ricorrere airanalogia dell'acqua distil- 
lala che attacca il vetro entro cui è talora conservata, dappoiché se da un 
Iato potrebbe osservarsi in contrario che l'azione corrosiva energica e sol- 
lecita dell'acqua di Fiuggi non si può affatto paragonare alla de.bolissiiia 
e lenta azione dell'acqua distillata^ dall'altro si fa poi rimarcare che l'Acqua 
Anticolana tuttoché per la sua purezza si approssimi all'acqua, distillata non 
può in sostanza certamente ritenersi per vera acqua distillata (ai). 

E qui mi cade in acconcio il ricordare che anche il ehiarissimo Prof. Pur- 
gotti tenendo proposito dell'acqua epatica ferruginosa di S. Gemini poco 
dissimile per la sua leggerezza dall'acqua distillata (al pari della Fiuggina) 
non esclude in detta acqua la facoltà di chimicamente sciogliere le materie 
che formano arenosi depositi in qualche parte dell'apparato urinario (22) 

Del rimanente non vi ha certamente chi ignori che qualunque acquaha 
la virtù per via meccanica d'intaccare le pietre « gutta cavat lapidem etc^ 
ma poiché qui non è il fatto di solcature o corrosioni prodotte dal lun- 
go lavorio di anni e dicasi anche in taluni casi di secoli, a seguito dei 
quali si veggono talora disgregate e corrose perfino le più dure roccie gra- 
nitiche, ma sibbene trattasi di una massa calcare in un brevissimo periodo 
di tempo notevolmente corrosa e consumata da un piccolissimo corpo di 
acqua; a mio debole sentimento credo possa concludersene che t\}Jts\! azione 
corrosiva deWacqua antilitiaca di Fiuggi é dovuta realmente ad un pro- 
cesso chimico, e dì conseguenza penso altresì possa ritenersi che quest'acqua 
tanto meritamente commendata nelle malattie dei calcoli orinari debba real- 
mente contenere in se una speciale virtù dissolvente, in grado se non su- 
periore al certo però non inferiore a quella della decantata acqua di Vichy. 

Che se all'esattezza di questo mio qualsiasiasi concetto si volesse con- 
traporre il risultato (d'altronde per me autoverolissimo) dell'analisi sopra- 
citata non avrei che a ripetere quanta già venne dichiarato da un illustre 
scienziato (23) , e cioè che « L' analisi chimica grandemente ci illumina 
» nel determinare T azione terapeutica delle varie acqur minerali^ ma dob- 
D biamo confessare che questa non è abbastanza spiegata dalle qualità e 
» quantità delle sostanze che contengono, n 

L . . _--- ___ - ■ ' ■ ■ ^-^ 

mente la pietra calcare, come quella di Auticoli, manifesta tutti i segni di possedere la facoltà 
dissolvente sulle renelle e sui piccoli calcoli. 

Vengasi ~ Scialpi — Terapia delle acque minerali di Castellamare di Stabia. 

(21) Alle falde del Bosco di Quisisana presso Castellamare sgorga un acqua potabile denomi- 
nata di S. Giacomo che molto si approssima all'acqua distillata; ciononostante la tazza di pietr 
in cui si versa la detta acqua non presenta traccia veruna di straordinaria corrosione. 

(22) Veggasi l'opera del Purgotti citata alla Nota N. 16. 

(23) Cav. Dott. Luigi Marieni. Opera citata — Nota N. 5. 



350 



COHUNIGAZIOm 



Armellini, Prof. Tito - Presentazione di un'analisi della nuova opera del 
P. F. S. Provenzali; ed alcune nuove esperienze sul telefono. 

De Rossi, Prof. Michele Stefano -.presentò airaccademia a nome ddi socio 
corrispondente eh. P. Alessandro Serpieri un opuscolo sul terremoto di Ri- 
mini del 18 Marzo 1875; e a nome deiraltro socio corrispondente eh. Prof. 
D. Ignazio Galli , una poesia dedicata alla cara e venerata memoria del 
P. Angelo Secchi. 

Sua Eminenza Rma il Sig. Card. Camillo di Pietro, Protettore dell*Acca* 
demia, apri Todierna sessione: e levatosi in piedi, e con esso rintiero corpo 
accademico, pronunziò un assai gradito discorso , col quale rallegravasi di 
trovarsi fra gli adunati come protettore dell'accademia. La quale protezione 
VE. S. prometteva operosissima ; e confidava sarebbe stata efficace a conso- 
lidare vieppiù r importanza dell'Accademia ed a svolgerne sempre meglio la 
già illustre vita scientifica. 

Dopo ciò il segi'etarìo die lettura del dispaccio dell'Emo Card. Segretario 
di Stato a lui diretto in risposta alla comunicazione fattagli dal medesimo 
delle deliberazioni accademiche relative alle nomine di parecchi uffici, onde 
ottenerne la sovrana approvazione. Nel detto dispaccio viene espressa la So* 
vrana conferma della nomina del Presidente sig. Comm. Alessandro Ciaidi; 
dei due membri del Comitato, con deroga allo Statuto accademico § il del 
titolo lir. Prof. M. Azzarelli, Conte Ab. F. Castracane ; dei censori sig. Prin<- 
cipe D. B. Boncompagni, P. D. Chelini, P. S. Ferrari e prof. A. Statati j del 
tesoriere Conte Ab F. Castracane, e del socio corrispondente eh. sig. Prof. 
Nicola Breithof. 

Il nuovo presidente occupato il suo posto d'onore alla destra dell'Emo 
Card. Camerlengo, pronunziò dapprima alcune brevi parole di ringraziamento 
al medesimo per avere onorato l'Accademia di Sua presenza ; lo che egli 
si augurava che sarebbe per essere spesse volte ripetuto : e più ancora rin- 
graziava TE. S. dei sentimenti espressi a favore dell' incremento che au- 
gurava all'Accademia sotto la sua protezione. Lesse quindi il seguente discorso: 

Illustri ed Onorandi Colleghi 

« Vi è noto abbastanza, per le mie esplicite dichiarazioni fatte a parecchi 
tra Voi, quanto io reputi le mie forze inferiori all'incarico di cui avete vo- 
luto onorarmi, sicché vorrete credermi senza difficolta allorché afiTermo averlo 



— 35< — 

io accettato unicamente per deferenza alla vostra unanime volontà , e per 
dare una prova solenne del mio sommo interessamento per le cose di que- 
sta nostra Accademia, alia quale mi pregio appartenere da una serie d*anni 
ben lunga. 

Soltanto queste considerazioni hanno potuto farmi sormontare la grandis- 
sima esitanza da me provata al pensiero di trovarmi assiso sul seggio la* 
sciato deserto da quel grande^ di cui la scienza e il mondo deplorano la re- 
cente e irreparabile perdita. Ma se, a titolo di onore per la nostra Acca- 
demia, io mi permetto di proferire da questo luogo il nome del P. Angelo 
Secchi, non mi accingerò per fermo a tesserne l'elogio, che fatto da me rie- 
scirebbè troppo inadeguato al merito di Lui. Ed invero come potrei io, la cui 
vita h trascorsa in gran parte sul mare, ed i cui studi non sono esciti dalla 
cerchia della nautica e dell'idraulica, elevarmi degnamente a quelle superne 
regioni» pei cut spazi aggirossi la mente di quel sommo indagatore dell'ar- 
monia dell* Universo? Altri as^ai di me più degno dirà di Lui a Voi, e godo 
di sapere come un tale incarico sia stato accettato dal nostro illustre col- 
lega il P. Stanislao Ferrari, il quale alla profonda conoscenza di tali ma- 
terie unisce la somma ventura di essere stato, per cosi dire, il compagno 
di viaggio del Secchi nelle ardite sue esplorazioni del cielo. 

Ed ora che quel sommo Maestro, ahi troppo presto! si h da noi dipar- 
tito, ci conforti il pensare che la sua bell'anima abbia raggiunto la meta 
immortale delle dotte sue peregrinazioni, giacché per fermo dessa ora con- 
templa beata senz'ombra di velo 

(f Vamor che muove il sole e V altre stelle^ » 



Dopo ciò, CoUegbi onorandissimi, debbo ringraziarvi con tutta l' effusione 
dell'anima per avermi conferito un tanto onore, ed assicurarvi che porrò 
ogni studio per corrispondervi quanto meglio potrò : la buona volontà non 
mi farà difetto, e alla pochezza delle mie forze nutro fiducia che suppliranno 
la vostra benevolenza e la vostra efficace cooperazione. » 

Il segretario die relazione all'Accademia dell' operato dalla Commissione 
pel monumento da erigersi alla memoria del P. Angelo Secchi , e lesse il 
segu ente programma in forma di circolare dalla medesima compilato : 



— 352 — 

ACCADEMIA PONTIFICIA DE' NUOVI LINCEI 

PROGRAMMA 

PER L'EREZIONE DI UN MONUMENTO IN ROMA 
ALLA MEMORIA DELL' ILLUSTRE P. ANGELO SECCHI 



CIRCOLARE 



Quasi tutti i giornali hanno con plauso riferito la deliberazione 
presa dall* Accademia nostra nella tornata del 17 Marzo corrente, relativa 
alla erezione d' un Monumento in memoria del P. Angelo Secchi. Ad 
organizzare e curare questa impresa, essa nominava una commissione 
accademica composta dei sottoscritti scelti fra i soci ordinari. 

Sembra superfluo render ragione della opportunità di eternare la 
memoria dell* illustre scienziato , perchè sarebbe quasi supporre che vi 
fosse chi ne ignorasse gli straordinari meriti scientifici. Parimente 
chiara e la ragione che indusse l'Accademia nostra a farsi promotrice 
di questo atto di stima dei contemporanei verso colui che sark sempre 
ammirato dai posteri. È noto che dell* Accademia dei Nuovi Lincei , 
dedita soltanto alle scienze naturali , egli fu operosissimo presidente 
ed il più grande luminare. % 

Noi desideriamo piuttosto, nell' invitare tutti coloro che amarono ed 
ammirarono il Secchi a coadiuvarci nell* impresa , far loro conoscere 
il concetto del monumento, non già le sue forme, perchè queste non 
possono ora essere stabilite. Onorando il P. Secchi noi vorremmo promuo- 
vere la volgarizzazione della scienza, specialmente in Roma ; ed in pari 
tempo adornare la citta nostra, imitando ciò che già si fece oltre 
Alpe dalle più eulte nazioni. 

La meteorologia è la scienza, che più di tutte h necessario diffondere 
per aumentarle il tesoro delle osservazioni e per renderla sempre più 
utile alla navigazione, all' agricoltura ed alla pubblica igiene. Oltre 
a ciò questa scienza medesima fu eminentemente fatta progredire dal- 
l' esimio P. Secchi. La moltiplicazione infatti degli osservatore me- 
teorologici pubblici e privati forma il principale impulso, che oggi 
si dà a cotesta scienza, ed uno dei mezzi di. diffusione della medesima 
largamente adoperato anche dal Secchi. In Germania , in Francia , in 
Svizzera ed altrove si pensò pure ad istituire ì cosi detti Monumenti 
meteorologici. Questi mentre sono veri monumenti marmorei, nei quali 
può spaziare il genio estetico deli* architettura , servono però a so- 
stenere i principali istrumenti meteorologici costruiti in guisa da porre 



^ 353 — 

sotto gli occhi del pubblico le fasi della meteorologia. Della cpiale 
scienza così il popolo inseDsibilmente acquista il gusto ed i vantaggi, 
assai meglio che ricercando nelle quotidiane effemeridi il bullettino me- 
teorologico degli osservatori!. In Italia non si costruirono finora monu- 
menti completi di questo genere : ma tuttavia quasi vi si preluse in 
parecchie città , esponendo in luoghi pubblici alcuni* de* principali istru- 
menti di meteorologìa. ' 

Quindi il dedicare al Secchi un monumento meteorologico in 
Roma a noi sembra progetto il più acconcio alla illustre memoria, che 
esSQ dee ricordare, al corpo Accademico che lo propone, ed in pari 
tempo corrispondente ai bisogni ed alla coltura dei nostri giorni. Così 
quell'esìmio propagatore della scienza continuerà l'impresa sua verso 
i posteri, parlando perfino dal freddo marmo, che ne farà rimanere le sem- 
bianze fra i viventi. 

Ognuno intende che ali* Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei , 
iniziatrice di tal monumenta^ per condurlo ad effetto fa d'uopo 1* ap- 
provazione della pubblica opinione , il favore delle autorità e la con- 
tribuzione degli amatori di Roma, dell'istruzione popolare e del Secchi. 

Ci volgiamo perciò ai corpi tutti scientifici^ agli scienziati, agli am- 
miratori del P. Secchi tanto italiani quanto stranieri^ perchè vogliano 
coadiuvare col favore e colle offerte la nobile impresa. 

Preghiamo i periodici massime gli scientifici a voler riprodurre 
questo nostro invito, ricevendo poi nei loro uSicii le offerte e pubbli- 
cando i nomi degli oblatori che loro si rivolgeranno; come noi pubbliche- 
remo le somme singole che ci per verran no direttamente e le inviateci dai 
periodici e dai corpi morali. 

Le offerte si ricevono dai sottoscritti Segretario e Tesoriere del- 
TAccademia e verranno depositate nella Batuca Romana. 

Roma 28 Marzo 1878, trigesimo dalla morte del P. Secchi. 

LA COMMISSIONE ACCADEMICA 

CoHU. Alessandro Cialdi, Presidente. 

PamciPE D. Baldassarre Boncompagni. 

Cav. Prof. Mavtia Azzarelli. 

Cav, Prof*. Tito Armellini. 

P. G. Stanislao Ferrari. 

P. Giuseppe Lais. 

Conte Arr.. Francesco Castracanie degli 
AitTELMiNELLi, Tesoriere , Piazza 
delle Copelle N."" so. 

Cav. Prof. Michele Stefano de RosS!, 
Segretario^ Piazza d'Aracoeli N? t7 



— 354 — 

Il segretario in fine comunicò la decisione del Gomitalo Accademico sul 
far rivivere la classe dei soci onorari, e di rinnovare la classe dei soci ag- 
giunti. Per la classe degli onorari il Comitato propone i cinque ora com- 
ponenti la classe degli aggiunti, cioè : sig. Ing. Ignazio Cugnoni, D. Sal- 
vatore Vespasiani, conte Augusto della Porta Carrara, Cav. Clemente Palomba^ 
Avv? Felice Desjardins ; inoltre Monsignor Vincenzo Vannutelli, Prof. Fran- 
cesco Massi, Can/^ D. Enrico Fabiani, Monsignore Stefaoo Ciccolini, Commend. 
Giovanni Battista de Rossi. Per la classe poi degli aggiunti propone i se- 
guenti: sig. Prof Odoardo Persiani, Prof. Eugenio Persiani , Prof D. Cesare 
Gismondi, Prof. Alessandro Seganti , Prof. D. Filippo Bonetti. Propone in 
fine il Comitato la seguente terna di nuovi membri ordinari : Prof. Francesco 
Ladelci, P. Felice Ciampi, Dott. Matteo Lanzi. Le votazioni per le elezioni 
suddette verranno fatte nella seguente sessione. 



SOCI PRESENTI A QUESTA SESSIONE 

S. E. Rma il Card. C. di Pietro, Protettore - Comm. A. Cialdi, Presidente 
- Contessa E. Fiorini Mazzanti — P. G. Fogliai — Coate Ab. F. Castracane 
degli Autclminelli - Mons. F. Regnaui - Cav. F. Guidi - Prof. T. Armel- 
lini - Prof. A. Statuti - Dott. Colapietro - Comm. C. Oescemet • P. S. 
Ferrari - P. G. Lais - Prof. V. de Rossi Re - P. F. S. Provenzali -^ P. D. 
Cbelini - Prof. M. Azzarelli - Prof. M. S. de Rossi, Segretario. 



La seduta venne aperta legalmente alle 5 poni, e fu cbiusa alle ore 7 p. 

OPERE VENUTE IN DONO 

1. Annuario dell*Aeeadvmia Reale delle Sciente di Torino per Vanno 1877—1878. —Torino, ecc. la 8." 

2. Bulletin de la Société Imoériale des NaturaliHes. — Tome Lll. N"" 2—3. In 8."" 

3. BELLAVITIS (prof. G.) Seconda parte della quattordicesima Rivista di Giornali presentata al 

R. Istituto veneto di scienze^ lettere ed arti nel novembre 1877, dal prof. G, Bellavitis, In 8.<> 

4. Bullettino di Bibliografia e di Storia delle scienze matematiche e fisiche pubblicato da B. Bon- 

compagni, ecc. Tomo XI. Gennaio — Febbraio 1878. In 4.» 

5. GALLI (Ignazio.) — Alla cara e venerata memoriaj^el P. Angelo Secchi. In 8.^ 

6. Jahrbuch der kaiserlieh-kòniglichm Geologischcn Keichsanstalt, Jahrgiing i877. xxvii. Band. 

N.rO 3 — 4. JULl, AUGUST, aCPTEÌiBER» OGTOBER, NOVEMBER, DECEHBER, CCC. VIEfi. 1877. 

In 4.** 

7. Monatsbericht der Kòniglieh preussisehen Akademie der Wissenschaften zu Berlin. Deeember 1877. 

ecc. Berlin 1878, ecc. In 8.» 

8. Nieuw Archief voor Wiskunde. Deel III. Amsterdam, 1877, ecc. In 8.** 

9. R. Comitato geologico d'Italia. Bollettino N.° 1 e 2. Gennaio e Febbraio 1878. Borni, ecc. In 8* 

10. Rendiconto della R. Accademia delle Sciente fisiche e matematiche, ecc. Fascicolo 2:», Febbraio 
1878. In 4.' 

11. SBRPIERI (A.) — // terremoto di Rimini della notte 17—18 e considerazioni generali sopra 
varie teorie sismologiche, ecc. Urbino, ecc. 1878. In 8.° 

12. Verhandlungender Kaiserlich'koniglichfn Geologischen Reichtanstalt. Jahrgang 1877, ecc. Wien^ 
In 4.' 



ATTI 

DELL'ACCADEMIA PONTIFICIA 

DE'NUOVI LINCEI 



SESSIONE Y' DEL S MÀGGIO 4878 

PRESIDENZA DEL SIG. COMM. ALESSANDRO CIALDI 



MEMORIE E NOTE 

DBI SOCI ORDINARI E DEI CORRISPONDE^TTI 



RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI DI 3* GRADO 

NOTA 

DI MATTIA AZZARELLI 

1* JlA noto che il metodo immagÌDato dal Ferrari per la risoluzione delle equa- 
'/.ioni di quarto grado consiste nel trasformare l'equazione in due membri 
tali che da ognuno di essi possa estrarsi la radice seconda rispetto la in- 
cognita, decomponendo cosi l'equazione data in due di secondo grado. Un 
metodo analogo seguiremo per la risoluzione delle equazioni determinate 
di 3? grado, cioè procureremo trasformare 1* equazione in due partì tali che 
da ciascuna di esse possa estrarsi sempre la radice terza. 

a. Ci introdurremo in questa risoluzione col determinare quale debba 
essere la relazione tra i coefficienti p, q , r nella equazione 

x' + 3 />jc' + 3 ^o: + r = (i) 

ond'essa sia trasformabile nella somma algebrica di due cubi. 

Si confronti l'equazione data colla terza potenza di un binomio, per 
esempio : 

46 



e risulterà 



— 356 — 



a^pi a*"i7J a^ ^ r 



dalle quali emergono 

a^ m q*i a^ » pr : 

e quindi 

è la richiesta condinonei onde verificata questa si ottiene facilmente la se- 
luzione della proposta equazione. 

Difatti si ponga la (i) sotto la seguente forma 

- x' « 3 px^ •*• 3 qx + r 
e moltiplicato primo e secondo membro per pq si ottiene 

^ pq x^ ^2 q. p^ x^ -¥ z q^. px -^ pqr 
alla quale aggiunto p^ x^^ e tenuto conto della (s) risulta 



x^ {p* ''pq)^{px -¥ q)* 



dalla quale 



X 



• ^p'-pi-p 



x^ - 



yp^^pq^ap 



a-q 
x^ ^ 



\p^-pq-c?p 



ove «) a sono le radici cubiche immaginarie deirunitìi. 

È da notarsi che la risoluzione della (i) si ha pure con molta facilita nel 
caso che sussistano soltanto le due 

a = /9 , d* - ^ 



s 



357 



che danno la condizione 



p^^q (3) 
per la quale la (f) si muta in 

x^ •♦• 3 pa^ •♦• 3 p^x-^r - 

alla quale aggiunto e sottratto p^^ si ottiene 

(x-^pf^p'^'-r 
e quindi 



x^^-p 



•4-a 



w^ 



x^ « — ^ + a* yp^ — r 

2? Quando la (s) non sia verificata, vediamo se sia possìbile modificare 
talmente le radici della (i) che sempre possa aver luogo la condizione ana- 
loga alla stessa (2)* 

A questo fine si supponga che nella (1) le radici ricevano una modifica- 
zione^ quale sia che vengano aumentate o diminuite di una quantità inde- 
terminata tale da sottoporre questa alla condizione che sia soddisfatta la 
(s), onde si faccia 

x^jr^h (4) 



rappresentando h essa indeterminata. 

La (1) per questa nuova espressione della x si muta in 

(y -^ Kf -¥ % p {jr -^ hf ^ 2 q {j ^ h) ^ r '^Q 



(5) 



dalla quale sviluppando si ha 



/* + aA 



zp 



•*^ 6ph 



h^ 



-^ 3/?A* 



• 



-^ Z q 



3 qh 



(a) 



r I 



~ 358 — 
e traducendo a questa la condizione (2) otterremo 

(A* '¥iph'¥ qf ^{h-hp) {h? -¥ 8 ph^ + 3 7A + r) 

dalla quale abbiamo 

(^* - 9) A* + (^ - r) A -f 7" -/9r « (t) 

che diremo ausiliaria o risolvente. 
Da questa immediatamente si trae 






(*) 



die se qui moltiplichiamo numeratore e denominatore per lo stesso nume- 
ratore ove il radicale sia preso col segno contrario, ne risulterà anche 

i- * <y' - p^) (9) 



-{pei -r)'>f^\l {pq-rf-A{p^^q){q*-pr\ 

Il valore di h sarà reale quando abbia luogo Tuna o T altra delle due 
condizioni 

e sai'a immaginario quando tra i coefficienti della (t) avrà luogo la condizione 

1 (p^ - r)» - (p'-q) iq'-pr) < 0. 

3^ Assicurati della possibilità della determinazione di h la equazione (e) 
la scriveremo come siegue 

J^ -^Z {p'^h)jr^ -*- 3 (/*' ->. ^ph '^q)jr -^ (h? -^Zph* + zqh + r) » a 

e da questa eliminando rultimo termine per mezza dell* equazione di coi>* 
dizione, e si avrà 

(p-^ h)y '¥'2{p-k'h)*y -^Hh^^zph-^qy^p + A) j •*• (A* ■*•« p A -f^)*»© (io) 
e moltiplicando per h^ -¥ %ph -t- q^ ed isolanda il primo termine sarà 



— 359 — 

-ip-^h) {h^ -¥% ph -^ q)jr^ 
« 3 (A* + %ph -^ q){p -^ A)* J"* -^ 3 (A% 2 /!>A + 7)* (/i + h)jr ^ {h^-^ 2ph + qf 

ed aggiunto al primo e secondo membro la quantità 

avremo dopo qualche riduzione 

{p^h) ip"" -q)jf^ ^[{p'^h)jr^h* -^^ph-^qf 
dalla quale 

Xi Vip -*- h) ip* -- q) '=' (p -^ h) jr^ -¥ h^ -k- 2 ph -h q 



jr^ Vip ^ h){p^ ^q)^a{p -^ h\j^ -^ a(h^ -^ tph-hq) 



e quindi 



il ^%ph -¥ q 



^' " V{p^h){p'-q)-a'lp^h) 

Per mezzo di queste fOTmole, determinalo preventivamente il valore di h 
per la (8), si ottiene quello di j^i^^a» ^^ e quindi per la (4) si ha quella 
della incognita dell'equazione data clo^ 

4? Consideriamo ora i|Jcuni casi particolari ai quali può dar luogo V equa- 
zione ausiliaria per particolari relazioni che abbiano tra loro i coefficienti 
della proposta equazione. 

Sia pertanto 

in questa ipotesi vedemmo che la (1) si risolve immediatamente > ora è- fa- 
cile riconoscere che la (a) ammétte una facile soluzione 



— 360 
Di fatti, l'equazione ausiliaria ci c& 





pq-r 

1 


Della quale sostituito 


il valore di q dedotto dalla (la) si ottiene 




A « -/? (13) 


onde la (e) si muta in 




y '^^p^ "^ pq + r « 


dalla quale 


• 


e per la x abbiamo 


jr''^-(tp*-zpq*r) 



X » -p + 1?^- (2/>* ^Zpq -*- r). 
ove posto p^ in luogo di ^ si ottiene nuovamente 

X - -^p + V p^ - r 

come al $ s. 

Poniamo ora 

pq^r--^ (i4) 

per la (9) avremo 



m / »■ ■ »< ' " 



q-p 
e sostituito ii valore di r tratto dalla (t4)« risulta 

Per questo valore la (e) si muta in 

/ + 3 (p-^^y -^ òiq-hp >] q)y -^ ^q {p ^^)--o (is) 

la quale soddisfa alla condizione per ridurre Tuno e l'altro membro ad 
un cubo, quale si h nel presente caso 

Aiq^p ^f ^Aqip-h /^' 

che h una identità. 

Dopo ciò la (15) si ponga sotto la seguente forma 

-y « 3 (p + v/"^/* + 3. « ^Yip * V'"?)J^ -^^qip-^^q) 



— 361 — 
che divisa pel fattore comune al secondo membro, e moltiplicata per a yif da 

p *S q 
ed aggianto y* all' uno ed alfaltro membro si ha 

fp-yTq 



(^^^)y - r* + »/•• « vTf * 3 jr. (a v^« + (s V^ ^)» 



dalla quale 



^ D -¥ y a 



ed in fine 



Sia finalmente 



abbiamo 






q^ ^pr^ (17) 






dalla quale i due valori seguenti 

A-o, ed A— ^iZ: 

p*-q 
che per la (17) si riduce ad 

A.-2- 
P 

Per questo valore la (e) si muta in 



^-'(^y-»(^)r-(^ -')-.; 



ma dalla (n) 

,.1' 

p 



— 362 — 
danqae sostituendo troveremo 

r r r 

la quale soddisfa alla nota condizione. 

Ora si ponga questa equazione sotto la forma 



X 






q-p' p P " P' 

e moltiplicato per q tanto Tono quanto T altro membro ed aggiungendo 



y*y sali 



P' ^._„. 



t 1 ^ « 9 9 



9-P P P P 

ovvero 



-^^-{^-l) 



dalla quale emerge 

jr«_2jQZZ^ (18) 

p (i^T^ ■*■ v^ 

5? Giacché in qualunque equazione è sempre possibile di far mancare il 
secondo termine, cosi in luogo della (f) potremo prendere a considerare 

a:* -t- 3 yjp + r « (i») 
nella quale posta 

X ^y + h 
si ottiene per la trasformata 

j^ •*• 3 hjr^ + 3 (A* + q)jr -^ h* -h 2 qh -^ r ^0 (20) 

per la quale posto la solita condizione 

(A* 4. ^)« « A (A* -H 3 7A •»• r) 
se ottiene la risolvente 

A* + — A-i7«o (20) 

9 



— 363 — 

dalla quale 

- r * ^ r' + 4 y* 

Questo risultato si fa conoscere che se nella (i9) sia ^ < o allora è 

ed hanno luogo per h valori inUDaginarì quando si verìfica essere 

o* < 0. 

4 ^ 

Se nella (io) si pone /9 » 0, otteniamo per la formola solutiva V equazioni 
di 3* grado mancanti del secondo termine, 

6? Esempi • i? Sia V equazione numerica 

mancante del secondo termine» onde questa confrontata colla (io) abbiamo 

e la (22) ci da 

Per questi valori di A, q^ r la (20) si muta in 

jr* -hZ y t^Q 
le radici della quale sono 

Ora per la relazione 

otteniamo 

4T 



^ ^ Il 



— 3&4 — 

Questo medesimo valore si può avere ancora direttamente dalla (s3). Per- 
tanto si sostituisca in essa primieramente il valore h ^ i ed avremo : 



X 



che per ^ » - i si presenta sotto la forma indeterminata di 






Per togliere questa indeterminazione poniamo prima 



-^'(.^) 



a quindi facciamo 

essendo 9 una quantità infinitesima il cui limite è zero. Il valore della x 
prenderà la forma seguente 



ma 



-^— '[r^^FH^] 



3 3 

3 3* 



dunque 



V 3 

i + (-i+e)» - - 9+ -i fi«+.... 

3 a 
le quali sostituite danno, tolto il fattore comune 9, 



, . yrir. [ i::i:!'..::;' "• ] 



e portato nel limite risulta 

X «-a 



— 365 
2"* Sia ancora. Tequazione 



ar^H-sx-f-o 



per la quale 

^ = i, r=^|. 



« ' I 



Sostituiti questi valori nel valore di h avremo 

e considerato il primo valore la (20) sì muta nella 

nella quale separato il primo termine e moltiplicato tutto per io si ha 

, . 10 10* 10* 

•^ ^3 *^ 3* 3* 

ed aggiunto^* ali* uno e all'altro membro emerge facilmente 

dalla quale 

<o 

Dopo ciò avremo per la radice dell'equazione proposta 

IO i 

^ ' 3 (V^ 9 - 1) ^ 7 

che si riduce prontamente ad 

VI 

X « (9^ 9- i) «0,7489... 

3 

Il medesimo risultato si ottiene per mezzo della formola (23) la quale nel 
caso attuale diventa 

7? Le due equazioni particolari che abbiamo considerate sono state ri- 
solute dal Cardinali nella terta Dij^sèrtazione che fa parte degli « Opu- 
scoli Matematici » Treviso « nella Tipografia Provinciale di Francesco 



— 366 — 

Àndreola --> isi8 - In questa Dissertazione viene proposto un nuovo metodo 
uniforme per risolvere F equazioni di terzo e quarto grado determinate. E 
perche di questo metodo abbastanza elegante, per quanto io sappia, non 
ne ho letta manzione veruna, cosi credo ,che non sìa tempo perduto richia- 
marlo per sommi capi. 

Posta r equazione 

x^ -k- px ^q ^{^ (i) 

si faccia 

essendo ^, z due indeterminate, una delle quali d'assegnarsi a piacimento: 
fatte le sostituzioni se ne trae 

• ■ * • 

la quale sviluppata ed ordinata per le potenze della z si ha 

Z» + [hpf -aqjr- {p*) Z-(sqr* ^rlp*jr'-%ptfy^.q' + .^- p3) a. o (3) 

Ora si ponga la condizione 
dalla quale si ricava 

Per una tale condizione la (3) si riduce alla equazione binomia 

nella quale^ nei casi particolari, la M è nota, perchè tale h la^, essendo 

e quindi 

z « VvLf 
onde 



^y r^ -iP"^^^ 



x^y 

Per ottenere le altre due radici basta dividere 

z* - M - per z - l^lì 
e si otterrà per ^%%^y 



— 867 — 

DOTI E CONSEGUENZE ACUSTICHE 
DEL TELEFONO. 

MEMORIA 

DI T. ARMELLINI 



L 



a meraviglia che nel mondo scientifico ba destato la helfa invenzione 
deir americano Bell viene continuamente crescendo per gli arcani fenomeni, 
che ogni giorno si vengono scoprendo nel telefono» e chò non avrebbe nep- 
pure immaginato il suo inventore. 

Infatti questo istrumento ci ha colpito con la squisita sua sensibiìta ónde, esso 
h atto a rivelare le più microscopiche correnti elettriche, incapaci ad essere 
manifestate dalla stessa sensibilissima ranocchia galvanoscopica, la quale in* 
vece si scuote per quelle correnti medesime introdotte nel telefono^ il quale 
determina nel batracio galvahoscopico convulsioni di diversa natura, secondo 
che diversi siano i suoni che si producono. Ond*è che la ranocdiia è* diffe- 
rentemente impressa dalle diverse vocali pronunziate ; a segnò che potrebbe 
in certo modo comporsi un'alfabeto batracologico , C(^ quale la parola po- 
trebbe essere non già udita, ma veduta e però compresa da un sordo. 

Cresce la meraviglia, quando ci venne assicurato da diversi esperimenta- 
tori, e noi lo confermammo, che tolta anche la lamina vibrante nel telefono 
ricevente, il mero suo cilindro magnetico d'acciaro è capace di riprodurre 
i suoni, benché grandissimamente indeboliti. 

Nel quale fatto singolare si trova uno stretto anello tra le vibrazioni 
elettriche con le acustiche. Queste sono il risultato dei movimenti molecolari 
generati nel magnete dalle perturbazioni del suo magnetismo , che vi recano 
le più delicate correnti. 

Infatti i più piccoli urti impressi direttamente sul cilindro m:agnetico del 
telefono mittente sono stati capaci di svolgere corrènti e però sono stati 
tradotti col miuistero della corrente a quello del ricevente; con la quale 
esperienza si è reso manifesto^ che qualunque cagione disturbi T equilibrio 
molecolare nei séno d'un corpo» ne perturba lo stato magnetico; donde si 
origina la corrente indòtta nel rocchetto che lo inviluppa,, capace anch'esso 
di perturbare Y equilibrio magnetico della sbarra di acciaro del telefono ri- 
cevente: il quale squilibrio magnetico ne perturba a sua volta quello 



— 368 — 

delle molecole, le (]uali necessariamente sono poste in vibrazioni e produ- 
cono il suono. Quindi il telefono assicura la legge di reciprocità tra i fe- 
nomeni elettrici e molecolari. Una perturbazione dell' equilibrio molecolare 
prodotto per una azione meccanica ne arreca un altro nella distribuzione 
del magnetismo , e viceversa : una perturbazione di questo ne produce una 
analoga nella condizione d'equilibrio delle molecole dei corpi magnetici. E 
siccome il magnetismo h propietà generale di tutta la materia, cosi qualun- 
que movimento molecolare di questa desterà un disturbo nel suo magne- 
tismo, e viceversa qualunque modificazione di questo determinerà movimenti 
molecolari. 

Ma seguitando ad indicare qualche altro esperimento tendente a confer- 
mare la squisita sensibilità del telefono , ho voluto vedere in qual modo 
esso si comportasse con una macchina elettrica di piccola dimensione; donde 
traendo alcune scintillnzze le faceva scaricare sopra uno dei fili del telefono. 
E ben noto come per la minima quantità di elettrico che sono capaci di 
fornire tali macchine nelle ordinarie condizioni, una sola scintilluzza non è 
capace di produrre il più pìccolo effctt<> magnetico anche sopra filo di ferro 
sottilissimo. Ciò non ostante, lo scoccare di ogni scintilla destava un suono, 
che sensibilissimamente si percepiva col telefono ricevente collocato all'op- 
posta stagione. Il che indica che quella tenuìssima quantità di elettrico era 
atta a sturbare sensibilmente il magnetismo della barra di ferro, che mani- 
festava con suoni , necessariamente prodotti da vibrazioni molecolari , che 
quella corrente destava nel suo seno. 

Passando poi ad un altro ordine di fenomeni, a quelle cioè dell* influenza 
della resistenza sull'azione del telefono, fin dalla prima comparsa del tele- 
fono volli vedere quale effetto producesse la resistenza del filo indotto di un 
potente rocchetto di Ruhmekorfi^, onde cercai se. avessi potuto ottenere un 
qualche benché minimo suono; ma non potei sentirne alcuno. 

Se non che il Ch. Sig. Prof. Luvini avendo ripetuto questa esperienza , 
la modificò stabilendo la circolazione della corrente nel solo filo grosso in- 
duttore col telefono mittente ; come pure chiuso il circuito del filo fino ed 
indotto con l'altro telefono nella stazione ricevente : e qui veramente fu 
grande la sua sorpresa quando in tali condizioni la corrente indotta , non 
ostante rÙDmefisà resistenza, fu capace di produrre suoni ben sensibili nel 
telefono mittente. Si noti poi che con questa combinazione i due telefoni 
non sono ia relazione diretta tra loro. Ncirnuo si compie il circuito della 
córrente iuduttrice, nell'altro quello dell' indotta. Onde i telefoni non stanno 



— 369 — 

in relatione tra loro se non pel mìnistei'O della induzione eieltro- 
dinamica. 

Volli anche ripetere lesperiiBento del Luvini associando due rocchetti di 
Ruhmkorffy ponendone ciascuno alla propria stazione in relazione col relativo 
telefono per mezzo del filo grosso induttore, e stabilendo il circuito tra i 
due fili fini nei quali si svolge la corrente indotta; ed anche con questa 
combinazione, con mia grandissima sorpresa e del Cb. Sig. Cav. Placido Sa* 
batucci, alla cui gentilezza vado debitore dell'assislenza 4 degli apparecchi 
fornitimi, ottenni i suoni. 

Dissi con grande sorpresa : perchè in i'' luogo sì tratta di resistenze 
enormi introdotte: quelle cioè dei due fili lungliissìmi e sottilissimi, quali 
sono quelli che costituiscono il circuito della corrente Ridotta negli appa** 
recchi diRuhmkorflfs in 2^ luogo poi combinando in tal modo ì rocchetti, 
la corrente operatrice sul telefono ricevente è la córrente indotta di se« 
cond^ ordine. Infatti nel telefono mittente si compie il circuito della cor- 
rente nel filo grosso induttore; la quale genera la corrente indotta di 1^ or* 
dine nel sistema dei due fili finissimi accoppiati dei due rocchetti. Questa 
corrente indotta di i^ ordine diviene a sua volta induttrice e genera la 
corrente indotta di 2^ ordine; il cui circuito si compie nel filo grosso del 
rocchetto che sta in comunicazione coli* altro telefono. 

Ciò non ostante, questa corrente di s^ ordine è capace di far suonare 
il telefono! 

Passando poi ai diversi artifici! imaginàti per destare nei telefoni suoni 
sensibili a distanza atti a svegliare l'attenzione, analogamente al campanello 
di chiamata nei comuni telegraQ, ricorderò come una qualunque corrente 
d'una certa intensità che si trasmetta con intermittenze, le quali si succe- 
dano assai rapidamente^ sono atte a destare snoni forti e di specioso me- 
tallo più o meno del tipo del canto della ranocchia. Nel qual genere 
di esperimenti credo d'essere stato in Roma il primo ad aver tratto un 
suono ben forte col telefono, ponendolo in comunicazione con la corrente 
indotta d'un piccolissimo rocchetto di Kent posto in azione da un piccolo^ 
elemento voltaico. Per mostrare poi che il suono prodotto in tal modo non 
era l'effetto^ coinè taluno pensava dei colpi meccanici del martello vibrante^ 
ma solo da questo ne discendeva, in quanto agiva come reotomo, sostituii 
all'elemento voltaico ed all' apparecchio di Kent un apparecchio magnete 
elettrico di Clark, e ne ottenni suoni identici e intensi, che rinforzati con 
un risonatore sentivansi alla distanza di due camere. 



— 370 — 

Fin qui abbiamo parlato della sensibilità e del rinforza mento dei suoni 
del telefono. 

Procedo ora alle attinenze meramente acustiche e ad un nuovo campo 
di ricerche che ci ha dispiegato questo specioso istrumento. 

È noto per le belle esperienze dell'Helmoltz e di altri fisici che la ra- 
gione di quello che gli acustici chiamano timbrOf o meglio metallo della 
voce^ è riposta nella risultanza dei diversi suoni elementari che si producono 
dagli istrumenti musicali che sono stati messi in evidenza separandoli. 

E noto inoltre che la diversità del suono delle diverse vocali discende 
precisamente dal medesimo principio. U cantante che col medesimo tono di 
voce canta pronunciando le diverse vocali > ha introdotto in ciascuna di 
esse diversi elementi fonici, un concerto cio^ di diversi toni» la cui com* 
posizione produce nell'orecchio la sensazione delle singole vocali. Gli antichi 
nostri maestri di musica avendo avuto un sentore di questa teoria , aveano 
riconosciuto che nel solfeggiare non era indifferente la vocale con cui si 
intonava una determinata nota musicale della scala. Ben mi ricordo in tal 
proposito, che al cantante che dal Si naturale passava al Si bemol s'inse- 
gnava di alterare la vocale, sostituendo la allV, onde faceasi solfeggiare con 
la voce «Sa invece di «^/. Questo vuol dire che quei buoni pratici aveano 
inteso che il suono di i era incompatibile con Y intonazione perfetta dei 
«Si bemoL 

Le scoperte di Helmoltz hanno reso ragione di questa pratica : la vo- 
cale i contiene degli elementi fonici che mal si compongono con l'intona- 
zione del Si bemol . 

Ciò posto, il problema acustico della produzione di suoni che avessero 
potuto imitare le vocali emesse dalla . voce umaba, non poteva risolversi se 
non che obbligando un ìstrumento ad emettere simultaneamente tutti i di- 
versi elementi fonici, cioè le diverse note con le relative loro intensità che si 
richieggono dalle singole vocali. 

Quindi chi non vede la difficoltà che presenterebbonsi a chi imprendesse 
a comporre un tale istmmento? 

Cresce la difficoltà se alle produzióni delle vocali aggiungiamo quella 
delle consonanti. 

Il divino autore dell'orecchio umano avea però risoluto un tale problema^ 
con quella semplicità ammirabile, che h la dote di tutte le sue opere: con 
le semplicissime membrane del timpano , e della fenestra ovale e tonda , 
capaci di vibrare , modificandone però le loro vibrazioni e le linee nodali 



— 371 — 

col ministero della catena di quegli altri ossicini che dalla lor forma appel- 
lasi l*osso lenticolare, Tincudine, la staffa: con i quali appendici la Sapienza 
Creatrice ha reso quelle membrane capaci di tradurre perfettamente nel 
sensorio i suoni di qualunque specie , cou tutti i loro elementi. Nel che vi 
è una grandissima differenza dal telefono 9 il quale istrumento , benché ci 
abbia entusiasmato per i suoi risultati h infinitamente distante ancora dalla 
perfezione dell' apparecchio acustico del nostro orecchio. Infatti , se con 
meno passione analizziamo il telefono, troveremo pur troppo che esso è un 
istrumento imperfettissimo. I suoi risultati inaspettati devono ascriversi 
air azione del suo meccanismo^ ma combinato con la intelligenza del sog- 
getto che percepisce i suoni^ e che con la sua fantasia, e con la ragione^ 
supplisce ai difetti deiristrumento, e corregge Tinsufficienza d'articolazione. 
Tanto è vero questo, che se col telefono imprendiamo a trasmettere parole 
vuote di senso^ non siamo al caso di comprenderle; e se pur riusciamo in 
alcuna, h ciò solo in forza dell'associazione delle idee, o meglio dei suoni 
che in certo modo presentiamo, quando da qualche elemento sillabbico di una 
parola, ne diviniamo piuttosto anzi che ne percepiamo veramente gli altri. 
Credo d'essere stato il primo io a trovare il tallone d'Achille nel telefono, 
quando dopo fattene le prime prove, avendo cominciato a pronunziare alcune 
parole non tanto in uso , e senza nesso logico , il mio compagno punto 
non m'intendeva. Onde credo non male appormì se la parte integrante dei 
suoi effetti ascriver debbasi al soggento percipiente piuttosto che all'i^tru- 
mento. Tanto h ciò vero che nessuno mai h riuscito ad intendere la lingua 
telefonica la prima volta che vi ha posto l'orecchio. Inoltre avendo prepa- 
rato una serie di sillabe e di parole senza senso e trasmessele telefonica- 
mente a diverse persone incaricate di scrivere Timpressione ricevuta^ fu ve- 
ramente sorprendente la diversità delle parole e delle sillabe che scrissero. 
Il che conferma come sia imperfetta la trasmissione delle parole per mezzo 
del telefono. 

Ma prescindendo dalle sue imperfezioni rimarra sempre vero che la mem* 
brana metallica con le sue vibrazioni rigenera più o meno bene le voci e meglio 
i suoni, e le armonie prodotte nell'opposta stazione. 

Qui facciam sosta: e riflettiamo al complesso dei movimenti e delle vi- 
brazioni che debbonsi eseguire da questa membrana, perchè sia atta a pro- 
durre sul nostro orecchio la sensazione di quelle vocali^ che noi d'altronde 
ben conosciamo risultare da una vera sinfonia di fonici elementi diversi. 

48 



— 37 2 — 

Meditando un poco sul soggetto, Leo compresi che un accordo o disso- 
nanza di più note musicali eseguito avanti ad una membrana, devea porre 
questa in vibrazioni ben diverse da quelle che avrebbe eseguito per fimpres- 
sìone di un accordo differente; le vibrazioni della membrana dovendo essere 
la risultante delle vibrazioni elementari constituenti i diversi accordi. Quindi 
compresi che la membrana dovea diversamente comportarsi in ordine alle sue 
vibrazioni, secondo che venisse impressa dai suoni delle diverse vocali. 

A mettere in evidenza i movimenti della membrana caratteristici e ri- 
spondenti alle singole vocali , o ad altri suoni , composi un tamburro con 
una sola membrana di carta pecora; vi fissai un appendice di filo più o 
meno sottile di ferro o di altra sostanza, di cui con diversi artifizìi ho cei^ 
calo amplificare le indicazioni della estremità^ facendo scorrerle avanti una 
striscia o di vetro o di carta affumicata; ed ho notato la differente forma 
delle curve che si riproducevano rispondenti ai diversi suoni; le quali avrò 
r onore di sottomettere all'Accademia quando avrò potuto perfezionare l'ap- 
parecchio, che intanto però, non ostante la sua imperfezione assicura il fatto. 

Prescindo ora dall* analizzare tal genere di scrittura automaticamente 
eseguita dalla parola, nh ardisco cimentarmi nella palestra di esercizio mar 
tematico che può somministrare la ricerca di tali curve degli elementi fo- 
nici, e dei diversi gruppi di vibrazioni i quali componendosi nella vibrazione 
risultante, sono in essa inclusi, e per forza di analisi possono esserne svin- 
colati e messi in evidenza; e ritorno al mio soggetto: alla membrana 
del telefono. 

Quando adunque una membrana di telefono riproduce un armonia , un 
concerto prodotto da diversi istrumenti , deve necessariamente riprodurre 
tutti e singoli gli elementi fonici di quello; e siccome ciascuno h costituito 
da un differente numero di vibrazioni, o meglio di onde di differenti lun- 
ghezze , cosi fin ad ora si sarebbe creduto che la lamina avrebbe dovuto 
atteggiarsi a questo complicato sistema di gruppi diversi di vibrazioni dif- 
ferente; così pure si riteneva che quell'asta di legno, con cui il "Wheastone 
ricreò la cena dei suoi amici, facendoli assistere ad un concerto.di fate che 
sembrava eseguirsi nella sala, ma che difatto si eseguiva in cantina» dovesse 
dal sotterraneo simultaneamente trasportare in alto alla cassa armonica 
r intiero complesso delle diverse vibrazioni eme^e da ciascun istrumento, 
con tutto il retaggio delle diverse armoniche, e battimenti proprii dei sin- 
goli istromenti, e concorrenti alla produzione dei rispettivi metalli (timbre) 
Così almeno credevano i più, così s' insegnava nei corsi di fisica» 



— 373 — 

11 telefono secondo il mìo modo di vedere ba troncato la questione: e 
il fonografo lo conferma. 

Accadrà quel che possa accadere nelle membrane : h certo che i suoni, le 
armonie , i concerti sono tradotti dalla membrana del telefono mittente, a 
quella del ricevente per mezzo di una serie di onde elettriche. 

Ora queste o saranno tutte eguali in intensità, o differenti; e si succe* 
deranno ad intervalli eguali o diseguali. 

Con un raziocinio facile e discendente dalla legge fondamentale della ge- 
nesi dei suoni si pone in evideuza che queste onde elettriche, trattandosi di 
suoni complessi, debbansi succedere ad ineguali intervalli di tempo, e con 
diversa intensità. 

È un caso d* interferenza di più onde: che si risolve con i più semplici 
metodi grafici. 

Dunque una serie di urti che rapidissimamente si succedano, ma a dise- 
guali intervalli, e con differenti intensità, produce sul nostro orecchio l'effetto 
medesimo di un concerto musicale. Tali urti possano esser rappresentati geo- 
metricamente con una linea incontrata da gruppi di perpendicolari ^ più o 
meno distanti. Queste ordinate rappresentano l'intensità delle onde; le 
ascisse, i tempi in cui si succedono. 

Quindi una sola lamina che vibri con questa legge può produrre nel no- 
stro orecchio le medesime impressioni di un pieno concerto musicale ge- 
nerato da una intiera orchestra. 

Quando dunque saremo riesciti a cavar fuori il suono dalla membrana 
del telefono, se' per mezzo d'un meccanismo qualunque sapremo imprimere* 
ad una membrana quella serie di colpi con quella legge di tempo e d'inten^ 
sita che risponde ad una determinata sinfonia che si suona da un concerto 
dMstromenti diversi, potremo far di meno degli istrumenti, e dei suonatori, 
e tutto si compendierà nella lamina. 

La scienza del maestro di musica assai semplificata nello scrivere una 
sinfonia e svincolata dai legami dell'esigenze di ciascun istrumento, abban- 
donato il vecchio simbolo musicale ne adotterà il novello puramente geome- 
trico, costituito da una retta orizontale che prenderà per ascissa del tempo; 
le ordinate con le loro differenti lunghezze denoteranno T intensità, e con le 
loro distanze gli intervalli dei colpi che ricever deve la lamina. Per quanto ar- 
dita sia una tale divinazione, dopo l'invenzione del fonografo e del microfono 
che successero immediatamente al telefono, non esito concludere con Seneca 
« f^eniet tempus quo posteri nostri haec tam certa nos nescisse mirentur. » 



— 374 — 

SULLA STRUTTURA MOLECOLARE DELLA CHININA 
E DI ALTRI ALCALOIDI NATURALI 

NOTA 

DEL P. F. 8. PROVENZALI D. G. D. G. 



L 



a struttura molecolare della chinina e degli altri alcaloidi naturali ancora 
non è conosciuta; ed h forse questa una delle cagioni per cui la sìntesi 
artificiale di siffatti alcaloidi h rimasta nel numero dei problemi dei quali 
si desidera e si attende la soluzione. Si sa però che questi alcaloidi con- 
tengono l'azoto combinato al carbonio^ e che in tutte le loro reazioni si 
comportano alla maniera delle ammoniache composte. Inoltre si sa che la 
chinina, la cinconina, la stricnina ed altri alcaloidi naturali, quando si di- 
stillano in presenza della potassa , danno del formiato di potassio ed un 
miscuglio di piridina e chinolina o più veramente di composti basici omo- 
loghi della piridina e della chinolina. Questo ultimo fatto potrebbe divenire 
il punto di partenza per stabilire la struttura molecolare della chinina e di 
altri alcaloidi , quando si conoscesse la costituzione della piridina e della 
chinolina. Ma gli studi analitici di queste due basi sembrano condurre a 
risultati contradittori. Infatti la piridina C^H^Az non contiene che cinque 
atomi di carbonio, e perciò si allontana dai composti aromatici che ne con- 
tengono almeno sei; mentre poi la stessa base h generata da un idiocarburo 
aromatico la naftalina, ed i suoi omologhi sono isomeri colle basi della serie 
dell'anilina. Questi fatti si potrebbero conciliare fra loro ammettendo che 
la piridina abbia veramente la costituzione dei composti aromatici, quale fu 
stabilita dal Prof. Kèkulé e dipoi ammessa dalla maggior parte dei chimici, 
colla sola differenza che un atomo di azoto occupi il posto del radicale 
triatomico GH. La possibilità della permutazione di GH con Az h resa evi- 
dente non solo dalla trivalenza ordinaria dell'azoto, ma anche dal rapporto 
di costituzione che passa fra il cloruro^ bromuro e ioduro di azoto Az GP, 
Az Br^, Az P ed il cloroformio GHGP, bromoformio GHBr^ e iodoformio 
GHP. In tale ipotesi la formola di struttura della piridina sarebbe 

Az » GH 

I I 
HG GH 

II 11 
HC ^ CH 



— 375 — 

dalla quale , rimpiazzando uà atomo d* idrogeno con un melilo CH^, etilo 
C*/H^, propìlo C^H^ o butilo C^H^, si hanno le formole di struttura della 
picolina C^H^Az, lutidina C^H^Az, collidina (? H^^ Kz, pars^olina O H}^ kz 
e degli altri omologhi della piridiria. 

Quanto alla chinolina C^ H^ Az e suoi omologhi, avendo questa base la più 
grande analogia tanto per V orìgine che per il modo di agire colla piridina 
h molto probabile che derivi essa pure dalla naftalina mediante la sostitu- 
zione di Az a CH y epperò che abbia la struttura indicata dalla formola 
seguente 



HC 


» CH 




1 
CH 


1 
C - 


Az 


11 
HC 


II 

- c 


1 
CH 




1 

HC = 


1 
CH 



Anche da questa formola, rimpiazzando un atomo d'idrogeno con uq radicale 
metilo, etilo, propilo ec, si ottengono le formole della lepidina C'^H^Az, 
dispolina C H'* Az, tefra/ro/i/m CH'^Az e delle altre basi omologhe della 
chinolina. 

Ciò posto per rappresentare la struttura molecolare della chinina , della 
cinconina, della stricnina e degli altri alcaloidi che per l'azione della po- 
tassa si sdoppiano in composti delle due serie suddette, non farà bisogno 
di altro che di unire per mezzo di uno o di due atomi d'ossigeno una base 
della prima serie con una della seconda. La pentatomicita dell'azoto ci offre 
il vincolo necessario per eflfettuare questa unione. Cosi p. e. con una mo- 
lecola di dispolina ed una di parvolina si avrà una formola di struttura 
della chinina C'«H*^Az'0% ossia 



HC 


= C. C» H* 








1 


1 


^^ 






HC 


C - Az 


<%> 


Az 


- CH 


II 
HC 


Il 1 
- C CH 




1 
HC 


1 
CH 




1 1 
HC » CH 




II 
HC 


B 

- C, C*H9 



— 376 — 

E se in questa foratola ali* etilchiDolina o dispolina si sostituisce la metil- 
chinolina o lepidina, rimpiazzando i due atomi di ossigeno con due molecole 
di ossido di carbonio, si avrà invece una formola di struttura della stric- 
nina C*"H"Aa*0% cioè 



HG 


-G.C 


H' 




1 


1 
1 




gy/\ 


HG 


G - 


Az 


<C0> ^^ - CH 


II 
HG 


II 
- C 


1 

CH 


1 1 
HG GH 




1 

ne e 


1 

CH 


Il II 
HG - G, G*fl» 



Queste formole rendono sufficiente ragione del modo di agire degli alcaloidi 
che rappresentano. Ciò che in esse v'ha d'ipopetico non impedisce che pos* 
sano avere dell'interesse anche per rapporto alla sintesi degli alcaloidi me- 
desimi. Sono abbastanza noti gli esempi delle sintesi organiche prevedute 
e realizzate dai chimici moderni dietro le indicazioni delle formole di strut- 
tura sempre più o meno appoggiate a delle ipotesi, e troppo grandi sono 
i vantaggi che risulterebbero dalla produzione artificiale degli alcaloidi na- 
turali^ specialmente della chinina per l'enorme consumo che si fa de' suoi 
sali e per la scarsezza ogni giorno crescente delle piante che producono si 
prezioso alcaloide. 



— 377 — 

SUL RISPARMIO DI FORZA VIVA 
IN UNA NUOVA TROMBA 

NOTA 

DEL PROF. FILIPPO GUIDI 



D 



'opo le tante ed accurate analisi fatte dagli scienziati sulle varie perdile 
di forza viva che si hanno nella tromba aspirante e prementet non è chi 
non conosca la differenza che passa fra l'effetto, che teoricamente si do- 
vrebbe ottenere da questo apparato sollevatore di liquidi, e l'effetto che 
praticamente se ne può avere^ tenendo pur conto della perfezione a cui è 
giunta ora l'arte meccanica. 

Dovendo io far costruire una tromba di forza un poco rilevante, per 
uso agricolo, ed in condizioni tali da non potervi applicare, né un motore 
a vapore, né un maneggio qualunque, e quindi avendo cercato di studiare 
la miglioi'e possibile disposizione in ogni parte di tale meccanismo, mi 
sembrò che un ottimo effetto sì sarebbe potuto ottenere col far lavorare 
tre pistoni entro lo slesso corpo di tromba. Ma poi riflettendo che pel 
caso speciale era troppo necessaria la semplicità- del meccanismo, prescelsi 
di costruirla a soli due pistoni. 

Dopo ch'ebbi fatto costruire questa tromba venni a conoscere che già 
da molto tempo erano state immaginate trombe a due pistoni, e special- 
mente da un rinomato ingegnere meccanico Sig. Hubert. Quella fatta da 
me costruire ha molla somiglianza con la tromba del Sig. Hubert : soltanto 
mi sembra aver migliorato le condizioni d'ingresso e di uscita dell'acqua 
dalla tromba, perché in luogo di far le unioni dei tubi conduttori nor- 
malmente all'asse della tromba, ho fatto in guisa, che gli slessi tubi, con 
gomiti di raggio ben grande, e con dolce conicità^ si convertano in corpo 
di pompa. Del resto con questa comunicazione, che ho l'onore di presen- 
tare alla Accademia, non cerco già un merito d'invenzione, ma voglio sol- 
tanto esporre qualche osservazione, che credo non sia stata fatta sino ad ora. 

Le trombe a due pistoni, compresa anche quella del Sig. Hubert, furono 
riguardale come cosa ingegnosa ed elegante e nulla più; ma invece farò 
osservare come si possa ottenere in esse, qualora sieno ridotte a tre pistoni. 



— 378 — 

un effetto di elevazione, o, come dicesi dai meccanici, un rendimento molto 
superiore a quello delle altre trombe. Questo bel risultato si ottiene preci- 
puamente dalla possibilità di sopprimere le valvole fisse, e di ottenere in- 
vece il giuoco della tromba con le sole valvole poste nel centro degli 
stantuffi. 

Senza entrare in minuziosa descrizione dell'apparato, s'intende bene 
come da un asse rotante da cui partano tre bielle (divisa in tre parti 
uguali la rotazione) si possa dar movimento a tre stantuffi, che abbiano la 
corsa nello stesso corpo di tromba. Ora h chiaro che a qualunque punto della 
rotazione dell'asse motore, si avrà sempre uno almeno dei stantuffi in movi- 
mento ascendente, e quindi la colonna di liquido parimenti sarà sempre 
ascendente, e con moto abbastanza uniforme: dunque l'apertura e la chiu- 
sura delle valvole sarà indipendente dal movimento del liquido, ciò che 
vuol dire, che non accadrà la perdita di forza viva, che si deve necessa- 
riamente verificare nelle trombe comuni, che cioè alla chiusura delle val- 
vole il liquido ascendente retroceda per una quantità più o meno grande, 
in guisa che nella maggior parte delle pompe si genera un movimento re- 
trogrado di tutta la colonna e quindi un colpo d'ariete di effetto non 
lieve. Dunque le valvole si potranno costruire di apertura quanto più grande 
sia possibile, senza timore di perdita di forza viva, e con ciò sarà elimi- 
nato altro inconveniente ben grave, cioè la resistenza da vincersi pel pas- 
saggio del liquido per fori angusti. Adunque noi) abbiamo resistenze nella 
unione dei tubi conduttori col corpo di tromba , uè parimenti l' abbia- 
mo nelle valvole , e quindi se non teoricamente , al certo pratica- 
mente, nelle formole che esprimono le varie perdite di forza viva nelle 
trombe, si potranno trascurare i termini che riguardano gli spazi! perduti 
per le valvole^ ed alle resistenze per passaggi angusti del liquido. Ma non 
basta ancora; la resistenza dello stantuffo h data dal peso della colonna di 
liquido elevata, moltiplicato dal coefficiente di attrito della materia, che 
guarnisce lo stantuffo, contro la superficie metallica formante il corpo della 
tromba : ed il peso della colonna ossia la sua altezza è aumentata di tanto, 
quanto h dovuto' alle resistenze di sopra indicate: mentre che nella tromba 
di cui parlo , lo stantuffo , può dirsi , non sostenere che la colonna di 
liquido elevata. E dippiù siccome il movimento del liquido e sempre ascen- 
dente, si potrà adottare addirittura lo stantuffo metallico, ovvero si potrà 
guarnirlo con dischi di materia elastica a frizione assai dolce con le pa- 
reti della tromba: in tal caso il modo di valutare la resistenza dello stan- 



— 379 — 

tùflfo non è più quello che ho detto , ma la resistenza stessa potendosi 
ridurla a minima ed incalcolabile, si dovrà tener conto invece della pic- 
cola parte di acqua, che sfuggirà dal disopra al disotto delio stantuffo. 

Nello stesso tempo che I* area A dello stantuffo eleva con la corsa C 
un volume AC, la perdita di cui parlo sarà rappresentata dall' area a del 
meato fra lo stantuffo e la tromba, per la velocita dovuta alla altezza h di eie-* 
vazione, moltiplicata poi per un coefficiente, dovuto all'attrito dell'acqua 
contro le pareti del sottilissimo meato: quindi la perdita stara alla por- 
tata, come 

K a }/igh : AC. 

Si prenda per esempio la tromba da me fatta costruire^ ove lo stantuffo 
è del diametro di M^ o, 14, la corsa in un secondo è di M' o, 20, la elevazione 
è di metri o. Supposto un meato di un quarto di millimetro (che sarebbe 
pur eccessivo) avremo 

AC - 0,0154 metri cubi, 

e 

Ka ^^h -> 0,0008 metri cubi. 

avendo adottato K » 0,7. 

Dunque la perdita più rilevante nelle trombe comuni, e che ascende 
spesso al ao per cento, si ridurrà in questa tromba al s, e non volendo 
trascurare un leggerissimo attrito, ascenderà al 6. 

Vediamo adunque quali potranno essere tutte le perdite di forza viva 
di questa tromba nella ipotesi qui sopra ammessa, assumendo una forza 
totale applicata pari a ioo. La perdita di attrito per Tasse rotante su cu- 
scinetti, e per le bielle, tenuto conto anche di una lubrificazione imperfetta 

ascenderà al massimo a , . . . 3 

perdita negli stantuffi come dianzi ho esposto 8 

perdita pel movimento alternativo di tre pistoni, aste manovelle etc. 2 

perdita per resistenza delle valvole e delle pareti dei tubi supposti 

anche non levigati e dei premistoppa s 

perdite per attriti derivanti da inesattezze di costruzione ..... 2 



Totale — 20 



49 



_ 380 — 

Quindi il rendimento sarebbe dell' 80 per cento, assai superiore a quelfo 
di tutte le trombe adoperate» sebbene esse sieno di ottima^ e ben studiata 
costruzione. 

Le considerazioni che bo esposte, le quali sono basate, non solo su va- 
lutazioni teoriche , ma bensì su dati sperimentali ben conosciuti , mi in- 
dussero a dar conoscenza di questa mia idea. Spero quanto prima poter 
costruire una tromba su questo nuovo tipo, e non mancherò di render noti 
i rìsultamenti della esperienza» ma desidererei ancora che fosse studiata e 
sperimentata da altri , poiché mi sembra che molti sarebbero i casi , nei 
quali se ne potrebbe ritrarre vantaggio. 



381 — 



COMUNICAZIONI 



Provenzali P. F. S. - Presentazione di una sua ^pera. 11 eh. P. F. S. 
Provenzali presentò all'Accademia la sua recentissima opera intitolata « Trat- 
tato elementare di chimica moderna. » 

De Róssi prof. M. S. - Presentazione di un giornale. Il Prof. M. S. de 
Rossi presentò una copia del giornale t Economista di Malta del 6 Aprile 
I373j contenente un invito ai Maltesi di contribuire al monumento per il 
P. Secchi iniziato dalla nostra Accademia. 

COmTATO SEGRETO 

L'Accademia si riunì in comitato segreto per procedere alle votazioni 
sopra le proposte fatte dal Comitato direttivo. In primo luogo si passò ai 
voti la tema per i membri ordinari composta dei eh. sig. Prof. Francesco 
Ladelci, P. Felice Ciampi, Dott. Matteo Lanzi. Fatta la votazione, essendo 
sedici votanti , per essersi ritirato il Rmo Mgr. F. Regnani , risultarono 
eletti a pieni voti il Prof. Francesco Ladelci, e il P. Felice Ciampi; e con 
dodici voti bianchi contro quattro neri il eh. Dott. Matteo Lanzi. 

Si procedette quindi alla votazione per l'elezione dei soci onorari, fra i 
quali si propose di annoverare i cinque soci componenti ab-antico la classe 
degli aggiunti, cioè Ing: Ignazio Cugnoni, D. Salvatore Vespasiani, Conte 
Augusto della Porta, Cav. Clemente Palomba, Avv. Felice Desjardins. Fatta 
la votazione complessiva rimase approvata la proposta con 15 voti bianchi 
contro uno nero. Vennero poi successivamente fatte le votazioni per gli 
altri proposti^ che furono tutti eletti nel modo seguente: Mgr. Vincenzo 
Vannutelli, Prof. Francesco Massi, Mgr. Stefano Ciccolini, a pieni voti: il 
Can.""^ D. Enrico Fabiani con 15 voti bianchi: il Commend. Giovanni Bat- 
tista de Rossi per acclamazione. Contro la quale per dovere d'officio pro- 
testarono il Segretario ed il Presidente, dichiarando quest'ultimo, che quan- 
tunque dividesse anch*egli i sentimenti dei soci verso Teletto, pure stimava 
doveroso nella sua qualifica di Presidente di proporre , che si facesse la 
votazione ordinaria a forma dei regolamenti. Al che fu risposto dai soci, 
che lo Statuto prescrive le votazioni per mezzo delle palle , escludendo 
soltanto le votazioni per schede; e che la votazione per acclamazione non 
h perciò contraria ai regolamenti, ed esserveue altri esempi per delibera- 
zioni nelle quali il corpo accademico volle dimostrare uno speciale gradi- 



— 382 — 

mento. Dopo ciò il Presidente approvò Tosservazione e dichiarò di prender 
parte alla fatta acclamazione; mentre il Segretario» che per dovere di de- 
licatezza avea dapprima dichiarato di astenersi dal prender parte alla vo- 
tazione, rese grazie all'Accademia per l'onore distintissimo, che veniva fatto 
al suo maggiore fratello. 

Finalmente dovendosi fare la votazione per reiezione dei cinque soci 
proposti dal Comitato per la classe degli aggiunti , fu osservato essere 
dell' interesse dell' Accademia il far rivivere questa classe da molto tempo 
trascurata, di renderla alquanto più numerosa. Quindi il Corpo deliberante 
commise al Comitato accademico di formolare una nota di candidati da pre- 
sentarsi nella prossima sessione in tante copie, quanti saranno i soci presenti: 
di modo che ognuno potrà apporre a ciascun nome un segno convenzionale 
per l'ammissione o per l'esclusione. Ciò non altera il segreto della votazione 
e non è contrario alla proibizione regolamentare delle schede, atteso che 
il segno convenzionale non rivela la calligrafia di veruno , ed è soltanto 
un modo spedito di votazione, che equivale alla ballottazione. Il corpo de- 
liberante però volle subito complessivamente passare ai voti i cinque già 
proposti dal Comitato, che furono approvati a pieni voti. Essi sono Sig. 
Prof. Odoardo Persiani, Prof. Eugenio Persiani, Prof. D. Cesai^e Gismondi, 
Prof. Alessandro Seganti, D. Filippo Bonetti. 

SOCI PRESENTI A QUESTA SESSIONE 

Comm. A. Cialdi, Presidente - Prof. Tito Armellini - P. Provenzali - 
P. Foglini - Monsig. F. Regnani - Cav. F. Guidi - Comm. C. Descemet 
- Prof. M. Azzarelli - Prof. V. De Rossi Re - Cav. G. Olivieri Conte - 
Ab. F. Castracane - Prof. A. Statuti - P. S. Ferrari - P. D. Chelini - 
D. B. Boncompagni - Dott. D. Colapietro - Prof. M. S. de Rossi, Segretario. 



La sessione aperta legalmente alle ore 5 pom. ebbe termine alle 7 74 pom. 

OPERE TENUTE IN DONO 

1. Bullettino di BMioarafia e di Storia delle niente maiewuAidie e Miiche p^Mlieaio da B. 
Bancompaonit ecc. ^Tomo XI. —Aprile 1878, — Roma ecc.» 1878. In 4.* 

a. DENZA (P. Francefco). — Il Padre Angelo Secchi. — CommemoraMione del P. Praneeeco Berna 
direttore della carritpondenxa meteorologica alpincHipponnina. — Torino, 1878Colieffio Artigia- 
nelli — Tip. e Lio. 8. Giuseppe, Corso Palestra, 14. 

3. PROVENZALI (P. F. 8.) — Trattalo elementare di Chimica moderna del P. F. S. Proven- 
tali d. C. d. O, — Volume I. — Parte prima. Chimica generale MeUUoidi-meUlli. — Voi. II. 
Combiaaiioni del carbonio. — Roma. Tipografia di Bernardo Morini 1877. 



ATTI 

DELL'ACCADEMIA PONTIFICIA 

DE'NUOVI LINCEI 



SESSIONE VI' DEL ^6 MÀGGIO 4878 

PRESIDENZA DEL SIG. COMM. ALESSANDRO CIALDI 



MEMORIE E NOTE 

DEI SOCI ORDINARI E DEI CORRISPONDENTI 



SOPRA LA RELAZIONE 

FRA I MASSIMI E MINIMI DELLE MACCHIE SOLARI 

E LE STRAORDINARIE PERTURBAZIONI MAGNETICHE 

NOTA 

DEL P. G. STANISLAO FERRARI 



s 



oggetto di questa comunicazione si e Tesarne comparativo de' fenomeni 
solari e magnetici osservati nell'anno 1875. Come si era fatto per gli anni 
precedenti anche per quest'anno si trattava di esaminare se questa corre- 
lazione sussisteva eziandio pei singoli periodi secondari delle diverse rota- 
zioniy tanto più che ora ci andiamo accostando all'epoca del minimum 
delle macchie. Affine di porre meglio in luce le nostre conclusioni^ altro 
non faremo che riferire ^ voltandoli fedelmente nel nostro idioma, i risultati 
che ottenne il Ch. Sig. Eugenio Spée esaminando le curve delle osserva- 
zioni magnetiche, allorché dimorava con noi all'Osservatorio, e da esso 
presentato all'Accademia Reale delle Scienze nel Belgio. Questo esame fu 
dal medesimo istituito, come ci manifestò più volte, affine di stabilire in 

50 



— 384 — 

modo indipendente il fatto di tale intima correlazione, e scelse a tal 
uopo Tanno 1875, essendo imo di quelli ne' quali già cominciava a dimi- 
nuire sensibilmente il numero delle macchie poiché , come egli si esprime 
(pag. 5.) (c gli anni del minimo «sono assai favorevoli per lo studio di 
« questi fenomeni; la loro scarsezza fa si, che se ne possano seguire con 
i* più attenzione le varie fasi ed esaminare minutamente le circostanze che 
y» le accompagnano; inoltre diviene per tal modo meno probabile Tipo- 
>» tesi che il loro accordo sia TeSetto del caso. Sotto tal punto di vista 
» h prezioso Tanno 1875. Il numero delle macchie che nel 1874 era ancora di 
D 153 discese nei 1875 ad 86 ed un* analoga diminuzione fu notata nel nu- 
» mero delle facete e delle protuberanze. Ho paragonato, egli dice, le 
» ciirve magnetiche diurne costruite sopra, le otto osservazioni del decli- 
» nometro, del bifilare, e del verticale, collo stato fisico del Sole. Vi è fra 
» queste due classi di fenomeni un accordo si manifesto, che farebbe 
» nascere spontaneamente l'idea di collocare nelTattivitk solare la cagione 
» primitiva di tutti i fenomeni magnetici ». 

. Viene poscia il Gh. Autore ad esporre i particolari dal suo studio com- 
parativo e sono i seguenti : 

GENNAIO 1875. 

Il 2 Gennaio, primo giorno d* osservazione, vi era un gruppo sulla su- 
perficie solare ed era già arrivato a tre quarti della sua corsa. Esso mi- 
surava ancora 9"^"^ e vi si contavano 9 piccoli nuclei. 

Il 2 Gennaio, gli strumenti magnetici furono perturbati. La perturbazione 
si manifestò principalmente nel verticale e nel declinometro. Quest'ultimo 
discese rapidamente di 6 divisioni, contro l'andamento normale di questa 
stagione. 

II 3 erasi sviluppato il centro del gruppo assorbendo le parti vicine: la 
macchia avea T aspetto di un triangolo di is"^*^ di superficie , con due 
nuclei. Il 4 una nuova macchia formossi alT improvviso nelT emisfero Nord 
a due centimetri dell'orlo occidentale. Le facole che l'accompagnavano e 
quelle che circondavano la maccliia principale erano assai vive. Il 5 ed 
il a il cielo fu coperto. Il 7 una macchia con due nuclei cominciava la 
sua rotazione, ma fu di poca importanza. Il io quantunque assai avanzata 
sul disco solare non misurava che a millimetri. 

Il 3 il bifilare fu assai irregolare. La perturbazione aumentò nei giorni 
seguenti e specialmente nel pomeriggio del i fece una discesa di i5 divi- 



-^ 385 — 

sioai. la tal giorno fu altresì notabile la perturbazione del declinometro 
e del verticale. 

Dal 7 al 17 non si potè fare che una sol volta il disegno del Sole. Questo 
periodo è un perìodo di molta calma. Gli strumenti furono ben poco agi- 
tati : solo furono spostate le ore tropiche. 

Il 17 apparve un gruppo all' orlo orientale del Sole. Vi si contavano 
sette nuclei, ma l'agitazione non era che superficiale essendo debolissime 
le facole. Infatti dopo 'avere aumentato di superficie fino al i9 esso diminuì 
rapidamente^ ed il 23, allorché trovavasi alquanto al di la del diametro 
polare esso non era più che una serie di piccoli punti neri. 

Dal 17 al 2i il bifilare ed il verticale furono soventi voht fuor d* ora. Il 
22 fu più notevole la perturbazione e generale negli strumenti. Il verticale 
percorse 9 divisioni ed il bifilare il, il declinometro rimase assai fluttuante. 

11 disegno del 23 mostrava lo sviluppo enorme di tre piccoli pori com- 
parsi il 20; essi formavano un sistema di due belle macchie nucleari della 
superficie di 30.'"'''* Il 24 le macchie erano circondate di brillanti facole. 

Il 24 forte perturbazione : il verticale salì di il divisioni e il bifilare di 
i9y per discendere il 25 di 20 divisioni. 

11 26 esse erano sull'orlo, dal quale vedevansi lanciati dei getti brillanti 
che partivano dai loro centri. Dal 26 al 29 nulla di notevole. La sola cro- 
mosfera è alquanto agitata. Mancano i disegni del 30 e del 31. 

Nulla di straordinario nel magnetismo terrestre. Nel pomeriggio del 30 il 
bifilare salì repentinamente di 17 divisioni, mentre il si non oscillò che di 
tre divisioni. 

FEBBRAIO 

Ma il 1? Febbraio una macchia di 7'°">i era entrata sul disco. L'agita- 
zione che l'avea prodotta doveva essere mediocre e presso la sua fine. 
La cavita non tardò molto a chiudersi. Il 5 non ve n'era più traccia. In 
quel giorno furono disegnati parecchi piccoli pori. Il 6 essi formavano un 
piccolo grup])0 di 12 millimetri situato sull'asse e vi si contavano 9 nuclei. 
Ma quest'agitazione ancora fu passeggera.il 9 i nuclei erano ritornati allo 
stato di porì , i quali l' il erano compiutamente scomparsi. 

Dal 2 al 5 il verticale ed il bifilare furono costantemente perturbati. Il 6 
il declinometro percorse appena una divisione. 

Il 9, nella mattina, si vide una leggera eruzione all'orlo Est. Nella re- 
gione corrispondente del disco, vi si vedevano già delle bellissime facole ed 



— 386 — 

una piccola macchia presso dell* orlo , ma il tutto ben presto svanì e si 
sciolse. La calma durò fino al 17. In questo giorno una lontana eruzione 
mostravasi ali* orlo orientale. Il 19 una bella macchia nucleare yedeasi nella 
regione corrispondente accompagnata da una seconda più piccola. La somma 
delle aree era di is."""^ 

Il 9, il verticale fu assai oscillante; ed il io il bifilare percorse più di 
15 divisioni. 

Il 20 ed il 21 fu coperto il cielo e impedita Tosservazione. Il 22 la su- 
perficie occupata dalle macchie era di SG"*"^; un* osservazione speciale del 
nucleo principale mostrò nella cavita la presenza del sodio, dell* idrogene » 
del magnesio e del ferro. Continua a crescere Fattività solare. 11 24, al- 
lorché il vasto gruppo trovavasi sul meridiano centrale, due nuove macchie 
formaronsi a piccola distanza dell'orlo Est. Il 26 in tutto se ne contavano e 
con 12 nuclei ed una superficie totale di 66*°"^. Le facole altresì erano 
numerose e brillanti. 

L'attività che regnava nelle macchie, manifestavasi nel movimento delle 
sbarre magnetiche. Infatti, dopo essere stata paralizzata dopo il 17, l'e- 
scursione giunse il 21 ad li divisioni pel verticale ed a 18 pel bifilare. Il 
22 il declinometro restò perturbato, il 25 ricominciarono le grandi fluttua- 
zioni, ed il 27 si ebbe una fortissima perturbazione magnetica , del carattere 
che i fisici chiamano aurorale. V escursione del bifilare fu di 64 , 6 divi- 
sioni, quella del verticale di 43, e quella del declinometro di 19, 5. 

MARZO 

Il tempo cattivo che durò quasi costantemente nel mese di Marzo impedì 
frequentemente le osservazioni. 

Il bifilare fu perturbato nei giorni i, 3 e 5. L'oscillazione del verticale 
fu il 5 di 12 divisioni, e di 14 l's. Esagerata fu pure quella del bifilare; il 7 
era di 12 divisioni. 

I disegni del 6 e 7 mostrano ancora un poco di attività; vi sono due 
piccoli gruppi alquanto al di là dell' asse con ìel^'^'i di superfìcie perturbata 
il 6 e di 26"*"^ il 7. Il 9 la porzione agitata h tutta presso Torlo occiden- 
tale ed ha ancora if^"^ di superficie. 

II 10, il verticale discese dopo un* oscillazione di 15 divisioni. 

Dopo un* interruzione di quattro giorni due nuove macchie trovavansi 
sul disco solare : dalla loro posizione si calcola che la regione da esse occti- 
pata era all'orlo Est l'il ed il 12. 



— . 387 — 

L'ii il bifilare calò di 19 divisioni, l'ampiezza dell* oscillazione del verti- 
cale fu di i4 divisioni, ed il massimo principale del declinometro accadde 
fuor d^ ora. Dal 13 al 17 il bifilare fu continuamente perturbato. 

II 18 una macchia di notevole dimensione^ per l'epoca attuale, trova vasi a 
5 millim. dell'orlo orientale^ il nucleo e la penombra aveano una superficie 
di la"*"*^ ed erano circondati da facole numerose. È a dolersi il non averne 
potuto fare l'osservazione spettrale, che al certo si sarebbe veduta l'e- 
ruzione. Il 19 e i giorni seguenti l'agitazione crebbe costantemente. 11 23 
l'area perturbata era di 45°'"'^ ripartita in due gruppi con 7^ nuclei. 
Il 17, il bifilare sali rapidamente e giunse nella mattinata alla divisione 113; 
l'oscillazione del verticale fu di 17 divisioni. L'influsso del gruppo sembra 
siasi fatto sentire di preferenza sul verticale, nel quale le oscillazioni sono 
sempre esagerate. Il 24 e 25 esse sono tuttavia di 17 divisioni. Dal 20 al 27 
la media oscillazione del biGlare era di 5*^, 8, il massimo fu di 8"^, 3 ed il 
minimo di 4f, 2. Il 28 essa fu di 17"^, 7 ed il 29 di 16"^, 5. 

Il 30 Marzo l'immagine del sole rivelò la presenza di un nuovo gruppo di 
igminq jj Superficie. Esso era al di la del meridiano centrale. La sua formazione 
risaliva al 28 o al 29^ poiché il 27 non vedevansi in questa regione né 
pori ne facole. 

APRILE 

Il mese di Aprile fu anche più sfortunato del mese di Marzo. Nello spazio 
di 15 giorni non si potè fare che 6 sole volte il disegno del sole e tre 
volte soltanto l'osservazione spettrale. 

Il disegno del 4 mostra quattro gruppi di facole che racchiudono 7 piccoli 
nuclei. La cromosfera era tranquilla , e non vi era che una protuberanza 
di i2"^«<i di superficie. L' 8 ed il 9 fu notato che uno dei gruppi era au- 
mentato ed una nuova macchia entrava sul disco. Lo stato del cielo non 
permise lo studio della cromosfera. Si ebbe una nuova interruzione di cin- 
que giorni. 

11 15 Aprile si vedevano tre macchie che nell'insieme comprendevano 33"''"i 
di superficie. Esse trovavansi nel periodo detto di tranquillità ; le facole 
erano poco numerose ed appena visibili, e il centro diminuì rapidamente. 

L'andamento de' magneti fu assai regolare nei primi giorni del mese. Il 
5 ci fu una leggiera perturbazione nel bifilare che continuò anche il 6. 

Il '7 essa fu fortissima in tutti e tre gli strumenti e fu in coincidenza 
con una bella aurora boreale osservata a Pietroburgo. Nella mattina il bifi- 



~ 388 ^ 

lare discese di 3i divisioni, verso mezzodì sali di 7 per discendere nuo- 
vamente di 10 nel pomeriggio. La sua calata fu quindi di 34 divisioni. Il 
verticale risali di 25^ , 4 e Tosciilazione del declinometro fa di 11"^, s. 

11 bifilare rimase perturbato^ ma senza presentare dell'esagerazione nella 
sua escursione. L*oscìllazione del verticale per contrario andò crescendo dal 
12 al 15. Il 15 essa comprendeva 20^. Essa diminuì nei giorni seguenti, per 
poi aumentare dopo il 20. 

Dal 17 al 22 la cromosfera riprese un poco di attività ; vi furono ogni 
giorno da 7 ad 8 protuberanze colla superficie media di 250'""'^. Mancano 
le osservazioni del 23 e 24. Il 23 l'oscillazione del verticale fu di 28"^ ed il 
26 usci fuori di scala. 

Il 25 eravi una gran macchia di a^'^ di superficie con due nuclei 
ne* quali la penombra era circondata da vivissime facole. Il 27 apparve 
un nuovo gruppo che fino dal 26 doveva essere sull'orlo Est. Esso era 
assai più sviluppato del primo e quantunque ancor vicino all'orlo misurava 
già 30""""^ di superficie e l'aureola delle sue facole era notevole. A mano a 
mano che esso avanzavasi, meglio potevasi giudicare delle sue dimensioni 
assolute. Il 30 la sua superficie era di 50'°"''i. 

Il verticale principalmente sembrò sentire l' influsso di questo bel gruppo. 
La sua escursione fu costantemente esagerata. 

MAGGIO 

Nei primi giorni di Maggio l'attività interna del sole continuò ad essere 
notevole, e le facole continuarono ad essére assai brillanti. Il 3 allora quando 
la macchia avea di poco oltrepassato il centro del Sole, il verticale percorse 
20 divisioni. Il 4 uscì fuori di scala ed il 3 la perturbazione fu generale. 
Il 6 il verticale percorse di nuovo 33 divisioni ed il 7 usci nuovamente di 
scala come pure il 9 ed il iO. La perturbazione quantunque di minore in- 
tensità, scorgevasi ancora nei moti del bifilare e del declinometro. 

Il giorno 8 il nucleo del gruppo principale distava di i""° dall'orlo. 11 9 la 
macchia scomparve dal disco^ ma essa era tuttora visibile allo spettroscopio 
il quale mostrava che l'eruzione non era ancor terminata. A questa accre- 
sciuta attivila dei giorni scorsi succedette un tempo di calma quasi assoluta. 
Dal 10 al 20 non si vide che un poro e quasi nessuna facola. 

Colla scomparsa della macchia ^ cessò ancora la perturbazione ne' ma- 
gneti, ed il verticale riprese il suo moto medio ordinario che è di 7 divisioni 
incirca. Dal io al 20, la sola irregolaritk che mostrano di quando in quando 



— 389 — 

gii strumenti fu un caugiameato neirore tropiche. L^ampiezza delle loro 
oscillazioni si mantenne sempre nei loro limiti ordinar] . 

Il 21 la cromosfera fu alquanto in moto. Vedevansi qui e la sul contorno 
del disco dei getti brillanti. Il 23 Tattivita fu ancor più forte» una piccola 
macchia entrava sull'orlo orientale ed il numero delle protuberanze sali 
fino a 10 , colla superficie totale di 280"''"*i. La superficie suddetta era di 
ii4«n«i il 21, e la media dei sette giorni precedenti fu di 70""*^. Dal 24 fino 
alla fine del mese non si videro sul sole che due pori i quali si chiusero 
prima ancora di giungere all'orlo occidentale. 

^ Il 2I9 22 e 23 fu doppia 1' escursione del bifilare ed il 22 il verticale fu 
alquanto esagerato. Questa leggera perturbazione, la quale conferma in modo 
singolare una delle conclusioni enunciate dal P. Ferrari , fu seguita da una 
grandissima calma. 

GIUGNO 

Il 2 Giugno apparve un piccolo gruppo. Quantunque presso all'orlo , cioè 
a dire nella miglior condizione per osservarvi le facole, queste si vedevano 
appena. Il 3 ed il 4 non si potè fare il disegno. Il 5 eravi un notevole 
cangiaménto. Le sue dimensioni di iif^'^i erano salite a 28"''"^ e vi si scorge- 
vano molti piccoli nuclei. Il 6 ed il 7 il gruppo crebbe ognora più quan- 
tunque avesse già oltrepassato il meridiano centrale. 11 12 esso era giunto 
alForlo occidentale e si fecero due disegni della protuberanza che la sor* 
montava. Il periodo di attività era decrescente poiché i getti erano poco ele- 
vati. Il 16 vedeansi sul sole tre gruppi di facole seminate di piccoli pori. 

Una nuova perturbazione cominciò a manifestprsi nel bifilare. 11 suo moto 
medio aumentò, ed aumentò pure quello del verticale. Il 4 esso calò di 11 
divisioni, ed il verticale di 9. Il bifilare rimase agitato, ed il 7 la su9 oscil- 
lazione fu di 17^. L'agitazione andò diminuendo a poco a poco. Il moto dei 
bifilare rimase esagerato il 9. Il i3 la perturbazione fu sensibile nel verticale 
ed il 14 e 15 gli strumenti furono regolarissimi. È degno di nota che questa 
perturbazione magnetica ebbe luogo durante un seguito di bellissime giornate 
nelle quali non si potè osservare nessun fenomeno meteorologico straor- 
dinario. 

Il 17, is e 19 il tempo fu coperto. Il 20 uno dei gruppi del 16 erasi 
assai sviluppato, esso misurava 33*""*^ e contavansi sul disegno 7 nuclei di- 
stinti. Nei dì seguenti esso diminuì rapidamente, uon si vedevano facole nel 
suo contorno ed allorché giunse allorlo esso era quasi compiutamente chiuso. 



— 390 — 

Il 17 il declinometro ed il verticale erano fuor d^ora, e il bifilare dopo 
essere salito di is' nel pomeriggio di questo giorno, neirindomani calo di so 
divisioni. 

Il 22 un gruppo erasi formato nel centro del sole; esso conteneva una 
piccola macchia ed una serie di piccoli pori. Il 23 e S4 fu impedita l'os- 
servazione. Il 25 il gruppo avea 55"*"^ di superficie perturbata. Il 27 era 
presso all'orlo^ e, come nel caso precedente, fu notata l'assenza delle facole. 

In sulle prime l' influsso di questo gruppo sui magneti non parve essere 
in correlazione colla sua estensione, il bifilare a dir vero fu irregolare dal 
20 al 29 ed il minimo del verticale fu quasi ogni giorno fuor d'ora« Ma ad 
eccezione del ^30, non si videro quelle esagerate escursioni che coincidono col 
passaggio delle grandi macchie. Si può supporre pertanto che non ostante 
le sue ampie (ma non eccessive) dimensioni lattivitk del gruppo non era pro- 
fonda, infatti essa durò neppure un'intera rotazione, mentre le grandi macchie 
si mostrano fino a tre volte successivamente sul disco solare. 

Il 30 entrò nel disco una piccola macchia nucleare di forma quasi perfetta- 
mente ellittica. Eravi inoltre un gran gruppo di facole, che stendevansi verso 
occidente per un arco di 20 gradi nella regione equatoriale. La parte corri- 
spondente del lembo era sormontato da un bel fiammone idrogenico. 

Il 30 la perturbazione fu più forte, il bifilare percorse ìa^. 

LUGLIO 

L'attività solare nel mese di Luglio fu insignificante. La piccola macchia 
ellittica compì la sua escursione indebolendosi sempre più. 

L'andamento del bifilare nel mese di Luglio fu irregolare senza però mo- 
strare esagerate escursioni. Il 3 percorse ii^j 5, 1* it l' irregolarità fu più 
sensibile e si estese al declinometro e al verticale. 

L' li dopo un' interruzione di due giorni, videsi sul sole una piccola 
macchia nel suo nucleo penombra e facole. Il 13 un secondo centro di at- 
tività si aggiunse al primo. Ma l'uno e l'altro dovevano durare assai poco. 
Il 17 non eravi più che un poro. 

Il 13 gli strumenti furono ancora perturbati. Quanto alle pìccole pertur- 
bazioni del 15, 16 e 17 esse furono senza dubbio connesse colle burrasche 
che di quei giorni passarono sopra Roma. 

Fino al 25 non vi fu più nulla di nuovo. In questo giorno fuvvi una 
piccola eruzione all'orlo Est. Ne furono presi tre disegni; e la macchia ap- 
parve neir indomani. Essa si accrebbe sensibilmente fino al giorno 30, in cui 
aveva is"**""! di superficie perturbata. 



— 391 — 

11 25 1' escursione del bifilare fu doppia del medio degli otto giorni pre- 
cedenti. La sbarra percorse lo^. Il 30 ne percorse 1392. 

AGOSTO 

La calma del mese di Luglio prolungossi durante il mese di Agosto e 
specialmente dall* i al 20. La macchia del 26 s'indeboliva mano a mano che 
essa accostavasi all'orlo Ovest. 11 2 Agosto il massimo del bifilare calò di 5 
divisioni. 

Un* importante osservazione si fece il 2 di Agosto. Fu visto assai distinta- 
mente nella parte centrale del disco un gruppo di facole disposto lunghesso 
Tequatore solare. Per essere vedute in quesla posizione esse dovevano avere 
uno straordinario splendore. 

Il 3 esse erano quasi compiutamente scomparse» e nel loro posto sulla 
regione anteriore presso la macchia del 26 erasi formato un piccolo gruppo. 
Mancano i disegni del 4^ 5 e 6. 

Il 3 la perturbazione fu generale. 11 massimo del declinometro ed il mi- 
nimo del verticale furono in ritardo di due ore ed il bifilare ebbe soltanto 
il suo minimo secondario. 

Il 7 il gruppo era arrivato all'orlo, e si potè notare che esso non era 
ancora in riposo, quantunque però Teruzione fosse assai debole. Dall' 8 al 20 
il tempo fu magnifico. L'osservazione fu fatta regolarmente ogni giorno, e 
la somma delle aree elevossi a S"*""! di superficie perturbata. 

Il 6 Agosto il verticale sembrava paralizzato ; esso percorse appena 3 
divisioni e vi fu un secondo minimo anormale alle 4^ pom. Durante questo 
periodo non vi fu nulla di straordinario negli strumenti magnetici. Una leg- 
gera perturbazione manifestossi dal 12 al 16 : il verticale era frequentemente 
paralizzato. 11 massimo ed il minimo de'varj strumenti accadeva fuori delle 
ore tropiche. I due gruppi di facole che in questo frattempo passarono sul 
disco solare furono forse la causa di tale perturbazione ? Non vi fu pertanto 
nessun fenomeno meteorologico particolare; il tempo si mantenne bellis- 
simo e regolare. 

Il 21 manifestossi un principio di attività. Una piccola macchia videsi 
quasi tangente all'orlo, ed il p. Ferrari disegnò vari getti che trovavansi 
sopra di essa. 

Il 22 questa macchia era seguita da una seconda più sviluppata e con 
due nuclei. Il loro complesso comprendeva un'area di u^'^'i e trovavasi ad 
una distanza media di T"*"" dal l'equatore solare nell'emisfero boreale. Più in 

51 



— 392 — 

basso, sotto l'equatore , presso a poco alla medesima distanza era?i una 
bella protuberanza idrogenica assai elevata. Il 24 nella regione corrispon- 
dente vedevasi un gruppo di belle facole. L'agitazione fu breve. Una delle 
macchie si chiuse prima di aver compiuto una mezza rotazione. L'altra, che 
era più grande, fu seguita fino al termine del suo passaggio. 

Il 21 il moto del bifilare fu stentato ed il verticale fuor d' ora. Il 22 
perturbazione nei tre magneti che il 23 durò ancora nel bifilare. Esso restò 
alquanto agitato e la sua escursione media fu di 12 divisioni essendo spesso 
fuor d'ora. 

SETTEMBRE 

Il 2 settembre la macchia trovavasi all'orlo e mostrava ancora un poco di 
attività. Succedette un tempo di calma. Il sole non aveva più né Caicole 
né macchie importanti. Soltanto la cromosfera era alquanto agitata il che 
appariva dai pennacchi che dileguavansi collo spettroscopio. 

Il 2 il massimo del bifilare corrispondeva alla divisione 115 della scala ed 
il 3 cadeva a 104. 

Il 10 una piccola macchia forma vasi sopra di un meridiano che stava per 
scomparire per la rotazione. 

Il iO il bifilare percorse io divisioni, ed uscì dalle ore tropiche , come 
pure il declinometro. Il verticale era paralizzato. L*oscillazione del 10 fu di 
2"^, 2 e quella dell'i 1 di 0*^, 8. 

Il 13 fuvvi un'eruzione alquanto sopra dell' equatore. Dalle 9*" 45°*°" alle 
11^ il P. Ferrari ne fece 4 disegni. Il 14 la macchia e le facole trovavansi sul 
disco; non distingue vasi ohe un nucleo, ma il 15 se ne vedevano 5. Un'altra 
eruzione si produsse il is ma sventuratanyente all'orlo occidentale. 

Il 13 il verticale soltanto fu sensibilmente agitato. Il 14 la perturbazione 
si fece sentire ancora nel bifilare. Essa giunse al sito massimo il 16 e si estese 
a tutti gli strumenti. Dalla sera del 15 al pomeriggio del 16 il bifilare di- 
scese rapidamente di 24 divisioni. II 17 il bifilare percorse ancora 16 divi- 
sioni, il 13 il verticale fece una forte discesa, e tutti i magneti furono fuor 
d'ora. Il bifilare continuò ad essere più o meno irregolare. Il 26 la sua 
escursione si fece ascendente , e salì fino al 29. Il 29 piccola perturbazione 
nei tre magneti. 

Il 29, dopo un' interruzione di parecchi giorni videsi sul disco solare 
un piccolo gruppo La sua posizione inoltrata indicava essere esso di recente 
formazione. 



— 393 — 

OTTOBRE 

Il f."* Ottobre formossi un gruppo, il quale mentre il i^ mostrava tre pori 
soltanto; il 3 aveva n"'"^ di superficie perturbata. 

Le burrasche che passarono sopra Roma^ durante il mese di Ottobre in* 
fluirono probabilmente sopra i movimenti dei magneti , ma più manifesta vi 
si scorge l'azione dell'attività solare. 

11 2 Ottobre si ebbe una sensibile perturbazione specialmente nel bifilare, il 
quale fece un'escursione di 17, 5 divisioni. 

I disegni del 5 del 6 e del 7 mostrano maggiore l'attivi tà nella parte 
occidentale dell'astro; tre gruppi vi si svilupparono, la loro superficie aumen* 

tava ogni giorno più , nonostante che T effetto della prospettiva dovesse farla 
apparire più piccola. 

II 5 fuvvi una perturbazione nel declinometro e nel bifilare. Il 6 essa fu 
generale, e durò ancora il 7 nel bifilare e nel verticale. 

Dal 10 al 17 il cielo fu copeito. Il ts due gruppi di facole di grande 
splendore vedevansi all'orlo Est* Esse contenevano dei piccoli pori appena 
visibili. L'agitazione veniva aumentando, ed il i9 uno di essi costituiva una 
macchia di 5"''"'i di superficie. Nuova interruzione. 

Dal 9 al 14 i moti del verticale e del bifilare erano alquanto impediti, 
e l'ampiezza dell'escursione assai ridotta. Il 1 6 vi fu una mediocre pertur- 
bazione, ma generate^ nei magneti. Il 17 il bifilare percorse soltanto 3"^, a ed 
il declinometro e il verticale furono fuor d'ora. Il is l'oscillazione del bifilare 
si ridusse a 3"^, 6 e il 19 a %^j 2. Quella del verticale fb 3^,1 e 3^ 3. 

Il 85 una bella macchia era entrata nel disco. Essa aveva una superficie 
di 13"*"*^ quantunque presso all'orlo. Vi erano due nuclei e la penombra era 
nettissima. Il 28 la macchia aveva oltrepassato 7$ del raggio solare ed era 
composta di 3 nuclei estesi colla sqjperficie di 35"'°'''. Essa era giunta al suo 
massimo di attività^ poiché con tutto che si avanzasse ancora pel disco le 
sue dimensioni andavano diminuendo. Il 30, due dei suoi nuclei erano fusi 
in un solo, essa era pressoché nel centro del sole sul meridiano centrale 
alquanto al di sopra dell'equatore. Il 31 i nuclei si andarono vieppiù re- 
stringendo e non misuravano che 26'°"''i di superficie. 

Il 24 si ebbe un'altra perturbazione nel bifilare dello stesso carattere 
che la precedente, esso oscillava fra 2 ^ 5 divisioni. La sera il verticale fu 
pure agitato, ed il 25 cominciò una serie di perturbazioni che influirono 
più o meno sopra tutti gii strumenti. La più forte ebbe luogo il 28. 



— 394 — 

NOVEMBRE 

Il i? Novembre vi fu della recrudescenza sul sole. Quantunque la mac- 
chia fosse vicina all'orlo occidentale vi erano in questo dì 4 nuclei. Da 
quest'epoca, il tempo fu contrario alle osservazioni. 

Il i.^ Novembre l'osciilazìone del bifilare fu di 13, 3 divisioni. Il 2 essa 
fu maggiore e la sbarra calò di so divisioni. Il declinometro ne percorse 8 
mentre il medio per questa stagione h di sole 3 divisioni. 

Dal 4 al 10 andamento regolare. L'ii, vi fu una leggiera perturbazione 
nel bifilare. 11 i2 si estese al declinometro e al verticale. 

Il i3 si pot^ prendare il disegno del sole: non vi erano cbe alcune facole 
all'orlo Occidentale. 11 i7 comparve una macchia la quale fu ]il principio 
d'un periodo più attivo. II 18 la macchia era divenuta un piccolo gruppo di 
gmmq^ j{ ^g ^^ ^^ formò uua seconda improvvisamente. Altre due si suc- 
cedettero, ed il 24 ultimo giorno in cui si potè fare l'osservazione il loro 
totale aveva 20^°"^ di superficie e conteneva 15 nuclei. 

Mancano da quest'epoca a disegni fino al 7 dicembre. 

Il bifilare restò irregolare in questo periodo eccetto il 21. Il carattere 
della sua perturbazione fu di avere i massimi e minimi fjuor d*ora. Il 
21, giorno dell'apparizione dei due ultimi gruppi, esso percorse il divisioni. 

La media del mese era di 6^^ 96. 

DECEMBRE 

II 6 Decembre il bifilare fece ancora una grande escursione. Esso fu ge- 
neralmente irregolare fino al 23. La curva fu assai irregolare il is, i7 e I8. 

Il 7 e l's vi furono alcune facoie di nessuna importanza. Il 12 il 13 e 
il 14 la cromosfera h agitata in varj punti. Nella regione ordinaria delle 
facole i fiammoncelli d' idrogene erano, copiosi ma di debole splendore. 

Il 14 due getti assai alti e vivi furono osservati e disegnati. Il 15 una 
macchia nucleare entrava sul disco e sviluppavasi rapidamente. Il 19 essa 
aveva una superficie di 27'°'°i e le facole che Taccompagnavano erano assai 
vive. Mentre sviluppavasi la macchia principale^ molti pori formavansi al- 
l' improvviso ed alcuni erano circondati da facole numerose. Una simile for- 
mazione avvenne il 26 al centro. Il 27 il punto nero divenne una macchia, 
ed il 20 ve n'erano due colla superficie di 7"""''. 

Il 18 fuvvi un'Aurora Boreale a Pietroburgo. Essa avvenne appunto allor- 
ché la macchia manifestava le sue piiì grandi modificazioni. Il nucleo prin- 



— 395 — 

cipale si era diviso e le due parti eraQO separate da un ponte luminoso 
assai brillante. 

11 23 e 24 gli strumenti furono tranquilli. Il 25 ricominciò la perturba- 
zione, ed il 26 l'oscillazione del bifilare fu assai larga. Dopo una serie di 
piccoli movimenti esso sali di i9 di- visioni e rimase perturbato sino alla 
fine del mese. 

I risultati di questo parallelismo sono assai stringenti. Le due più forti 
perturbazioni magnetiche di tutto l'anno, quello cioè dellafine di Marzo e 
di Aprile, coincidono col passaggio delle, maggiori macchie, cioè a dire, 
hanno luogo allorché l'attività del sole è al suo massimo, le une e le altre 
sMngrandiscono e s'indeboliscono al medesimo tempo. Per contrario^ i moti 
dei magneti sono tanto più- regolari quanto più grande è la calma nella 
massa solare. Fra questi due limiti estremi le oscillazioni irregolari sono più 
o meno pronunciate secondo che la cromosfera e la fotosfera sono anch'esse 
piùo meno agitate. Alcune di queste perturbazioni magnetiche accadono 
durante 1* assenza di qualsiasi perturbazione meteorologica , allorquando 
cioè non vi sono subitanei cangiamenti di temperatura, né grandi alterna- 
tive nelle correnti atmosferiche, e quando non si hanno grandi ondate ba- 
rometriche il che ci conduce a cercare al di fuori delPatmosfera l'origine 

di queste misteriose agitazioni. Inoltre tale coincidenza non è un fatto iso- 
lato^ ma si verifica negli anni anteriori. Siccome però la rarità relativa di 
questi fenomeni è maggiore nel 187S, cosi la coincidenza si rende più manifesta. 

Giova però ricordare che allorquando si attribuisce ai moti che accadono 
nella materia fotogenica un' influsso sul magnetismo terrestre, non si vuole 
con ciò escludere l'esistenza di altre cagioni secondarie, quali sarebbero le 
aurore boreali, i terremoti etc. Conviene inoltre notare che il tempo cattivo 
degli anni 1875 e 1876 (ed ora si può aggiungere, del 1878-79) ha colpito i 
meteorologisti e che lo stato fisico del sole potrebbe avere un grande in- 
flusso sulla nostra atmosfera, e paragonando le osservazioni meteoriche colle 
osservazioni solari , forse si giungerebbe a delle importanti conclusioni. 

Se l'ipotesi da noi qui sostenuta è vera, bisogna che le oscillazioni straor- 
dinarie si riproducano in tutti i luoghi della terra, tutto al più modificate 
da circostanze locali, dipendenti o dalla latitudine o da fenomeni meteo- 
rologici più ristretti. Ora essendo generalmente noto l'andamento dell'ago 
magnetico per i vari luoghi del globo terrestre, eziandio le straordinarie 
oscillazioni vi debbono contemporaneamente accadere. Ed è appunto così. I 
risultati ai quali son giunti Sabine e Loomis, analizzando le osservazioni 



~ 396 — 

di Kew e di Praga» risultati che furono mirabilmente confermati dai lavori 
del P. Secchi, sono ormai noti a tutti i fisici. Lo stesso parallelismo esiste 
fra le curve di Toronto, di Hobart-Town, di Washington e di Monaco. Pa- 
ragonando poi le perturbazioni straordinarie del I87f (e del 1873) notate in 
Roma con quelle che si ebbero all'Habana, il P. Ferrari yì trovò uno straor- 
dinario accordo. 

Fin qui il Ch. Autore, il quale conchiude la sua memoria coli* indicare 
lo stato attuale della scienza intorno alla causa diretta od indiretta di tal 
connessione, della quale abbiamo altrove ragionato. 

Come abbiam fatto notare in sul principio di questa comunicazione, ci h 
piaciuto riprodurre l'analisi del Sig. Ab. Sp^e affinchè non si ponesse fede 
alla sola nostra autorità, epperò ci siamo cosi allontanati dalPusato metodo di 
esaminare la correlazione fra i fenomeni solari e magnetici distinguendo in 
perìodi 1* attività solare. Solo ci piace di far osservare , come esaminando 
la curva da noi pubblicata nel n? il del Voi. XVI del nostro Bnllettino, 
apparisca manifesta la partizione in I2 periodi, i quali presso a poco corri- 
spondono alle rotazioni solari; e quindi si conferma Y ineguale distribuzione 
delle macchie altre volte notata sulla superficie solare. 



— 397 ~ 

SUR QUELQUES ÉQUATIONS 
BIQUADRATIQUES ET INDÉTERMINÉES 

PAR LE P. TH.'^'' PEPIN S. J. 



1. Jje Mémoire que j'aì publié dans les j^tti delV jiccadenUa Pontìficia 
dei Nuosfi Lincei j anno XXIX» p. 211, renferme des moyens nouveaux pour 
réduire a des carrés les formules cubiques ou biquadraiiques. Je me pro- 
pose de les appliqaer a quelques équations de la foime 

(1) A«^*=B^*-*.Cy, 

où les coeiBcients A, B, G soni des nombres premiers entre eux deux a deux« 
Les exemples que j'ai choisis montreront comment l*on peut dans certaios 
cas de'termìner tontes les solutions possibles de ces e'quationsj non pas ex* 
plicìtement, puisque nous verrons qu'elles fonnent une suite illimite'e; 
mais implicitementy au moyen de formules qui permei tront de les oblentr 
toules successi vement dans leur ordre croissant de grandeur. Les cas sembla- 
bles sont rares; car le plus souvent Téquation (1) est impossible, et lors- 
qu'elle est possible on est loin de pouvoir toujours en trouver toutes les 
solutions. G*est pourquoi les équations doni nous allons nous occuper offri- 
ront quelque int^rél; d'autaul plus qu'elles nous amènejont tout nalurel- 
lement a la méibode posthume d^Euler doni il a élé question dans le 
Memoire ciié. 

2. Pour que IVquation (1) soit possible en nombres enliers et premiers 
entre eux^ il faut avant toni que les trois nombres AB, AC, - BC, soient 
respectiyement residus quadratiques des trois nombres C, B et A ; il est de 
plus necessaire que le nombre - B C^ soit re'sidu biquadratique de A. Ces 
conditions sont loin d*étre suffisantes; mais elles permeltent d^ja de mon- 
trer dans une fonie de cas 1* impossibilile de V équation (i) en nombres 
entiers. Supposons par exempie A» 5. Pour que IVquation soit possible il 
faut que le produit - B C soit de la forme 5 / -f- t ; si ce produit est de 
r un des trois Ibrmes 5/ + 2, 5/ + 3ou5/-f-4 le problème propose est im- 
possible. Ainsi lorsque, après avoir pris A » 5, on égale B et C a des nombres 
entiers, premiers entre eux aìnsi qu'avec 5, les trois quarts des équations 



~ 398 — 

obtenues sont d' une impossibìlìté que la seulc considera tion du module 5 
rend immédiatement manifeste. Or sur le quatrième quart il faut encorè 
rejeler toutes celles où les produits 5 B, 5 C ne sont pàs résidus quadrati- 
ques de G et de B, respectivement. Le nombre des equations qui resteront k 
examiner, apr^s ces exclusions, n'est qn* une fraction minime du nombre total. 
On ne doit pas étre e'tonn^ que Téquation (i) soit le plus souvent im* 
possible malgré la pr^sence de trois inconnues qu*elle renferme; car, ainsi 
que Libri 1* a fait remarquer depuis long-temps, la condition que les trois 
nombres u^ x^j soient entiers peut étre remplacée par trois equations, de 
sorte que le problème propose se trouve ramene' k celui de trouver trois 
nombres propres k v^rifier quatre equations, savoir l'^qnation (i) et les 
trois equations 

sin itu^Oj sin tt x ^ o ^ sin Ttjr « o. 

Gomme les equations sont en nombre sup^rieur k celui des inconnues, elles 
établissent une relation entre les coefficients A , B, G. Si les conditions qui 
résultent de cette relation sont remplies, il peut exister une suite indéCnie 
de Solutions, parce que les trois dernières equations admettent elles-mémes 
une infinite de Solutions. 

L De l'équatioi! u* « 3^* - 2 x^. 

3. Si nous désignons par le plus grand diviseur commun des deux 
nombres ^r et ^ , le nombre u est divisible par 0% et en divisant par 0^ 
on obtient une dquation de méme forme , dans laquelle Xfjr et u sont des 
nombrea entiers, premiers entre eux deux k deux. Ainsi toutes Ics solutions 
de Tequatìon proposte peuvent se déduire de celles oh les nombres Xjjr, u 
sont premiers entre eux en multipliant a: et ^ par un nombre entier quel- 
conque 6 et u par G*, c'est pourquoi nous supposerons Xjjretu premiers 
entre eux deux a deux. 

D*après le théorbme V de mon Memoire sur les nombres complexesa -hb^—c 
(Journal de M. Resala T. I, p. 330), toutes les solutions de l'^quation 

(i) a' + $(a:V-3j^ 
en nombres entiers et premiers entre eux peuvent se déduire des formules 



— 399 — 

en donnant a ^ et ^ des valeurs enti^res et premières entre ellesi d*où ré- 
À^teot pour jr des valeurs impaires. On aura dooc 

{%) x^ =^* - \%f? q^ -^Aq^ -^^pq {p^ -^q^)i 

» 

nous omettons V équation qu *on obtiendrait ea prenant x^ ayec le signe — » 
parce que son impossibilita est rendue manifeste par la considération du 
module 4. L'équation (2) peut s*écrìre de la manière suivante; 

jc* « (y9* + 2 p ^ - 2 q^f - 12 p* ^*, 
(3) {p^ -^tp q -% q^f = X* + 3 (2/9 qY. 

Or le th^orème III du Mémoire cité sur les nombres complexes a -^b^ -e , 
(p. 335) nous apprend que la manière la plus generale de résoudre iVqua- 
tion (3) en nombres entiers et premiers entre eux, puisque p est impair» 
est de poser 

p* -h 2 p q - 2 q^ ^ s^ -^ 2 t^, 

^ x^%pq /Il ^ (s^t ^^if ^ s^ -^t^ ^2 st^'-z 

^ X '^ s^ -- z t^9 p q ^ st. 

La solution la plus generale de la dernibre ^qualion est donale par les 
formules p^Xf ^ ^^i^gf «^^^f^y ^ '^'f g * ^^ comme les deux nombres p^ q 
sont premiers entre eux ainsi que les deux nombres Sy t, les qualre nom- 
bres X, f£, /, g sont premiers entre eux deux k deux. En substituant ces 
expressions de p, q^ r, s dans les formules p'réc^dentes on trouve que toutes 
les Solutions de V e'quation (1), en nombres entiers et premiers entre eux» 
sont de'termiuées par les formules 

dans lesquelles X, f-^f^^g désignent quatre nombres entiers, premiers entre 
eux deux a deux, assuj<^tis k vérifier l'équation 

52 



^ 400 — 

de sorte que le problème prpposé se trouve raoseoé a celai de résoodiie 
cette dernière equation. 

4. Or ea la résolvant successivement par rapport a / et par rapport a 
g on ea déduit les deux formules suivaates 



(B) 



g / ft * v/3 /*- 2 f*» 



La seconde de ces formules montre que toute solution de Téquation prò* 
posde se ramène k une autre solution de la méme dquation en nombres 
moindres, f^ fi; du moins tant qu' elle est elle-méme formée par des nom- 
bres supérieurs a T unite'; car si Tona x t^j- ^u^ i on volt que les for- 
mules (A) ne sont possibles qu' en faisant g ^ o^ et en réduisanl a Tunitcf 
les trois autres nombres, de sorte que l'on retombe sur la méme solution. 
Si la nouvelle solution /, fx est formée de nombres supérieurs a Tunité, on 
la ramènera par la méme analyse k une autre solution en nombres moin- 
dreSy et ainsi de suite ; comme cette suite de nombres dccroissants ne peut 
pas se prolonger indéfiniment^ on arriverà nécessairement a la solution irre- 
ductible /« 1 9 fx e» i . Donc inversement en partant de cette solution evi- 
dente et en remontant successivement aux Solutions composées de nombres 
plus grands, par Tempio! rep^té des formules (B) et (A), on obtiendra néces- 
sairement toutes les Solutions possibles de T equation proposée. 

s. Les deux valeurs du rapport ~ qui correspondent a une méme solu- 
tion /, f* , ont pour produit -75 — ^; il en risulte que la formule B, s, 

3/ +2ft 

n'exprime pas ces valeurs sous la forme la plus sirapFe, puisqu* elle leur donne a 
chacune un dc^nominateur 3 /* + 2 fx', égal au produit des d^nominateurs des 
deuxfractionsréduites. Aiusi pour calculer successivement lesdiversessolutions 
de l'équation proposée, k partir de la solution a:^jr^u^ìy on commen- 

cera par reduire a leur plus simple expression les deux valeurs du rapport -^ 

déterminées par la formule (B), 2) ; puis combinant les deux termes de 
chacune de ces fractions avec les valeurs de f et de fi qui Tont fournie 
on calculera deux nouvelles solutions x^T*» Uy k Taide des formules (A)» 



— 401 — 

La solution /»fx » t donne g: Xa(i=iii): 5; Tune de ces valeurs est nulle 
et l'autre dgale a |. La première est inutile, parce qu*elle conduit a la 
solution d'où Ton est parti, xtsijr^u^i. En associant les valeurs g:»2, 
31 « 5 avec / • fA *=" i f Olì déduit àeà tfquations (A) a: » i3 , f « 33, u « 187 1. 
QuW substitue les valeurs /« 13, |x » 33, dans Tequation (B), on trouvera 

g 13. 33=^i87i 460 -2 

X 3 (33) + 8 (l3) 7 2 1 5 

Le système /= 13, fx - 33, g: » — 2 , X » 5 donne^ par les formules (A), 

jr = - 8S43 , 7-« 285 77 , W « 15101 40689 j 

avec le système/» 13, fA « 33, g:»460, 'Xs72i, on obtient la solution 

X = 6034 44071, J « 6376 27640. 

6. T)n peut aussi proceder d*une autre manière, sans recourir aux équa- 
tions (A). Si r on pose -^ = $ , -^ « e , les ^quations (4) et (B) devien- 
dront respectivement 



(5) 



(3 f + 2) e» - s $. e - (f - 1) - \ 



^ 1-36* 



(7) « ^ 

^ 3 r + 2 

La resolution de l'équation proposte se trouve ainsi ramenee au problèma 
de trouver tous les systèmes de valeurs rationnelles de I et de 9 propres a 

vérifier l'équation (5). Les valeurs de ^ donnent a Texpression ^3 1^ - 2 
une valeur rationnelle (3 ^ + 2) 9 - I , de sorte que, en égalant V une de ces 
valeurs au rapport de deux nombres entiers et premiers entre eux jr : x, 
on obtient une solution de Tequation 3^ — 2af^B|^^ Or a cliacune de 
ces valeurs de ( correspondent, par l'équation (5), deux valeurs de 6 qui 

rendent rationnelle Texpression y 1 - 6 d\ Au moyen de ces valeurs de 6 on 
pourra calculer de nouvelles valeurs de 1^ a Taìde de la formule (a); puis 



— 402 — 

de nouvelles valeurs de 6 par la formule (7), et ainsi de suite^ alternati vement. 
En faisaot C « 1 dans Téquation (5) oa trouve 9 » 0, « |. Chacune de 
de ces valeurs de B correspond a deux yaleurs de 4} doni Tune est néces- 
saìrement la valeur C » i qui a determina ces valeurs de 0. Une seule des 
deux valeurs de I données par la formule (e) peut nous étre utile. Mais 
comment distinguer le signe qu' il faut choisir pour l'obtenir ? On evite cette 
diOiculté en employant la formule qui exprìme en fonctìon de fi la somme 
des deux valeurs de I qui lui correspondent, savoir 

en faisant l«t, fl«| on trouve {' « ~^^ - 1 « - 1|. et cette valeur de I 
correspond a deux valeurs de ^j Tune, |, est celle que nous venons d*ém- 
ployer; Tautre se déduira de la formule 

(6) e' + ^ - -^, 

3 1* + 2 

en y rempla^ant ^ et { par | et - ||, ce qui donnera ^' « - HJ. 
On formerà de cette manière une suite 

dans laquelle cbaque valeur de ^ se trouve comprise entre les deux valeurs 
de 6 qui peuvent lui étre assocides de manière a former deux solutions de 
Téquation (5). 

Cette me'thode est précisc^ment celle qui est exposée dans le M^moire pos- 

thume d'Euler. La fonction ^<f ($) « ^3 4* - 2 , est tfgalée par V équatìon (7) 
a Texpression rationnelle (3 S' -»- s) - ^ ; de sorte qu*en prenant 

nous avons les équations d*Euler 

^e» + aPe-R»o, 
dont la dernière coincide avec l'équatioD (s). 



— . 403 — 

Nous pourrions partir de la formule (a) en jr faisaat (ai,0«o, pour 
obtenir la seconde suite de solutions signalées par Euler; mais dans le cas 
actuel la suite ainsi obtenue ne différerait que par les signes de celle que 
nous avons indiquée ci-dess^s; il est donc inutile de s* en occuper. 

7. La méthode que nous venons d*exposer fait-elle connaitre, a Taide des 
valeurs de I, toutes les solutions de l' équation proposte en nombres entiers 
et premiers entre eux ? Gela n* est pas évident ; pour que cela eùt lieu il 
faudrait que les valeurs de I comprises dans la suite (e) fussent égales 

aux diverses valeurs du rapport -^ déterminées par les formules (A) et (B); 

mais 9 quoique cet accord existe pour les premiers termes, rien ne dé- 
montre qu'il se continuerà inde'finiment. 

Dans la méme suite (e) les valeurs de Tinconnue auxiliaire 9 rendent ra-* 

tionnelle Texpression ^1-6 0^, de sorte qu* elles font connaltre autant de 
solutions de V équation 

(8) X*-6Y^-Z\ 
Cette ^quation admet donc les solutions 

X«5, Y-2, 

X » 781 , Y « 460, etc. 

Si la méthode d' Euler faisait connaitre toutes les valeurs de 4 qui ren- 
dent rationnelle Texpression ^ »^ (*- 8, elle donnerait toutes les valeurs de 9, 

qui déterminent une valeur rationnelle pour ^i - 6 6^ , et par consequent 
toutes les solutions de Téquation (s) ; car à chaque valeur de 0, jouissant 
de la proprietà enonc^e, correspondent deux valeurs de I; si donc toutes 
les valeurs de I se trouvent dans la suite (e), oa y trouvera ne'cessairement 
aussi toutes les valeurs possibles de 9. Quoi qu'il en soit de ce point nous 
sommes assftrés d' obtenir toutes les solutions de IVquation (s) par Temploi 
des formules A et B^ s, puisque nous sommes certains de ne laisser échap- 
per ainsi aucune solution de r^uation (t) et, conséquemment, aucune 
valeur convenable de C* 
Il est utile de voir avec quelle rapidità croissent les nombres' qui for- 

ment les solutions successives de lYquation (i). Désignons par y^ ^ ^^^ 

deux racines de 1* équation (4), qui correspondent a une solution de T é- 



— 404 — 

quatioQ proposte x 'Byi.,y "f", soient jr^ jfx 1^ àsox valeurs de/* qa'oa ea 
déduit par la formule (A) 

On aura 

D ailleurs on tire de la formule (4) 

A A, sf + ifx* 

le plus grand diviseur commun des deux termes de cette fraction ne peut 
étre que i ou s, puisque f et ft sout premìers entre eux; on a donc 

g8i> — 5 — » ^'^t > 1 » 

et ^ fortìori 

(3 /• + 2 ft*)' /* 

Ainsi les deux valeurs de j^ que l'oa peut déduire d'une méme solution 
^b/, xafjt, forment un produit du huilième ordre de grandeur par rap* 
portk/etkfxj de plus la plus petite des deux valeurs est d*un ordre de 
grandeur sup^rieur au second. 

8. Nous pouvons appliquer k r^quatìon (s) la m^thode de d^composition en 
facteurs. Gomme Y est n^cessaìrement pair nous poserons Y^s^f, 

X' ± Z « 2 ;>* ou 6)D*, X* :f Z = 3. 16 q'^ ou 16 /, 

X*-/?^H-M^SoU X'-3)D*+8/. 

Cette derni^re e'quation ^tant impossible, les solutions de Téquatìon (3) sont 
toutes exprimées par les formules 

La première de ces equations peut se décomposer de deux manières dìf- 
fórentes : 

X tis ;>' o a m* ou 6 m*, X «f/>* =» 12 n* 00 4 »*; 

p* «a TO* - 6 n* , ou ;>' « 3 m * - 2 »* ; 



— 405 ~ 

le sigoe a èie determiae par la considéralioQ du module 3. 

Oa déduit de la deux groupes différents de formules pour exprimer ies 
Solutions de Téquation (s), savoir 

X " w* + 6 n*, Y ^2mn y/m^ - e n^, Z = (m^ - 6 n^f - 24 m* /i*, 

X«3/»*-*-2/l*, Y -2/71/1 V^3m*-2W*, Z «(3/11* -2/^^-24 /W* /»*. 

On Yoit par ces formules que dans toute solution de 1* equation (s) Y est 
toujours le doublé d* un produit de trois facteurs qui satisfont où bien a 
la méme equation, ou bien a Tequalion (2). 

L'emploi de ces formules est inutile pour la résolution de T equation (s), 
car elles exigent qu*on connaisse Ies solutions de 1* equation (2), or nous 
avoDS Yu que le calcul de ces dernières solutions fait connaitre toutes 
celles de V equation (s). Mais V analyse qui nous a donne ces formules 
montre que Ton peut aassi obtenir toutes Ies solutions de l' equation in- 
termédiaire 

(9) X«-y9* + 24^*. 

En résumé nous avons trois équations biquadratiques, dont nous sommes 
assurés de trouver toutes Ies solutions possibles; Ies équations (2) et (s) 
se résolvent en méme temps par T application répétée des formules A et 
fiy 2; et au moyen de ces solutions on exprime par Ies formules 

X ca /»* + 6 /i*, )D* « /n* - 6 /»*, q ^ mrif 
X « 3 /w* -I- 2 /iS y9* « 3 /»* - 2 /i*; <jf « mìif 
toutes Ies solutions de 1* equation {9). 



II. Sira L* ÉQUATioN X* -f njr^ « 8 u. 



9. Cette equation est comprise dàns une autre plus generale 

(i) A*H. 7B'«8C% 

d'où Ton peut la drfduire en posant A«a:% B«7*j e* est pourquoi nous 
résoudrons d' abord T equation (1). Pour cela, retranchons en ridenti té 
B^ «f- 7 B' » 8 B*y ce qui nous donne 

A*-^B'-8(e-.B'), 



— 406 — 
et posons 

(a) A - B « m (C •*■ B), 

« 

de sorte que l'équation obteaue diviste par C -h B, derient 

(6) m(A+B)«8(C-B); 

on déduit des deux éqnations (a) et (6) 

A B C 



{m -f- 8)' - 56 8 - m' (m+ 1)* h-t* 

Gomme les nombres, A, B, G sont eatìers, le nombre m est rationael et 

conséquemmeat nous pouvons poser m -«- 1 - — > en d^signaat par p et q 

deux nombres eotiers et premiers entre eux, de sorte que les demières 
equatioDS prendront la forme suivante : 

,. A B C 



3 ~T^ 



(/o-^ 7^)» -56 47* ^q^ -ip-q)^ ;>*H. 7 q 

Alasi toute solution (A, B, C) de Téquation (1) ve'rifie nécessairement les 
equations (e). On peut donc déduire de ces dernières ^quations toutes les 
Solutions de Téquation (1); il suffit d'égaler de toutes les manières possi- 
bles p ti q di des nombres entiers et premiers entre eux. 

Nous supposerons V équation (i) divisée par le plus grand diviseur com- 
mun de A' et de B^. Les nombres désigtiés par A, B, G sont alors pre- 
miers entre eux deux a deux. D^signant donc par jui le plus grand divi- 
sieur commun des dénominatenrs des fbrmules (e), nous pouvons poser 

(2) fx A-(^-f7 7)* -56^*, f* B = (p-^)*-.8^% fiG-p'+ 7^% 

en changeant le signe de B, ce qui est indiflférent. 

Or le nombre jea est diviseur de 16. 7, de sorte qu* il se r^duit a i lors- 
qu'on assujétit les nombres p %% q di donner a la formule f^ ^ n q^ des 
Taletirs impaires et non divisible par 7. En effet les equations (2) donnent 
les congruences 

;?* -f 14 )D ^ - 7 ^' 5 0, ;?" - 2 )D ^ - 7 ^' = 0^ 

f>* + 7 ^* = (mod fx), 



_ 407 — 
d*où Ton déduity en retraucliant la seconde congruence de la première, 

it p q =0 (mod fx). 

Dailleurs p et q étant premiers entre eux le prodult pr q ne peut avoir 
avec jf -^r n q^ aucun divisieur comraun autre que 7 ; on pepi donc conclure 
de la dernière congruence que le nombre fx est toujours diviseur du produit 
i6. 7, et quMl se réduit a Tunit^ lorsquMl doit étre impair et premier 
avec 7. 

10. Appliquons ces resultata a Téquation proposte 

(3) x* + ny^ = 8 u", 

Nous supposons immédiatement x^ y et 1^ premiers entre eux, par ce que 
si cette condition n* était pas remplìe, on la v^rifierait en divisant les trois 
termes de Téquation par le plus grand divisieur cpmmun des deux nom- 
bres x^ et j^^. Le nombre u est alors impair et premier avec 7; il est 
premier avec 7, par ce que, autrement, il aurait un diviseur commun avec x\ 
il est impair. parce que le premier membre de Téquation (3) est de la forme 
i6 / -f- 8. Il risulte de la que tontes les valeurs de u propres a vérifier 
r equation (3) se déduìsent de la formule u^p^ ^n q^ en donnant \pel\.q 
des valeurs entières, premières entre elles et remplissant la doublé condi- 
tion de donner a u des valeurs impaires et non dìvisibles par 7. Si donc 
nous appliquons a notre equation les re'sultats obtenus dans le numero pr^* 
c^dent nous devons faire /x » &, 

u^p^ ^n q^. 

s ' 

. La deuxìème de ces équations peut se mettre sous la forme 

et r on conclut du théorème III de mon Mémoire sur les nombres com- 
plexes d^hyJ'-'C (Journal de M. Resal, t. I, p. 325) qu' on la résout com- 
plètement par les formules 

rfr (^ - ^) = m* + 2 w*, =fc j =fc 2 ^ ^- 2 = \m + » ^- 2)* 

^j Bs TU* - 2 71% ^ q ^ m n. 

53 



— 408 — 

Gomme Ics formules (4) ne cfaangent pas quaad p et q ckaageat en méme 
temps de sìgnes, comme en outre le sìgne de jr est indiff^rent, nous n'eu- 
levons rien k la generalità de la solution en prenant 

de sorte que les formules (4) peuvent étre remplacées par les suivantes 

Ix^ « (/n* -4- 8 mn + 2 tj*)* - 56 rn «*, 

On deduit de la première de ces ^quations, par la méthode de décompo- 
sition en facteurs, 

db (m* ■^ 8 mn + 2 n*) * a: « 2 ^* ou 14 j*, 

± (Tf? + 8 mn -^^n^) rkiX^^^t^ ou 4 ^*, mn « jf, 

* (m* -»- 8 mn + 2 /t') = j* + 14 ^* ou •= 7 ^* + 2 t^. 

Le nombre m ^tant impair s doit Tètre aussi, de sorte que Ton peut 
conclure de la formule mn -> st que les deux nombres n et f sont en méme 
temps pairs ou impairs. Il en risulte, par la consid^ration du module 4^ 
que Ton doit prendre le signe supérìeur dans la première de'composition 
et le signe inferieur dans la seconde, et qu'atnsì on devra v^riGer l'un des 
deux systèmes 



(A) 



1) mn « st, m* + 8 mn •♦• 2 fi' « j' + U f ', a: «■ J* - 14 ^*, 

2) mn = st^ m* + 8 mn + 2 n" = — 7 .y* - 2^*, a: = 7 s* - 2 ^*. 



li. Or IVquation mn^st qui figure dans ces deux systèmes est r^solue 
en nombres entiers par les formules 

(e) m -Xfx, n=/g. s ^^If, t^ fi g ; 

dans lequelles X, fx^ /, g^ d^signent des nombres entiers assujétis a V unìque 
condition d* étre premiers entre eux deux a deux; condition qui re'sulte de 
ce que les deux nombres m et n sout jn^emiers entre eux ainsi que les 
deux nombres s ett. Le système A, 2) exige donc que l'on ve'rifie en nom- 
bres entiers Téquation 



— 409 — 

ce qui est impossible, gar ea la divisant par fji', et en la résolvant par 

/ 
rapport au quotient ^ on en d^duit la formule 

par laquelle est rendue manifeste l'impossibili té de yérìfier en nombres 
réels r équation considérée. Le syst^me A, i) est donc seul admissible, et 
notre problème se trouve ramené k ceiui de résoudre en nombres entiers et 
premiers entre eux Téquation 

Si Ton résout successivement cette équation par rapport a -^ » et a 



fz / X 



on en déduit les deux formules 



/ -4Xg:fcV/X*.^28g^ 

(B) ; , 

doni la seconde montre que tonte solution de Téquation proposte en nom- 
bres entiers et supérieurs a Tunité se ramane a une autre solution de la 
méme équation cn nombres moindres. Elle détermine en effet une valeur 

rationnelle pour le radicai ^ 2 /^ -t- 14 /x*; or / et /x étant des nombres en- 
tiers et premiers entre eux, cette valeur rationelle doit étre enti^re et di- 
visible par 4 ; de sorte que T on a 

(3) /• + 7 IX* « 8 A% 

h désignant un nombre impair. 

i2. Inversement, de tonte solution xt^^f^y^fK^u^h de léquation (a). 
On peut en déduire deux autres en nombres plus grands. En effet, on 
déduìt d*abord de la formule B, 2) 



— AIO — 

En prenant successivemeQt le sigae + et le signe - , puis re'duisaat la fra- 
ction a sa plus simple expressìon, on obtient deux systèmes de valeurs de 
g et de X, qui, combines avec les uombres / et fx donnent deux solutions 
nouvelles de V <^quation (3), exprìmdes par les formules 



(9) 






Ou peut exprimer directement les deux nouvelles solutions au moyen de 
celle dont elles dériventj il suffit pour cela de remplacer dans les formules 
(9) g et X par les nombres qui leur sont proportionnels, - 2/fx =*= 2 A,/* - 7 /x*. 
Si après cette substitution on remplace /« fXy A par x,y^u^ et qu' on de- 
signe par x^ j jr^ , u^ ^ les nombres «qui forment la solution nouvelle, on 
trouve 



(IO) 



x, « x^ (x^ - 7 xy - H ^j^ (xjr dts uf 



4 Ar^+7r, 



Au moyen de la solution e'vidente x ^ j ^ u^ \ ^ on obtient les deux 
solutions JC, «^i «= 36 j a:, « - iss; j^ = 4, lesquelles, débarrass^es des fa- 
cteurs communs se r<^duisent a la solution primitive et a la solution nou- 
velie JC, « - 47 , ^1 - 1. Cette solution jc«47,7' = i, 11^ 781, substitui^e 
dans les formules (10) en donne deux nouvelles, qui, débarrassées des di- 
visieurs commun et abstraclion faite des signes, sont 

X^ « i9 825 , /i - 17 663, 
JTa =» 2963 99685 , J^ = 3362 10 07. 

Ghacune de ces deux solutions en donnera deux autres, et ainsi de suite 
inde'finiment. Toutefois Temploi des formules (io) a 1* inconve'nient d' exiger 
des calcuis inutìles que Ton évite en faisant usage des formules (s) et (9). 
Ainsi les valeurs de x^^ et de y^ , calculées par les formules (io) oflfrent un 
diviseur commun égal k 134661, tandis qu' on obtient cette solution sous la 

cr 

forme la plus simple, lorsqu*on calcule d'abord le rapport -^ par la for- 



— 411 — 

mule (8)9 ce qui donne g « 2» X » 3^ et qu* on associe dans les formules (9) 
ces yaleurs de g et de X avec les valeurs 47 et 1 de / et de fx. 

13. L'emploi rópété soit des formules (s) et (9) soit des formules (io), k 
partir de la solution evidente x-^»2^a 1 , fait connaitre toutes les so- 
lutions possibles de IVquation propose'e, rangdes suivant Tordre croissant 
des valeurs de u. £n effet , nous avons vu (u. a) que tonte soIutions 
de celle équation, en nombres supérieurs a 1* unite, se ramane a une autre 
solution en nombres moindres, a l'aide des formules (5)» (6) et (7). Si les 
nombres qui forment celle solution, soni encore superieurs a Tunit^, on 
pourra la ramener a une autre soluliun en nombres moiudres, et ainsi de 
suite, de sorte qu* on arriverà necessairemenl a la solution ara^auat. 
Or les formules (8) et (9). ainsi que les formules (10), donnent successive- 
ment, dans un ordre inverse; toutes les solulions de l'equalion proposte, 
qui peuvent se ramener a la solution x ^j^ ^ u ^ ì, par Temploi re'p^t^ 
des formules (5), (6) et (7); el les donnent donc successivement toules les 
Solutions possibles de celte e'qualion. 

On obtient aussi par ce moyen une solution complete de Téquation 

(il) X* + 28^*=t 2' 

On voit en effet par la formule B, 1)^ que si l'on vérifie l'equation (il) 
en faìsant a: ^ X^ jr ^ g, on obtient deux syst^mes de valeurs de / et de /x 
propres a vérifier V ^quation (3). Gomme cliacun de ces systèmes, combine 
avec les valeurs considérées X et g, forme une solution de Téquation (7), 
si on le substilue dans cette ^quation aux lettres / et fx, on en de'duira 
deux valeurs du rapport g: X, doni T une sera ndcessairement ^gale au 
rapport des deux valeurs considérées. Or nous pouvons déterminer toutes 
les valeui*s de / et de fA propres k verifier 1* equation (7), puisque nous 
pouvons trouver, ainsi que nous venons de le voir, toutes les solution de 
r equation (3); nous pouvons donc en deduire toules les valeurs de g et 
de X propres a vérifier V equation (7) et coniséquemment toules les solutions 
possibles de V e'qualion (li). 

14. Àu lieu d'employer successivement les formules (s) et (9), on peut, 
proceder d' une autre manière, semblable k celle que Ton trouve dans le 
Mémoire posthume d'Euler, que nous avons cilé plus haut {n.^ 1). 

/ ^ 

Posons -^ « 5, -~- « TO. Les formules (7) et B deviendront 



— 412 — 

i) Yi* - l) r + 8 VI. I - (14 Yl* - t) « 



(C) 



2) ^ 



-47)*^' 



i ■*- 2 8 to' 



2 7' - 1 



3) Y} = 



- 4$db V^2$^-4- 14 
2^-14 



La ^solution des équations (3) et (il) se trouve aiasi rameose k la re- 
cherche des solutions rationnelles de Téquatioa C, i: car les valeurs ration* 
nelles de I et de yi qui satisfont a cette équation reudent respectivement 

rationnelles les deux expressions ys 1^ + i4, V* •♦• 28 m*, de sorte qu^en pò- 

sant I a — on a des solutions de iVquation (3) et en posant yi »-^ on a 
jr X 

des solutions de Téquation (il). La solution eVidente S « 1 donne dans 
Téquation C» 3, yi » et t) » ^. Cette valeur de % substituée dans T équa- 
tion C, 2 donne I « 1 et I » 47; puis au moyen de cette valeur de \ on 
trouvera deux valeurs de yi dont X une sera v) » 1» et ainsi de suite. On 
pourra donc former la suite 

(D) 0, 1 , 1,47, Y), , 1^, Y]^, l , 

dans laquelle chaque valeur rationnelle de (, qui correspond k une solution 
de r équation (3) sera placé^ entre les deux valeurs rationnelles de yi que 
Ton en déduit par les formules C, et où, réciproquement, cbaque valeur 
rationelle de y) se trouvera entre les deux valeurs de \ qu' on peut lui as- 
socier dans Tcfquation auxiliaire C, 1. On pourra les calculer successivement 
a Taide des formules 

- 8 Yl 



(E) 



l'*l 



in +1Q 



S Yl' - i 






On trouve ainsi, en continuant le calcul de la suite (D), vi, »> _ |||, |, =< 
Iflll , etc. Les valeurs de \ déterminent pour IVquation (3) les solutions 



X. 



X, 



47 , 



Io 
II 



1 , 



X' - 19825 , jr^ - 17763 , . . . 



et doaneront gr « 4 , f ^ -- h. 
quent la forme suivante: 



— 413 — 
Les autres formules prendront par consé- 



(F) 



1) A (a:J - i) 4- 4 X, « €, V^2 ^* + 14 ^ «i = * i- 



2) 



X + x^ 



8 A 



3) A (:c* - i) + 4 X =» e ^ a a:* + 14. 



En faisant x^ « 47, e, « i on trouve h 



867 



o: 



- 198SS 



|. On pourra substituer 



276> "^ 17661 

cette valeur a x^ dans les mémes formules et l'on en deduira une nouvelle 
solution, et ainsi de suite. 

Dans le calcul successif des diverses valeurs de x^ une seule de deux 
valcurs de t^ est utile; i*autre donnerait une solution de'ja trouvée. Ainsi 
en prenant x, *» 47, e, « — l , on trouve A = - |, x ■= i- Du reste il est 
facile de déterminer celle de ces deux valeurs qui correspond a une so- 
lution nouvelle; c*est ^i » — £9 en designant par e le facteur détermine par 
la formule F^ 3, dans le calcul de la solution substituee a or^. Supposons en 
eflfet que 1' on prenne e^ « e, et de'signons par k\ x\ t les valeurs de A, 
de x et de e qui correspondent a cette hypothèse ; la relation entre ces 
nouvelles valeurs et celles qui figurent dans les formules F.sera déterminee 
par les formules 

A' (a:* - i) + 4 X = e ^ 2 a:* -K «4 , 



8 A' 



X -k- X 



8 - A 



la 



A'(a:'"-i)+4^'«e'^2a:'^^i4. 

En comparant la première de ces formules avec la formule F, 4, où x 
et e ont les mémes valeurs, on voit que A' «= A, et Ton déduit ensuite des 
autres formules x^ ^ x^j e^e^. Ainsi pour trouver une solution nouvelle il 
faut prendre ^c « -*- s, ainsi que nous V avons dit 

16. On n^est pas assuré, en general, d'obtenir par la méthode posthume 
d'Euler toutes les solutions que Ton peut déduire de nos formules; car 
celles-ci correspondent a la multiplication de l'intégrale elliptique, tandis 
que les formules employées dans la méthode d'Euler correspondent a la 



— 4U — 
tandis que les raleurs de ti donnent pour l' équatioa (il) les solutìons 

•^i = 367 , jr^ « 276, eie. 

La seconde suite, indiquée par Euler, et qu*on òbtient dans le cas actuel 
en prenant pour point de d^part | e i , yj = o , se deduit de la suite (D) 
par un simple changement de signes. Il est inutile de la considérer. 

Eq procédant comme nous venons de Tindiquer on n'est pas assuré de 
trouver toutes les Solutions de Tequation proposte; car la relation qui 
existe entre les valeurs successi ves de I, dans les formules E, n'est pas 
la méme que celle qui risulte des formules (8) et (9) pour les valeurs sue- 
cessìves du rapport xi jr. Il peut donc arriver que la suite D ne renferme 
pas toutes les valeurs de £ propres a vender la formule C, i. Dans ce cas 
les formules (s) et (9) feront connaitre des valeurs qui ne seront pas com- 
prises dans la suite D; en les prenant corame solutions primitives de Te- 
quation C, 1, nous formerons de nouvelles suites ind^finies de solutions. 

15. On est amene k un calcul tout semblable a celui qui resuite des 
formules (E), lorsqu' on eraploie les formules que j*ai données dans mon 
Mémoire sur la réduction des polinómes biquadratiques a des carre's (Atti 
deir Accademia 'Pontificia dei Nuovi Lincei, t. XXIX, p« 21 1). Notre pro- 
blème revient en effet a celui de trouver les valeurs rationnelles de x qui 

donnent a rcxpression y2x^ + 14 une valeur rationnelle. Nous avons deux 
solutions évidcntes a:«i, or^-i; de sorte que nous pouvons appliquer 
les formules II qui donnent une troisi^me solution x « 47. Connaissant ainsi 
troia solutions nous pouvons appliquer les formules I pour en deduire sue- 
cessivement toutes les solutions qui correspondent a la multiplication de 
r intégrale elliptique 



jo/ 



d X 



2 X* + 14 



par les nombres impairs successifs 5, 7, 9, etc# Pour cela nous ferons dans 
les formules citées x^ ^ -- x^ ^ ì. e^ « - 63 ■= i, de sorte que les deux pre- 
mières formules deviendront 

/+g4. A«4, f-g-^ h^-^Aj 



— 415 — 

t]:ansfonnation. Néammoins il est facile de d^montrer que, dans le cas actuel, 
les deux systèmes de formules soni équivalents. Il sùfiit pour cela d'^le- 
ver au carré les deux membres de Téquation F, i, et de diviser par xf-i: 
on trouve ainsi IVquation 

(xj - i) A* 4. 8 A a:, - (2 orj - 14) « 0, 

qui coincide aree V équation C, lorsq* on y remplace x^ par - £ et li par 

— Ainsi les valeurs de a: obtenues par V emploi de nos formules F sont, 
» 

au signe près, les mémes que celles de I dans les formules G et E; les 

valeurs de h sont les inverses de celles de m , et servent, comme celles-ci, 

a résoudre Téquation (il). 



Sur l' ÉQUATioN 7 x^ * 2 /^ = 5 w*. 

17. Cette équation est impossible avec le signe supérieur, par ce qu' on 
en déduirait que s est résidu quadratique de 7; ce qui n'est pas. Il nous 
suffira donc de conside'rer IVquation 

(1) 7 :C* - 2 7-^ « 5 M*. 

qui admet la solution evidente ^raj^ee^ai. Pour trouver les autres nous 
retrancherons de Téquation (ì) 1* identità 7 x* - 2 or* « 5 x*, ce qui nous 
donnera 

Or cette équation peut étre remplacée par les deux suivantes 

(a) ^'•*-y «(w - j:'),. 

{b) 2 m {oc* -^*) =1 5 (u + x% 

dans lesquelles m désigne un nombre rationnel; car on retrouve cette équa- 
tion par Télimination de Tinconnue auxiliaire m. Or on déduit des équa- 
tion {a) et {b) les formules suivantes : 



2m*-f5 2m-iom-5 2 m +4m-5 

54 



— 416 — 
qui, lorsqu' on remplace m par — » devienaent 



(C) 



X* r u 



Dans ces formules p et q designeot deux nombres entiers et premiers entre 
eux. De méme nous pouvons sapposer x^jr tlu premiers entre eux deux 
a deux; car IVquatioa (i) ne change pas de forme lorsqu* on la divise par 
la plus grand commun divisleur de x^ et de jr^', or apr^ cette division» 
les trois inconnues sont premi^res entre elles deux a deux. Si donc nous 
d^signons par fc le plus grand diviseur commun des trois d^nominateurs 
des formules (e) nous pouvons remplacer ces formules par les suivantes 

ì) fi a:* « » /i* + 5 y*, 



(A) 



2) ^y - 2>9* - 10)9 y + 5 y% 



a . ^ - ^a 



3) lLU^2p •k'hpq-'ìSq 



Nous d^montrerons avant tout que le nombre fi uè peut avoir que Tune 
des trois valeurs 2, 5 ou 7. D* abord la première formule exige que fi 
soit positif et non-résidu quadratique de 5. D* un autre cote', en com- 
binant par soustraction les deux autres formules, on en déduit. 

14 /> ^ s (mod fx). 

De plus, corame /> et ^ sont premiers entre eux, on conclut de V équation 
fi :r' « 2 ^* 4- 5 ^'y que 5 et 2 sont les seuls diviseurs communs que fi puisse 
avoir avec p et q^ vespectivement. En combinant ce r^suitat avec la der- 
nière congruence nous concluons que fi est diviseur du nombre 14. 5 «70. 
Les diviseurs positifs de ce nombre sont i^ 2, 5, 7, io, I4, 35, 70. Nous de- 
vons d'abord exclure t et 14, par ce qu' ils sont résidus quadratiques de 5, 
tandis que fi est non-résidu. Soit fi» 5 a, a — i, 2, 7 ou 14. Gomme p doit 
étre multiple de s, nous posons p^spif de sorte que 1* équation A, l> 
devient 

ax^^q^-^io pIj 

ce qui exclut imm^diatement les valeurs t et 7 de a, par ce qu' elles ne 
sont pas des résidus quadratiques de 5. Si oc » 14 on dmt faire 7 «2^,9 

ix'^tql^spl 



— 417 — 

Mais en faisant n " io, p = i pt , ^ = s^, daos l'équation A, %, elle se 
róduit à 

La deraière formule Aant impossiblct puisque io est non-rósidu quadratique 
de 7, nous concluoas que l' bypothèse a «» i 4 est ^galement impossible, de 
sorte qu 'il ne reste a examioer que les valeurs /ui « 2, 5 et 7 alasi que nous 
l'avons annoucé. 
18. Supposons II ^ Sy et coas^quemment p » 5/i|. L'equatioa A, s, devient 

et» comme en remontant a IVquation (i) on yoit que y ne peut étre mul- 
tiple de 7 sans que les trois inconnues cessent d'étre premières entre eltes, 
on en de'duirait cette conclusiou fausse que 7 est diviseur de la formule 
^^ "*■ ^i ì' f*^^* ^onc rejeter Thypothèse /x = 5. 

Or les deux valeurs (^ » 2, jca « 7 conduisent a des formules ^qulvalentes. 
Prenons d'abord |ùt « 7, L' e'quation 7 or" = 2 y^* + 5 y* est résolue par les 
formules 

ar*=/'4.iog% p^f-^gj ^q ^f^tg. 

Si Toh prend le signe sup^rieur la formule A,, devient 



d*où 



13. 7^ ^ ^ (13/-»- Sg')* + ». 7. AÒg^, 
• /l3/+59\* a 

l3y = -7(— ^- — ) -^s-Agg. 



Le nombre jr devrait donC étre multiple de 7, ce qui n* est pas possible, 
ainsi que nous venons de le remarquer. On doit dono prendre - ^ » 
/ + 2 gì et alors les formules A , apr^s la suppression du facteur 7 , de- 
yiennent 



— 418 — 
X* = /» + IO gr% 

U^ìig* -Kfg-f. 

Or si l'oD fait p » 2, ^ - 8^, dans les fonnules A, et qu'oa supprime Tin 
dice de 0, après la réduction, ou obtient les formules 



(B) 



3) u^ p^ -h Ap q -ioq^. 



qui coincident avec les précédentes lorsqu' on pose p ^ f ^ q t= g , et qu' on 
change le signe de u. Gomme nous faisons abstraction des signes des ìnAé- 
termine'es dans l'équation (l) les deux systèmes soni parfaitement e'quivalents. 

Ainsi les solutions de Téquation proposte sont toutes exprimées par les 
formules B, dans lesquelles p tiq d^signant des nombres entiers et premiers 
entre eux, dont le premier, p^ est en outre impair et premier avec 5. Il 
s' agit donc de réduire a des carrés deux fonctions quadratiques de ces deux 
indéterminées. 

19. Or r^quation B, i, admet deux groupes de solutions exprimés respe- 
ctivement par les formules 



(C) 



2) x^%f ^^g\ri.p^%f^jig\ q^%fg. 



Occupons-nous d*abord du second, par ce que nous constaterons quii 
correspond au cas où les deux nombres xetj^ sont en méme temps divi- 
sibles par 5| et qu' ainsi nous pouvons le negliger, puisque nous supposons 
a: et^ premiers entre eux. 

En combinant le second système avec V équation B , 2 , on obtient la 
formule 

É 



qui se decompose en facteurs de l'une des mani^res suivantes 



— 419 — 
IO fg- s g') *jr "2 s' OH 14 s' 

iOfg-i g') =CJ- = 70 ** OU 10 **, 
* (a/* - 10 f g - 6 g*) - f* + 85 t* oa 7 J* + 5 <*. 



fg-st,*(if 



La première decomposi tion est exclue par la considératioD du module 5 ; 
car en re'duisant suivant ce module I' équation obteDue on trouve la con- 
gruence 

± 2 /^ S J* (mod 5), 

qui est impossible, puìsque p étant premier avec 5, / Test égalemeut. 
L'autre équation multipliée par 2 peut se mettre sous la forme 

* [ (2/- 5 gY - 35 gr* ] « 14 S* -H 10 *% 

et comme io est non r^sidu quadratique de 7| elle n'est possible qu avec 
le signe inférieur. On a donc k r^soudre en méme temps les deux équations 

fg - stj 7 / + 5 ^* - 5 g* - 10 / g 4- 2 /" = 0. 

L9 première est complètement résolue par les formules 

f'^iXhfgsafjik^s^Xfift^hk, 

où X, iif h et k d^signent des nombres entiers et premiers entre eux deux 
a deux. Par la substitution de ces valeurs la seconde équation devient 



(7 itii* -f 2 A") X* - iO X fi A A: -h 5 A:' (h^ - fx') « 0, 



et, en la résolvant successivement par rapporl à — et a — yonendéduìt 






(D) 



X » A f* =fa ^ 5 (7 p* -• 8 A*) 

T 7 f** + 2 A' 






5 A" + » X» 



les valeurs correspondaates de x et de ^ soat exprimées par les formules 

X - 8 X' A* +»(»' *% ^ -7 X*f*'-5 A» *•. 



— 420 -^ 

Or CCS valeurs de x et de ^ soDt eo méme temps dimibles par 5. On roit 
ea eflPet par la première des formules (D) que les nombres 11 et h forment 
une soiulioQ de l'équation (1). Ces nombres vériGent donc 1* ^quation 
7 fA^ - 2 A^ a 5 u^^ ainsi que IVquation 

2 /> (fA* - A*) « 5 ^ (w 4- f*'), 

qui se déduit de Vequatìon {b) du n* 17 en jr faisant x =» v^^J^h et en rempla- 

(;ant m par sa valcur — • Gomme p est premier avec 5, ainsi que nous 

Fdvons remarqu^ a la fin du numero is, nous concluons de la dernière 
équation y? = h? (mod 5). On a donc 7 f** •»• 2 A* s 4 A* (mod 5). Gomme 
on ne peut pas supposer h et [i divisibles par 5, sans que xetj cessent d*élre 
premiers entre eux, le dénominateur 7 jx* + 2 A* est premier avec 5, taudis 
que le numérateur 5 (A fi db a) est necessairement multiple de s. La fractìon 
irréductible equivalente X : A: a donc son num^rateur X divisible par 5 et 
les valeurs correspondantes de a? et de / ne sont plus premières entre 
elles. Les valeurs de x exprimees, par les formules G, 2^ sont donc inu- 
tiles pour notre problème. 

Puisque dans les formules D le nombre X est necessairament multiple 
de 5» nous concluons de la deuxiàmc de ces formules que l'équation 

2 5 X* - «4 p* ««' 

est impossible en nombres entiers et premiers entre eux deux a deux. Gè 
tb^orème est susceptible d'une démonstraction directe; mais comme il ne 
se rattache qu*incidemment a la question qui nous occupe, il est inutile 
de nous j arréter plus longtemps. 

20. Les r^sultats obtenus nous permettent d* affirmer que toutes les so- 
lutions de IVquation proposée sont exprim^s par les formules 




(E) 



3) u~{f**Afg-wgy-i8f*g\ 



— 421 — 

oà f et g soni deui oombres entìers et premiers enlre eux, doni le prc- 
mier, /, est de plus impair et premier avee 5. 

On d^duit de la deuxième equation^ par la dtfcomposition en facteurs, 

^g a rt, =b (/" - 10 /g - IO ^) =fc^ « 2 J* ou 14 S^y 

=fc (/" - 10 / g - 10 g^) ^y^ 70 f* ou 10 t^y 

^{f - iOfg - 10 g') = J* + 35 t^j ou 7 f* -»• 5 t^. 

Or, quel que soit le signe adopté, la dernière equation est impossible, par 
ce qu'on en déduit la congruence 

t4= /* = 7 j* (mod 5), 

qui est impossible quand / est premier avec $, comme cela a lieu dans 
le cas actuel. L' autre equation peut se mettre sous la forme 

où r on voit^ par la consid^ration du module 7, qu* elle n* est possible 
qu* avec le signe supérieur. L* equation E» 2, se ramane donc aui suivanles 



(3) 



S* -f 35 «' + iOfg -h 10 g:* -/• - 0. 



L' equation fg » st est complètement rdsolue par les formules 

(4) /« XA, g^ fJL kj jsXfA, t ^ hkj 

où, Xy jx, A, A: de'signent quatre nombres entiers quelconques. Gomme dans 
le cas actuel les nombres f ^X» g sont premiers entre eux deux a deux 
ainsi que les deux nombres s, tf les quatre nombres 7, jx, h, k sont aussi 
premiers entre eux deux k deux. 

La dernìère des ^quaiions (3) devient donc 

(5) 6 (2 p* 4. 7 A") A:* + ioXfAAA + X' (fi* - A") « 0, 



d'où l'on d^uit 



422 



(e) 



X 
h_ 



- ihft^yT 


(rA*-s 


ò. 


S(«f*' 


TTh*) 




-5 A/t*/ 


À*- 350 


1» 



35 *' - A* 



Dans chacuae de ces formules le radicai est ratioDoel, Il est évidemm ent 
multiple de 5 dans la première, de sorte qu* ea le désignant par 5 R on a 

e' est-à^dire qìie les trois nombres h^ [i^ R forment une solution de Téqua- 
tion proposte. 

21. Ainsi tonte solution de Tequation (i) en nombres supérieurs a l'unite 
se ramène a une autre solution en nombres moindres de la méme equa tion. 
Si celle-ci est encore formée de nombres supérieurs k l'unite, on la rame- 
nera de méme k une autre solution en nombres moindres, et ainsi de suite, 
de sorte qu' on arriverà nécessaii*ement k une solution k laquelle on ne 
pourra appliquer le méme mode de reduction qu*en faisant g » o dans les 
formules E. Cette solution est la solution immediate x^j- ^ u^ì. Si donc, 
partant de cette solution, on remonte successivement aux diverses Solutions 
qui s'y ramènent k Faide des formules E, (3), (4) et (s), en appliquant ces 
formules dans un ordre inverse, on est assuré de retrouver une solution don- 
née, quelconque, de iVquation (i). On peut méme exprimer toutes ces So- 
lutions pas des formules générales; seulement ces formules ont Tinconvénient 
de les donner compliquées de facteurs communs. En eOet, la première des 
équations (e) donne. 



(7) 



k_ 



-hu^K 



7W 



^ 2 

2fi -f 



5R*- 7A*-2/x*. 



Pour chacun des signes de R, la fraction doit étre réduite k sa plus^ simple 
expression, car on déduit de IVquation (5) que le produit des deux yaleurs 

qui en résultent pour le rapport k : X est égal k -- — 3 p> etcommefA* 



423 — 

m 



- A* est dìvisiblc par 5, ce produit se r^duit a une fraction — ; tì> 

dont le de'QomÌDateur est le méme que celui du second membre de la for- 
mule (7). Si Ton désigne par x,jr^u la solution h^ /x, R, et par x^^jr^y u^ 
lune des Solutions qui s'en d^duisent par les formules (7), (4), (3) et (E), 
on aura 

/x jc, « or* (7 x' + 2^*)* + 10/* (xjr d= w)% 



(S) 



i^Xi '='/ (7 ^^ + 2 jV - 35 x^ {xjr * u). 



en d^signant par fx le plus grand diyiseur commun des seconds membres. 
L'application successive de ces formules fera connaitre toutes les solutions 
de r ^quation proposte. 

L' emploi des formules (s) a Tinconv^nient d' exiger des calculs inutiles 
qu*on ^vite en recourant aux formules (7) et aux formules 



(9) 



jr « X V" • 35 h^ k^ 
M = (X' A* + 4 X |ui A ;t - 10 fx* ;t*)'- 56 X* fx* A* k\ 



que Ton déduit des formules (4), (3) et E. Pour remonter d'une solution 
x^ hy jTsrayL^ usR aux deux solutions qui s' en déduisent, on commence 
par re'duire a sa plus simple expression chacune des deux fractions qui ex- 

priment dans la formule (7) la valeur de chacun des deux rapports — ;puis 

on e'gale ^ et X aux deux termes de chaque fraction irréductible. La substitu- 
tion de ces deux systèmes de valeurs dans les formules (o) donnera les deux 
solutions cherchées. Ainsi la solution Alluna Rai donne A-t^o^X^i, et 
A: «= - 2, X - 9. Le premier syst^me ramène la solution primitive; mais on 
d^duit du second la solution x « 121, / « 59^ u ^ 17183. Au moyen de cette 
solution on d^duit de l'èqua tion (7) deux valeurs du rapport k: X, savoir 
A:B-2y X89; X:»iii6, X «12161. Les valeurs ^«-2, Xa9^ associées a la 
solution A « 121, fz s 59y donnent par les formules (9) or e 1325 l6i, 7^ « l 767 779. 
Les autres valeurs de A et de X donneraient une solution exprimée en nombres 
beaucoup plus grands. 

55 



£n procedant de la sorte nous sommes assures d'obtenir toutes les So- 
lutions de i* equation (i), rangees suivaat leur ordre croissant de grandeur. 
Nous rósolvons ea méme temps un autre problème, . car les incoatiues ^u- 
xiliaires X^ k^ sont les solutions de Tequation 

X* - 350 A:* - m*. 

• 

22. Dans cet exemple, comme dans ceux qui précédenti l'application des 
formules renfermées dans notre Mémoire sur la reduction des polinómes bi- 
quadratiques à des carrés donne immédiatement la transformation nécessaire 
pour Temploi de la méthode posthume d'Euler. La resolutipn de réquatioo (i) 
se ramène en eflfet au problème de trouver les valeurs ratioonelles de ;^ qui 

donnent une valeur rationnelle k Texpression V^asz* - io. Or, eij £|is90( y (2) 
« 35 2* - 10 , jc, = - X3 « i , e^ » -* e^ a 1 y dau^ Ics formuless II da MAnoire 

cìté nous obtenons une solution nou velie a:» — • Connaissant ainsi trois so- 

59 

lutions différentes nous pouvons appliquer les formules I , len combinant les 
deux solutions constantes x^^-x^^i avec chacune des solutions successive- 
ment obtenues et désignees indéfiniment par x^. Les formules (2) et (3), où 
nous faisons e^^-ej^i, donaent gap 5, f^-h', de sorte que les autres 
équations deviennent 



(10) 



A (arj - i) + 5 :r, = e, ^33 jc* - 10 , 

iO h 
35-/1 

/t (a:^ - 1) + 5 a: « e V^35 x^ - 10. 



121 

Ex faisant x^ = — on obtient une nouvelle solution ; puis au moyen de 

celle-ci une autre, et ainsi de suite. Une seule des valeurs de h est utile 
dans ce calcul successif; Tautre donnerait la solution qui précède celle qui 
est ici désignée par x^. En désiguant par h et par ìi les deux valeurs de 
h qui correspondent a une méme valeur de x^ , on déduit de la première 
des formules (lo) 

(a) h^h^ — — ,; 



— 425 — 
cette formule combinée avec la deuxième des formules (io), savoir 

10 h 



(t) 



a:-*- X, 



35 -A 



à > 



permei de calculer une suite indéfioie de Solutions, comme dans la méthode 
posthume d'Euler. 



En partant de la solution x,^*^^y h ^^^ 

' 59 2 



9 on oktient par la formule (a) 



une nouvelle valeur de hj qui , substituée dans la formule (b) fait connaitre 
une nouvelle solution JC} on égale celle^ci a ar, dans la formule (a) pour 
obtenir une nouvelle valeur de h et ensuke une nouvelle valeur de x. 
Ce calcul est le méme qui résulte de l'application de la m^thode posthume 

d*Euler aux éjuations (5) et (e). Car^ si nous posons — = ^i > "j: = *- A , 

dans 1* équation (5) diviste padr [i^ A^*, elle dcvient 

{xl - if) A* -#• IO oTj A- 5.(7 /rj -♦• 2) « j 

c*est a quoi Ton re'duit la première des équation (10) , lorsqu'après avoir 
^levé ses deux membres ^u carr^ on la divise par jrf — 1. 

23. Le méme fait se présente toutes les fois qu^on applique les formules I 
de mon Mémoire a un polyndme biquadratique f (2) « a -(- e s' -^ e z^ , en 
combinant deux solutions primitives x^^^x^o^a , c^ k» ^ €3 « 1 , avec cha- 
chune des solutions Xj obtenoes successiveraent. Les équations (2) et (3) du 
système I restent constantes 

et Fon on déduit g- — ^ f"-- 01* h ^ de sorte que les autres équations du 

ex 

méme système I deviennent 



B j 

h (xl - a*) + — or, = e,V<f (x^) , 



a: -*• X, = 



2 — n 

oc 

e -A* 



h {x^ - a") -H 



X=a € 



a 



^"P (x). 



426 



En d^signant par h et h^ les deux valeurs de h qui correspondeat da»s la 
première de ces formules aux hypolhfeses e,=ii, e, = -i, on en ddduit 



2 — or, 



i 



En combinaut celle formule avec lequation 

2 — h 
(b) x + j:, = — — ^,-" 

on pourra calculer, comme dans Texeraple pr^cédenl, une suile indéfinìe de 
solulionSy pourvu que Ton connaisse une solution x^ differente de a et de 
— a j avec une yaleur correspondante de h. La valeur de x^ pourra s*oble- 
nir au moyen des formules II du Mémoire cile, en y faisant ar^ »- x^ «a, 
e^ B •« 6^ = i. On calculera ensuile Fune des deux valeurs correspondantes de h 
par la formule 



fi / 

h (jcf - i) + — a:, = e, V 9 (orj • 



La solution du problème propose, par Temploi alternatif des formules ^a) 
et (b) , conslitue la méthode poslhume d'Euler ; or, elle se déduit immé- 
diatement de nos formules dans les cas où la fonction biquadratique, doni 
la valeur doit étre r^duite a un carr^, est une fonction paire <x -f- e z^ -»- e 2*. 
24. La m^thode que nous venons d'exposer est plus expeditive que celle 
au moyen de laquelle nous sommes parvenu» aux equations (7)^ (8) et (9) > 
mais elle n'offre aucun moyen de reconnaitre si Ton obtìenl toutes les so- 
lutions du problème. Il pourrait arriver en effet que ces solutions ne fus- 
sent par toutes comprises dans la suite formée, a partir de la solution pri- 

9 121 

mitive A « — » jc, - — > par V empiei alternatif des formules (a) et (b) 

8 59 

(n? 22). Au contraire en appliquant les formules (7) et (9)9 ainsi que nous 
Tavons expliqué plus haut, nous sommes assur^s d* oblenir successive- 
ment toutes les solutions possibles de IVquation proposte. Cet avanlage 
suffit bien pour justifier la discussion minutieuse dans laquelle nous avoos 
dù entrer. 



— 427 — 

Examinons , ea fiaissant , a quelle circonstance nous devons la solution 
complète des équatious dont nous nous sommes occupés. On reconnait aisé- 
ment qu'elle consiste en ce que nous sommes parvenus a exprimer une so- 
lution quelconque de Tequation considdróe au moyen d'une autre solution 
en nombres moindres. C*est a quoi l'on doit tendre pour arriver k une so- 
lution complète des equations semblables aux prócédentes. Si l'on y parvient 
le problème est éviderament rósolu. Car en appliquant les mémes fonnules 
a la nouvelle solution on la ramèncra a une autre solution en nombres 
moindres et ainsi de suite. Il est évident qu'on parviendra de la sorte a 
une solution irréductible^ dans laquelle Tune au moins des inde'termine'es 
sera ^gale a l'unite. Or, il est facile de reconnaitre si IVquation proposte 
admet, oui ou non, quelque solution de ce genre. Si elle n*en admet pas, 
on est assure' que IVquation est impossible. Si elle en admet une, il suffira 
d'eroployer dans un ordre inverse, a partir de cette solution, les formules 
qui expriment une solution quelconque au moyen d*une autre solution en 
nombres moindres ; on est assuré d'obtenir ainsi toutes les solutions pos- 
sibles du problème, rang^es suivant l'ordre croissant de grandcur. 



— A28 — 
INTORNO ALLA NATURA DELL' AZIONE CHIMICA 

MExMORIA 

DEL P. F. S. PROVENZALI D. G. D. G. 



F 



ra tulle le forze che ci manifesla la maleria l'azione chimica è quella 
dì cui riesce più difficile determinare la natura. La sua indole di forza 
elettiva , come recisamente la dislingue dall' attrazione universale , così la 
rende molto somigliante alle forze proprie degli esseri organizzati nei quali 
ciascun organo sceglie gii elementi che convengono alla sua costituzione 
rifiutando gli altri. Nei secoli passati ogni difficolta si credeva rimo^a con 
ricorrere a qualità occulte, ammettendo fra i diversi corpi una specie di 
simpatia o antipatia; né si andava più oltre e molto meno si pensaVa di 
cercarne la causa nelle proprietà della materia rivelateci dai sensi. Ora poi 
che un accurato esame de'fatti ha dimostrato i fenomeni del calorico^ della 

• • • 

luce, deirelettricila e del magnetismo potersi ragionevolmente considerare 
come puri scambi di movimento conforme alle leggi della meccanica, la più 
comune e verisimile opinione presso i cultori delle scienze naturali è che 
anche 1' azione chimica e tutte le altre attività della materia sieno effetti 
naturali del moto in essa la prima volta impresso dal Creatore, moto che 
non mai si annulla, ma in virtù dell'inerzia resta sempre o sotto una forma 
o sotto l'altra nella massa creata. La difficoltà che si prova nel concepire 
come dal moto possano derivare tanti e si svariati effetti quanti ce ne offre 
la materia è una conseguenza dello stato d'infanzia in cui ancora si trova 
la meccanica molecolare. Ciò non ostante siffatta difficolta diminuisce alquanto 
se si considera che anche le masse finite e di forma a noi ben nota , 
quando si muovono rapidamente , ci presentano un aspetto assai diverso 
secondo la diversa specie di movimento che le anima. Nei Gabinetti di 
Fisica si veggono molti apparati capaci di produrre varie specie di movi- 
menti più meno complicati ed i corpi messi in moto con questi apparati 
ora cambiano colore come nel disco di Newton , ora mutano figura come 
nel caleidofono , ora ci fanno comparire unite le parti separate come nel 
taumatropo, ora tramutano le figure irregolari in disegni regolarissimi come 
neiranartoscopio ed ora ci rappresentano degli animali dipinti quasi fos-- 
sero dotati di moto spontaneo come nel fantascopio di M. Plateau. 



— 429 — 

Ma il mio scopo non k di provare che tutti i fenomeni della materia 
possono essere effetti di poto, solo voglio indicare come possa concepirsi 
che dal moto, secondo le note leggi delia meccanica, possa nascere quella 
intima unione delle sostanze che costituisce l' attrazione molecolare ed in 
modo speciale l'azione chimica e come questa ipotesi si riscontri coi fatti 
e colle osservazioni della scienza positiva. Del resto è cosa evidente che 
sostituire un principio unico e conosciuto per via di osservazione ad una 
infinita di principi misteriosi e di problematica esistenza h un passo non 
piccolo verso la soluzione del gran problema che e la cognizione della 
natura de'corpi e dalle leggi dal Creatore imposte alla materia. 

Col nome di azione chimica si vuole significare la forza ìa virtù della 
quale due o più corpi si uniscono assieme a produrne un altro dotato di 
proprietà del tutto diverse dalle loro. Per formarsi un conjCjetto ragionale 
di una tal forza senza ammettere nei corpi alcun principio di azionte di- 
verso dalle attività che nascono dal moto, e si risolvono nel moto, con- 
viene in primo luogo supporre (come in ogni età si h supposto dall^ maggior 
parte dei filosofi e come lo studio dei corpi celesti ha dipoi con^e^m^to) 
che la materia percèttiMle ai nostri seu$i e ponderabile sjla immersa pin un 
fluido spttile, iucoer/cibile e imponderabile che ^ìcfisì eterfi. Escliji^o q\iesjtp 
mezzo di comunicazione n,on sembra possibile iateader.e le azioni .c^e pu,re 
vediamo esercitarci fr^ i corpi collocati a distanza. A chi dicesise c^t Tipo- 
tesi di due specie di mdf;e^ifi una ponderabile e laltra no sia in disaccordo 
colla semplicità di priu^cipi c^e rifulge in tutte le opere del Creatore, ri- 
sponderemmo che nella teoria che andiamo ad esporre T etere si dice im- 
ponderabile solamente nel sen$o che esso stesso è la cagione ^ella gravità 
e del peso degli altri corpi aventi densità maggiore della sua. Oltre di cl)e 
supponendosi l'etere sparso per tutto e incoercibile, ancorché avesse peso> 
questo non si manifesterebbe^ come non si manifestò il ,peso ,deira,ria prima 
che si trovasse la maniera di condensarla e rarefarla nei i;^cipienti. 

Si ha di più da supporre che i corpi detti semplici perché ^f^^Q^f^ i^on 
sono stati decomposti sieno formati di atomij ossia di «ps^r^i . naturalmente 
distinte e uguali fra loro nella medesiima sostanza; e che .quqsti atomi ab- 
biano ricevuto dalla v^ontà del Creatore un impulso eqca^trico , vale a 
dire capace di determinarli al moto di traslazione insieme e di rotazione. 
Perciò che riguarda 1' esistenza degli atomi , le numerose prove che nel 
tempo passato ce ne somministravano le leggi fondamentali della Chimica, 
i diversi stati della materia, le sue forme cristalline, i .fenqmeni calorifici. 



— 430 — 

luminosi ed elettrici ecc.» ebbero ia questi ultimi anni una sorprendente 
conferma" dagli interessanti lavori di Mend^e'eflf (i) e di Meyer (2) sui rap- 
porti che passano fra i pesi atomici e le proprietà fisiche e chimiche dei 
corpi. Fino dal I8i9 Dulong e Petit avevano scoperto che i calorici spe- 
cifici dei corpi semjilici sono inversamente proporzionali ai pesi atomici. 
Ora i due sullodati chimici hanno trovato che non solo i calorici speci- 
fici, ma anche la densità, fusibilità, volatilità, conducibilità per il calorico 
e r elettrico con tutte le altre più importanti proprietà fisiche e- chimiche 
dei corpi semplici sono in strettissima relazione coi loro pesi atomici quali 
al presente si ammettono dai chimici. Ciò vuol dire che il peso atomico e 
per conseguenza la realta degli atomi h un ipotesi a cui siamo quasi di 
necessita condotti da tutto il complesso delle scoperte che formano il pa- 
trimonio più certo della Fisica e della Chimica. Ma che che sia della neces- 
sità è cosa indubitata che le due suddette ipotesi non sono in opposizione 
con alcun fenomeno manifestatoci dalla materia , e tanto basta perche ce 
ne possiamo servire a spiegare anche le azioni molecolari e in modo spe- 
ciale l'azione chimica. 

Ammesse in fatti le suddette ipotesi ed applicando agli atomi le leggi 
della comunicazione del moto che si osservano fra le masse sensibili, ognuno 
intende che in forza delle rotazioni atomiche, attorno a ciascun centro di 
moto più energico e per conseguenza attorno a ciascun atomo ponderabile 
deve generarsi un vortice atmosfera di etere la cui densità vada scemando 
dalla periferia fino al centro. Quando dunque due atomi ponderabili si 
trovino tanto vicini fra loro che le singole atmosfere vengano in parte a 
penetrarsi, la pressione dell'etere circostante maggiore di quella dell'etere 
interposto spingerà questi atomi uno contro l'altro per modo che potranno 
unirsi e rimanere uniti in un gruppo formante il nucleo di una atmosfera 
più ampia che chiuderà entro di se le singole atmosfere atomiche. Gli 
atomi omogenei per tale maniera ridotti a gruppi aventi unità di azione 
meccanica costituirebbero le molecole de' corpi semplici , e gli eterogenei 
quelle de*cprpi composti. E se ciò che si h detto degli atomi si dica delle 
molecole, la genesi dei corpi semplici e composti e le così dette attrazioni 
molecolari omogenee ed eterogenee non saranno più un mistero incompren- 
sibile, ma casi speciali della comunicazione del moto simili agli avvicina- 

(1) Die periodische Gesefzmassigkeit der chemischen Elemenis vod D. Mendéléeff. Pietro- 
burgo 1871. 

(2) Die modernen Theorien der Ghemie. Breslavia 1877. 



— 431 -- 

menti ed orientazioni che si veggono nelle sperienze del giroscopio. Ho 
detto alle orientazioni perche se le distanze intermolecolari sieno abbastanza 
piccole» giusta le leggi sperimentali dei corpi rotanti, gli assi di rotazione 
tenderanno a disporsi paralleli gli uni agli altri; d*onde le forme regolari 
e cristalline che sempre più o meno distintamente si osservano nel formarsi 
dei corpi solidi. Né si potrebbe qui opporre che nei corpi cosi formati gli 
atomi e le molecole si dovrebbero trovare fra loro a contatto reale; impe- 
rocché sebbene T effetto ordinario della pressione circostante debba essere 
di avvicinare gli atomi e le molecole fino all'urto scambievole, (ed h ap- 
punto per questi urti che si desta calorico nelle sintesi bhiniche e nel 
passaggio dei fluidi aerei a stato liquido e di questi a stato solido) ciono- 
nostante trattandosi di atomi o molecole rotanti la mutua distanza finale 
sarà sempre determinata dairequilibrio fra la pressione circostante e le forze 
centrifughe originate dalle rotazioni ; onde il contatto permanente fra gli 
atomi o le molecole non sarà possibile se non nel caso che resti distrutto 
il moto rotatorio, caso ben difficile a verificarsi e quando anche si verifi- 
casse alcuna volta le rotazioni distrutte dagli urti precedenti verrebbero 
subito ripristinate dagli urti seguenti. 

Sarebbe cosa troppo lunga il dichiarare come Tesposta teoria renda suffi- 
ciente ragione dei fenomeni dipendenti dalFazione chimica. Limitandomi ai 
principali comincerò dal più noto e caratteristico, cioè dair essere le pro- 
prietà dei composti affatto diverse da quelle dei componènti. Secondo il sud- 
detto modo di concepire l'attività della materia, le proprietà fisiche e chi- 
miche dei corpi nnicamente possono dipendere dalle masse, disposizione e 
movimento delle due specie di materia la ponderabile e l'imponderabile di 
cui sono formati. Nei fenomeni dell'attrazione omogenea essendo uguali le 
masse, velocità e atmosfere degli elementi che in forza della pressione cir- 
costante si uniscono, i gruppi multipli che ne risultano possono acquistare 
delle nuove proprietà solo per il diverso modo di aggruppamento, clie per 
lo più altera solamente le proprietà fisiche. Laddove nei fenomeni di attra- 
zione fra gli atomi eterogenei, per il principio che due o più corpi di masse 
e velocità ineguali urtandosi assieme tendono a concepire una velocità co- 
mune e diversa da quella che avevano prima dall'urto, i gruppi atomici e 
per conseguenza le atmosfere che li avviluppano non possono mantenere alcun 
rapporto colle masse, velocità e atmosfere primitive, epperò le proprietà dei 
composti saranno del tutto diverse da quelle dei loro componenti. 

Ma qui si vuole accuratamente distinguere l'azione che si esercita fra gli 

56 



•• 



— 432 — 

atomi eterogenei e costituisce la cosi detta aRìuila chimica, daIl*azioQe che 
si opera fra le molecole eterogenee e produce le soluzioni» la maggior parte 
delle leghe metalliche e tutti quei miscugli sensibilmente omogenei nei quali 
le proprietà chimiche delle sostanze unite solo rimangono un poco modi- 
ficate, ma non distrutte. NelFazione mutua fra le molecole non si formano 
de'nuovi gruppi atomici cioè delle nuove molecole, ma le già esistenti senza 
perdere. la loro unita specifica si aggregano ad altre per modo che quanto 
alle forze individuali degli atomi di cui sono formate o ciò che torna lo 
stesso quanto all'esercizio delle affinità chimiche, si trovano a un dipresso 
nelle medesime circostanze nelle quali erano prima dell' unione. Quindi si 
vede come avvenga che le mescolanze molecolari o come suol dirsi le me- 
scolanze chimiche, si fanno in proporzioni molto variabili, mentre ogni vero 
composto non ammette che una sola proporzione determinata e del tutto 
immutabile. Affinchè abbia luogo una mescolanza chimica non si richiede 
alcun cambiamento nel moto relativo degli atomi, ma basta che le molecole 
eterogenee si uniscano in gruppi aventi una velocità comune. Il numero 
delle molecole costituenti siffatti gruppi senza dubbio avrà un limite che 
in generale variera colla temperatura; ma rimanendo questa costante, la me- 
scolanza, senza cangiare le sue proprietà, potrà effettuarsi fra un numero 
qualunque di molecole non superiore al massimo. Al contrario nella forma- 
zione dei composti h necessario che ciascun atomo entrando a far parte di 
una molecola cambi la sua forma di movimento per modo che tutti si ridu- 
cano ad avere uri moto comune risultante dai moti combinati dei singoli 
elementi. Variando dunque il numero degli atomi che entrano nella compo- 
sizione di una molecola, variera del pari il moto risultante epperò le pro- 
prietà chimiche del composto. A misura poi che cresce quel numero di 
atomi , cresceranno pure le differenze di velocità che le cause estrinseche 
tendono a produrre nelle diverse masse elementari di maniera che assai 
presto l'equilibrio molecolare diverrà instabile e cessata l'unità di azione 
si separeranno gli uni dagli altri i componenti. Una somigliante separa- 
zione deve avvenire e avviene difatto anche nelle mescolanze chimiiche, come 
di continuo ci viene attestato dall'evaporazione delle soluzioni e dal preci- 
pitare dei sali sciolti nei liquidi; ma in questi casi la separazione si fa tra 
le molecole senza che si turbi l'equilibrio dei gruppi atomici determinanti 
la natura chimica dei corpi. 

Quanto all'altra proprietà caratteristica dell'azione chimica di essere cioè 
elettiva, facilmente si comprende che se la combinazione consiste nel fon- 



— 433 — 

dersi assieme le atmosfere atomiche e nel ridursi mediante l'urto scambievole ' % 

airuniformita di moto gli atomi eterogenei, secondo la maggiore o minore 
differenza fra ì volumi delle atmosfere riuscirà più o meno facile a ciascuna 
di penetrare nello spazio occupato dall'altra, e due corpi nei quali il ritmo 
dei movimenti atomici piii o meno facilmente può divenire concordante sa* 
ranno due corpi aventi fra loro maggiore o minore affinità. Neil' atto poi 
clie si compie l'esercizio dell'affinità, come varia il moto atomico degli ele- 
menti, cosi deve in generale variare la quantità dell'etere formante le atmo- 
sfere delle nuove molecole. E cosi può intendersi lo sviluppo di elettricità 
che accompagna le azioni chimiche e V influsso che esercitano sulle azioni 
medesime il calorico, la luce^ le azioni meccaniche, la pressione ed ogni 
altra causa capace di modificare il moto atomico. Anche l'azione catalitica 
e lo slato nascente che nelle antiche teorìe sembravano inesplicabili, ammet- 
tono nelle moderne una spiegazione molto naturale. Quale meraviglia infatti 
che due corpi dotati di velocità diverse venendo a contatto di un terzo 
corpo acquistino una velocità comune o tale da non impedirne l'unione? 
e che gli atomi di un corpo nell^atto di svincolarsi da un composto, prima 
cioè di essere determinati a formare fra loro delle molecole, possano più 
facilmente ubbidire ali* impulso che li spinge ad associarsi con quelli di 
altri corpi? 

Ciò che riesce più difficile a intendersi nell'esercizio dell'affinità chimica 
h il numero determinato di atomi con cui una sostanza semplice può entrare 
in combinazione colle altre sostanze semplici, proprietà che i chimici mo- 
derni appellano atomicità o {valenza. Ciononostante se si considera che gli 
atomi delle diverse sostanze probabilmente non hanno la medesima figura 
e che le rotazioni nelle diverse figure e anche in una stessa figura secondo 
la diversa posizione deir asse , importano un diverso numero di punti nei 
quali la forza centrifuga è massima , agevolmente s'intende' che a siffatti 
punti dovranno corrispondere altrettanti centri di rarefazione più energica 
ossia di più forte attrazione; simili a quei centri di forze prevalenti che 
tanto chiaramente ci sono indicati dalle cristallizzazioni e che possono 
attribuirsi anche essi al moto rotatorio delle molecole. Si vuole inoltre osser- 
vare che gli atomi dei diversi corpi avendo ciascuno la sua propria massa 
e i suoi propri movimenti che hanno da coordinarsi con quelli degli atomi 
con cui si combinano, la capacità di saturazione di un corpo non può es* 
sere la stessa verso tutti gli altri corpi e neppure Terso un medesimo corpo 
quando sieno cambiate le circostanze capaci di alterare il moto atomico. 



— 434 — 

Quindi si vede che senza bisogno di forze occulte e misteriose col solo moto 
in un mezzo inerte si può dar ragione anche di quei fenomeni chimici dei 
quali prima delle moderne teorie non si era saputo trovare plausibile spie- 
gazione. Del resto l'esposta teoria quanto alla sostanza non differisce dalle 
altre che dopo un più profondo esame dei fatti sono state proposte dai 
moderni studiosi delle scienze positive e sopra tutti dal nostro compianto 
presidente Tillustre p. Secchi nella sua classica opera C unità delle forze 
psiche. 1 punti fondamentali su cui convengono tutte queste teorie sono 

i seguenti: 

i. Ogni corpo è formalmente costituito da due principi, uno passivo che 
è la materia, attivo Taltro ed è. il moto o se cosi piace la forza meccanica 
che si traduce in moto. 

2* A*nbidue questi principi nello stato attuale della creazione sono essen- 
ziali ai corpi e indistruttibili dalle cause finite. 

3. Quando due corpi si uniscono a forr^.are un composto la materia non 
soffre alcuna mutazione intrinseca, solo il moto e la disposizione degli atomi 
e delle molecole rimangono modificati. 

La ragione precipua che ha indotto i fisici moderni ad ammettere il primo 
dei suddetti principi è che stando ai soli fatti ogni corpo ci si presenta 
come una sostanza inerte in nìovimento, n^ fa bisogno di altro per inten- 
dere i fenomeni offertici dalla materia inanimata. Che poi non solo la 
materia, cosa che al presente da tutti si concede , ma neppure il moto 
poGsa essere distrutto dalle cause finite , lo mostra T osservazione costante 
ed universale che ogni perdita di moto è sempre accompagnata da un 
lavoro, cioè da un moto equivalente al moto perduto, di maniera che tutte 
le apparenti distruzioni di moto in realta non sono che trasformazioni di 
una in altre specie di movimento. 

Ciò che vuole essere più accuratamente dichiarato è il terzo principio, 
vale a dire che la materia non va soggetta a mutazioni intrinseche o in 
altri termini che gli atomi dei corpi semplici tanto nello stato di liberta 
che in quello di combinazione conservano sempre la stessa massa e le me- 
desime proprietà. La conservazione delle masse degli atomi nei composti ci 
è direttamente mostrata dal peso che in un composto qualunque è sempre 
uguale alla somma di pesi degli elementi che lo compongono. Non è cosi delle 
proprietà fisiche e chimiche che in apparenza sono molto diverse nei composti 
e nei componenti. Ciononostante se attentamente le consideriamo saremo co- 
stretti ad ammettere che la diversità non proviene da una mutazione intrin- 



— 435 — 

seca della materia, prodotta non si sa da che, ma dal diverso modo di 

uaione delle sue parti e dal diverso movimeato che 1* unione produce nelle 
parti medesime. 

Cominciando dalle proprietà fisiche^ il peso specifico che nei composti a 
prima vista sembra non avere alcun rapporto con quello dei componenti, 
se si tien conto delle variazioni di densità, troviamo che i componenti Io 
conservano inalterato anche nei composti. Cosi p. e. nell* acido cloridrico che 
risulta di volumi eguali di cloro e idrogeno uniti assieme senza condensa* 
zione, il peso specifico 1,258 uguaglia la semisomma dei pesi specifici 2,448 
del cloro e 0,069 dell'idrogeno. Laddove nel vapore di acqua che si com- 
pone di due volumi d'idrogeno e uno di ossigeno condensati nel rapporto 
di tre volumi a due, il peso specifico 0,622 rappresenta il peso specifico 
dell'idrogeno aumentato della meta di quello dell'ossigeno che h 1,1056. Si- 
milmente nel gas ammoniaco formato di un volume di azoto e tre d^ idro- 
geno, condensati in due volumi, il peso specifico 0,59 uguaglia la meta del 
''peso specifico dell'azoto più tre meta del peso specifico dell'idrogeno. La 
generalizzazione di questi esempi h compresa nella formola 



in cui (;, if\ Y e Pj p\ P rappresentano i volumi e i pesi specifici dei com- 
ponenti e del composto. I chimici ricorrono spesso a questa formola per 
conoscere i pesi specifici dei composti gassosi, e i risultati del calcolo sono 
sempre molto conformi ai dati dell'esperienza. 

Ciò che si è detto del peso specifico si deve parimenti dire del calorico 
specifico, altra proprietà fisica della materia e che da se sola può bastare 
a farci distinguere i diversi corpi della natura. Moltissimi sono i com- 
posti nei quali il calorico specifico presenta un rapporto semplice colla 
somma dei calorici specifici dei componenti. Cosi p. e. nelle combina- 
zioni aeriformi di carbonio, idrogeno e ossigeno rappresentate dalla for- 
mola C* H'^ 0% a parità di circostanze, si trova che i calorici specifici sono 
proporzionali alla somma degli atomi n >¥ m >¥ r o in altri termini che quegli 
elementi conservano il loro calorico specifico anche nelle combinazioni. Lo 
stesso fanno il solfo, il cloro, il bromo, lo iodio nelle combinazioni che 
hanno identica costituzione; anzi quei medesimi corpi che apparentemente 
si allontanano da questa legge in realtà la confermano perchè siffatti com- n 
posti hanno struttura molecolare assai diversa da quella dei loro compo>* 



— 436 — 

nenti, e la diversità di struttura importa sempre delle variazioni nella 
capacita |)er il calorico. 

Ma dal vedere che la suddetta legge si verifica nei composti che hanno 
le molecole affatto libere o che si trovano nel medesimo stato di coesione 
possiamo legittimamente inferire che, prescindendo dalle cause perturba- 
tricif la capacita per il calorico dei componenti si conserva inalterata nei 
composti. Questo fatto è si certo che anche prima che fosse rigorosamente 
deteraiinato il calorico specifico dei melalli alcalini potassio, sodio e litio 
M. ftegnault Io potè dedurre dalla capacita per il calorico delle loro com- 
binazioni; ed i valori cosi calcolati si trovarono ' d'accordo coi risultati 
delle sperienze direttamente istituite più tardi sui metalli isolati. Ad una 
somigliante conclusione ci conduce il così detto scolarne atomico cioè il 
rapporto fra il peso atomico di un corpo e la sua densità. Dalle rimar- 
chevoli sperienze dì E. Kopp su tale proposito risulta che nei liquidi spe- 
cialmente di origine organica il volume molecolare di un composto ugua- 
glia la somma dei volumi atomici dei componenti, e che nei composti di 
analoga costituzione uno stesso elemento possiede sempre il medesimo vo- 
lume atomico, per forma che conosciuti i volumi atomici dei corpi sem- 
plici si può calcolare il volume molecolare di un composto di cui si co- 
nosce la composizione. L'accordo di questi calcoli colla sperienza è tale 
da poterne inferire che gli elementi conservano in quei composti il volume 
atomico che occupano nello stato di libejtk. 

Il peso specifico, la capacita per il calorico e il volume atomico non 
sono le sole proprietà fisiche che, per quanto il diverso modo di aggruppa- 
mento degli atomi lo permette, i componenti conservano nei composti. È un 
fatto bene dimostrato che nei composti di analoga struttura, quali sono p. e. 
i termini di una serie omologa della chimica organica, i punti di fusione 
e di ebollizione stanno in un rapporto semplice con quelli degli elementi 
che lì compongono di maniera che la fusione e 1* ebollizione dei composti 
medesimi sono ritardate o accelerate secondo che gli elementi che entrano 
nella loro composizione sono meno o più fusibili, meno o più volatili. Così 
p. e. negli idrocarburi, negli alcoóli, negli eteri, negli acidi organici e in 
generale in tutti i composti veramente omologhi per ogni atomo di carbonio 
aggiunto o sottratto il punto di ebollizione del composto cresce o dimi- 
nuisce di un numero di gradi che è Io stesso in ciascuna serie omologa, seb- 
bene vari un poco da una serie all'altra come da una serie all'altra varia 
la struttura molecolare. Coli* idrogeno accade il contrario, cioè le combina- 



— 437 — 

zioni più povere d'idrogeno bollono a temperatura più elevata delle menò 
povere, ma in ciascuna serie di composti omologhi la differenza nel punto 
di ebollizione per T aumento o decremento di un egual numero di atomi 
d'idrogeno rimane costantemente la stessa. Siffatta costanza di rapporti fra i 
punti di fusione ed ebollizione dei composti e le qualità e quantità dei com- 
ponenti non si può comprendere se non si ammette che la materia degli 
elementi resta inalterata nei composti» Da recenti sperienze di M. Bunsen 
abbiamo che anche la volatilità di non pochi corpi ha un rapporto co- 
stante colla qualità e quantità de' componenti. Se si espongono pesi eguali 
di cloruri, bromuri o ioduri alcalini nella regione più calda di una stessa 
fiamma, i tempi che impiegano questi sali per volatizzarsi sono inversa- 
mente proporzionali ai loro pesi molecolari epperò strettamente connessi coi 
pesi atomici degli elementi che li compongono. 

Un'altra specie di rapporti incomprensibili se la materia degli elementi 
non resta inalterata nei composti, ci h offerta dalla rifrazione della luce. 
Da molto tempo si conosceva che il potere rinfrangente specifico di una 
mescolanza ha un valore medio fra i poteri rinfrangenti specifici delle so- 
stanze di cui h formata, e su questo fatto h fondato un metodo di analisi 
chimica delle miscele. Più recenti sperienze hanno mostrato che molti corpi 
organici, specialmente nella serie de' corpi grassi e nelle combinazioni afiini 
più povere d'idrogeno, agiscono sulla luce non altrimenti che se fossero 
semplici miscugli. Se p. e. facciasi una mescolanza di acido acetico e acido 
butirrico avente la composizione centesimale dell'acido propionico, si trova 
per il potere rinfrangente specifico della mescolanza il numero 1,3956, che 
appena differisce di 0,0005 dal potere rinfrangente specifico dell'acido prò- 
pìonico. Similmente per una mescolanza di alcool metilico e di alcool amilico 
che abbia la composizione centesimale dell'alcool etilico si trova il potere 
rifrangente specifico 1,3735, che differisce solo di qualche millesimo dal po- 
tere rinfrangente specifico dell'alcooletilico. Quindi h avvenuto che i chi- 
mici ora ricorrono alla misura degli indici di rifrazione anche nelle analisi 
quantitative dei composti. Conosciuto p. e. il potere rifrattivo specifico r 
di un idrocarburo ed i poteri rifrattivi specifici r', r'' di ciascuno de' suoi 
componenti l'idrogeno e il carbonio, le quantità d'idrogeno e di carbonio 
contenute in ioo parti di quell'idrocarburo sono date dalle equazioni 

X +^ - 100, r' a: + r^ jr^r 

Viceversa se si conosce la composizione centesimale di un idrocarburo e 
il suo potere rinfrangente specifico, sarà cosa facile con queste formole il 



— 438 — 

calcolare i poteri riafrangenti specifici dell' idrogeao e del carbonio. I nu- 
meri per tate maniera ottenuti combinano molto prossimamente con quelli 
dati direttamente dalla sperienza; ciò vale quanto dire che, prescindendo 
dalle piccole perturbazioni cagionate dal diverso modo di aggruppamento 
degli atomi, gli elementi che entrano a far parte di un composto continuano 
ad agire sulla luce non altrimenti di quando erano isolati. 

Ad una simile illazione siamo condotti dalla proprietà che hanno i corpi 
semplici di emettere alcune sole specie di radiazioni luminose. Le analisi 
spettrali hanno dimostrato che unitamente agli spettri dei gas e dei vapori 
composti si formano spesso anche gli spettri propri de' loro componenti. 
L' ossido di carbonio reso incandescente dalla corrente elettrica, fuori del 
contatto dell'aria, dà uno spettro nel cui mezzo appariscono le righe del- 
l' ossigeno. Anche lo spettro del vapore di acqua nelle medesime circostanze 
ora presenta le righe dell'ossigeno, ora quelle dell'idrogeno e sullo spettro 
di alcuni idrocarburi si vede talvolta proiettato lo spettro del carbonio. 
Ma prescindendo da questa simultaneità di spettri, che per lo più può es- 
sere attribuita ad una parziale dissociazione prodotta dal calorico, i com- 
posti aeriformi più semplici, come gii ossidi e le altre combinazioni bi- 
narie, scaldate fuori del contatto dell'aria ad una temperatura molto infe- 
riore alla richiesta per la loro dissociazione, danno degli spettri a righe 
larghe e sfumate che messi a confronto con quelli dei loro componenti 
più o meno apertamente ne rivelano la presenza nel composto. Né meno 
apertamente la presenza dei componenti nei composti ci h rivelata dalla 
struttura cristallina, dallo stato elettrico e dal magnetismo o diamagnetisrao 
proprio dei componenti medesimi. Vediamo infatti che gli elementi isomorfi 
come solfo e selenio, bario e strontio, fosforo e arsenico conservano fra loro 
l'isomorfismo anche nei composti analoghi di cui fanno parte, e che 
quando un composto si sottopone all'elettrolisi i suoi elementi anche 
prima di separarsi destano negli elettrodi l'elettricità contraria manifestata 
dalla tensione elettroscopica dei circuiti aperti epperò avahti che incominci 
1 azione chimica generatrice della corrente. Vediamo infine che gli elementi 
magnetici come ferro, niccolo, cobalto e ì diamagnetici come bismuto, solfo, 
fosforo conservano il loro magnetismo o diamagnetismo in quasi tutte le 
combinazione di cui fanno parte. Anzi le qualità magnetiche di alcuni corpi 
semplici p. e. del cromo, del cerio e del manganese si sono scoperte me- 
diante l'osservazione che i sali di questi metalli sono magnetici. Le ano- 
malie che talvolta s'incontrano in questa lagge sono delia stessa natura di 



~ 439 — 

quelle che ci offre una medesima sostanza p, e. il ferro clie sebbene sia 
il più magnetico di tutti i corpi pure nello srato di fusione appena da 
qualche segno di magnetismo. Conchiudiarao dunque che le proprietà fisiche 
dei composti paragonate con quelle dei componenti presentano solo quelle 
differenze che si osservano anche in uno stesso corpo allorché la sua strut* 
tura molecolare viene alterata. 

Quanto alle proprietà chimiche, queste a prima vista sembrano incapaci 
di somministrare delle prove in favore della presenza dei componenti nei 
composti. Ma bisogna bene distinguere le proprietà chimiche di un com- 
posto dalle proprietà ossia dall'attitudine di agire chimicamente che hanno 
i componenti nel composto medesimo. Le prime sono e debbono necessaria- 
mente essere diverse nel composto e nei suoi componenti per la ragióne 
che la risultante di più forze non può essere identica con una qualunque 
delle componenti. Rispetto alle seconde un attento esame di ciò che accade 
nelle operazioni chimiche ci persuade che gli elementi conservano nelle 
combinazioni tutte le loro proprietà chimiche, sebbene in generale non pos- 
sano immediatamente mostrarle, perchè sono impiegate a produrre un altro 
effetto, che nella esposta teoria h il movimento risultante dai movimenti 
individuali degli atomi eterogenei. Le considerazioni seguenti faranno inten- 
dere la ragionevolezza di queste asserzioni. 

Un composto di due elementi A e B p. e. T acqua si può ottenere 
tanto facendo agire Tuno sull'altro i suoi componenti idrogeno e ossigeno 
quanto sottoponendo all'azione di uno di essi deir ossigeno p. e.^ un com- 
posto dell'altro componente, quale nel caso nostro potrebbero essere l'acido 
solfidrico^ formato di idrogeno e di solfo. La differenza fra questi due 
modi di preparazione dell'acqua h che col primo si ottiene solo acqua 
e col secondo si ha dell'acqua e del solfo ovvero, se l'ossigeno sia in ec- 
cesso, dell'acqua e dell' anidrido solforoso, composto di ossigeno e di solfo, 
e che direttamente si produce mediante l'azione mutua di questi due me- 
talloidi. Si vede da ciò che l'idrogeno o il solfo tanto nello stato di li- 
berta come in quello di combinazione esercitano la stessa azione verso l'os- 
sigeno producendo l'acqua o l' anidrido solforoso opperò che in ambidue 
gli stati possiedono le medesime proprietà chimiche. 

A questa conclusione si potrebbe opporre che l' azione chimica dell'ossi- 
geno sull'acido solfidrico si può effettuare non fra l'ossìgeno e l'idrogeno 
deir acido, ma fra l'ossigeno e l'acido; e dato anche che si eserciti fra 

l'ossigeno e l'idrogeno tale azione potrà essere preceduta dall'analisi del- 

57 



— 440 -^ 

l'ossigeno nel biossido di azoto e quella del carbonio nel cianogeno, nel 
r acido medesimo. A sciogliere queste difficolta basta riflettere che V ana- 
lisi deir acido , se non si vuole dire un efifetto senza causa, si deve 
necessariamente attribuire all'azione dell'ossigeno. Ora T ossigeno non 
può decomporre l'acido che in due maniere, operando cioè sul composto 
o su alcuno dei suoi componenti. Se l'analisi è prodotta dall'azione del* 
r ossigeno sul composto non si comprende come un composto che ha pro- 
prietà del tutto diverse dall'idrogeno e dal solfo possa essere decom*- 
posto da un' altro corpo solo nel caso che questo abbia, come ha l' os- 
sigeno, maggiore affinità per l'idrogeno che non ha il solfo oppure mag- 
giore affinila per il solfo che non ha l'idrogeno, quale sarebbe p. e. il po- 
tassio. Che se quell'analisi h prodotta dall'azione dell'ossigeno sull'ano 
o sull'altro dei componenti l'acido, siffatta analisi non precede ma segue 
l'esercizio dell'affinità fra due corpi uno libero, l'altro facente parte di 
di un composto. 11 ragionamento precedente si può estendere a tutte le 
analisi fondate sull'affinità che i chimici chiamano pra^alente e vuole es^ 
sere perciò considerato come una prova generale del nostro assunto, vogliamo 
dire che i componenti conservano le loro proprietà chimiche anche nei 
composti. 

Se non che la chimica ci offre pure degli esempi di corpi semplici i 
quali senza cessare di far parte di un vero composto si combinano ad 
altri corpi non altrimenti di quando sono isolati. Così p. e. il carbonio 
dell'ossido di carbonio si combina ad un atomo di ossigeno per formare 
r anidrido carbonico, ed il carbonio libero si unisce ad un atomo di ossi- 
gei^o producendo l'ossido di carbonio. Che poi nel primo caso la combina- 
zione dell'ossigeno si faccia col carbonio dell'ossido e non coli' ossido slesso, 
apparisce dal fallo che la quantità di ossigeno fissata dall' ossido di car- 
bonio h precisamente quella che si richiede per saturare il suo carbonio e 
per conseguenza che la reazione dell'ossido di carbonio suU' ossigeno si deve 
unicamente attribuire al carbonio esistente colle sue proprietà chimiche 
neir ossido stesso. Dico esistente colle sue proprietà perchè se da una parte 
l'atomo di carbonio nello stato di libertà si unisce fino a due e non più 
atomi d'ossigeno, e se dall'altra l'ossido di carbonio, che risulta di un 
atomo di carbonio e uno di ossigeno, si combina con un altro atomo di 
ossigeno e non con più, possiamo legittimamente inferire che in quell'ossido 
esistono realmente il carbonio e l'ossigeno colle loro proprietà chimiche. In 
somigliante maniera si potrebbe dimostrare la presenza dell'azoto è del- 



— 444 — 

cacodilo ed ìq molti altri composti organici. Ma per dare a queste di- 
mostrazioni la più grande generalità tornerà meglio considerare il caso più 
comune di analisi e sintesi chimica cioè la cosi detta doppia decomposi^ 
zione. Allorché due composti uno di A e B, 1* altro di C e D sono tali che 
i componenti A e B del primo C e D del secondo hanno fra loro minore 
affinità che A per G e B per D, il prodotto dell'azione mutua • di quei 

composti h sempre la formazione di due nuovi composti AG e BD. Ora se 
nei composti di A e B, G e D non esistessero realmente ì componenti 
A e B, G e D o non vi esistessero colle medesime proprietà di quando 
sono isolati, converrebbe dire che tali composti ed operano chimicamente al 
modo dei componenti e non contengono quei componenti o li contengono 
dotati di proprietà chimiche diverse. Ad evitare si manifesta contradì- 
zione coloro che non ammettono la presenza dei componenti nei com- 
posti, sogliono dire che AB e CD messi a contatto l'uno dell'altro prima 
si decompongono e poi cogli elementi rigenerati si formano i nuovi com- 
posti AC e BD. Ma siffatta decomposizione a quale altra causa fuori del*^ 
l' affinità di A per C e B per D si può ragionevolmente attribuire ? E se 
i due compósti AB e CD agiscono a vicenda in forza delf affinità fra i loro 
componenti^ questi debbono senza dubbio preesistere nei composti medesimi, 
senza di che l'effetto precederebbe la sua causa. Non h dunque senza 
buone ragioni che i chimici moderni considerano come principio fondamen- 
tale di loro scienza che le operazioni chimiche si fanno sempre fra gli 
elementi e che questi conservano costantemente le loro proprietà anche nei 
composti. 



— 442 — 

SE E QUAL VALORE SIA DA ATTRIBUIRE 

ISELLA DETERMINAZIONE 

DELLA SPECIE AL NUMERO DELLE STRIE NELLE DIATOMEE 

NOTA 

DEL CONTE AB. FRANCESCO GASTRACANE 



U 



na delle epoche più fortunate per le scienze di osservazione che sia 
stata registrata dalla Storia, fuori d'ogni dubbio vuoisi annoverare la meta 
del Secolo XIX, allora che richiamata l'attenzione degli Ottici teorici e 
prattici su la costruzione del microscopio e su i suoi perfezionamenti si 
aperse a questo istrumento una nuova via e un più brillante avvenire 
mercfc il Modenese Professore Giovanni Battista Amici con l'invenzione 
d^gli obiettivi ad immersione. Per tale mezzo con obiettivi del maggiore 
ingrandimento si poterono otteaere immagini corrette dalle aberrazioni 
sferica e cromatica; e sopra dì ogni altro vantaggio ottenuto per tal mezzo fu 
un prezioso acquisto e massimo progresso quello della inusitata ampiezza del- 
r angolo sotto il quale T oggetto sottoposto al microscopio può essere il- 
luminato. Per tal modo organismi presentanti dettagli così squisitamente 
fini, che sembrarono sfidare qualunque maggior potere di risoluzione, po- 
terono essere fatti evidenti e si discriminarono ad uno ad uno sotto Tin- 
fluenza di una illuminazione molto obliqua, cosicché il cosi detto angolo 
di apertura di un obiettivo h precipuo coefficiente del suo valore e merito. 
L'acquisto di un così interessante ed efficace istrumento di ricerche con- 
dusse allo scoprimento di inattese maraviglie, e il microscopio divenne 
rinseparabile compagno del Naturalista, del Medico, del Botanico, del Fi- 
siologo e di chiunque si adopera a conóscere le minime forme e la strut- 
tura intima dei corpi e dei tessuti. Il Microscopio dischiuse nuovi campi 
alla insaziabile curiosità umana, la quale fu attratta per tal mezzo alla 
considerazione delle maraviglie del microcosmo. Fra queste indubitatamente 
va numerato l'ordine delle diatomee, la di cui cognizione può dirsi datare 
dal momento nel quale vennero introdotti nella costruzione del Microscopio 
i suaccennati perfezionamenti. Una tale rivelazione ofiferì la più copiosa 
messe a quelli, che si adoperarono in tali ricerche ; né fa maraviglia che 
Erhenberg, Kutzing, Smith, Brebisson, Gregory, Bailey e molti altri, che 



— 443 — 

ci precedettero, poterono far conoscere un numero stragrande di Diatamee, 
mentre chiunque seriamente si adopera in tale studio sa come la scoperta 
di nuovi generi e specie di Diatomee ad onta del numero che se ne co- 
nosce sia tutt* altro che diflScile, così che Teleoco di quelle sia ancor lon- 
tano dall'essere compiuto. 

Ma il lavoro di quelli ai quali andiamo debitori della conoscenza di 
migliaja di forme e tipi diversi appartenenti alFordine delle Diatomee, ne- 
cessariamente dovette risentire le conseguenze della fretta di chi veniva 
sopraflfatto dal numero dei nuovi organismi che incessantemente presenta- 
vansi; cosicché non h da maravigliare che talvolta Tistessa forma o tipo 
sia stato distinto con nomi diversi^ e che alcune forme apparentemente 
diverse e perciò designate con nomi distinti, per più mature indagini si 
riconoscano ora appartenere ad una medesima specie, e perciò doversi riu- 
nire ed indicare con un solo nome. Però questo appunto costituisce il la- 
voro più ingrato ed il compito più arduo al quale abbiamo da sobbarcarci. 
A ciò fare ci incombe il dovere di riconoscere il valore dei titoli, per ì 
quali una forma ha diritto ad essere riconosciuta come tipo specifico, eli- 
minando quelli che non possano per avventura vantare eguale legittimità, 
facendo per tal modo cessare possibilmente quella confusione, che esiste 
nella nomenclatura delle Diatomee, che ò il più forte ostacolo a quelli 
che sarebbero attratti ad intraprenderne lo studio. 

Ma quali saranno le norme da seguire in tanto delicata ricerca? In 
altre parole : quali sono i caratteri diagnostici delle Diatomee, per i quali le une 
dalle altre specificamente si distinguono? Tale fu la domanda che feci a me 
stesso, quando presi a studiare seriamente questo interessantissimo ordine 
di organismi, e questo istesso fu ed h il soggetto che mi tiene più per- 
plesso. Dìfatti non y^h chi ignori come nulla sia più difficile nello studio 
della Natura quanto il ' determinare la specie fissandone i limiti precisi, 
cosicché da tale difficolta alcuno si argomenti a negare 1* esistenza di quei 
limiti. Senza fermarmi su l'assurdità di simile dottrina^ la quale d'un sol 
tratto annullerebbe l'opera dei sommi che ci precedettero nello studio della 
Natura distruggendo la scienza stessa^ farò notare come nel fissare i carat- 
teri specifici delle Diatomee le difficolta di lunga mano si accrescano per 
l'estrema piccolezza di quelli organismi, per la quale non ci sarà dato mai 
l'isolare una forma vivente per sorvegliarne le successive evoluzioni, e cosi 
determinare i caratteri indipendenti dalla evoluzione organica. Tali carata 
teri riconosciuti costanti ed invariabili senza tema di errore costituirebbero 



— 444 — 

le note da servire di carattere specifico nella determinazione di un tipo 
distinto da qualunque altro ed autonomo. 

In tale stato di cose ed in attesa di chi sappia ritrovare mezzo di far 
vegetare una Diatomea in una cellula ristretta, come il Micologo fa svi- 
luppare i funghi inferiori in una cellula umida^ vediamo quali siano i ca- 
ratteri , che presentano queste maravigliose creature^ i quali caratteri ci 
possano per avventura almeno provvisoriamente servire alla determinazione 
della specie. Siccome però h più savio consiglio V assumere di trattare un 
punto alla volta, allora che molti se ne presentino e tutti quasi egual- 
mente ardui, ci contenteremo per ora trattare di un solo, e questo sia la 
striazione^ la quale distingue generalmente quasi tutte le Diatomee, e ne 
foima il più bello e curioso ornamento. Questa particolarità appunto di 
vedere oggetti cosi minuti, alcuni dei quali rimangono interamente imper- 
cettibili ad occhio nudo per quanto acuto possa essere, per magistero del 
microscopio presenta alla dotta curiosità dello scienziato una superficie 
maravigliosamente decorata di minutissime strie o di serie di punti, e fu 
precisamente la qualità che colpi da vantaggio qualunque attento osserva- 
tore. Cosi dal momento che le Diatomee vennero studiate e descritte, no- 
tata in primo la circostanza delia striazione, in seguito si tentò determi- 
narne la finezza calcolando quante se ne contenessero in un dato spazio, 
come, per esempio, in un centesimo di millimetro. 

Fino che le Diatomee che si andarono riconoscendo e studiando, non 
furono COSI minute, e che sopra tutto la striazione non fu tale da richie- 
dere i più forti ingrandimenti nel Microscopio e la più accurata modifi- 
cazione della luce nella illuminazione, non sursero gravi difficoltà nel de- 
terminare il numero delle strie, che si contenevano in un dato spazio. Ma 
quando i progressivi perfezionamenti del Microscopio permisero il discer- 
nere le granulazioni delle Grammatofore, dei Pleurosigma, delle Nitzschie, 
e delle Anfipleure, i tentativi dei diversi osservatori nel misurare la finezza 
di quei dettagli, che ne ornavano la superficie valvare condussero a risul- 
tati grandemente discordi. L'autorità dei &omi degli osservatori vietava l'attri- 
buire ad errore la discrepanza nella determinazione di quelle misure, quindi 
ebbe origine l'opinione che il numero delle strie contenute in un dato spazio su 
le Diatomee non sia costante; perciò il numero delle strìe fu riguardato come 
variabile, per cui non potrebbe costituire un carattere attendibile nella deter- 
minazione dalla specie. Ma quella divergenza nei risultati ottenuti molte 
volte dipendeva dall'avere preso ad esame e a misurare tipi non esattamente 



_ 445 — 

ideatici uh appartenenli talvolta all'istessa specie o varietà; oppure era 
trista conseguenza di metodo fallace nell' eseguire la misura. Allorché, per 
modo d'esempio, i signori SoUitt e Harrison di HuU asserirono avere ri- 
trovato che il numero delle strie trasversali deìV ^mphipleura pellucida 
era non meno di 120,000 per pollice {inch misura inglese) pari a strìe 5200 
al millimetro, certamente furono condotti in errore, mentre tutti i notevoli 
progressi, che si sono verificati da quel tempo negli ingrandimenti del 
Microscopio in questi ultimi anni non permettono arrivare tanto oltre nella 
definizione delle strie; oltre che una tale misura notevolmente sorpasserebbe 
il limite dèlia visibilità, quale venne stabilito dall'illustre Professore Hel- 
mholtz. L'uso di calcolare i minimi dettagli nelle Dìatomee e misurarli a 
mezzo del micrometro oculare sarebbe l'ottimo da seguire^ come fuori 
d'c^ni dubbio h il più spedito, se in pari tempo fosse pratticamente di si- 
curo impiego. Ma quando trattasi di dettagli squisitamente fini e tali che 
quasi sfidano il potere risolvente dei più perfetti e potenti Microscopi, 
rimane estremamente difficile e soggetto ad errore il determinare con cer- 
teua e precisione il numero esatto delle strie che si hanno in un grado 
del micrometro oculare^ il quale avendo tanto minor valore quanto più 
forte dovette essere T ingrandimento adoperato, uel venire moltiplicato il 
numero delle strie di un grado del micrometro per il valore di questo, 
l'errore probabile diviene tanto maggiore, e tale ne è il risultato da essere 
ben lontano dal vero. Cosi avvenne ai due succitati micrografi di essere 
tratti in errore dall'impiego di un fallace sistema di enumerazione di 
strie nell'Anfipleura, che valutarono grandemente al disopra del vero. 

Così la difficolta nella determinazione del numero delle strie per un dato 
spazio della valva delle Diatomee, la discrepanza nel precisare quel nu- 
mero per parte dei diversi osservatori, unite alla manta di quelli che non 
vorrebbero riconoscere e ammettere l'esistenza della specie, i quali quan- 
tunque destituiti di qualsiasi argomento positivo ne confortati dall'espe- 
rienza, pure pretendono riguardare qualunque forma organica come acci- 
dentale e quale transitoria condizione di un organismo in attuale incessante 
evoluzione; tutte queste circostanze hanno portato a negare qualunque 
valore di carattere specifico al numero delle strie che ricoprono una data 
superficie nella valva della Diatomea. 

A prova di che cade in acconcio il ricordare la discussione interessante, 
che ebbe luogo su la pretesa identità della Navicala rhomboides. Erbhg. della 
Na\4cula crassinervi^^ Breb. e della Frustulia SaxorUca^ Rabnh. A questa 



— 446 — 

presero parte i eh. Dr. Dallinger e Dr. Wallicli, e i signori Slack e Ingpen, 
e la controversia venne agitata non tanto al punto di vista dello studio 
delle Diatomee, quanto in ragione delPadoperarsi le valve di quelle a ci* 
mentare la qualità e il valore degli obiettivi. In quella discussione ven- 
nero ancora riportate le autorità degli illustri Micrografi Kitton fra gli In* 
glesi e fra gli Americani il Professor H. L. Smith ed il Colonnello Dr. Wood- 
wardy e quella ebbe luogo avanti la Reale Società Microscopica di Londra 
neir adunanza del e Decembre IS76 in occasione di uno scritto lettovi dal 
Dr. Dallinger. La grandissima analogia fra quelli tre tipi è innegabile, e 
anzi evidente; ma da tale analogia si può dedurre Tidentita? Per quanto 
io possa essere tacciato dì temerità mi sia permesso dii*e con tutto il ri- 
spetto alla ricordata pleiade di illustri naturalisti, che la deduzione è 
tutt' altro che certa, e che se per tal modo si dovesse ai^omentare nello 
studio della Natura, un poco alla volta si arriverebbe a distruggere qua- 
lunque classiGcazione^ annullando ogni nozione di specie, e lascio pen- 
sare quanta jattura alla scienza ne conseguirebbe. Ridotti dalla eccessiva 
minutezza di questi organismi a dovere contentarci di arguire da quanto 
materialmente ed attualmente appare ai nostri occhi, supplendo con pro- 
Labili deduzioni alla mancanza di argomenti certi e di esperienza, sem- 
brami dover essere riguardato qual canone di ragionevole critica, che quando 
in una raccolta sufGcìentemente abbondante e pura di Diatomee si pre- 
sentino più forme analoghe tra di loro, le quali con numerosi esemplari e 
diverse grandezze rappresentino una continuata gradazione fra i due ter- 
mini più distanti della serie, allora soltanto sarà ragionevole arguire con 
tutta probabilità che quelle forme diverse appartengono ad una sola specie. 
Da questo consegue qual corollario che un deposito di Diatomee fossili 
non possa fornire argomento a probabili deduzioni in materia, mentre in 
tal caso avremo un singolare mescolamento di generi e specie diverse, e 
non un insieme che ci si mostri come di componehti una sola stirpe e fa- 
miglia e una stessa generazione. 

Ora riconducendoci al caso della pretesa identità fra i tre sopra ri- 
cordati tipi, non si h fatto cenno nella discussione del punto controverso di 
alcuna raccolta, la quale presentasse confusi quei tre tipi, a meno del deposito 
di Cherryfield in America, nel quale si ebbero soltanto la Nau. rhomboides^ 
e la Nav, crassirieruia. Perciò il non conoscersi finora alcuna raccolta di 
Diatomee viventi nella quale presentansi confuse quelle tre forme^ mi sa- 
rebbe sufficiente argomento a non ammettere per ora la pretesa identità. 



— 447 — 

torio eoa apposito apparecchio di lenti. La immagine della Diatomea per tal 
modo si presenta enormemente ingrandita su T opposta parete, alla quale 
Perà questo non h se non un argomento negativo, e quella identità se 
non rimarrebbe provata, potrebbe rimanere possibile. Ma mi si offre an- 
cora un argomento positivo il quale (se non mi inganno a partito) a mio 
senso vieta il potere ammettere che quelle tre forme non sieno altrettanti 
tipi, distinti ed autonomi. Neil' esaminare attentamente quelle tre forme ri- 
conobbi che la striazione trasversale della FrustuUa Saxonica nella cosi 
detta Tipen-platte di Moller è di 3400 strie al millimetro^ mentre la lon- 
gitudinale ne novera 3600; per Tistessa misura la Navicala crassinervia ha 
1400 strie trasversali, mentre il numero delle longitudinali è non meno di 
MOO. E si dirà dopo ciò che questi tre tipi non sono che una medesima 
specie? Fin ad ora nessuno argomento positivo^ nessuna esperienza ci 
autorizza a ritenere che una qualsiasi Diatomea abbia tanta irregolarità 
nella striazione per modo non solo che un frustulo abbia strìe trasversali 
notevolmente più fine delle longitudinali, mentre in altro frustulo della 
medesima specie avvenga il contrario. So bene che in talune specie le strie 
sono distribuite in modo singolarmente irregolare nella superficie della 
valva, come avviene per modo di esempio nella Eunotia Formica, Ehrbg.; 
ma })er la distribuzione delle linee, nei tre surricordati tipi abbiamo invece 
lo spettacolo di una stupenda regolarità nell'intera superficie valvare. 

Però, avendo io condannato come inducente in errore il sistema di 
calcolare il numero delle strie a mezzo del micrometro oculare, al quale 
sistema attribuii per la maggior parte la discrepanza nella determinazione 
del numero delle strìe per parte dei diversi osservatori; avendo in seguito 
parlato di numerazione di strie da me fatta nella direzione trasversale e lon- 
gitudinale di tre differenti naviculacee, una delle quali è delle più difficili 
a risolvere fra quante si conoscono; mi si domanderà quale sia il cosi sicuro 
processo da me seguito nella determinazione di tante minute particolarità 
strutturali, per modo che da quella mi sia sentito tenuto a dissentire dal 
giudizio di Micrografi di incontestata autorità. Eccomi pronto a soddisfare 
alla troppo giusta domanda, affinchè ognuno possa giudicare se a torto io 
mi senta sicuro, e quando venga riconosciuta l'esattezza del processo da 
me seguito, ciascuno ne possa fare suo prò. Nella pratica abituale della 
fotomicrografia, con la quale sotto l'ingrandimento costante di 535 diametri 
ho fatto una collezione di circa 3000 immagini di Diatomee, io mi servo delle 
immagini così dette negative sul vetro per farne la projezione nelmiplabora- 

58 



— A48 — 

immagine sovrappongo una strìscia di carta, tagliata in misura esatta da 
rappresentare ^ di millimetro preso in identiche condizioni, cioè misurato 
su di una immagine fotomicrografica di un millimetro diviso in cento parti 
e amplificato 535 diametri. Nel sovrapporre la carta alla parte dell* immagine, 
che sia la più precisa e regolare, conto con il dito o marco ogni strìa o granulo 
e il numero ottenuto moltiplicato per cento mi determina quante strie o 
granuli, si abbiano in un millimetro, preso nella direzione longitudinale, 
nella trasversale, o nella obliqua secondo i casi. Non credo che alcuno 
potrà negarmi che questo metodo sia il più certo, mentre Terrore possibile 
trovasi ridotto a tale punto da essere appena attendibile. É bensì vero che 
questo processo implica l' impiego della fotografia, la quale quantunque 
sia tale da essere di grandissimo giovamento al Naturalista ed al Micro- 
grafo, pure ancora non è alla portata e nell'uso di tutti; si deve però 
notare che quantunque non con eguale facilita pure si può ottenere il me- 
desimo risultato con T impiego della Camera lucida^ ma forse anche meglio 
con la projezìone diretta della Diatomea a mezzo di buon Microscopio 
solare. 

Un tal metodo di misurazione ho utilizzato per vedere di formarmi un 
retto giudizio sul numero delle strie, se quello sia o no costante nella specie, 
e però se quello sia carattere attendibile nella determinazione della specie. 
Nella <c Sjrnopsis of the British Diatomacee » Voi. a"", Pag. XXIV della 
Introduzione lo Smith cosi sì esprime: » Che le strie.... siano mutuamente 
parallele o radiate nella loro disposizione, che raggiungano la linea mediana 
siano assenti da porzione maggiore o minore della superficie valvare, 
- che le cellule istesse siano disposte a quinconce, e le strie nella loro 
disposizione trasversale conseguentemente siano oblique o trasverse in re* 
lazione al margine o alla linea mediana - la distanza relativa delle strìe e 
la loro maggiore o minore distinzione — sono tutte qualità che possono si- 
curamente riguardarsi di specifica importanza,... quantunque soggette a lievi 
modificazioni, prodotte da accidentalità di luogo e di età.... ecc. » Per quanto 
grave fosse questa autorità pure ho voluto riportarmi all'esperienza ed al 
fatto che h il solo giudice supremo e inappellabile in tale materia, lo mi 
sono detto che due forme riscontrate in località e tempi diversi, quantunque 
nell'insieme dei caratteri sieno grandemente affini, pure possono costituire 
due tipi vicini V uno* all' altro, ma non per questo meno autonomi e indi- 
pendenti,^ destinati a riprodurre le proprie forme a traverso un numero in* 
definito di generazioni. Questo noi vediamo aver luogo in tanti altri ordini 



— 449 — 

di esseri e di oi^anismi, che ci cadono ad ogai ora sott* occhio. Che queste 
forme si dicano meglio varietà oppure specie mi è totalmente indifferente^ 
dipendendo la distinzione fra le due parole dal diverso valore che loro co- 
munemente si ààj valore e significato grandemente elastico; purché però si 
riconosca la permanenza della forma nelle successive generazioni, la quale 
permanenza esatta della forma in ogni minima particolarità di struttura nelle 
Diatomee rimase dimostrato quale legge costante dallo studio da me fatto 

su le Diatomee dell'epoca del carbone. 

Quando pertanto mi fu dato porre la mano in alcun luogo sopra 

una raccolta costituita da mirìadi di frustuli appartenenti evidentemente ad 
una sola specie e formanti una sola famiglia, mi proposi subito il fame uti 
esame il più accurato, mentre tenni sempre per fermo che soltanto in tali 
circostanze si possa trarre criteri più probabili a riconoscere la latitudine 
delle modificazioni possibili della forma tipica dentro i lìmiti della specie. Tali 
circostanze sono tutt'altro che frequenti, ma pure a tempo a tempo si danno; 
che anzi ricordo con amarezza come nei primordi del mio studio su le Dia- 
tomee, ansioso come io era di conoscere nuovi tipi lamentavo rincontrare 
raccolte costituite da una o due forme soltanto, e le rigettavo non cono* 
scendo ancora il partito, che ne avrei potuto trarre* In raccolte di tale 
natura formate da una congerie di frustuli appartenenti ad una medesima 
specie, vediamo schierati avanti noi una serie di forme varianti tra loro 
in grandezza e presentanti talvolta notevoli variazioni nel profilo. Ma* nel 
fare la rivista delle diverse dimensioni e dei differenti profili dei frustuli 
un attento esame ci fa conoscere come nelle diverse misure e profili esista 
una completa gradazione, le quali con lievi sfumature ci mostrano e ci 
provano l'identità dei termini estremi della serie. Oltre che nel vedere con- 
temporaneamente come la disposizione e la qualità delle strie o file di gra- 
nuli ed ogni altra particolarità di noduli o di qualsiasi altra scoltura delle 
valve si mantengono perfettamente costanti ed uniformi, siamo fatti certi 
che tutti i frustuli della raccolta malgrado le differenze di misura e le va- 
riazioni di profilo appartengono alla medesima specie. 

Una circostanza opportunissima a fare simili considerazioni nù si offerì 
da dodici anni e più, quando la parziale bontà per me deinilustre Bota- 
nico di Ginevra Alfonso de Candolle gentilmente mi permise scegliere nei 
ricchissimi erbari alcuni piccoli brandelli di Utricularie di distintissime località^ 
i quali mi si presentavano incrostati da Diatomee. Tre di queste Utricularie 
provenivano l'uno da Rio laneiro, da Giava il secondo^ e laltro dal Se- 



— 450 — 

negai, e tutte tre ritrovai egualmente cariche di frustnli di BunoUa 
Formica^ Ehrbg. A proposito dì questo mi sarà permesso ricliianar ratten- 
zione su la circostanza singolare di ritrovare la medesima specie di Dia- 
tornea molto rara sempre su Tistessa pianticella, quantunque questa fosse 
proveniente da tre diverse parti principali del globo, la quale circostanza 
potrebbe a mio avviso indurre a riguardare questa Dialomea meglio cbe 
quale epifita per parassita. Le tre diverse raccolte, nel mentre che mo- 
strarono subito la forma caratteristica àe)X Eunotia Formica con il ri* 
gonfiamento angolare nel centro, Je costrizioni intermedie, e tutti gli altri 
caratteri di noduli e pseudonoduli^ di linee trasverse moniliformi inter- 
rotte da linea palina eccentrica e inegualmente distribuite racchiudevano an^ 
cora numerosi frustuli di molto diflferenti profili e grandezze ma tutti far-' 
nìti delle medesime particolarità strutturali da non permettere il più lieve 
dubbio cbe non appartenessero tutti alla specie Eu* Formica,^ L^asse lon* 
gitudinale delle forme maggiori era quintuplo di quello sia nelle minori^ ed 
in queste non vedesi indicazione di rigonfiamento centrale, mentre meglia 
sono o lineari o con lieve costrizione. Ho innanzi agli occhi una serie di 
fotogrammi, cbe mi feci con amplificazione di 535 diametri, rappresentanti 
Finterà serie delle diverse forme: nel vedere l'ineguale distanza delle strie 
in questa Diatomea e specialmente negli esemplari più grandi e caratteri- 
stici, strie grandemente ravvicinate nelle estremità, rade nel mezzo, e più 
rade ancora nelle due costrizioni intermedie, nei seguire le graduali dif- 
ferenze di profili e grandezze ^ impossibile rifiutarsi alFidea che le diver$e 
forme e grandezze dei frustuli non rappresentino altrettanti stadi di svi-- 
luppo, e che in questa Diatomea per ìò meno abbia luogo xin^auxesi bi- 
laterale^ e forse anche una contemporanea dilatazione o stiramento delle 
parti intermedie fra il centro e le estremità. Le diverse graduali forme dt 
questa Diatomea furono altresì vedute e disegnate dal Ch. Micrografo Al- 
berto Grunow nello studio che fece e pubblicò su le Diatomee di acqua 
dolce deir Isola Banka. 

In questo come in altri simili casi nel considerare la non interrotta 
serie di grandezze e profili, nel mentre che in pari tempo i caratteri strut- 
turali tutti rimangono assolutamente identici, necessariamente siamo con- 
dotti a riguardare tutti quei frustuli quantunque di varie dimensioni e 
profili come appartenenti ad una medesima specie, ma semplicemente i*ap- 
presentanti diversi gradi di sviluppo organico. Però in questi confronti 
ed in simili esami il carattere, la costanza del quale sia più diflkile a coik 



— 454 — 

statare, h la finezza delle strie o file dì granuli, che adornano le valve 
delle Diatomee, cioè quale sia il numero di quelle strie che si contiene 
in una data frazione di millimetro, e il controllarne quindi l'immutabilità 
nelle svariate grandezze di frustuli appartenenti ad una specie medesima. 
E tanto più mi parve necessario il decidere un tal punto in modo irre- 
fragabile, inquanto che su tale rapporto precisamente regna la maggiore 
discrepanza nelle sentenze di coloro, che sono reputati della maggiore au- 
torità su tale materia, ed inoltre per la somma importanza delle dedu* 
zioni da trarne ad elucidazione delle leggi biologiche riguardanti V intero 
ordine delle Diatomee. Fra gli osservatori più acuti ed autorevoli primeggia 
il Ch. Dr. Wallich della di cui personale conoscenza io mi onoro, e cbiedogli 
venia se puro amore di verità mi costrìnge a dissentire da Lui. Esso nella 
seduta della Reale Società Microscopica di Londra al 3 Gennaio 1877 lesse 
una memoria » On the relation betwen the Developement^ Reproduction f. 
and Markings of the Diatomacee « In quella Y autore dice che « mentre il 
» numero totale delle strie sopra la valva della Diatomea può rimanere quasi 
» uniforme in ogni valva dell' istessa specie, il numero delle strie sopra una 
^ parte frazionale della valva (come la millesima parte di pollice) ammette 
n precisamente tanta variazione, come la misura della valva e procede simul- 
» taneamente con essa durante la divisione ma non in appresso. )» Il parere 
dell'insigne Naturalista non poteva essere enunciata più esplicitamente > 
però concorda una tale sentenza con V esperienza ? vediamola. Ho di so- 
pra ragionato del metoda da me usato ddla projezione fotomicrografica 
delle Diatomee per enumerare le minutissime strìe contenute in una parte 
frazionale di millimetro, e dopo la minuta descrizione che ne ho dato non 
credo che alcuno possa oppugnare la certezza dei rìsultati ottenuti da tale 
processo. Di questo io faccia uso abitualmente, e questo mi pone in grado- 
di dimostrare al Gb. Dr. Wallich essersi male apposto su tale argomento, 
forse condotto da idee preconcette, e dal non avere verificato la cosa eoa 
la propria esperìenza, fidatosi troppo delle varianti determinazioni del nu- 
mero delle strie per parte dei diversi Micrografia i quali probabilmente 
seguirono in quelle determinazioni il fallace processo del micrometro oculare.. 
Ogni qual volta la scnie propizia mi dà di incontrare un acervamento 
di Diatomee appartenenti tutte ad una sola specie, se pure anche potesse 
racchiudere contemporaneamente fiustuli di altro genere, mi studio trarre 
profitto dalla opportunità istituendo diligente esame onde riconoscere l'e-t 
aten^ne delle, deviazioni della forma tipica, le quali deviazioni siana coo-^ 



— 452 ~ 

sentanee alla idiosincrasia della specie. In tali occasioni riconoscinti i tipi 
e le dimensioni di frastuli più Tun dall'altro distanti^ i quali pero si ri- 
congiungano tra loro per una serie continuata di grandezze e di forme ia* 
termedie da non permettere di nutrire alcun dubbio su l'identità della specie» 
alla quale appartengono, procedo a ritrarre a mezzo 'della fotomicrografia 
Timmagine del più piccolo frustulo e del più grande, adoperando sempre 
r amplificazione di 535 diametri. Nel presentarsi successivamente le due im- 
magini enormemente ingrandite su la parete con T apparecchio di pro- 
iezione ne conto le strie contenute in — di millimetro ; fin ora non 
nna sola volta mi è arrivato di trovare che il numero delle strie non 
fosse costante. Cosi in due memorie da me pubblicate negli Atti dell'Ac- 
cademia Pontificia dei Nuovi Lincei, Tuna nella Sessione del io Marzo i87e> 
con il titolo a Nuovi argomenti a provare che le Diatomee riproduconsi 
per germi » e Taltra nella Sessione del il Gennaro 1877, cioè -> Osservazioni 
e note a elucidazione dello sviluppo delle Diatomee -" parlai dettagliatamente 
di due raccolte pure da me ottenute e studiate, nella prima delle quali non 
ebbi altro che la Pinnularia stauroneiforfnis. Sm. var. Latialis^ Taltra con* 
teneva unicamente frustuli innumerevoli di Cjrclotella Piscicubis Ehrbg. 
Valve delle due specie scelte appositamente fra tutte le più grandi e le più 
piccole furono ritrovate di identica finezza di strie. Eguali ricerche con 
sempre eguale risultato ho avuto in questo anno su diverse specie di Dia- 
tomee della I* Centuria di preparazioni tipiche del D/ Eulenstein^ e nomina- 
tamente su la Nai^icuta JennerU Sm. (Scoliopteura tumida)^ su la Nax^icula 
(Pinnularia) major Kz, neìVisimia enen^is^ Eherbg, e nella Nas^icula didyma 
Kz di una preparazione di Bourgogne di Parigi. Dopo tali cosi concordi 
risultati non parmi si dia più luogo a dubitare che per lo meno in talune 
specie la finezza^jfUe strie non sia eguale nelle valve di diverse dimensioni^ 
per cui in quellespeci^ almeno la finezza delle strie h determinata dalla 
idrosincrasia della specie , e perciò le marche o strie e la loro finezza h 
una qualità di specifica importanza come scrisse Smith. 

Finalmente a convincere ulteriormente chi fosse di contrario parere, che 
il numero delle strie o file di granuli si mantiene costante nelle Diatomee 
grandi e pìccole purché appartengano alla medesima stirpe, e che quindi 
non si può rifiutare al numero di quelle strie il valore di carattere speci- 
fico, dirò come nella succitata Centuria di preparazioni tipiche di Diatomee 
ho una bellissima preparazione di Istkmia enenns Ehrbg. in situ ^ e in 
quella vedonsi i frustuli aderire per un angolo gli uni e gli altri» e tuttora 



— «53 — 

scorgoDsi attaccati al peduncolo. Un medesimo peduncolo ritiene frustati 
grandi e piccoli insieme uniti; cosi non mi si poteva presentare occasione 
più favorevole a decidere la controversia. Riprodussi pertanto con l'usato 
ingrandimento frusiuli di dimensioni le più fra loro disparate; misurai le 
file di granuli minuti dei cingoli o zone in ambi i casi; n^ ritrovai la 
minima discrepanza fra gli uni e gli altri. Non credo pertanto che al- 
cuno possa ancora nutrire ragionevole dubbio: che se alcuno amasse 
megUo riferirsi all'esperienza propria nulla mi sarà più gradito» vedendo 
per tal modo confermato il fatto dall'altrui esperienza. 

Parlando di sopra deìVEunotia Formica Ehrbg. io ricordai quale nota 
caratteristica di questa rara e interessantissima specie come le strie moni- 
liformi> che ne adornano le valve, sieuo distribuite irregolarmente e in par- 
ticolar modo siano aggruppate e fitte alle due ettremita, e rade nelle parti 
intermedie. Con questa osservazione dunque ho fatto intendere qualmente 
io non ritenga il carattere delle strie del loro numero come circostanza di 
valore specifico assoluto, ma bensì lo riguardi di tale peso solamente quando 
la distribuzione delle strie su la superficie valvolare sia regolare, la quale 
condizione si aveva nella grande pluralità dei casi in talune forme ^ come 
nelle Naviculacee^ nelle Sinedree e in tante altre. Ma v'è ancora altra con- 
siderazione , che desidero porre innanzi a chiarire meglio il mio modo di 
vedere su V argomento, Nel grande numero di tipi diversi di Diatomee da 
me riprodotte con la fotomicrografia e misurate con il sistema della pro- 
iezione devo confessare che nelTesaminare talune specie ancorché Lene de- 
terminate, ma contenute in diverse preparazioni, ho ritrovato qualche diffe- 
renza in forme dell'istessa specie in ordine al numero e finezza delle strie< 
Però quando mi sono incontrato in tali discrepanze queste non furono mai 
di grande rilievo raggnagliatamente e in proporzione del loro numero, così 
che la differenza non eccedette mai più di |. Però in pari tempo dichiaro 
altamente che sino ad ora non ho ritrovato la minima differenza, quando 
il confronto cadde su frustuli di Diatomee, i quali non solamente fossero 
della medesima specie, ma che ancora appartenessero alla medesima stirpe. 

Quindi è che rimangono inconcusse tutte quelle deduzioni, che possono 
razionalmente trarsi dalla costante finezza delle strie in frustuli grandi e 
piccoli di una medesima specie e stirpe. Di tali deduzioni io parlai nella 
Memoria intitolata - Nuovi argomenti a provare che le Diatomee riprodu- 
consi per germi», la quale leggesi negli Atti deirAccademia Pontificia dei 
Nuovi Lincei , Sessione IV del la Marzo 1876. In quelk parlando di una 



— 454 -^ 

raccoha purissima da me fatta presso il fontanile 9 che incontrasi ai cosi 
detti campi di Annibale sul monte Cavo presso Rocca di Papa , la quale 
raccolta era unicamente racchiudente miriadi di frustuli della Pinnularia 
stauroneifòrmis Sm. var. LatialiSj la quale varietà io credetti dovere costi- 
tuire fondato su la troppo grande differenza nel numero delle strie della 
forma di Monte Cavo, che era di 1900 al millimetro da quello del tipo Smi- 
tlùano, il quale non ne conta più di isoo nell'istesso spazio, differenza 
perciò di oltre |, rimanendo assolutamente identici tutti gli altri caratteri. 
In quella occasione dalla costanza nella finezza delle strie nei frustuli pia 
grandi e più piccoli^ che si racchiudevano in quella raccolta, trassi ai^o- 
mento a sostenere i° che per lo meno in quel caso la moltiplicazione non 
aveva avuto luogo per temnogenesi o fissione, mentre in tale ipotesi dal 
graduale rimpicciolimento Belle valve e dei frustuli in conseguenza dell'in- 
capsulamento di quelli, le strie dovrebbero di pari passo diventare da più 
in più fine, avverandosi quanto esplicitamente dichiarò il Gh, Dr. Wallich, 

che (( il numero delle strie in una parte frazionale della voilva am- 

f> mette precisamente tanta variazione, come la misura della valva » ; 2? che 
nella dimensione dei frustuli deve aver luogo Y auxesi per addizione bi- 
laterale di nuove strie e conseguente dilatazione negli anelli o zone che 
congiungono le valve : 3^ che dunque la Diatomea, benché rivestita di un 
derma siliceo, va soggetta a graduale sviluppo e distensione, mentre la 
silice trovasi probabilmente in combinazione quale costituente della cellu- 
losa, rimpiazzando in quella il carbònio, la quale sostituzione venne dimo- 
strata possibile dagli studi dei Chimici Signori Friedel e Ladenbourg. In 
conferma poi della deduzione indicata al secondo punto, cioè che nelle 
Diatomee T auxesi debba aver luogo per addizione bilaterale di nuove strìe 
e non per aumento periferico, come avviene nei Crostacei, mi sia permesso 
l'addurre un ulteriore argomento. Ho sopra ricordato come nelle raccolte 
formate da una sola specie di Diatomee sempre si riscontrino frastuli grandi 
e piccoli per modo che l'asse longitudinale di quelli sia la meta e talvolta 
ancora molto meno di questi. Chiunque siasi adoprato ad esaminare al 
Microscopio questi interessanti organismi e lo abbia fatto .non solamente 
nelle preparazioni che ci può fornire il commercio, ma meglio provandosi 
a ricercarle in natura e a farne raccolta, facilmente ha avuto agio a ri- 
scontrarne di pure, e le fredde sorgenti alpine frequentemente gli avranno 
presentato ricchissime e pure raccolte di Odontidium hjemale^ Kz. In 
tali circostanze esaminando ad una ad una le differenti grandezze di valve 



455 



i 
à 



e frustali dell' istessa specie, se ne prenderà a determinare le misure degli 
assi longitudinali e dei trasversali, nel mentre che riconoscerà come la mi- 
^ sura degli assi longitudinali differisca grandemente per modo che gli uni 

^ non saranno più della metà e molto di frequente una frazione assai miuore 

^ degli altri, nel confrontare gli assi trasversi di quelle valve e frustuli si 

1- ritroverà nessuna o se pure minima differenza. Eppure nessuno potrà ne- 

B garmi, che il rimpiccolimento graduale dei frustuli, che necessariamente con- 

^ segue dall'incapsulamento dei frustuli quando in quelli ha luogo la molti- 

i plicazione per fissiparita, come luculentemente venne dimostrato dal Gh. 

Dr. Pfitzer di Bonn (Untersuhungen und entwichlung der bacillarieeu), do- 
vrebbe produrre tanta variazione negli assi trasversi quanta se ne ha nei 
longitudinali. 

Amore di verità e impulso di intimo convincimento, frutto di lunghe e 
pazienti meditazioni e ricerche, mi condussero ad esporre il Inio qualunque 
modo di vedere su la striazione delle Diatomee e sul significato e valore 
di quelle in ordine alla determinazione della specie^ e ad indicarne talune 
logiche deduzioni^ che ho creduto doverne trarre. Conosco di dipartirmi in 
queste mie idee dalla opinione dominante e dal sentire di persone autorevo- 
lissime, che altamente onoro, e quindi non e che forza di persuasione, la quale 
mi fa vincere ogni trepidanza. Nutro fiducia che quelli, lungi dal prendere 
in mala parte queste mie osservazioni, vorranno anzi prenderle in matura 
considerazione, tanto più che le mie opinioni su l'argomento sono frutto 
della abituale pratica di ritrarre le immagini delle Diatomee a mezzo della 
Fotomicrografia, la quale applicata ad ogni ramo di ricerche di scienze 
naturali e sperimentali non potrà mancare di portare egualmente utili servigi. 
Reputo pertanto fare cosa utile e gradita ai Micrografi, e più particolar- 
mente agli studiosi di Diatomee, l'aggiungere qui appresso un elenco di 
misure e numerazioni di strie, che ne adornano la superficie valvare, il 
quale elenco ho tratto del mio libro di note, dove volta per volta inscrissi 
il numero delle strie corrispondenti ad un millimetro con il sopradescritto 
processo della projezione fotomicrografica. 



59 



456 



Numero dtlle strìe loDgitadinali e trasversali nelle 


1 Diatomee. 


(a) None DfiLLA DlATOMEA StRIB 


LOffOlTUDINALI 


Strib trasvehsali 


Epithemia Argus, Sin. 


900 


1200. 


» constricta» Sm. 


» 


1450. 


j> Zebra, Kz. 


1250 


1700. 


» gibba, Kz. 


» 


1600. 


» turgida, Kz» 


800 


900. 


» ocellata, Kz. var. 


ì> 


430. 


» Mnsculus, Kz. 


» 


1750. 


» ventricosa, Kz. 


a 


1530. 


» granulata, Kz. 


800 


900. 


» Hyndmaanii, Sm. 


010 


» 


Eunotia undulata Grun. 


» 


1070. 


» tetraodoQ^ Ehrbg, ^ 


» 


1400. 


» tetraodon, Ehrbg. var. dìodon 


» 


2100. 


» tetraodon, Ehrbg. var Diadema 


» 


2400. 


» incisa, Greg. 


» 


1550. 


» Indica^ Grun. 


» 


1200. 


» pr^nipta, Ehrbg. 


» 


teso. 


> Soieirolii, Kz. 


» 


1200. 


Synedra Talassolrìx» Cleve (Messioa) 


» 


1370. 


a Sicula, Castracaae 


» 


835. 


» splendens, Kz. 


» 


1030. 


» Ulna, Ehrbg. 


»